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Ho cinquanta anni, e da ormai più di trentacinque vivo in questa grande fattoria immersa nella maremma toscana. Cento ettari di terreni coltivati,vigneti, oliveti, e duecento tra mucche e vitelli nella grande stalla. Più i trattori e le varie attrezzature, e cinque aiutanti, che ogni giorno collaborano con me, per far funzionare l’impresa. Sono arrivata qui da un paesetto della Sicilia,in provincia di Enna, grazie ad un inserzione, dove cercavano una ragazza per dare mano nelle faccende domestiche, per mandare avanti la casa. Per i primi tre anni ho sempre e solo lavorato, e mandato i guadagni a casa, a mia madre, perché potesse sfamare i miei fratelli e la mia famiglia, abbandonata da un padre emigrato in America in cerca di fortuna,e mai più ritornato.
Poi la moglie del mio padrone, che sarebbe in seguito diventato mio marito, si è ammalata, e nel giro di due mesi se ne è andata al creatore, lasciando tutti nello sgomento e nella disperazione.
E sei mesi dopo, una sera il padrone me lo sono ritrovato dentro il letto, reduce da una sbronza consolatrice, in preda ai fumi dell’alcool, mi ha praticamente posseduta mio malgrado, anche se io non ho fatto molto per impedire che tutto ciò avesse compimento.
Ricordo l’odore del vino uscire dalla sua bocca, le mie mutande strappate, e il suo membro dentro di me, con uno strano dolore per i pochi colpi che mi ha assestato, prima di addormentarsi con il cazzo ancora infilato. Dopo sei mesi ci siamo sposati e dopo nove è nato il primo figlio, seguito a ruota dal secondo.
Poi il sesso è terminato e io ho solo più pensato a loro, a crescerli, a mandare avanti la casa, a capire come funzionava la fattoria. Ho imparato tutto quello che c’era da sapere, e la mia vita è sempre rimasta confinata dentro i cento ettari del podere.
Da un anno sono rimasta vedova. Mio marito è stato preso dalla stessa malattia che aveva colpito la sua prima moglie e in pochi mesi se ne è andato. I miei figli sono ormai grandi, entrambi laureati, vivono e lavorano lontani, non hanno nessuna attrazione per la campagna, per questo tipo lavoro.
Cosi sono diventata l’unica padrona del mio mondo e ho preso finalmente in mano la mia vita.
Non mi considero una gran bellezza, ma non sono poi nemmeno cosi male. Ho il classico fisico e i tratti della donna mediterranea, scura di carnato, mora, occhi neri, un bel seno prosperoso. Non sono molto alta, ma nemmeno piccola, la giusta altezza per una donna.
Da quando sono vedova, nonostante il mio impegno e le responsabilità alla fattoria siano aumentate, ho iniziato a prendere cura della mia persona, cosa che prima facevo in modo molto approssimativo.
Due volte alla settimana mi concedo degli interi pomeriggi, dove mi reco in una cittadina qui vicino, e vado dall’estetista, dalla parrucchiera, mi compro vestiti, biancheria intima raffinata, profumi e prodotti per la cura della pelle e del corpo.
Alcuni so che mormorano che lo faccio perché sono in cerca di un maschio, di un nuovo marito, di qualcuno che non mi faccia sentire sola a letto. Pensano che con la vedovanza sia diventata un po’ maiala in cerca di qualcuno da cui farsi scopare.
All’inizio in effetti qualcuno ha anche provato a farmi qualche avance, prontamente rifiutate.
Perché il motivo per cui faccio queste cose non è per cercare un uomo, ma solo per me, per godere della mia visione, per sentirmi bella, a mio agio con me stessa.
Ultimamente mi è anche successo la sera dopo cena, di indossare alcuni capi di intimo, particolarmente provocanti, e di osservarmi nel grande specchio della camera da letto, compiaciuta della mia figura, mentre uno strano senso di eccitazione mi pervade.
Sono anche stranamente attratta dalle modelle che vedo nelle riviste di moda, soprattutto quando indossano capi succinti, oppure intimo. Osservo quelle forme, quei paesaggi oscuri e conturbanti, e strani pensieri mi guidano in quegli anfratti, che vorrei esplorare, come farebbe uno speleologo quando scopre una grotta mai profanata.
La vita alla fattoria procede tranquilla, sono sempre più immersa nella gestione di semine e raccolti, la spremitura delle olive, la vendemmia, la quotidiana mungitura delle mucche.
La stalla è moderna, efficiente e meccanizzata, e un addetto si occupa di tenere tutto in ordine, e di gestire la mungitrice.
Perché le mucche facciano sempre il latte devono figliare, e abbiamo sempre qualche mucca gravida,per cui il nostro veterinario, Giovanni, un grande amico del mio defunto marito, è ormai uno di casa.
Però è anziano, e ha deciso di lasciare l’attività ad una nipote laureata da poco, che da qualche mese lo affianca nelle visite che ogni giorno devono fare, in giro nelle fattorie della zona. Spesso si tratta di vaccinazioni, oppure esami, per garantire la qualità del latte, che non deve provenire da animali con patologie pericolose.
Ogni tanto si tratta anche di seguire mucche gravide, e di fornire assistenza durante il parto.
Una delle mie migliori produttrici, sta portando al compimento un parto gemellare. Siamo attorno alla trentacinquesima settimana e ormai manca poco, per cui ogni tre giorni vengono ad effettuare una visita di controllo, per assicurarsi che tutto proceda bene.
Anche questa mattina so che devono venire, e sono nel mio studiolo, antistante l’ingresso della stalla quando sento il rumore dell’auto che attraversa la grande aia e si ferma appena fuori.
Mi affaccio e vedo scendere solo la nipote, Emma mi sembra abbia detto che si chiami.
Il nonno si sente male, e per qualche tempo verrà lei da sola, anche se in ogni caso, quello era un passaggio inevitabile, anticipato solo, dall’improvviso malore.
Emma è una ragazzetta sveglia, non particolarmente bella, ma con un fare schietto e genuino, e un atteggiamento nonostante la giovane età, molto professionale. Ha i capelli corti e neri tagliati un po’ a maschietto, degli occhialetti con le lenti ovali, e veste sempre in modo sobrio, con il pensiero di chi dovrà affrontare stalle, letame, mucche da ispezionare. Prima di entrare nella stalla indossa appositi copri calzature, guanti, un lungo camice bianco di carta, una cuffia sui capelli e una mascherina.
Cose che il nonno, legato ad una cultura veterinaria proveniente da un’altra generazione, di certo non faceva. Cosi la vedo entrare nella stalla, raggiungere la partoriente, e dopo averla tastata, accarezzata sul muso, infilarle un braccio nel retto, per controllare i feti, sentire a che punto siamo.
La osservo incuriosita, notando la perizia e la conoscenza del mestiere, nonostante la poca pratica sul campo. Una certa esperienza me la sono fatta negli anni passati, quando molti controlli non erano obbligatori, e il veterinario si chiamava solo nei casi molto gravi, mentre in tutti gli altri ci si arrangiava io e mio marito, che ho assistito mentre si prodigava in decine di parti.
Poi vado ad attenderla nello studiolo, dove arriva e mi porge un sacchetto con dentro il camice, i guanti, la cuffia, la mascherina e i copri calzari, da buttare nella spazzatura.
Le offro un caffè, dalla macchinetta automatica che ho installato, e lo accetta volentieri.
Sono l’ultimo “paziente” che ha visitato, e ha finito il giro, per cui quatto chiacchiere le farebbe volentieri.
Parliamo un po’ e mi racconta la sua vita. Non ha un fidanzato, prima la laurea, mi ha confessato con un sorriso, e ora spera di sistemarsi qui in zona, e poi chissà, se troverà qualcuno bene, altrimenti sarà uguale.
Le piace vedere una donna che manda avanti da sola un impresa cosi importante, anche se mi dice che il nonno le ha raccontato le circostanze poco fortunate che mi hanno costretta ad affrontare quella situazione. Inizio ad osservarla e mi sembra proprio carina, sempre più attraente, nonostante i jeans e la pesante felpa che indossa non siano per nulla femminili.
All’improvviso mi dice che si è fatto tardi, che deve tornare allo studio, che nel pomeriggio è aperto per le visite ambulatoriali.
Mi saluta e mentre mi porge la mano, si avvicina, e come fossimo vecchie amiche mi dà un bacio sulla guancia, dicendomi che potremmo anche darci del tu, come si fa con le amiche.
Le dico certo, volentieri, sarebbe bello lo diventassimo.
La mucca sta per partorire. Questa mattina Emma mi ha detto che ormai mancano poche ore, di stare attenta e di controllare, e di chiamarla che lei sarebbe corsa qui a qualunque ora, di non fare da sola, perché potrebbe essere molto rischioso, molto più per la mucca che per i vitellini.
Per tutto il giorno abbiamo controllato, e non è successo nulla di particolare. Faccio un ultimo giro prima di andare a dormire, e la vedo coricata a terra , ha rotto le acque, e mi guarda con due occhi che chiedono aiuto. Chiamo immediatamente con il cellulare, e lei mi risponde in un attimo.
Dopo un quarto d’ora la sento entrare nella stalla. E’ già tutta intabarrata, con il camicione e la mascherina.
Ho già messo alcuni pentoloni di acqua a riscaldare, entrambe sappiamo cosa si dovrà fare.
Tre ore dopo osserviamo due vitellini che stanno iniziando a succhiare il latte dalle grosse mammelle gonfie della madre, che dopo averli leccati e coccolati, li guarda con occhi soddisfatti.
Siamo esauste, sono le due passate, e sentiamo il bisogno di qualcosa di ristoratore.
Preparo l’acqua per una tisana, e tiro fuori una scatola di pasticcini, che tengo per questo tipo di occasioni.
Sento il bisogno di farmi una doccia, e le chiedo se anche lei vuole approfittare. Mi guarda e annuisce, sorprendendomi anche un pochino. Sinceramente non me lo aspettavo, e non ero preparata, però le dico di andare prima lei, che le avrei portato della mia biancheria pulita, che poi mi avrebbe restituito.
Mi dice che va bene, allora la scorto al bagno le dico di lasciare aperta la porta, che le avrei lasciato la biancheria e un accappatoio pulito. Ora inizio ad agitarmi, i miei pensieri corrono ovunque, senza controllo.
Penso alle modelle delle riviste, mille immagini mi girano nella testa, mi devo concentrare per ricordare dove ripongo cose che utilizzo tutti i giorni.
Finalmente metto insieme quelle quattro cose che sto cercando e arrivo al bagno. La porta è socchiusa, e sento l’acqua che scorre dentro alla cabina della doccia. Entro e una piccola nuvola di vapore si sta alzando, e attraverso il vetro zigrinato intravedo la sua figura. Mi sembra che sia ferma in piedi mentre si sta godendo il getto d’acqua sul collo come fosse un massaggio rigeneratore.
Non so cosa mi stia succedendo, ma ora la voglia di entrare in quella cabina mi sta divorando, ed è diventata cosi forte da farmi perdere tutti i freni inibitori. Appoggio le cose che ho in mano su di una mensola, e lentamente mi sfilo la tuta, che ancora indossavo. Poi mi tolgo anche il reggiseno e restando solo con le mutandine mi avvicino lentamente e faccio scorrere l’apertura della cabina.
Ora è davanti a me in una nuvola di vapore, sento gli schizzi che mi bagnano le gambe, la pancia, e mi metto a tremare. Lei apre gli occhi che teneva chiusi, e sorridendomi dice, “vieni che ti stavo aspettando”.
Allora entro e richiudo lo scorrevole, mentre l’acqua calda mi bagna. Sento una sua mano che si posa su di un fianco, allora mi avvicino ancora fino a che non sento la sua pelle contro la mia. Ci abbracciamo delicatamente per qualche istante, poi lei chiude l’acqua, e prende il flacone del bagno schiuma. Sento il sapone fresco che le sue mani iniziano a spalmare sulla mia pelle, prima sulla schiena, poi sul ventre e poi sui seni. Mi sfila le mutandine. Ora la schiuma ha preso a formarsi, sottile, per poi diventare più spessa, cremosa. Ci baciamo in bocca. Sento la sua lingua contro la mia, le entro dentro voglio sentire il suo sapore. Poi una mano si posa sulla mia vagina, e inizia a sfregare piano, formando una schiuma voluttuosa, sento le dita che cercano di entrare, che accarezzano quelle labbra dalle quali so che dovrebbe nascere tutto il mio piacere. L’acqua riprende a sgorgare, lava via tutto il sapone, lascia un profumo di buono di sesso di passione. Lei si china e si inginocchia e poi mette la sua bocca su quelle labbra, sento la sua lingua che mi entra delicata e poi corre su quel grillettino, che molte volte ho sfiorato, e ogni volta mi ha dato strani brividi di piacere. Ma ora lei insiste, me lo stringe piano tra i denti, mentre con la lingua lo stimola, lo sfrega, sempre più forte , sempre più decisa. Un calore che non avevo mai sentito si propaga per il basso ventre seguito da due o tre spasmi incontrollati. Devo gridare. Poi le gambe si fanno molli e scivolo verso il basso con lei che mi sorregge piano, e sempre continuando ad accarezzarmi con una mano mi bacia sulla bocca. E’ il primo orgasmo della mia vita.
Mi sveglio che il sole è alto, e il rumore di un trattore riempie il silenzio della grossa aia.
Guardo l’ora e mi prende un colpo. Le dieci del mattino. Poi mi accorgo che un braccio mi sta cingendo il collo, e girandomi la vedo, al mio fianco sotto alla coperta che ancora dorme tranquilla e rilassata.
Mi accorgo di essere completamente nuda, e solo allora ricordo tutto quello che è successo, di come siamo finite nel mio letto, e degli altri due orgasmi che mi ha fatto provare, sempre baciandomi, prendendosi cura di me. Mi viene in mente che io a lei non ho procurato mai il piacere, e ora ho voglia di scoprire cosa si prova, baciare una donna, assaporare i suoi umori.
Infilo la testa sotto alla coperta e mi dirigo tra le sue cosce. L’odore del suo sesso è pungente, durante la notte si deve essere bagnata, e la cosa mi fa impazzire. Affondo la bocca e la lingua, mentre con le mani le afferro i seni. Sento che si è svegliata, che muove il bacino, inizia ad accompagnare la mia leccata. La lecco e la bacio, le mordo le labbra e il grilletto non so per quanto tempo. Lei mugola, e poi ansima, mentre dalla sua fessura cola un liquidino dal sapore buono, un po’ acidulo, sembra yoghurt fermentato. All’improvviso caccia un grido, prima strozzato e poi più acuto, mentre un fiotto tiepido mi riempie la bocca e la sento sussultare, vedo i muscoli dell’addome che le si contraggono, e la osservo mentre gode.
Emma si è trasferita qui da me.
Dopo la morte del nonno avvenuta in tempi brevi e dolorosi, ne ha rilevato lo studio, e la nostra relazione ormai non è più un segreto per nessuno.
Abbiamo lasciato passare qualche mese, ma poi quando ci siamo accorte che ormai tutti avevano capito, non aveva più nessun senso cercare di nasconderci.
Già dopo quella prima mattina avevo notato gli sguardi maliziosi degli operai, sicuramente insospettiti dall’orario, e dal tenero bacio che videro scambiarci quando ci siamo salutate.
E poi ogni giorno a pranzo e poi a cena, e poi sempre più spesso anche a dormire.
So che siamo un po’ sulla bocca di tutti, ma questo poco ci importa, tanto si dovranno abituare, in fondo non facciamo nulla di male.

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