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Un rappresentante sposato Cap.22 -La cena

By 28 Agosto 2019Dicembre 16th, 2019No Comments

22 – La cena

Dormimmo quasi tutto il giorno, svegliandoci nel pomeriggio.
Marica aveva l’espressione del gatto che ha mangiato il canarino ed io continuavo a meravigliarmi di quanto mia moglie fosse sempre più bella, più porca e più assolutamente disponibile.
Appena sveglia, mi aveva raccontato gli accadimenti in quell’appartamento e e le sue sensazioni e, lo ammetto!, questo insieme di situazioni mi eccitava parecchio… ma non in modo banalmente sessuale: il mio piacere era una cosa a livello molto cerebrale ed il rivivere con gli occhi della mente le situazioni che mia moglie affrontava mi davano un potente, inedito piacere, mai conosciuto prima.
Stavamo languidamente entrando nell’ordine di idee di pensare alla cena, quando squillò il suo cellulare.
«Ciao, cara…» La sua espressione gioiosa venne subita sostituita da un’altra più compresa ed anche il suo tono di voce divenne più formale, più… gerarchicizzato, defernte «Sì, signora, mi scusi… non succederà più, glie l’assicuro… Sì, mi dica… tra un’ora? Bene!… Sì… sì… va bene, ho capito… sì… come crede… beh, certo: cercherò di non deluderla, signora… come crede… va bene, a fra poco, sì… Buonas…»
«Ha riattaccato!» mormorò, con tono leggermente deluso.
Poi mi guardò, con gli occhi brillanti di eccitazione.
«Era Concetta: mi ha detto che mi passano a prendere tra un’ora esatta, perché devo accompagnarla a cena, in un ristorante, con altre persone…
Mi ha detto che devo mettermi tacchi a spillo, un miniabito piuttosto elegante, perché andiamo in un ristorante “carino”, ha detto così, un po’ di trucco, leggermente pesante e senza assolutamente intimo… Vado a farmi la doccia: ho appena il tempo di prepararmi!»
Scomparve in bagno e sentii subito lo scroscio della doccia; mi aspettava un’altra serata solitaria, in casa, a cercare di immaginare dove fosse mia moglie e cosa stesse facendo… eccitato!
Allo scoccare dell’ora, mia moglie era pronta per il suo appuntamento: un semplice tubino nero, con le spalline a stringa, scarpe nere col tacco da dieci centimetri, una pochette di lustrini neri e un filino troppo carico il trucco, con il rossetto un po’ troppo rosso e gli occhi un filino troppo truccati.
Il tempo di contemplarla per dieci secondi e subito lo squillo alla porta; lei che mi sfiorò la guancia con un rapido bacio e poi schizzò fuori, ancheggiando sui tacchi, eccitantissima.

Concetta mi aspetta seduta in una Mercedes e mi fa segno di sedermi dietro; ovviamente eseguo: apro la portiera e mi siedo, dando la buonasera a lei ed al tipo alla guida, un uomo sulla cinquantina, brizzolato, con l’aria di un facoltoso che ha cura di sé.
Senza girarsi, mentre l’auto riparte con un fruscio, Concetta dice: «Questa troia è Marica, Marco»
Poi, rivolgendosi a me: «Adesso andremo a cena con un’altra coppia, alla quale ho raccontato quanto tu sia schiava e docile; per cui, qualunque cosa ti chiederemo stasera, lo farai subito e con un sorriso. Capito?»
«Sì, signora Concetta!»
«Altra cosa: stasera farai un… fioretto: non parlerai MAI; solo se ti verrà esplicitamente detto, potrai rispondere a parole, ma altrimenti dovrai sembrare muta. Capito?»
Annuisco, ubbidiente.
Detto ciò, mi ignorano, mettendosi a parlare degli affari loro, fino al ristorante, lontano parecchi chilometri da casa mia.
Sulla porta, ci aspetta una coppia, abbastanza vicina alla sessantina: lui –Roby- è basso, paffuto, pelato e lei -Giusy- ha l’aria della massaia grassoccia tirata a lucido per la serata.
Appena seduti al tavolo che ci avevano riservato, Concetta si alza e dice: «Noi bambine ci andiamo a incipriare il naso…» guardandomi con intenzione.
Così mi unisco a loro verso la toilette delle signore.
Arrivate lì, mi fanno entrare nel camerino con loro e subito Giusy si rialza l’abito, abbassa il perizoma e fa pipì, davanti a noi.
Appena finisce, Concetta mi sussurra «Asciugala!» ed io capisco: mi inginocchio e comincio a leccarla, andandole pazientemente a lambire ogni gocciolina sui folti peli che le coprono la fica.
Dopo un pochino, convinta di aver completato l’operazione, mi discosto e Giusy si rialza, lasciando il posto a Concetta che, dopo aver fatto, aspetta che le renda lo stesso servizio; più facile, visto che lei è completamente depilata.
Tornate finalmente al tavolo, hanno cominciato a servire la cena e durante tutto il pasto, i due uomini (comincia Marco, ma Roby si adatta subito!) continuano a palparmi e ad infilare le mani sotto l’abito, sia da sotto che da sopra, e le dita in ogni mi orifizio, dalla bocca fino alla fica ed al buchino del culo -oltre ogni pudore- e aumentando la mia eccitazione a dismisura, anche quando il cameriere è vicino e può, quindi, vedere facilmente cosa mi fanno. Tuttavia, molto professionalmente, ostenta un’aria indifferente, anche se viene tradito dall’erezione che i pantaloni neri rendono solo meno evidente.
Gli armeggi dei due e l’espressione… tesa del cameriere non sfuggono al proprietario che decide di avvicinarsi al nostro tavolo, col pretesto di sapere se va tutto bene, se tutto è di nostro gradimento.
Concetta, come lo vede arrivare, mi ordina di far cadere il tovagliolo, quando è accanto a me e, mentre lui si abbassa per raccoglierlo, stare con le gambe bene aperte, per donargli una vista “panoramica”.
Avvicinatosi a noi mi sovrasta, rivolgendo le sue parole ai due uomini, ma il suo sguardo è fisso al mio seno quasi denudato degli armeggii dei due; faccio -come richiesto- cadere il tovagliolo ed accenno a chinarmi per raccoglierlo, ma lui con un «Lasci, signorina, ci penso io!» esclamato con un sorriso a trentadue denti, si accuccia a raccoglierlo e… e non risale più, mi sembra.
Sento il suo sguardo, bollente come una lama di sole, esplorarmi la fica e sono turbata ma anche eccitata di questa impudica ispezione.
Quando, alla fine, riemerge alla normale postura, il suo sorriso è ancora più ampio: sembra che, mentre era accucciato sotto il livello del tavolo, si sia messo in bocca un’altra dozzina di denti!
Mentre il cameriere ci serve il dessert, resta a ciondolare accanto al nostro tavolo, raccontandoci della storia di quel suo ristorante ed alcuni aneddoti gustosi su anonimi clienti.
Come poso il cucchiaino del dessert –eccellente!- lui, sempre saettandomi occhiate molto concupiscenti, fa cadere una frase del tipo: «… Se lorsignori fossero interessati, sarei orgoglioso di mostrarvi le nostre cucine e le nostre dispense…»
Marco coglie l’occhiata di Concetta: «Saremmo davvero felicissimi di visitare tutto il suo ristorante, ma noi ed i nostri amici dovremmo discutere di una certa faccenda.
Comunque sono sicuro che la signorina sarebbe felicissima di visitare tutto il suo locale… Marica, vai pure!»
Capisco al volo e mi alzo sorridendo al raggiante titolare, che subito mi pilota nella cucina, scintillante di acciaio inossidabile e pulitissima.
Si mette a blaterare sulle attrezzature, le dotazioni, gli impianti ed intanto mi sfiora il sedere con una mano; poi, sempre mostrandomi chissacché, me lo accarezza di nuovo, ma stavolta si sofferma un poco.
Non mi scosto e lui prende possesso della parte, mentre mi pilota nella dispensa: mi mostra le scorte sugli scaffali, poi i generi deperibili nella cella refrigerata e intanto la sua mano ha fatto risalire l’orlo dell’abitino fino a scoprirmi le chiappine. Sempre sproloquiando del suo ristorante, fa scorrere un dito nel solco tra i due semiglobi, sonda l’elasticità del buchetto, poi scende, mi forza con due dita a divaricare le gambe e comincia ad esplorare attentamente la fica, sempre standomi dietro.
Sento il suo respiro affannato e la sua erezione contro un fianco e, con nonchalance, glie la accarezzo col dorso della mano.
Lui ha come un sussulto e mi invita a seguirlo nel suo ufficio, ma trascinandomi quasi per un braccio.
Chiusa la porta dietro di noi, mi guarda, mi dice «Sei bella» e armeggia per abbassarsi la lampo dei calzoni; solo che è completamente impallato ed allora, con un sorriso da vera troia, glie lo abbasso io, poi introduco la mano all’interno, gli scosto gli slip e glie lo estraggo: non molto grande, ma teso e con la cappella violacea per l’eccitazione, che occhieggia dalla pelle tesa che –evidentemente- non riesce a scoprirla completamente. In cima, il buchino luccica per una gocciolina di liquido denso e trasparente, a riprova di quanto l’uomo sia su di giri.
Mi appoggia, con molta delicatezza, una mano sulla nuca e sospira a fondo; capisco e mi accuccio, cominciandoglielo a leccare tutto.
Ha così frenesia del pompino che sto cominciando a fargli, che resta lì, impalato, a un metro dalla porta, con l’uccello che svetta dalla zip aperta dei pantaloni neri ed io, dopo averlo inumidito tutto con la lingua, prima gli alito sopra il mio respiro caldo e poi comincio a stringerlo, sulla punta, tra le labbra.
Allento la stretta e avanzo di un centimetro e poi ancora ed ancora, finché non è tutto nella mia bocca, che lo aspira mentre la lingua lo blandisce con carezze.
Dura pochissimo, penso meno di due minuti, poi lo sento gemere, mentre due fiotti di sperma mi colpiscono l’ugola.
Ingoio tutto, poi mi rialzo sorridente, mentre lui sembra sconvolto dal piacere che ha appena provato.
Mi sorride, vergognoso, mi ringrazia; vorrebbe dire e fare mille cose, ma è impacciato come un liceale.
Gli sorrido, lo bacio sulla guancia ed esco, lasciandolo lì, nel suo ufficio, in piedi, col cazzo mollo fuori dai pantaloni ed un’espressione di ebete gioia sulla faccia.
Torno al tavolo e Marco mi interroga: «Cos’hai fatto?»
Sotto lo sguardo inquisitorio del quartetto, rispondo: «Mi ha mostrato tutto il locale e poi, nel suo ufficio, mi ha fatto capire che desiderava un pompino…» «Fatto?» «Sì» «Con ingoio?» «Beh, certo!»
«Uhhmmm… Va bene, andiamo!»
Arrivati nel parcheggio, Marco mi dice: «Roby è curioso di scoprire come fai i pompini. Fagliene uno, subito!»
Mi accuccio davanti all’uomo, gli slaccio la patta, gli abbasso i boxer e tiro fuori un cazzo lungo come quello del ristoratore, ma più grosso di diametro.
Non perdo comunque tempo a studiarlo e comincio a spompinarlo, facendogli però uscire le palle dai pantaloni e leccandogliele e mordicchiandogli delicatamente lo scroto.
Poi me lo aspiro in bocca e lo massaggio con la lingua, mentre lui mi posa le mani sulle orecchie e le tempie e pilota i movimenti della mia testa.
Mentre sono così oscenamente accoccolata, sventagliate dei fari di auto che passano ci illuminano brevemente e mi chiedo –viziosamente- se qualcuno in quei pochi secondi possa avere un’idea di cosa stia succedendo, tra quelle due coppie in piedi e quella donna accucciata sui talloni…
Mentre sono sul precario equilibrio dei tacchi a spillo, Concetta mi impone di aprire al massimo le gambe «…Così, se passa qualcuno, non avrà dubbi su quanto tu sia troia»
Eseguo anche questo ordine, ma senza però allentare la presa sul cazzo di Roby che difatti, dopo poco, mi viene in bocca.
Mi rialzo, leccandomi le labbra, mentre Roby si ricompone e decidono di raggiungere un bar distante poche decine di metri.
I quattro parlottano, tra loro, ed io seguo, metaforicamente con “le orecchie basse”, come un cucciolo portato a fare una passeggiata dai padroni.
Ci accomodiamo in un separé del bar –una sorta di pub, semideserto- e sono sempre l’argomento dei loro discorsi.
Ad un certo punto, Giusy sbotta con un: «Sì, ma si fa presto a dire che questa qui è troia… Lo dite perché è disponibile e brava a letto… o anche perché si sa comportare… di conseguenza?» E ammicca.
Tutti ridono, poi Carmela si rivolge a me, con la faccia feroce: «Hai sentito i dubbi che ha la mia amica, su di te?» Annuisco rapidamente.
«E tu non vuoi che io passi per un persona che dice cose non vere, sbaglio?» Nego scuotendo il capo.
«Bene: allora adesso lascerai quella stupida pochette qui, a noi e poi uscirai, adescherai un uomo e ti farai dare cinquanta euro, in un’unica banconota, in cambio di un pompino con ingoio.
Una volta fatto, tornerai qui, da noi, consegnandoci la banconota e facendoci vedere la sborrata che avrai conservato in bocca. Fila!»
Mi alzo e sento le guance avvampare per la vergogna: fare la puttana dandola senza troppe storie, sì, ma farlo proprio per soldi…
Ma la sfida, inoltre, mi eccita e quindi lascio il bar, turbata.
Studio brevemente una strategia e mi sposto vicino al ristorante, dove tra l’altro mi sembra che ci sia anche più passaggio di persone a piedi.
Valuto gli uomini soli che vengono dalla mia parte e decido di provare con uno, sulla quarantina, distinto: «Scusi signore, ho un problema e forse lei mi può aiutare a venirne a capo»
Si ferma e si predispone ad ascoltarmi cortesemente.
«Ho cenato in quel ristorante, ma al momento di pagare mi sono accorta che qualcuno mi ha rubatoli portafogli dalla borsetta, coi soldi.
Il padrone, però, non mi crede e mi ha dato mezz’ora per tornare con i soldi per pagare il conto, altrimenti chiamerà i carabinieri; ha trattenuto la borsetta coi documenti come garanzia e io son disperata…
Ora, mi chiedevo… un signore distinto e gentile come lei… sarebbe disposto a darmi cinquanta euro, per saldare il conto a quell’orco, in cambio di… beh, sì… insomma… ehmm… beh… un pompino ben fatto, ecco!?»
Il tipo ascolta e si trasfigura «Ma va a da via i ciap, brutta puttana!» E se ne va, stizzito.
Il mio amor proprio resta ferito ed, ormai, mi sono ostinata a riuscire nella missione che Concetta mi ha dato.
Valuto un altro uomo -più giovane, questo, con l’aria da giovane rampante- e lo fermo, ripetendo la mia triste storia di donna sola, derubata e non creduta.
Lui mi soppesa con lo sguardo e mi dice «Andiamo!» precedendomi in un androne, nel sottoscala.
Lì faccio il mio lavoro da brava puttana, leccandoglielo con passione, lavorandogli bene la grossa cappella –sproporzionata, per il fusto del cazzo piuttosto sottile- con la punta guizzante della lingua.
Lui si sente autorizzato ad abbassarmi le spalline dell’abito ed a scoprirmi i seni per palpugnarmeli comodamente e lo lascio, ovviamente, fare.
Aumentando gli affondi della mia bocca sul suo cazzo teso, sento che mi afferra i capezzoli ed ad ogni mio affondo lui geme e li stringe, sempre di più, fino a farmi veramente male quando, con un sordo ruggito, mi scarica i coglioni in bocca.
Lo sento fremere ancora tra le labbra, mentre si ammoscia, come un pesce morente in secca ed alla fine mi rialzo e tendo la mano aperta, nel segnale inconfondibile del «Dammi!»
Lui sospira, con un guizzo di contentezza in fondo agli occhi, estrae il portafogli e mi dà l’agognata banconota; lo ringrazio con un cenno della testa e sfreccio via, mentre lui parla di «…rivederci un’altra volta e…» ed il resto lo perdo allontanandomi, per tornare al bar.
Noto sul tavolo in numero cospicuo di bicchieri vuoti e sento che stanno tutti ridendo.
Mi avvicino al tavolo, con gli occhi bassi e loro ammutoliscono di colpo; Concetta tende la mano e le porgo la banconota, poi mi ordina «Apri la bocca!» e le mostro lo sperma sulla lingua.
«Visto?» dice trionfante a Giusy.

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