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Mia cugina Elisa

By 10 Febbraio 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Un’estate di alcuni anni fa, un’estate come tante: sovrabbondante di furore vitale e di moti inquieti appena accennati. I roventi venti estivi conducevano seco fragranze lontane mentre il frinire di testarde cicale si sublimava a sfondo dell’erompere della stagione dei sensi. Le piante virenti all’apice del rigoglio, le acque marine riscaldate dalle cocenti irradiazioni che si riverberavano spietate sulla loro superficie cangiante. Con loro anche io sbocciavo. Affamata di vita. Come una rosa sognante. La mia pelle era di pesca, profumata di me, le labbra rosse quali fragole di stagione, gli occhi splendevano di una mistione di cromie incostanti, d’ammaliante oro sfumate. Il loro natural richiamo era il frutto dei noccioli presso le cui fronde mia madre soleva accompagnarmi. Allora come ora vivevo fresca e innocente come figlia di fata sapendo incantarmi allo spettacolo della natura tutta in amore. E di quell’amore anch’io venivo pervasa: mi sentivo già parte di un ciclo che aveva già visto quella crisalide ancora sgraziata trasformarsi in donna desiderata.

Come tutte le estati mi recavo a casa di mia nonna materna, in una zona collinare non discosta dal mare. Fragranze salmastre a solleticar fantasie. Solitamente trascorrevo un paio di settimane in quel luogo dal tempo sospeso che, al contrario di quanto potreste pensare, volavano rapide, troppo rapide. La nonna mi viziava sempre stravedendo per me e, ora che ero ormai una giovane donna, fremendo d’orgoglio nel mostrarsi al mio fianco per le strade della cittadina. Adoravo stare con lei, aiutarla nelle minime occupazioni, ma soprattutto girovagare con noncuranza per la piccola città. Istintivamente ero protesa a farmi ammirare, sedurre, incantare, al contempo detestando venire infastidita e importunata volgarmente. Molti ragazzi giovani e persino qualcheduno coi capelli già bianchi, mi squadravano mettendo conto di passare inosservati, ma non osando avvicinarsi, nascondendo pensieri. Vestivo semplicemente, non così tanto da nascondere forme superbe che da pochi anni mi adornavano tributandomi estesa grazia sensuale. Indossavo semplici t-shirt o il top e sotto un gonnellino, magari dei jeans corti. I capelli spesso sciolti così che il vento languido scherzasse con loro assieme al suo fedele compagno di sensualità ricolmo: il sole, la nostra stella, ai cui raggi anelavo. Vivevo due vite parallele: una concreta e una nella dimensione del sogno. Cercavo di fonderla tra simboli di fiaba.

Nel cuore della torrida estate giravo sempre scalza scatenando tensioni proibite in chi li ammirava: i miei piedi dentro belle scarpine rialzate di qualche centimetro. Avevo terminato da un bel po’la crescita, non sarei mai arrivata a 1,75, ma fermata per ventura di sorte qualche cm sotto. Sì, ero comunque simile a una farfalla che esplodeva di colori e di vita. Lanciavo sguardi inavvertitamente provocanti che oggi ammetto essere equivalsi ad altrettanti dardi di fiamma. In realtà volevo sedurre me stessa in un’alba di perla.

Ero timida e audace al tempo stesso: da un lato avvertivo innata vergogna a sentirmi oggetto di sguardi famelici, degli altrui turbamenti ad intrecciare il mio sguardo, dall’altra, anche comparandomi alle mie coetanee, mi pareva di abbigliarmi con la massima decenza: non amavo le gonne troppo corte e neppure i top esageratamente attillati; mi davo sul viso solo un filo di trucco. Una punta di matita e, per qualche serata assieme a mie coetanee, una sfumatura di mascara e un po’di rossetto adeguato all’abbronzatura e al colore dei miei abiti e della notte che mi avvolgeva materna carezzandomi i fianchi e proteggendomi. Sì, avevo molte amichette, ma preferivo starmene lontano dai ragazzi, tranne in talune occasione quando non se ne poteva fare a meno. Non fraintendetemi: avevo da tempo cominciato a fantasticare sulle storie d’amore, sui rapporti con uomini, avevo già baciato più d’un ragazzo, ma non ero mai andata oltre. Le mie esperienze più intime si limitavano a quando, trovatami sola in casa, mi poteva accadere di spogliarmi completamente. Di qui poi giungevo persino a toccarmi gustandomi a un rapido e sconvolgente orgasmo che a volte veniva seguito a breve distanza da un altro. Era così bello: non ero adusa a quei piaceri esaltanti tanto che non li avevo ancora confessati a nessuno eccettuate due amiche, le due migliori. Mi piaceva ringraziare il mio corpo. Di essere così splendido. Quegli atti, nel mentre mi sentivo precipitare sul fondo del mare, costituivano riti di adorazione in officio a me stessa. Non vi nascondo che poi vivevo se non dei sensi di colpa veri e propri, almeno una sorta di vuoto. Come avessi desiderato qualcosa d’altro, e di più qualcosa d’indefinibile ed eclettico che non mi lasciasse lì sola, stesa sul letto, coi miei vestiti ai piedi della scrivania e il corpo ancora risonante dell’orgasmo che mi ero appena elargita, attendendo del respiro la quiete.

Lì a casa della nonna non avevo mai pensato a darmi piacere: stavo tutto il giorno all’aria aperta, mi recavo sovente al mare con le amiche e tornavo a casa esausta anche solo per riflettere. Ammiravo tramonti fantastici e immaginavo quali disegni sfumati e arabeschi potessero disegnare i raggi morenti sul mio viso stupito da tanta bellezza.
In spiaggia invece accompagnava la madre di una di quelle fanciulle. Eravamo un’affiatata compagnia: scherzavamo, ci spruzzavamo addosso acqua salmastra, c’immergevano in quella nobile distesa liquida cercando di farci scherzi reciproci sotto il velo turchino del cielo sereno, melodia sonante di un’estate serena. Talora, stanche per le nuotate, restavamo a crogiolarci sulla spiaggia assumendo una tinta epidermica simile a quella delle mulatte. I nostri suoni fusi a quelli delle onde frante e al frinire delle cicale, i colori riverberati dal sole, la leggerezza che ci pervadeva, la complicità e sullo sfondo l’orizzonte di una vita ancora tutta da inventare. Respiravamo a pieni polmoni la felicità dell’età più verde, l’attimo irripetibile in cui tutto è bellezza, anche ciò che non si direbbe.

Allora capitava qualcuna accennasse ad tematiche intime: c’erano due di noi che avevano già avuto rapporti completi e tutte le altre facevano a gara chiedendo lumi sull’esperienza vissuta inscenando un improvvisato quarto grado. Una volta mi avevano interrogata direttamente: “Deborah, tu non hai mai ….?” mi apostrofò Valentina, una delle due più smaliziate. “Dai non raccontar balle…sei la più splendida di noi, tutti i ragazzi ti mangiano con gli occhi e ho visto benissimo come sculetti quando giri fingendo di fare la spesa al mercato come una brava bambina!” e mi canzonò cercando di imitarmi. In realtà non era una burla maligna perché ero rispettata proprio per il fatto di essere molto carina e di attirare sempre un codazzo di ragazzi. Mi diede però istintivo fastidio sentirmi tutti gli occhi addosso. Così abbassai lo sguardo e mi alzai mostrandomi in tutta la mia altezza, sia pure in bikini ovviamente. “Farò tutto quando troverò la persona adatta a me!” ciò suscitò un moto di risa scanzonate ma io le fissai ad una ad una con aria a mezzo tra la dolce ironia e la sfida. Da quel giorno fui chiamata la principessa, cosa che a dire il vero non disprezzai. Quanto a loro, rassicurate che non avrei flirtato con le loro prede designate, mostrarono di gradire ancor di più la mia compagnia.

Quell’anno stavo proprio tornando dal mare con Noemi, un’altra ragazza di quel gineceo rurale, e quella stessa Valentina. La prima era alla guida. Io mi trovavo semidistesa sul sedile posteriore divertendomi a far scherzi alla seconda e a prendere in pieno viso aria rinfrescante dal finestrino posteriore completamente aperto.
Ero abbronzata e ardevo per il sole che aveva deciso di fare l’amore col mio corpo. Solamente la pelle sotto il bikini era rimasta nivea come avorio. Indossavo occhiali da sole che mi conferivano un’aria sbarazzina, le labbra semidischiuse che lasciavano intravvedere il candore dei denti invitando a scoprire. Sì, mi piacevo tanto, mi sentivo davvero una principessa.

Arrivata sulla stradicciola sterrata che introduceva alla villa di mia nonna vidi un’auto: era quella di mia zia. La associai d’un subito alla cugina Elisa. E proprio costei mi si parò dinanzi di lì a poco. Capelli castani alle spalle, pelle olivastra, occhi molto scuri, bocca simile alla mia: a cuore. Era meno alta di me ma anch’essa poteva vantare le proprie curve, anzi era un florilegio di curve. Sicuramente una bella ragazza, Elisa era di un anno maggiore di me. Di solito non si fermava mai dalla nonna più di due giorni ma quell’anno decise di restare a oltranza e pensai fosse giunta al solo scopo d’infastidirmi. La nonna dovette fare buon viso a cattivo gioco, anche se mi guardò con un sorriso lievemente preoccupato. Dato che le stanze erano tutte occupate, da amici dei nonni e altri parenti, Elisa fu alloggiata nella mia con grande disappunto della sottoscritta. Mi salutò freddamente: avevo sempre pensato fosse invidiosa ma allora ne ebbi netta conferma e provai una punta di disagio. Sapevo che era una ragazza considerata un po’difficile: scontrosa e dominatrice, difficilmente mostrava chissà quale attaccamento ai nonni, fumava molto di nascosto a tutti e mi era giunta voce che una volta fosse stata scoperta da mia zia mentre si dedicava a soddisfare un ragazzo con la bocca.
Osservandola si sarebbe detta una fanciulla perduta, abituata a fare quel che voleva della propria vita. Abitava solo con una madre divorziata troppo occupata per educarla a dovere e un fratello volontariamente disoccupato. Mia madre non avrebbe mai voluto stessimo insieme ma la nonna si raccomandò non dicessi nulla a nessuno aggiungendo si sarebbe fermata da lei solo per una settimana.
La sera stessa cominciarono le stranezze, o meglio quelle che per me all’epoca erano considerate tali.
Si spogliò completamente: avevo già visto altre donne, amiche, integralmente nude ma quella mancanza di pudicizia mi colpì perché non avevamo mai sviluppato grande confidenza reciproca e non ritenevo che la consanguineità la potesse dare eccessivi diritti. Mi trasmise una sensazione di grande femminilità, non lo nascondo. Un modo di essere donna opposto ma complementare al mio.
“Debby, e tu ti vergogni!? Fa caldo dai fatti vedere, non dirmi che non hai mai dormito nuda. Ora mi preparo una cosa e poi sotto il lenzuolo nuda come mamma m’ha fatto yeah”-“no grazie sto bene così. Cosa prepari?”. Per tutta risposta iniziò a rollarsi una sorta di sigaretta che solo poco dopo capii essere una canna. Non mi aveva chiesto neppure il permesso: subito quell’inconfondibile odore dolciastro occupò la stanza assieme a della musica fastidiosa che mi fece dolere i timpani. “Che rabbia. Dovrò mettere in lavatrice tutti i vestiti” pensai mentre quei fumi venefici iniziavano a stordire pure me. Poi di colpo sentii la voce impastata di Elisa, quasi stesse giungendomi da mondi paralleli: “Allora Debby, che racconti?”-“Mi chiamo Deborah” puntualizzai piccata-“Va bene Debby, allora come va col ragazzo?”-“Quale ragazzo?” replicai ben sapendo dove volesse andare a parare. “Ma quello da cui ti fai …” e fece un gesto inequivocabile ad indicare il coito. “Guarda che non sono come te!” Appena lo disse finì la canna e si avvicinò al mio letto. “Come chi non saresti?” scandì minacciosa e come ebbra. Era più piccola e tozza di me, ma mostrava un’aggressività innata a me sconosciuta. Poi si mise a ridere fragorosamente. “Oh sì, ti prego…gireranno le storie più fantasiose su di me. Ho avuto tre o quattro ragazzi e allora? Mi sono divertita come si deve ed è naturale per la nostra età. Tu sei solo una plagiata dalla famiglia, se ti dicessero di andare in convento ci correresti. A che ti serve la bellezza se non ne fai uso? Sei patetica Deborah”.
Rimasi davvero affranta a seguito di questo battibecco ma non proseguii lo scambio aggiungendo solo a mo’di conclusione che non le avevo chiesto io di venire e di soggiornate da me e che doveva rispettarmi anche se non ci trovavamo simpatiche.
Il giorno dopo a colazione mi chiese scusa. “Deborah perdonami, ho proprio esagerato. Sai bene cosa può avermi un po’disorientata. Allora mi scusi? Davvero non intendevo ferirti. Sono orgogliosa di avere una cuginetta così graziosa e dolce. Dovrei anch’io mettere la testa a posto e col tuo aiuto magari ce la farò”. Cercai di aprire bocca per accordarle il mio perdono ma lei me la tappò con una mano che sapeva di fumo e poi impresse le sue labbra sulle mie, in un bacio a stampo che mi fece arrossire provocandomi una vampata. Quel bacio mi lasciò una sorta di strana eccitazione per il resto della giornata. Stavolta mi sentivo molto turbata mentre scorgevo con la coda dell’occhio uomini che guardavano me e non lei. Avrei voluto sfiiorarmi e l’avrei fatto quella sera non ci fosse stata Elisa. Invece finimmo con l’addormentarci dopo essere state ad una sagra. Stavolta lei indossò almeno un misero perizoma. Io ebbi una notte agitata: mi rigirai ininterrottamente gemendo nel letto per il caldo e per sogni affannati.

Il giorno seguente feci la doccia, mi cambiai lasciando l’intimo sul letto prima di far colazione e andare a correre prima che arrivasse la spietata vampa solare a bruciare la terra riarsa. Quando tornai in stanza per rassettarla un poco, Elisa stava dormendo ancora, o meglio fingendo di dormire. Potevo udire il suo respiro regolare, sin troppo regolare per non essere affettato. E non poteva essere stata che lei ad aver spostato reggiseno e mutandine nere sulla sedia antistante il mio letto. Queste provocazioni a sfondo erotico stavano diventando un filo conduttore del soggiorno: pensai avessero lo scopo neanche troppo celato di umiliarmi. Feci finta di nulla ben sapendo avrebbe negato rivoltando la frittata ma questo nuovo episodio m’impressionò ulteriormente scatenando reazioni d’intense tonalità: sapevo di essere più bella e desiderata. Ero stufa di essere remissiva. I miei pensieri per tutta la giornata furono associati all’erotismo: avrei tanto voluto essere sola, avrei pagato oro per starmene per mio conto un’ora o due per appagarmi, o anche solo fantasticare a briglia sciolte inventando avventure. Stesa a leggere un libro tra le piante del giardino mi chiedevo cosa pensassero di me quelle nobili creature apportatrici di ombra. Se avessero mai accolto un tesoro più bello tra i loro placidi rami.

Ma quella sera, tornata da una cena, seppi che Elisa si trovava ancora fuori, cosa che aveva contrariato i nostri anni. L’avrei rivista solo il mattino successivo. Aveva facilmente ingannato chiunque presentandosi a casa quando la nonna apriva il portone di casa, sgusciando all’interno senza essere scorta. Come una ladra, pensai. Aveva brutte occhiaie e pareva davvero sfatta, gli occhi arrossati come quelli di vampiri…mi venne da sorridere maligna. Si sedette vicina a me e mi baciò sul collo come avevo visto fare agli uomini nei film al risveglio delle loro mogli o compagne. Ne ebbi un brivido involontario e mi scossi inalando il forte odore di profumo, sudore e tabacco emanava. “Ho fatto sesso con due ragazzi insieme ieri notte” disse orgogliosa e mi mostrò due succhiotti sulla gol a mo’di trofeo. Poi si denudò: per la prima volta la osservai bene. Aveva davvero un seno sodo, la pancia, arrotondata ma senza un filo di grasso, il bacino decisamente largo, maestoso. Vidi che era coperta da graffi, specie sul petto e mostrava pure qualche livido. Il pube ricoperto da peli non troppo fitti ma più estesi dei miei. “Ma tu…disinfettati che è meglio”- la pregai preoccupata “tranquilla piccola, ho solo goduto, quando proverai anche tu capirai la foga di quei momenti” mi rispose sfacciatamente ironica facendomi l’occhiolino. Anzi Antonio e Marco mi hanno detto che vorrebbero fare qualcosa anche a te. Ho risposto loro che ti avrei convinta anche se non devono aspettarsi molta esperienza” aggiunse sprezzante “Cosa, cosa avresti fatto?” le urlai contro sconvolta schiumante di rabbia per l’intollerabile affronto-” Avanti cosa hai fatto?” Le ripetei adirata dopo che si era accesa l’ennesima sigaretta e l’odore di tabacco aveva riempito la piccola stanza facendomi tossire. “E apri la finestra, sgualdrina rompiballe! Da quando ci sei tu…” non vedendoci più dallo sdegno, mi avvicinai a lei assestandole una sberla. Sciàf…risuonò sorda sulla pelle abbronzata di mia cugina. Non attesi una sua replica, uscii in fretta e furia dicendo alla nonna sarei rimasta al mare fino a sera.

E così feci. Indugiai il più possibile fuori di casa perché non mi trovavo dell’umore giusto per restare ancora in stanza con lei ad affrontarla. Respirai l’aria salmastra e mi divertii più del solito nelle acrobazie subacquee, mentre il sole mi disegnava sul volti i suoi dardi incandescenti. Quella troietta stava rovinando il soggiorno, ma non volevo dargliela vinta. Ero certa si sarebbe vendicata offendendomi in qualche modo, ma mi feci forza e, la sera, entrai in stanza. Erano appena le dieci eppure lei si trovava già sul letto, completamente denudata, come suo solito, pensai. Era nella posa del famoso quadro di Manet. Stavolta aveva accostato una sedia di legno con sopra uno specchio al suo letto e s’era adagiata supina in quella posa molto lussuriosa tanto che lo specchio doveva per forza rifletterla quasi interamente. La lampada fioca sul comodino era accesa e rivolta verso di lei, a illuminare le curve ascondendone anfratti in un gioco conturbante. Le ombre inventavano danze invitanti e il suo viso, tra luci morenti e tenebre incalzanti, mi sembrò incantevolmente misterioso. “cosa fai? E se i nonni ti vedessero così svestita” le domandai , poi, imponendomi d’essere delicata, “senti Elisa scusami davvero, io….io mi sono solo sentita prevaricata”-“prevaricata? Ma parla italiano come tutti. Comunque mi stavo toccando, se ti scandalizza puoi pure uscire perché continuerò, devo venire ormai, stavo finendo quando ti ho sentita rincasare” mi rispose con tono aspro e arrogante ma al contempo venato di accenti sconosciuti come sotto il dominio di un incantesimo assente di parole.

A quelle parole restai ammutolita mentre un’ondata di calore imperioso si sprigionava dal centro del mio essere. Il tempo si distorceva in lievi frammenti d’indistinta cadenza. Mi sfiorai le guance sentendole arrossate e non solo per l’effetto solare: ero imbarazzata e a disagio. Poco dopo capii che mi sarebbe forse venuto istintivo portare la mano sul sesso: il calore del mare, la vitalità dell’estate, la visione di degradata sensualità poco discosta da me, mi stavano ottundendo i freni inibitori, ma decisi di verificare fin dove si sarebbe spinta mia cugina. Iniziò davvero a toccarsi ammirandosi compiaciuta nel riflesso dello specchio. Cercai di non guardare ma con la coda dell’occhio scorsi che indice e medio della mano sinistra affondavano dentro di lei, nella sua fessura. Con l’altra, Elisa insisteva sopra sfregandosi energicamente la clitoride con ritmo regolare. Soffocato il respiro. Il corpo di mia cugina era tutto irrigidito, talora scosso da spasmi e il suo viso contratto e visibilmente stravolto dal piacere. Capii che mi osservava da dentro lo specchio. Sospirava sforzandosi di reprimere quegli sbalzi incontrollati del respiro. Un confuso dibattersi attendendo delizie indicibili. Venne poco dopo con una smorfia inaudita che mi avvertì del suo potente orgasmo. Me ne dissociai noncurante.

Senza alcun imbarazzo, dopo essersi ripresa, Elisa prese a parlarmi del più e del meno, quasi avesse dimenticato sia la scena precedente sia lo schiaffo della mattina.
Quella sera dovetti farmi violenza per non toccarmi. C’era qualcosa di estremamente femmineo e attraente nell’averla vista provare piacere con le sua mani e poi adagiata distrutta dall’orgasmo. Quasi non lo ammettevo a me stessa ma mi resi conto che avrei voluto farle compagnia provando sensazioni indicibili nella stessa stanza. Sarei potuta andare a farlo fingendo di stare nella doccia ma non ero abituata a venire altrove che sul letto. Mi sentivo frastornata mentre la luce astrale penetrava lenta dalla finestra appena abbassata offrendomi carezze segrete. La inspiravo tra le mia labbra infantili, fiorenti anche nell’assenza di baci.

Mi svegliai con una mano fra le mutandine. Il mio ventre ancora secerneva calore e rugiada quasi m’implorasse di regalarmi soffocate estasi in un fondo di precipizi. Numerose estasi. Non avrei dimenticato facilmente quel giorno che stava iniziando…. Quanto tempo era passato da quando l’avevo vista l’ultima volta? Sei mesi forse? Sì dovevano essere sei mesi. Deborah, un nome che m’era costantemente risuonato nel cervello da quando quella frustrata zoccola di mia madre non faceva altro che accennarlo per paragonarmi a lei ricattandomi moralmente. “Deborah ha ottimi voti e tu no”, “Deborah ha un’eccellente reputazione e tu no”, “Deborah è sempre solare, tu ascolti musica deprimente”, “Deborah non frequenta gente strana”, “Deborah…..ma tacesse almeno. Più mi voleva come Deborah, più mi discostavo da quel modello.
La vita di mia madre era ben disordinata: da quando il puttaniere mio padre l’aveva lasciata s’era presa a unico fine della vita scaricare le proprie ansie su di me e mio fratello, è vero un gran fannullone, ma non certo un animale come lo descriveva. Poi, di sera, faceva anche lei come le pareva nella vana speranza di trovare qualcheduno che ci facesse da patrigno, ma ormai non eravamo più tanto piccoli e presto me ne sarei andata di casa: avrei fatto l’estetista, oppure l’animatrice o qualsiasi cosa mi avesse fatto sbarcare il lunario. Anche la spogliarellista se necessario, tanto non avevo mai avuto troppo pudore. Al diavolo l’università: ormai produceva solo disoccupati, meglio imparare un mestiere.

Sì, mi godevo la vita, non avevo pregiudizi morali: ero stata con molti ragazzi, tanto che ne avevo perso il conto. Perché negarlo? Non prendetemi per disturbata affettivamente: non cercavo l’amore o sciocchezze simili. E poi mi piaceva tanto spogliarmi lentamente dinanzi a loro, vederli dominati dal mio erotismo, essere presa come piaceva a me, violentemente sbattuta in ogni buco. Sono sempre stata un’edonista: se la realtà è pessima, almeno rifugiamoci nei piaceri, era il mio motto. Sì, ero e sono una cattiva ragazza, semplificando un po’ l’opposto diametrale di mia cugina Deborah. Mi chiederete se la odiavo? No, non la odiavo, semmai me l’avevano resa antipatica, ma……quando mia madre mi propose un periodo dalla nonna quando sarebbe stata anche lei in villeggiatura, io che di solito mi annoiavo in campagna, accettai con entusiasmo. Volevo vivere qualche storia lontana dal solito giro, ma soprattutto scandalizzare mia cugina. Volevo capire di che pasta fosse fatta, conoscerla una buona volta in poche parole.
Mi ero sempre ritenuta più bella e meno sfigata: avevo già da anni delle forme sviluppate, lei ancora troppo infantile, o meglio non mi comunicava nulla con quei sorrisetti formali e quei paroloni da educanda. Sembrava quasi una ragazza d’altri tempi, così aristocratica e distaccata.
Penserete provassi invidia per la sua vita perfetta? No, non avrei mai scambiato la mia con la sua. La ritenevo una ragazza mediocre, carina finché si volesse, ma incapace di esprimersi veramente. Un’insipida insomma.
Questo fino a quando non la incrociai tra le mura della casa dei nonni. Era vestita semplicemente, se non rammento male con un pareo viola e una t-shirt bianca piuttosto attillata. Non un filo di trucco, ma tutti i capelli raccolti sulla nuca: tornava dal mare. Per questo era tanto abbronzata tanto che il biancore dei suoi denti quando mi sorrise quasi mi abbagliò. Rimasi colpita: era semplicemente incantevole, in pochi mesi era diventata una donna stupenda. Solo allora mi resi conto di quanto in effetti mi sentissi ancora in competizione con lei.

Sulle prime mi mostrai fredda e distaccata, ma fin dall’inizio provai a scandalizzarla. I miei comportamenti volevano verificare e metterne alla prova l’aura di impeccabilità. Mentre lei sognava il principe azzurro con amiche ugualmente rintronate, io mi spogliavo completamente dinanzi a lei, mi toccavo spudoratamente andando a letto con uomini che avrebbero venduto l’anima per far porcate anche con lei. Una sera osò a darmi uno schiaffo, iniziai ad odiarla, ma c’era di più: una sorta di odio-amore. In realtà scoprii di desiderarla ardentemente. Quando usciva dal letto per fare la doccia, mi capitava di toccarmi strusciandomi sul suo materasso che ancora conservava parte del calore di lei. Mettevo un pugno in corrispondenza della fica e poi andavo su e giù col bacino inalando l’odore che la sua folta chioma aveva disperso sul guanciale. Se era uscita di casa ne approfittavo per aspirare avidamente l’odore della sue mutandine mentre avevo due dita a tormentare la clitoride. Mi spinsi addirittura a leccarle lì dove poche ore prima il tessuto veniva a contatto col suo sesso. Dio mio, avrei voluto leccarla fino a farla venire decine di volte. Quell’aria da santarellina innocente non mi suscitava ormai solo antipatia, ma desideri inconfessabili. Le sue belle labbra a cuore….Oddio quanto sognavo un 69 con lei, oppure fantasticavo immaginando i momenti in cui lei avrebbe accettato di fare qualcosa di eccitante con me. Sospettavo non fosse così incorruttibile come voleva sembrare: l’avevo vista arrossire mentre mi toccavo davanti a lei. Pur assuefatta dai piaceri, mi capitava di fissarne i lineamenti perfetti eccitandomi perversamente. Soprattutto quegli occhi così luminosi e sinceri, la bocca morbida dalla quale mi sarei fatta leccare per giornate intere. Avevo avuto varie storie saffiche, ma con lei sarebbe stata la fine del mondo. Per questo non perdevo occasione per caricare l’atmosfera di erotismo soffuso. Non provavo nessun senso di vergogna: ero e sono un “animale” da letto, una donna nata per i piaceri, per i vizi. Avevo al seguito vari vibratori e, spesso, durante quei lunghi pomeriggi afosi mi capitava di sbattermeli dentro godendo fino all’inverosimile mentre mi contorcevo sul letto o per terra, in bagno, in stanza o in una camera in cantina che veniva usata come ripostiglio, all’insaputa dei vecchi. Era un piacere vedermi allo specchio: la mia fica arrossata inghiottiva quegli oggetti enormi che insidiavano anche l’altro buchetto e mi preparavano ad altri vibratori di carne che avrei avuto ovunque nella serata: in bocca, nell’ano e dentro la passerina. Già stavo dando scandalo: in quei paesini le voci corrono e sapevo di tanti ragazzi interessati ad avere le mie grazie.

Proprio il giorno successivo a quello in cui mi masturbai per la prima volta davanti a Deborah, avevo un appuntamento in casa di un ragazzo che mi avevano detto fosse ben dotato. Non vedevo l’ora di farmi sbattere e aprirmi ovunque.
Ovviamente la sera prima, come tutte le precedenti, avevo osservato Deborah addormentata: quanto era bella! A tratti ero pervasa dal pensiero folle di alzarmi per andarle vicino a sfiorarle le labbra con le mie, mettendola così davanti al fatto compiuto. La volevo quasi violare e violentare. A fatica mi trattenevo perché non sapevo come avrebbe reagito e temevo che, se avessi compiuto qualche azzardo, avrebbe poi subito chiesto ai nonni di essere spostata in un’altra camera. Avevo anche cercato nelle sue valigie: nessun vibratore o dildo, nessun anticoncezionale. Ero quasi convinta dicesse la verità quando aveva affermato di essere vergine. Ormai anche questa sua purezza, fittizia o meno, mi eccitava. Mi sfogavo coi ragazzi del posto anche perché in realtà desideravo lei e non potevo averla.
Quando tornavo a casa della nonna, dopo un po’di conversazione sul più e sul meno, mi accendevo una sigaretta e iniziavo a pensare a Deborah: ai suoi sguardi, alla sua bocca, al suo corpo, ai suoi capelli castani a onde che immaginavo sfiorarmi l’interno cosce mentre m’iniziava a toccare e leccare. Fantasticavo si avvicinasse progressivamente alla mia passera iniziando dal monte di Venere e poi giù. E aumentavo il ritmo fingendo fosse lei con la testa lì sotto, la chiamavo tra i sospiri, mentre mi trovavo nella cantina senza nulla sotto la vita tranne un vibratore che mi sbatteva e riempiva la fica deformandola. Alcune volte anche un altro nell’ano. Chiunque avrebbe potuto scoprirmi perché non mi chiudevo mai a chiave e questo contribuiva ad eccitarmi all’inverosimile abbreviando la durata dell’agonia orgasmica.

Quella sera mi misi in tiro. Rossetto molto intenso e carico, tanta matita, rimmel blu, tacchi 15, minigonna nera, top anch’esso nero che non negava la vista delle mie curve. Più che di scollatura si può parlare di seno messo in bella mostra con l’eccezione della parte superiore e dei capezzoli. Insomma ero ben poco vestita, per finire in bellezza, mi tolsi il perizoma nascondendolo nella borsetta col pacchetto di sigarette, un dildo e due vibratori e…..non solo.
Ero eccitata da morire, non avessi dovuto uscire mi sarei toccata più d’una volta. Mi guardai allo specchio soddisfatta: forse non possedevo la bellezza eterea di Deborah, ma garantisco che ero molto molto seducente e provocante. Credetti mi si potesse leggere in volto la voglia di godere.
Ma tra l’altro non avrei potuto fare nulla lì per lì perché c’era anche Deborah che girava per casa perché quella sera aveva invitato tre amiche e un loro amico. La guardavo di sottecchi quando c’incrociavamo: lei pareva imbarazzata e quasi desiderosa di evitarmi; io la fissavo per metterla in imbarazzo. In realtà ad osservarla così leggiadra e avvenente mi trovavo io in grande difficoltà emotiva. La spogliavo con gli occhi senza che si accorgesse, almeno speravo. M’infastidì solo quando consigliò di mettermi una mini meno corta e dei tacchi meno alti: “ti do forse io dei consigli? Fatti gli affari tuoi” le risposi bruscamente per evitare giudizi morali. Se solo le avessi dato ascolto.
Uscii prima di cena, appena arrivata a casa di Daniele, mi fece accomodare nella sua stanza assicurandomi i suoi sarebbero usciti presto e tornati solo dopo mezzanotte, cose che fortunatamente avvenne. Cenammo se si può definire cena un po’di bruschette e qualche trancio di pizza con birra. Poi mi portò alcolici e iniziammo a bere molto tra una sigaretta e l’altra. L’atmosfera si stava infuocando. Eravamo stesi sul letto facendo petting e io potevo sentire sotto i suoi jeans un membro molto grosso in furiosa erezione.
Ora mi sentivo veramente appagata. A mio agio nel mondo del sesso.
“Continua così,” sussurrai dimenandomi tutta. “Non fermarti mai.” Vi lascio quindi immaginare in che condizioni stessi. Non fece troppi complimenti: appena si accorse che non indossavo intimo mi tolse la mini e mi fece mettere a novanta. Dopo qualche decina di spinte che mi mandarono in visibilio, mi parò il suo cazzo in viso, strusciandomi sulle guance e chiedendomi, anzi ordinandomi, di praticargli un pompino furioso. Era davvero grosso, forse un po’meno lungo di quanto pensassi ma sicuramente notevole anche in questo, almeno 19-20 cm. Era violaceo e scorgere le vene che lo percorrevano mi eccitò ancor di più. Come una cagna in calore, pensai. Lui era un ragazzo asciutto e prestante, molto abbronzato e ben rasato, capelli corti e ben pettinati. Lo guardi, colma di lussuria, chiamandolo a darmi qualche bacio e poi: “Dammelo, dammelo tutto in mano, poi lo voglio leccare” sospirai in estasi.
Non esitai a prenderglielo tutto in in bocca fino al fondo della gola. Prima lo accarezzai delicatamente poi lo sfiorai saettando esperta con la punta della lingua concentrandomi sul glande, ma poi arrivando fino ai testicoli tanto che quasi soffocavo. Quell’odore e quel sapore mi fecero impazzire del tutto. Oddio sì, volevo bere tutto lo sperma che i suoi coglioni avevano prodotto in ore e magari giorni di attività. Intanto iniziai a toccarmi con la mano destra, continuando il pompino solo con la sinistra. Giudicando dai suoi sospiri e dalla forza con cui mi teneva la testa in una morsa ordinandomi di continuare, quel trattamento doveva piacergli e neanche poco.
Sentire fremere dentro la mia bocca quel pinnacolo di carne rovente, sapere mi avrebbe riversato un torrente di sperma in gola, mi stava conducendo a godere rapidamente. Non avevo vergogna: col bacino mi alzavo e abbassavo su quel letto che stavo bagnando dei miei umori. Fuoriuscivano dal solco come fosse un vaso ricolmo d’olio con una crepa. I miei sospiri si univano alle grida animalesche di Daniele. Ma proprio quando entrambi stavamo per venire, mi scostò bruscamente, mi tolse il top con violenza inaudita, strappandomelo in parte, e mi fece spalancare le gambe. Eravamo nella posizione classica, ovvero del missionario. Subito mi penetrò e iniziò le spinte di bacino. Ero tanto lubrificata che il cazzo entrò subito, scivolandomi dentro abbastanza agevolmente. Ma una volta completamente al mio interno percepii una fitta dolorosa: la circonferenza era davvero importante. Mi sfuggì un grido di dolore, ma lui non ci badò e ci diede dentro con le sue spinte furiose. Sentivo che si stava controllando per prolungare quel piacere più a lungo possibile. Ci baciammo furiosamente, lui mi morse il collo, io gli graffiai la schiena poderosa, lui mi schiaffeggiò il viso e il seno, succhiandomi i capezzoli. Tutto fu molto animalesco. Ad un certo punto velocizzò il battito delle reni tanto che capii che stava per inondarmi. “sì vienimi dentro, vie….vieni, coooontinuaaaaa” “siiiiiiiiiii” e sentii il suo seme sgorgare impetuoso e alluvionarmi la fica. Nel medesimo istante percepii un calore immenso risalirmi il ventre, percuotermi il cervello e poi ridiscendere. Chiusi gli occhi perché non riuscivo a sopportare la realtà. Venni gridando come una pazza, tanto che Daniele fu costretto a tapparmi la bocca. Imprimevo al bacino un ritmo infernale in alto e in basso e poi rotatorio per inseguire quelle ondate di puro piacere. Ad ogni scatto scoprivo il suo cazzo e poi la mia passera lo ingoiava nuovamente nelle proprie profondità roventi e zuppe di sborra. Ero sconvolta. Il cazzo si stava ammosciando dentro di me e io stessa mi andavo calmando mano a mano che l’orgasmo mi si spegneva dentro il ventre vizioso. Restammo per un po’abbracciati, poi lui si staccò, mi baciò ripetutamente e si sedette vicino a me. Ci accendemmo una sigaretta mentre tutto il suo succo ridiscendeva all’esterno e io mi sentivo tutto l’inguine inondato dei miei umori e del suo liquido abbondante, bollente e vischioso. Lui lo vide e mi obbligò a portarlo alle labbra, cosa che feci tra una boccata e l’altra. Ormai avevo perso il controllo. Decisi che era il momento d’inserire uno dei miei vibratori, uno blu molto grosso. Quando Daniele lo vide, mi accorsi subito della reazione del suo pene che s’inturgidì nuovamente come mosso da aliena energia. Me lo spinsi dentro facilmente tanto ero ben lubrificata, fissandolo con due occhioni. Lui intanto mi leccava le labbra e il seno alternatamente lasciandovi una striscia di saliva. Gli chiesi di passarmi la borsetta e m’inserii anche il dildo nell’ano per sfondarmi anche lì. Ora ero riempita a dovere, proprio come volevo. Lui non smetteva di leccarmi. Il suo pene era tornato in perfetta erezione e io iniziai a farne scorrere la pelle in su e in giù concentrandomi con due dita nel punto in cui il filetto si attacca al glande, che so essere quello più piacevole per voi uomini. Poi mi misi sulle ginocchia letteralmente cavalcando il vibratore che mi stava distruggendo la fica e con il dildo anale ormai bloccato dallo sfintere che sigillava completamente. Lo spinsi ancora più in giù, nel caldo torrido delle mie viscere. Stavo delirando dal piacere che provavo e ad ogni spinta emettevo un grido soffocato.
A quel punto Daniele si mise dinanzi al letto e mi porse il membro ancora scintillante dei miei umori e del suo sperma da leccare.. Iniziai con una sega e poi lo presi in bocca. Ora ero davvero piena, mi sentivo puttana senza rimedio come piaceva a me. D’improvviso pensai a Deborah: chissà cosa stava facendo, desiderai mi potesse vedere. Fantasticai fosse lei quella che stava facendo un pompino con due oggetti opportunamente inseriti nei due buchetti del piacere.
Daniele mi bagnò poco dopo, il suo pene fu attraversato da contrazioni e mi accorsi che si apprestava a scaricare la sua lava nella mia bocca. Quasi soffocai perché davvero si liberò di una quantità eccezionale di seme. Ingoiai tutto fino all’ultima goccia non lasciando nemmeno una traccia della sua eiaculazione. Fui sorpresa piacevolmente dal fatto Daniele mi baciò assaporando il suo stesso orgasmo. Non ero ancora venuta: mi misi a pecora, estrassi il dildo da dietro e mi concentrai sulla fica: martellai la clitoride con le dita mentre mi sbattevo col vibro trascinandomi al culmine del piacere. Venni in neanche due minuti afferrando tutte le lenzuola. Daniele non cessava di darmi schiaffi violenti sulle natiche: potevo vedere quell’immagine oscena allo specchio alla parete. Avevo solo i tacchi addosso. Dicevo “sì sono una troia, sono solo una puttana”. Era stupendo, quella serata mi stava travolgendo e non vedevo l’ora di fare altro. Ma non avrei immaginato quanto sarebbe accaduto di lì a poco.

Dopo qualche minuto di riposo, udimmo un rumore. Andò lui ad aprire e, due minuti dopo, facevano il loro ingresso in camera tre suoi amici, tra cui quei due con cui avevo fatto sesso a tre.
Ero imbarazzata come mai prima: avevo già partecipato ad orge ma mai con quasi completi sconosciuti e poi davvero era un epilogo inaspettato della serata. Inoltre non ero mai stata la sola donna: io contro quattro maschi assetati di sesso. Parlottarono un po’tra loro ridacchiando, poi scambiarono qualche parola con me che mi ero ricoperta col lenzuolo simulando finto pudore. Tutti sapevamo cosa sarebbe successo. Protestai con Daniele ma fu solo un atto dovuto. Mi rispose che sapeva bene di farmi cosa gradita e che ci saremmo solo divertiti un po’. Non risposi dando il mio assenso implicito.
Bevemmo ancora un po’di vodka e ci rollammo una canna. Prima di essere ubriacata dai fumi, chiese loro se fossero mai stati con donne che avrebbero potuto aver malattie. Tutti mi risposero che avevano solo avuto ragazze del luogo, gente conosciuta e che semmai erano loro a stare rischiando facendo con me perché una ragazza disposta a fare un’orgia può essere stata con tutti. Negai avessi problemi di quel tipo, ma sentirmi equiparata ad una donna di strada mi eccitò ancora tanto che iniziai a toccarmi sotto i loro occhi. Mi chiesero di mostrarmi loro completamente, di dare spettacolo. Completamente irretita dalla voglia e senza più una briciola di pudore mi alzai. Li baciai tutti facendomi mettere le mani ovunque e mi ridistesi sul letto. Giocai coi capelli mentre loro mi aprivano la fica. “Giù le mani” reagii sorridendo. Mi feci passare l’altro vibratore, più piccolo, che stimolava anche la clitoride. Allargai la vagina mostrando loro tutto l’interno e iniziai a far scivolare l’oggetto dentro di me dopo averlo accesso. A quel punto ebbi addosso Antonio che mi leccava il seno sinistro lasciandomi una scia di bava e Luca-così si chiamava l’altro ragazzo- effettuava la medesima operazione sul seno destro. Marco e Daniele intanto si stavano spogliando e il secondo s’era avvicinato al mio buco del culo alternando leccate a spinte folli col dildo. Sospiravo e gemevo continuamente: sarei sembrata indemoniata a chi mi avesse vista. Daniele iniziò a farsi una sega poi ponendosi in ginocchio sul letto proprio sopra il mio viso obbligandomi a leccargli le palle e l’inizio dell’asta. “ahhhh sìì, lo voglio tutto ovunque” facevo mentre suggevo tutto, scorrendo con la lingua lunga l’asta e il glande.
L’odore di sesso e sudore iniziò ad impregnare la stanza. La mia fica, occupata dal vibratore, perdeva una quantità inverosimile di umori. Venni quasi subito perché il fatto di essere così esposta eccitava a dismisura un’esibizionista come me.
Ora li vedevo tutti nudi intorno a me. Tutti avevano bei cazzi anche se non particolarmente lunghi, tranne Antonio e Daniele. Però nessuno l’aveva sottile fortunatamente. Mi dedicai a leccarli a turno e Marco venne subito bagnandomi il viso e il seno. Mi cosparsi i seni del suo sperma e leccai con la lingua quanto mi aveva scaricato sul volto.
Non mi davano tregua, mi misero a pecora e Luca si posizionò dietro di me appoggiando il pene al buchetto posteriore, sbattendocelo sopra e schiaffeggiandomi il culo con quell’asta divina. Iniziò a spingere dopo averlo lubrificato con vasellina, saliva e miei umori che scendevano all’ano dal perineo. Provai un dolore lancinante quando lo presi dentro: non era ovviamente la prima volta ma non avevo praticato molto spesso nelle ultime settimane e il buchetto s’era come disabituato. A quel punto Antonio si piazzò sotto di me e cercò di effettuare la doppia penetrazione. Fu un’operazione abbastanza complessa ma alla fine ce la facemmo: la fica assorbì anche il suo cazzo. Con un particolare gioco acrobatico, la mia testa sbucava dai fianchi di Antonio, cosi che gli altri due poterono provvedere a farsi leccare a turno mentre venivo sfondata in quel modo. Sarò sincera: non avevo fatto spesso una cosa simile e mi sembrava di non stare vivendo qualcosa di reale. Avevo la testa in fiamme non meno della fica e del culo: tutto immerso in un’estasi ininterrotta e immonda. Mi stavo facendo scopare da quattro cazzi contemporaneamente. I ragazzi dentro di me aumentarono il ritmo e sembrava che non potessero resistere ancora per molto. Antonio mi teneva i fianchi forte, mentre Luca mi afferrava il bacino, entrambi alternavano la stretta a schiaffi anche piuttosto forti. Ero graffiata e dilaniata ovunque
Gridavo come una pazza: provavo davvero una notevole quantità di dolore ma anche un piacere inaudito. Imploravo di andare più forte, di sfondarmi. Li esortavo a darci dentro e sbattermi come mai avevano fatto in vita loro. Di sfondarmi l’utero e scaricare il loro seme direttamente dentro le mie viscere. Antonio fu il primo a venire riempiendomi il sesso di seme, così abbondante che rifluì come una marea lercia. Allora mi piantò il cazzo sempre più in profondità sbattendo contro l’utero in fiamme ed esplodendo rumorosamente altri fiotti del suo piacere, nelle mie profondità roventi. Si tolse rapidamente dalla posizione che occupava lasciando che Luca potesse incularmi più facilmente. Fu poi abbastanza premuroso da mettermi il vibratore sulla clitoride così che venissi in poco tempo. Intanto Luca mi assestava dei colpi di bacino profondi, proiettando il suo seme copioso nel mio culo squassato, fino alle viscere. Tra grida e insulti, vidi lo sperma scendermi dal buco nel culo e non mi vergognai di leccarlo raccogliendomelo direttamente dall’ano. Poco dopo le vibrazioni sulla clitoride, unite alle sensazioni irripetibili che avevo provato e alla visione di Marco e Daniele che si stavano masturbando alla vista, mi causarono un orgasmo potentissimo che quasi mi fece perdere i sensi. Un vero tripudio sensuale. La stanza mi girava attorno mentre ansimavo cercando di riprendere piena coscienza. Ero pervasa da tanti sapori e odori diversi. Mi inarcai assaporando sensazioni vorticose mentre mi chiamavano “zoccola, puttana, mignotta” per eccitarmi ancora di più. Mi sentivo un oggetto, una bambola nelle loro mani, e mi piaceva. Mi sorpresi a pensare ancora a Deborah, ma allontanai il pensiero del suo viso: lei non avrebbe mai fatto una cosa del genere, ma io mi sarei rivestita subito per tornare a casa se avessi avuto anche solo una piccola possibilità di fare qualcosa con lei. Reagii con rabbia a presi a stimolare di nuovo tutti i cazzi con la lingua, tranne quello di Luca che spompinai per sentire anche il sapore del mio buco dietro.
Appena fummo di nuovo tutti e cinque intorno al letto, venni legata, stavolta per terra: avevo solo un cuscino a sostenere la schiena e un altro per la testa. Mi ammanettarono ad una scrivania, frustandomi con un frustino da sex shop: la cosa sulle prime mi diede fastidio, poi mi eccitò ancora e allargai le gambe per consentire loro qualsiasi cosa avessero in mente di farmi. Immaginatemi spalancata, completamente nuda con l’eccezione dei tacchi, ammanettata alla scrivania per terra, come animale affamato. Ero alla loro mercé, ebbra di alcool e di piacere, completamente fradicia. M’infilarono dita ovunque strappandomi sospiri profondi e prolungati. Strofinavo languidamente i loro cazzi sulle guance, leccandone le gocce che uscivano copiose da ciascuno di loro. Dopo vari minuti mi slegarono. Allargando le cosce oscenamente decisi di toccarmi dopo essermi inumidita il bocciolo del piacere con la mia stessa saliva. Esposta sotto i loro occhi che mi scrutavano avidamente. Il mio esibizionismo era pienamente compiaciuto di sé anzi avrei voluto tanti alti sguardi diretti lascivamente a me che mi regalavo piaceri sublimi con movimenti lenti e studiati. Sorridevo loro provocante. Ormai non avevo più inibizioni: mi spalancavo ancora e ancora quel piccolo taglio bagnato, da anni fedele compagno d’inconfessabili lussuriose follie. Avevo in bocca il sapore dello sperma e l’ano completamente dilatato dal grosso cazzo di Luca che me l’aveva ridotto ad un cratere paonazzo e dolorante. Tracimava liquido bianco dall’odore inconfondibile che colava per terra persino insozzando il parquet. Ero di nuovo eccitata. “Scopatemi, son qui. Che aspettate?” feci loro quasi rabbiosa spalancandomi per l’ennesima volta e immergendo quattro dita in quella cavità piena di seme e umori. I capezzoli mi facevano male da quanto erano duri. Me li strizzai e sballottai come, ricordo, facevo sempre quando ero ancora una ragazzina alle prime esperienze erotiche. Ma loro stavano lì in piedi con quattro cazzi in piena erezione che mi puntavano grottescamente contro. Mi guardavano bramandomi: parevano un branco di lupi affamati chini sulla preda che volevo essere. Volevano la mia completa umiliazione e io ero pronta ad offrirgliela completa. Mi gettarono il vibratore che avevo usato per sfondarmi il buco dietro costringendomi a lubrificarlo prima con la saliva. “Su fagli un bel pompino, Eli! E poi piantatelo nella fica”. Non me lo feci ripetere. Istintivamente cominciai il consueto movimento ripetitivo e ipnotizzante della penetrazione, il bacino ormai sintonizzato sulle mosse impresse dalla mia mano al vibratore spento che mi stava scopando. ‘Ora fai a ciascuno di noi una sega coi piedi mentre ti distruggi la passera’. Sghignazzarono. Tolsi i tacchi prima d’iniziare a penetrarmi la fica sfondata con la punta di uno di essi. Mi concessero almeno di metterci un preservativo usato sopra, ma ormai non badavo a nulla. Anche avessi messo a repentaglio la mia salute non me ne sarei curata. Iniziai con Marco: non ero abilissima ma me la cavavo. Apprezzavo quel cazzo così duro e andavo eccitandomi sempre più perdutamente Sarei nuovamente venuta di lì a poco quando Antonio, forse il più porco dei quattro, si distese adagiandosi vicino a me. Fece un segno agli altri che portarono una bacinella. “Bene, ho bevuto molto stasera. Tu, troietta, ora inghiottirai ogni goccia del mio piscio. Ti eccita eh?” proruppe sbattendomi il pene a schiaffeggiarmi una guancia e poi lasciandomelo succhiare per un po’. “Ahhhhhh mmmmm” risposi ormai in trance, con la bocca aperta per prendere aria e sospirare tra una leccata e l’altra. Non dimenticate che stavo anche godendo con la farfallina riempita e sconvolta dalle vibrazioni. Cazzo. Non avevo mai provato una follia del genere. Ma quella sera volevo fare e farmi fare di tutto. Nulla escluso. Mi avessero obbligata a farmi sbattere da tutti i maschi del paese sopra i 18 anni ci sarei stata. Anzi avrei desiderato fare cose senza limiti anche donne. Deborah specialmente. Quanto avrei voluto eseguire sul suo corpo e il suo sesso umido quanto mi stava chiedendo ora uno di quei porci.
Cercavo di proseguire quella sega coi piedi come meglio mi riusciva. Sentire il cazzo crescere alla stimolazione dei miei piedi mi eccitava immensamente tanto che ormai sentivo la passera pulsare. Sbrodolava mentre negligentemente spingevo al suo interro il vibratore acceso. All’improvviso Antonio mi si accostò, mi fece alzare la testa prendendomi per il mento e poi inserendomi il cazzo in bocca superando la facile barriera opposta dalle mie belle labbra. Iniziò a riversarmi in gola parte del contenuto della sua vescica. Quel caldo liquido giallo gocciolava a getti trattenuti nella bacinella e poi giù lungo la mia gola quando appoggiava il pene sulle mie labbra. Sentivo il piscio bollente scivolarmi giù per l’esofago. Era amaro al retrogusto. Poi concluse nella bacinella che andò a rovesciare in bagno.

L’atto estremo che avevo appena eseguito mi ridusse in un tale stato di furore erotico che dopo due spinte e un po’di sfregamento rapido sulla clitoride esplosi in un orgasmo violentissimo, durante il quale mi morsi le labbra fino a farle sanguinare. ‘Mmmmmm siiiii. Mmmmmmms siiiiiiiiii odddioooooooo’ Ricordo bene che gridai “sì voglio godere…scopatemi tutti siiii ancoraaaaaaa”. Poco dopo Marco, che era a sua volta vicino all’orgasmo grazie al movimento ondulatorio dei miei piedi, si sdraiò su di me, mi penetrò iniziandomi a sbattere velocemente, violentemente. Il suo pube collideva contro il mio, ventre spingeva contro ventre schiffeggiandomi. Le sue spinte decise mi colpivano la cervice provocandomi fitte di dolore acuto miste a piacere ancora maggiore. Accusavo dolori ma al tempo stesso avrei bramato quel godimento sconcio non avesse mai fine. Sospiravo e gridavo in preda al delirio come mai mi era accaduto nella mia lunga storia di atti lussuriosi. Gli graffiavo la schiena e attorcigliavo le gambe intorno al bacino come una cagna in calore dandogli una ritmo di massima col quale applicare le spinte pelviche.
“Ancora lo voglio siiiiii” gli altri tre si alternavano nel farsi succhiare. Passavo da un cazzo all’altro in delirio. Cercavo di fare un buon lavoro ma stavo provando tali sensazioni che dovevo spesso fermarmi per riprendere fiato. Ero in loro balia totalmente. Mi schiaffeggiavano scompostamente con tre cazzi che cercavo di inghiottire fino al fondo della gola. E non contenti m’inumidivano i capezzoli con le punte dei loro glandi violacei per l’eccitazione. Mi sentivo sporca e mi piaceva. Volevo esserlo di più. Poi Luca mi fece mettere a 90 e iniziò a dominarmi con irruenza da dietro tirandomi i capelli a mò di redini, poi passando ai fianchi: mi faceva male tirandomi la pelle e dandomi pizzicotti. Intanto continuavo a sbuffare e succhiare, urlando di tanto in tanto “ancora…mmmmm”. Ero al culmine dell’eccitazione, era come vedessi il mio corpo da fuori: non possedevo più il benché minimo raziocinio né senso del limite. Terribilmente fuori di me, arriverei a dire. Stavo superando ogni limite avessi mai avuto. Dopo qualche minuto fui nuovamente legata e lasciata esposta mentre venivo fottuta da Luca. Ogni tanto usciva appoggiandomi il glande alle mie grandi labbra. Lo sentivo indugiare per poi sprofondare la cappella dentro la mia fessura con un colpo netto, me la sfondava. Mi sentivo mancare l’aria ad ogni colpo. Alitavo il mio piacere sui membri che mi venivano offerti da succhiare in un vortice crescente di pura perversione animalesca. Poi venni slegata. Cambiammo ancora posizione freneticamente. Ora ero sopra di lui così che potevo controllare il ritmo cavalcando quella magnificenza di cazzo. ‘mmmmm fammi sfogare ho ancora voglia’..sempre voglia’vienimi dentro, vieni dentro alla tua troia’. Era semplicemente divino: non saprei trovare aggettivi più pregnanti. Prima di farlo entrare gli porsi la mia rosa tutta arrossata, bollente e dilatata dopo quanto avevo fatto. Me la feci leccare per benino. Mi lubrificò inserendomi la lingua nel solco. Andava su e giù deliziosamente strappandomi sospiri di pura goduria. Poi gli presi il cazzo in mano controllandone-per quanto la furia erotica mi consentisse- l’entrata nella fica. Ora andavo su e giù incessantemente. Iniziai con un ritmo lento, poi sempre più veloce. Gli sbattevo il petto in faccia dimodoché leccasse i capezzoli fino a farmi male. Luca mi metteva le mani sui fianchi e sul culo dandomi un ritmo che non rispettavo: ero troppo veloce e vogliosa per lui. Mi doleva in profondità ma non ci badavo, era come se un fuoco mi bruciasse tutta e il masochismo mi conducesse a godere del dolore arrecatomi. Vedevo i miei seni sobbalzare mentre i capelli tutti scomposti e sozzi di sperma ricadevano sul viso e su quello stesso petto gonfio. Scorgevo anche la mia passerina penetrata dal pene su cui era appoggiato. Volevo vedere tutto. Amavo quando la fica veniva sospinta fino in fondo, alla base del cazzo rimbalzano sui coglioni gonfi che stavo a poco a poco svuotando dentro e su di me.
Intanto gli altri tre si masturbavano per conto loro e, quando rallentavo, mi porgevano i loro membri turgidi e bagnati perché li leccassi o segassi ad uno ad uno, ma ero troppo indaffarata a fare l’amazzone. Oh, avevo sempre adorato cavalcare. Presi ad imprimere uno scellerato movimento rotatorio, quasi rimbalzando sul cazzo. Volevo frantumarglielo quel cazzo e, al medesimo tempo, sfondarmi, distruggermi. Mi trovavo in ginocchio e tutta la mia energia era concentrata nel bacino e nell’inguine. Stavo cavalcando come un treno e gemevo sbuffando come una locomotiva. Di tanto in tanto mi scostavo i capelli e lanciavo grida che esprimevano almeno una parte delle sensazioni che mi rapivano annegandomi. Luca sotto di me godeva come un porco. Lo sentivo emettere grugniti irregolari misti a grida quasi di dolore quando ricascavo malamente o troppo furiosamente sul suo povero pene. Volevo provocargli del male: ero sadica e masochista al tempo stesso. Tutti i miei desideri più osceni stavano trovando realizzazione.

Intanto i cazzi sgorganti degli altri tre mi strusciavano i fianchi e andavano a percuotere le tette in un gioco perverso. A tratti mi sollevavano i glutei inserendomi uno,due, tre dita, anche se i movimenti furiosi che imprimevo rendevano la loro opera di esplorazione alquanto difficile. Mi schiaffeggiavano fianchi e seni, stuzzicandomi i capezzoli. Io fissavo eccitata e provocante leccandomi i bordi delle labbra con la lingua. “Guadate che puttana’.Lasciamoci l’impronta” dicevano. “Su toccaci puttana, vogliamo scaricarti addosso tutto questo ben di Dio che abbiamo nei coglioni’-‘Quanto sei vacca, Elisa. Dovresti insegnare a quella santarellina di Deborah a fare altrettanto così ci divertiremmo”. Mi stavo scatenando al massimo, ma al sentir nominare mia cugina ebbi un momento di crisi, fu come vedere una sorta di luce lontana mentre ci si trova immersa nelle tenebre. Stornai il pensiero.
Da dominata volevo dominare io quei magnifici stalloni stupendoli con la mia energia e intraprendenza erotica. ‘Sfondatemi la bocca, venitemi tutti in bocca, su prendetemi’. Mi stavo scatenando. “Antonio poi mi lascio sfondare il culo se mi porti il vibratore …mmmm ahhhh mmmmm su…lla fi’no dai appoggiamelo lì dai’mmmmm’ e lo indirizzai dimodoché lambisse la clitoride e vibrasse poco sopra per stimolarlo adeguatamente. Non se lo fece ripetere. Dopo pochi minuti di vibratore, velocizzai notevolmente il ritmo, presi i glutei di Luca come appiglio per spingere il suo membro vigoroso alle massima profondità consentite, giù fino alla fine, proprio nel cuore delle mie viscere.

Mi abbassai porgendogli il petto e lasciandogli leccare i capezzoli sporchi del liquido dei suoi amici. Ancora due spinte e venni sentendomi nel medesimo istante scossa dalle onde orgasmiche che avevano epicentro sul mio bottoncino e all’inizio della fica già invasa dal liquido di Luca che mi allagava dentro dopo essere esploso. Pochi istanti dopo anche Daniele m’innaffiò con una quantità inaudita del suo seme schizzandomi sulle guance, il collo, il petto. Avevo delle striature di sborra persino sul braccio e quell’eiaculazione furiosa non mi risparmiò neanche i capelli: ero una maschera di sperma caldo che mi gocciolava ovunque. Non immaginavo ne avesse da vuotare ancora in tale quantità dopo le volte che mi aveva già inondata. Ansimavo madida di sudore. Non provavo più neanche il minimo imbarazzo. Sforzai la lingua per raggiungere quelle gocce dal sapore intenso e indefinibile. Ero scapigliata, davvero ridotta ad uno straccio, bagnata ovunque di sperma e tra le cosce della mia ciprina che scendeva lungo le gambe affusolate. Mi accorsi con una punta di compiacimento perverso che era proprio ciò che avevo sognato da tempo. L’acuto più elevato delle mie fantasie.
Non lasciandomi tregua, Luca mi mise il cazzo in bocca perché lo ripulissi perfettamente. Me lo spinse proprio giù in gola fino a mettermi in bocca anche i testicoli: mi veniva da soffocare, così riempita da aver conati di vomito, ma ormai non badavo più che a soddisfare e soddisfarmi. Portarono una bottiglia di alcolici, se non ricordo male sambuca: la bevvero tra loro e la passarono a me. Avevo molto sete e in bocca il sapore dell’ultima eiaculazione ricevuta. Scolata in pochissimi minuti la bottiglia, mi obbligarono a leccare a tutti i piedi e-non contenti- i testicoli già in parte svuotati ed esausti. Ad Antonio leccai anche il buco dell’ano. L’avevo fatto raramente e, nonostante la ripugnanza iniziale, questo gesto mi portò ulteriormente lontano, sulla strada della completa perdita di ogni controllo. Iniziarono a palparmi ovunque, qualcuno prese le cinture per assestarmi sferzate sui glutei. Non riuscivo a staccare gli occhi dai loro cazzi: chi l’aveva floscio, chi in perfetto tiraggio. Gridavo di dolore ma ero talmente estranea al livello di coscienza che era ben maggiore il piacere mentale che ne traevo. Non ero più un essere umano, ma uno strumento che gemeva incessantemente e si nutriva di pura eccitazione sessuale. Solo talora si affacciava alla mente il ricordo di Deborah, della sua bellezza innocente o quasi, della sua giovinezza florida e provocante, anche dei suoi rimproveri, di quello schiaffo. Provai un piccolo istante di vergogna, quasi dipingendomi alla mente l’allucinazione di lei che poteva arrivare da un momento all’altro e scoprirmi lì ubriaca e insozzata di qualsiasi liquido immaginabile, la fica nuovamente riempita da un vibratore, ora spento, in balia di quattro giovani insaziabili che non avevano ancora finito di utilizzarmi come strumento esclusivo del loro piacere. Mi obbligarono ad appoggiarmi la bottiglia alle labbra della fica mentre tutti stavano a guardare, schiaffeggiandomi e palpandomi seni e glutei. Poi vollero mi accovacciassi e cavalcassi la bottiglia come fossi adagiata a smorzacandela su uno dei loro cazzi. Ero accovacciata e poi in ginocchio per comodità quando il collo di vetro mi ebbe penetrata del tutto. Velocizzai il ritmo, adoravo esibirmi sorridendo loro lascivamente. Avevo sempre avuto un lato esibizionista. Fin da quando a sette o otto anni, arrivata in spiaggia, mi toglievo tutto lasciando, anzi volendo, tutti mi vedessero nuda. Oppure quando mi toccavo in stanza a dodici anni, pur sapendo mia madre o mia fratello mi avrebbero potuto scoprire da un istante all’altro.
Antonio e Marco avevano ricominciato a masturbarsi i grossi arnesi e me li porgevano perché ne leccassi le aste e il frenulo. Avevano espressioni di puro arrapamento. Ripresi a sospirare rumorosamente grazie alle scosse elettriche che provenivano dalla mia fica affamata. Colavo tutta su quella bottiglia, che poi mi costrinsero a leccare e passare sulle tette.
“Ok ne vuoi due ancora?” mi fece all’improvviso Marco che era l’ultimo che ancora non mi aveva posseduta che per pochi minuti. Sapevo cosa intendeva. Mi misi a carponi davanti all’armadio: lì mi sarei potuta tenere a due maniglie e guardarmi in viso mentre venivo assediata dai loro membri. “Guarda sta troietta ci facilita il compito” gli fece eco Antonio “mi aveva promesso si sarebbe lasciata inculare”-‘Sì ma col preservativo’- “Ok faccio le cose a regola d’arte” mi disse beffardo. “Inizia a leccarlo a Marco mentre vado a pigliare gli strumenti necessari per sfondarti definitivamente, zoccola schifosa”. Guidata dalla sua mano sulla nuca, spompinai Marco a lungo che non veniva l’ora m’invadesse il sesso. Aveva un cazzo sui 15-16 cm ma molto largo e non vedevo l’ora di avercelo dentro al calduccio. ‘Sì bene così’ mentre mi prendeva la testa per invitarmi a succhiare quel cazzo duro e caldo, fremente e gocciolante sperma. Mi vedevo intenta all’atto allo specchio compiacendomi della mia degradazione, avrei voluto fare ancora di più, sempre peggio, priva di qualsiasi senso di vergogna. Si vedeva che anche lui era eccitato: un vero piacere sentire il cazzo crescere in bocca, succhiarlo in profondità nonostante il forte sapore che ormai mi impregnava le narici assieme a quello del sudore che tergevo dai loro corpi virili con la mia lingua assatanata. Marco poi sdraiò supino e io mi adagiai sopra di lui a cavalcioni indirizzando il buco rorido sul suo membro che puntava decisamente al mio corpo. E io glielo diedi: volevo essere di tutti. Nei suoi occhi pura lussuria. Erano tutti ragazzi ben fatti ma forse Marco, insieme ad Antonio, era il più carino. Mani forti, sguardo deciso, barba appena accennata e occhi d’angelo con capelli d’un bel castano scuro simili a seta. Ci baciammo intensamente come non avevo fatto prima con altri. Attendendo l’arrivo di Antonio iniziammo il dolce su e giù. M’impalavo sui di lui mentre lo specchio restituiva la mia immagine. Ero felice di quanto stavo osservando: mi compiacevo d’essere così avvenente e sensuale mentre venivo scopata. Arrivai a leccare quella superficie riflettente baciandola alla francese e lasciando una striscia di saliva. Per un attimo avrei voluto essere uno di quei ragazzi sudati e pieni di testosterone che stavano completando un’orgia memorabile infierendo sul mio corpo sfatto. Mi erano rimaste poche forze dopo i tanti orgasmi multipli-avevo perso il conto di quanti ne avessi esattamente sperimentati. Pure la voce mi stava calando e arrochendo dopo le tante grida furiose.

Sentii un brivido caldo e umido insinuarsi tra le cosce: era la mano di Antonio che m’inseriva con le sue grosse dita della crema lubrificante dentro e fuori lo sfintere anale. Me lo dilatò anche con un dildo mentre io cavalcavo il cazzo di Marco adagiandomi sbuffante sul suo petto per lasciare l’ano esposto alla procedura di lubrificazione. Antonio tergiversò schiaffeggiandomi le natiche col suo enorme glande, ma quando meno me l’aspettavo mi prese per i fianchi e, piegando non so come le gambe, insinuò con un colpo netto e deciso la sua poderosa mazza nelle mie viscere bollenti.’ sìiii sfondami lì dietro’ fu tutto quel che potei dire prima di avere un quasi mancamento. Mi protesi in avanti per facilitare l’ingresso, sistemandomi ancora più oscenamente sul cazzo di Marco che conoscevo bene. Ne ricevetti subito un dolore davvero atroce stavolta. La fitta mi continuò a scuotere mentre s’infilava dentro aprendomi. Ora avevo ben due cazzi dentro: scopata, sodomizzata e imbrattata di seme. Sopra di me, Luca e Daniele, non ancora del tutto placati, facevano a gara a mettermelo in bocca. Erano entrambi ancora molli per l’esplosione precedente, ma dopo alcune leccate ritornarono belli vigorosi, pronti a farmi qualcosa. Volevo svuotarli tutti quei giovani sessi maschili di ottime proporzioni. Daniele m’infilò in bocca una sigaretta, così per vivacizzare il gioco mentre venivo voluttuosamente scopata contemporaneamente nella fica e nel culo. Inalai ed esalai provocante. Poi me la tolse ordinandomi di farlo venire il prima possibile senza lasciare gocce. I muscoli dell’ano mi si rilassarono e quindi iniziai a divertirmi di più, anche se continuavo a sentire un dolore immenso. Mano mano che andavo avanti, la goduria aumentava. Antonio e Marco sincronizzarono i colpi velocizzandoli all’inverosimile: ero uno strumento totalmente indifeso nelle loro mani. La pressione nelle viscere era insostenibile: venire invasa da due corpi estranei-e di quali dimensioni-mi stava quasi rendendo insensibile parti del corpo. Avevo già fatto una cosa simile con loro, se ben ricorderete. Un piacere mai provato mi avvolgeva mentre li incitavo oscenamente. Ancora Daniele mi prese per il collo costringendomi a proseguire una violenta fellatio che quasi mi soffocò: ebbi conati di vomito ripetuti. ‘Hai un corpo da urlo, fammi venire, Elisa. Sei una splendida troia’ sospirò. Intanto Luca mi schiaffeggiava i seni e cercava col la mano di ringalluzzire il suo membro ormai esangue dopo avermi vomitato dentro e fuori tanto di quel liquido seminale da non potervi dire. Un piacere mai sperimentato prima mi dominava. Persi contatto con la realtà e mi disinteressai di tutto, chiusi gli occhi, sempre esalando sospiri rumorosi trasudanti lussuria. Immaginai di essere in mondi paralleli. Mi sforzavo al massimo i tendini e i muscoli delle gambe e dei piedi per rimanere in equilibrio. Venivo letteralmente sbattuta da Antonio che infittiva i colpi assestandomene di tanto forti da farmi cozzare contro il corpo disteso di Marco che mi possedeva. O meglio cavalcavo il suo cazzo, spesso facendolo uscire maldestramente, tutta presa da una foga inconcepibile. Era tutto così confuso che nemmeno ricordo gli esatti dettagli, anche perché avevo assimilato una quantità non indifferente di alcol. Il piacere continuava a squassarmi, l’eccitazione mi spingeva a sempre maggior lascivia ed ero come spezzata in due. Ricordo che avevo gli occhi velati da lacrime che mi scendevano per il troppo violento piacere misto a dolore.
Mi sentivo senza difese sotto quelle spinte che mi davano pura elettricità, il mio sedere era squassato e ad ogni spinta lanciavo un urlo, incurante del fatto mi potessero sentire da fuori. Non avevo più lucidità.
Con una mano presi a toccarmi la clitoride mentre m’impalavo su quei due cazzi che scavavano al mio interno. Gemevo come una pornostar dei video che amavo guardare quando mi trovavo in casa da sola per donarmi pomeriggi pieni di orgasmi solitari. Non so quanto durò quella furiosa cavalcata, forse una decina di minuti, forse venti o più. Avevo perso la capacità di concepire il tempo. Ogni tanto sentivo la lingua di Luca che mi leccava i capezzoli, cingendomi poi le tette. L’eccitazione per quello che stavo facendo mi portò ad avere una sorta di orgasmo anale. Non ne avevo mai provati di simili, ma gemetti sulle labbra di Marco tutto il mio godimento. Simultaneamente venne Antonio: sentivo le contrazioni del suo pene attraverso le mie pareti intestinali che stava sfondando. Percepii persino-o forse me lo immaginai solo-il liquido incandescente che riempiva il preservativo. Ne uscì subito, lasciandomi l’ano completamente aperto e dolorante. Lo vidi paonazzo. Si sfilò il condom e mi diede il contenuto da inghiottire. Aveva eruttato seme davvero copiosamente. Cercai di non lasciarvi dentro più che alcune gocce calde. Poi mi venne addosso Luca, scrosciando sperma direttamente sui seni. Mi’insozzò il petto di quella grandine bollente senza alcuna remora: rivoli di seme mi scendevano sui fianchi mentre venivo fottuta. Dopodiché loro due andarono a bere qualcosa e forse a rilassarsi dandosi una ripulita mentre io ero ancora distesa per terra, adagiata sopra un membro che mi straziava le carni. Alitavo il mio piacere sullo specchio.
Marco mi fece spostare e cambiare posizione. Ero sfiancata e stravolta. La fica mi doleva, per non parlare del buchetto posteriore che bruciava ancor più acutamente, mi sentivo del tutto tramortita, ma le sensazioni erano ancora magnifiche.

Ora ero nelle mani di Daniele e Marco, come un burattino grottesco: a sorpresa mi fecero sdraiare sul letto ed indossare nuovamente i tacchi. Mi baciarono entrambi saettandomi le loro lingue dentro la bocca. Daniele me la morse la lingua tanto da farmela sanguinare: il sapore ferroso del sangue si mescolò a quello della sborra che avevo ingoiato in gran quantità. M’iniziarono a leccare ovunque, poi aprendomi le cosce anche lì, sul mio sesso in fiamme. Si può dire mi scopassero la fica con la lingua: oltre ai miei umori sicuramente assaggiavano anche il seme di coloro che li avevano preceduti. Questo rende l’idea di quanto fossero anch’essi fuori controllo. Poi passarono a stuzzicarmi la clitoride. Mi rigirarono come una bambola di pezza, sculacciandomi, infilandomi vibratori e dildo in ogni buco, che mi facevano poi leccare lentamente come fossero altrettanti cazzi, poi estraendoli. Sentivo il bisogno di esplodere. Le loro braccia tese e forti mi afferravano ovunque lambendo i miei lineamenti, palpeggiandomi le zone erogene. Li fissavo vogliosa e ormai completamente obnubilata, quasi vogliosa d’inerzia. Poi decisi di masturbarmi lascivamente davanti a loro, aprendo la fessura allagata senza alcun ritegno. Inserii tre dita della mano destra nella fica sfondata e bagnatissima di umori e sperma e altre due sopra, l’indice e il medio a giocare col bottoncino. Spingevo il bacino in alto per offrir loro perfetta visuale di quello che stavo facendo. Daniele mi consegnò il cazzo da spompinare e segare. Dopo alcune staffilate vigorose e varie lappate da vera maiala, esplose rovesciando tutta la lava sulla mia pancia che diventò appiccicosa. Ormai sapevo solo di sperma e umori frammisti a sudore e urina. Raccolsi un po’di quel seme caldo e me ne contornai le labbra sorridendo lussuriosa. Poi Marco mi fece mettere carponi e me lo mise dentro senza troppe delicatezze. Il calore mi pervase. Ci sapeva proprio fare: mi prendeva lentamente ma con grande potenza scuotendomi tutta come una bambola di pezza. MI stantuffava immergendo inesorabilmente il pene fino ai coglioni che mi sbattevano sui glutei provocando rumori osceni. Apprezzavo perché pareva pensasse anche al mio piacere, non solo a svuotarsi il contenuto dei testicoli dentro le mie cavità. Mi inarcai notevolmente grazie alla schiena flessuosa perché riuscisse a scoparmi ancora più in profondità. Tenevo sul cuscino il viso sudato e sconvolto, quasi ululando dalla lussuria. Sbrodolavo della saliva che mi usciva dalle labbra semiaperta. Gemevo selvaggiamente. Sentivo però la fica davvero in fiamme, volevo solo venire, godere, godere ancora, ormai anche per lenire il dolore che provavo.

Mi toccavo ogni tanto, lasciando scivolare un braccio sotto la pancia bagnatissima di seme che si stava asciugando a poco a poco. I sospiri si trasformarono quindi in grida sconnesse. Marco aveva le mani appigliate alle mie tette. Me le palpava scopandomi, strizzandole e torturando quei poveri capezzoli. Era energico, deciso e pieno di carica erotica. ‘siiiiii, siiiiiii, oddio vengo’. Anche grazie alla mia stimolazione clitoridea ero riuscita ancora una volta ad erompere nel godimento stordente. Appena conclusi gli spasmi squassanti, fui bruscamente riportata alla realtà. Marco mi fece girare su un fianco, mi adagiò tenendomi stretta al cuscino e aggrappandomi alle lenzuola, mentre lui proseguiva incurante e mi sbatteva talmente forte che rischiò di farmi sbattere la testa con la tastiera del letto. Dovetti poi urlare per avere un altro vibratore. Avevo avuto talmente tanti orgasmi che non potevo fare a meno lubrificarmi. Chiesi agli altri che tre che giravano attorno al letto di bagnarmi la fica. Per tutta risposta ricevetti insulti che mi riscaldarono ancora di più. ‘Dio mio quanto mi sto degradando, però mi piace’ pensai.
Mi fecero bere un altro po’. Posi il vibratore in mezzo alle gambe, riadagiandomi con lentezza studiata sul fianco mentre da dietro Marco mi stantuffava instancabilmente sbuffando e tendendomi saldamente per i fianchi. Ormai ero nuovamente senza controllo. Iniziai a pronunciare frasi deliranti, sconnesse e irripetibili che descrivevano le follie che avrei voluto fare. Follie simili a ‘Sono insaziabile, mettetemelo tutti dentro dai, oppure fatemela bere tutta, la vostra sborra sì, voglio prosciugarvi. Sono la vostra puttana’. Pur se disinibita mi vergognerei a riportarne altre.
Per concludere in bellezza Marco mi fece stendere nella posizione classica e lì mi penetrò meglio di quanto chiunque avesse mai fatto, succhiandomi i capezzoli, mordicchiandomi la gola, baciandomi e leccandomi ovunque, mentre io avevo sostituito il vibratore con le mie dita. Queste ultime ora danzavano sulla clitoride gonfia ed esausta. Con alcune grida animalesche, Marco venne in un urlo liberatorio e sentii distintamente tutto quel flusso bollente che usciva dal suo glande per disperdersi confusamente dentro il condotto vaginale. Era davvero un getto potente, anzi una serie di fiotti inauditi impressionanti nella loro virilità. Non avevo mai percepito un orgasmo maschile con tanta e tale intensità. Sentivo quel palo di carne letteralmente contrarsi dentro. Imposi a Marco di restare in quella posizione sopra di me mentre io mi sditalinavo per raggiungere un ultimo orgasmo che sentivo prossimo ma a cui faticavo a pervenire. Lo feci alzare e gli leccai le palle ripulendogli poi delicatamente l’asta sia degli umori prodotti dalla mia fica sia dal suo sperma. Nulla’.era frustrante: non riuscivo a venire e mi sentivo la fica ormai secca. Sfiorarla internamente era divenuto impossibile per il bruciore, altrettanto mi doleva strofinare la clitoride esternamente. Capii che non avrei più potuto tollerare altri oggetti o cazzi dentro di me, non per quella sera almeno, forse per un qualche giorno. Ero esausta tanto che quasi persi i sensi. Inerme mi sprofondai nelle lenzuola lasciandomi poi ricadere sul cuscino, mentre sentivo sullo sfondo i tre amici scherzare tra loro. Solo Marco mi stava accanto cercando premurosamente di toccarmi lì sotto per terminare anche con me, ma incontrò le mie mani che glielo impedirono. Il fastidio era eccessivo. Mi riavviò due ciuffi di capelli finiti in disordine, accarezzandomi, lo baciai intensamente e profondamente e poi caddi nuovamente in uno stato di semi-incoscienza che durò non so per quanto tempo.
Fui risvegliata da un trambusto considerevole. ‘Su ricopriti, tra al massimo 40 minuti saranno qua i miei, dovete uscire’ mi urlò Daniele. Ero così stanca e dolorante dove sapete che fu arduo rialzarmi e raggiungere il bagno per darmi una ripulita sommaria. Mi guardai allo specchio: avevo su tutto il corpo alcuni graffi e arrossamenti. Mi mancava il coraggio di aprire le labbra della fica ma penso fossero di un colore talmente acceso da far paura. Mi misi sul bidé ripulendomi. Ingoiai un po’di dentifricio per disperdere il sapore della sborra. Avevo il viso davvero distrutto. Cercai di pettinarmi come potevo con una spazzola, ma sembravo una che avesse corso una maratona. Mi rivestii alla bell’e meglio e uscii insieme agli altri non prima che questi provocatoriamente avessero fatto accenni pieni di doppi sensi alla possibilità di rivedersi. Non ancora soddisfatti, mi palparono da sopra i vestiti per un’ultima volta. Anche loro parevano esausti e brilli.

Sapevo non sarebbe stato un incontro d’amore e avevo ottenuto quanto che cercavo: sesso sfrenato, esplorazione dei miei limiti. Ero stata annichilita e usata come strumento, al tempo stesso avevo dominato quei ragazzi, forse sarei diventata la loro ossessione, il ricordo di una sera perversa da mantenere per i lunghi e noiosi mesi invernali. Camminando da sola coi tre, a tratti mi giungeva quasi la eco di un rimorso, non per aver goduto così oscenamente ma perché era come fossi rimasta priva di un’altra fantasia da realizzare.
Mi salutai coi ragazzi affrettando un cenno senza neanche baciarli per non destare sospetti. Ci ripromettemmo ci saremmo rivisti, ma in quell’istante non era a loro né ad altre orgie che pensavo.
Sapevo Deborah sarebbe andata ad una sorta di festa paesana per turisti in una cittadina lontana pochi km, forse la stessa dove si trovavano i genitori di Daniele. Provai quasi vergogna a trovarmi in giro sola soletta e così poco vestita. Il vento estivo mi scompigliava i capelli, già arruffati per glia atti della serata. Decisi di fare una scorciatoia per casa dato che mi doleva ovunque a camminare, potevo sembrare quasi una storpia. Poco dopo mi arrestai e all’improvviso la vidi: era con un amico suo coetaneo da quanto potevo scorgere dalla luce fioca dei lampioni sulla strada e delle case. Rimasi incantata dal suo sorriso, dai boccoli scuri che le ricadevano sulle spalle, dalla sensualità delicata che riusciva a effondere, dalla leggiadria del suo incedere. Cazzo, pensai, mia cugina è una dea. Sorrisi alla stupidità del pensiero. Poco dopo si separò con un saluto gentile ma non eccessivamente civettuolo dal suo amico. Capii che non c’era nulla tra loro. Si affrettò speditamente verso casa. Mi dava le spalle ma la potevo immaginare serena nella sera fragrante di dolcezze. Solo quando fu lì per inserire la chiave si voltò, con un impercettibile movimento del collo e mi vide. Mi sentii morire. Temetti mi si leggesse in viso quanto avevo fatto. Cercai d’intercettarne l’ombra di un giudizio. Il suo sguardo era invece puro e intenso, né amichevole né ostile: era come interrogativo, quasi si attendesse qualcosa da me. La vedevo al tempo stesso umile e superba, pura ed estremamente sensuale. Il suo corpo notevolmente snello eppur prosperoso e ormai maturo, ma i suoi occhi e lo sguardo erano ancora quelli di una bambina. Non ebbi più dubbi circa la sua completa innocenza. Avrei voluto baciarla a lungo, sì sotto la porta. ‘Deborah’ la chiamai infine. Dolcemente.
Elisa era uscita ad acquistare un pacchetto di sigarette, difficilmente sarebbe tornata prima di una ventina di minuti considerando la sua abitudine di girare per negozi per trovare adocchiare facili prede maschili. Mi adagiai nuovamente, socchiudendo gli occhi a quella ammiccante luce nascente. La distesa di oro effuso si prolungava verso di me riempiendomi lo specchio delle iridi d’una pioggia di diamanti. Ero ancora stordita, mezzo addormentata, sentivo me stessa che come un fiore che sbocciava, rapita da un romanticismo indefinito. A ondate percepivo calore irradiarsi dalla finestra verso di me come un fuoco dolcissimo, quasi m’implorasse amore. In breve la canicola avrebbe preso possesso della vita di persone, animali e vegetali assopendo e ubriacando il pianeta circostante.

Mi rigirai sdraiandomi a pancia in giù col petto generoso che strusciava contro il materasso, separato dal vile contatto solo da due semplici strisce leggere di tessuto. In quel mattino sognante fece capolino un capriccio improvviso. Accogliere i miei seni tra le mani, scaricare lo stress sfiorandone la morbida rotondità addobbate per l’amore. Contai fino a mille. Non aspettai oltre. Inarcai la schiena e, dopo aver slacciato il reggiseno, mi tolsi anche la camicia da notte fino ai fianchi restando in uno topless sfrontato. Soppesai quei due globi di cui andavo e vado tanto orgogliosa inventando carezze sulla loro serica superficie. I miei capelli lunghi prendevano scorciatoie per arrivare dispettosamente a coprirmeli: sembravano tanti serpi scure distese per gioco sul petto d’una medusa adescatrice. D’un tratto fui pervasa dalla brama di rimanere totalmente nuda. Non ambivo a meno che mostrarmi a me stessa, appartenermi senza paure. Ma fu solo un pensiero fuggevole: mi limitai ad accarezzarmi la pancia ripetutamente, teneramente. Di nuovo mi rigirai prona e cominciai a muovere il bacino su e giù, languidamente, volendo suscitare scintille dall’impatto tra l’inguine e il materasso. Sentii un brivido risalirmi dal grembo, colpirmi il respiro mozzandomelo. Fantasmagorie impalpabili rispondevano al tocchi che sussurravo sulla pelle, sollevando pelle d’oca e una ridda di brividi involontari. Premetti le dita sulla mia femminilità da sopra l’intimo. Mi fermai, avevo ancora desiderio di dormire a prevalere su quello edonistico. Incolpai il caldo eccessivo Mi ricomposi aggrappandomi al cuscino e incrociando le mani sotto il capo. Presi a pensare respirando a pieni polmoni l’aria profumata di campagna che invadeva la stanza dalla finestra spalancata. Avevo bisogno di essere cullata. Sognai di nuotare in un lago colmo di acque cristallina sino all’orizzonto. Senza veli, senza vergogna: in fondo non avevo mai smesso di raccontarmi le fiabe.

Quando Elisa ritornò, fu la mia volta di fingere un sonno leggero. Rimasi in bilico tra la decisione di alzarmi e quella di restare leziosamente distesa concedendo forme irreali alle mie fantasie. Mutai soltanto di posizione mostrandole parte del viso su cui la luce disegnava forme diafane. Intuii una volta di più la sua attrazione: non sarebbe stata la prima. Diverse amiche o persino semisconosciute s’erano prese cotte non di poco conto, cosa che mi aveva lasciata lusingata, turbata, a volte anche infastidita e imbarazzata se il corteggiamento era diventato troppo esplicito o imbarazzante. Sentii il mio respiro regolare, intuivo che forse mi stava guardando. Aprii gli occhi: non mi sbagliavo mi stava osservando come un rapace fissa la preda. Con una mossa brusca tentò di dissimulare. Fui pervasa da una felicità sinora ignota. Ero appagata di vedere quella donna corrotta volermi bere il respiro bramosa.

Il resto della giornata trascorse tra qualche lettura, chiamate da amiche dalla città arroventata e preparativi per la serata. Fuori il sole era rosso fiamma come un rubino malefico. Volevo splendere come un astro quella sera. Ero stata invitata a una festa di laurea di una ragazza in un’altra cittadina, lei amica delle mie amiche del posto. Aspettavo con trepidazione quella festa perché mi sarei trovata di fronte ad un ragazzo i cui occhi avevano riflessi smeraldini che aveva mostrato interesse nei miei confronti e che, caso strano, non mi dispiaceva. Non vedevo l’ora di distrarmi un po’. La convivenza con Elisa non si poteva certo definire piacevole e leggiadra. Tossivo spesso per il fumo che emanavano le sue sigarette aromatizzate, nonostante le avessi chiesto di starmi lontana quando si dedicava ai suoi vizi. Le sue occhiate per mettermi in imbarazzo e la nudità ostentata mi mettevano a disagio.

Finalmente verso sera uscii di casa, indossavo una gonna poco sopra il ginocchio di un bel blu scuro, sopra un top di pizzo nero. Sotto un reggiseno di pizzo blu’.e delle mutandine abbinate. Optai per il lucidalabbra, un filo di matita, rimmel blu e un tocco di ombretto scuro ben sfumato sulle palpebre. Nient’altro.
Prima di uscire rientrai in bagno: ero davvero abbagliante, senza esagerare trasudavo classe. Inconsapevolmente leggiadra. L’ametista delle labbra che mi sorridevano pudicamente ilari. Avrei tanto voluto togliermi tutto per dedicarmi a me stessa come non facevo da tempo, da troppo tempo, ma ero in ritardo. Mi guardai allo specchio da ogni lato. Mi desideravo. Ambiguamente. Un segreto estorto all’aria torrida. Mi volevo.

Al contatto col fiato caldo della sera che mi aprì i polmoni come una carezza leggiadra, mi sfuggì un sospiro di pura gioia. Era giovane, ero bella, ero serena. Pensai a quell’atmosfera intrisa di carezze e prodighe promesse sensuali e pregai catturasse la mia essenza facendomi trasalire scorrendo tra le pieghe della carne e riverberando quei brividi. Avrei voluto quegli istanti non avessero mai fine. Indossavo sandali neri col tacco che scoprivano gran parte dei miei piedi. Pensai per un attimo di essere irresistibile e, nascosta…sorrisi alla sera ancheggiando sinuosa sotto un cielo reso incandescente dalle prime stelle vespertine.

Brividi violenti mi si trasfondevano anche quando mi trovai sulla pista da ballo a ballare con lui avvolti in una luce opalscente. Mi scoprivo più timida di quanto avessi pensato, una trasfigurazione di purezza emblematica accesa dalla fiamma dell’istinto. Spesso quando mi parlava abbassavo gli occhi e quando avvicinava eccessivamente la bocca per soverchiare la musica parlandomi, mi discostavo impercettibilmente. Fummo più volte vicini a un bacio che sarebbe arrivato solo prima della fine della serata. I suoi occhi blu cielo mi scrutavano quasi volendo cogliermi sotto ai vestiti, frugando l’adamantino riflesso della mia essenza. Sapevo forse non ci saremmo incontrati più per quell’estate. Sperimentai passione: le sue braccia forti intorno alla mia vita stretta, la sua lingua a intrecciare la mia per un istante intenso come una scossa. Accettai quella lingua maschile e la sentii conquistare i recessi della mia bocca rosata. Le sue mani ora lungo le mie braccia come un tocco di piume capace di trasmettere potenti ondate di desiderio attraverso il mio corpo. E dentro di me, armonie di violini.
Il cervello scioccato da quell’intimità inattesa o forse anche troppo mancante. Fui abile a sgattaiolare tra le mie amiche immergendomi nell’allegro tumulto della festa. Quando ci ritrovammo ancora la malia era svanita come l’eco di un sogno lontano.

Accaldata e assetata nella notte bagnata di luce, soffocata tra lampi interiori. Quella sensazione indistinta di avere a fianco qualcosa di potente, una protezione immaginaria, mi colmava ancora di confusione e stordimento. Non ero pronta ad altro, tagliai corto, graffiando sentimenti neonati. Neppure cercai di giustificarmi dinanzi a me stessa. Algida diva di una serata a metà. Camuffavo passioni contro volontà, librandomi pura nell’armonia fremente di quella danza che annegava nel buio. Segreti sospiri anelati, realizzati o solo frutto di sovrane idealità. Tensioni molteplici ed eterne in tutti quegli occhi. Trascorsi il resto della serata tra sorrisi, scherzi, sguardi ammirati e voluttuosi che stranamente mi suscitavano imbarazzi senza nome e atteggiamenti spiccatamente leziosi contro i quali esprimevo il trionfo tiepido della mia femminilità, celestiale dentro di me. Le altre compagne, risucchiate da vani rituali, cui non mancava che la crudele verità dell’indifferenza.

Non troppo tardi tornammo a casa, mi sentivo tutta illanguidita, quasi esausta: avrei desiderato stendermi sul letto o in un idromassaggio fresco. Dal centro della cittadina alla villa dei nonni mi accompagnò un amico, ovviamente attratto delle mie grazie, ma tanto orgoglioso da non esplicitarlo troppo fastidiosamente. Lo apprezzavo per questo riserbo. Mi faceva tenerezza così che tentai quantomeno di non alimentare illusioni venefiche. Ma ad un tratto il mio cuore barcollò ammirando lo spicchio lunare e quella sua luce madreperlacea che filtrava lieve rischiarando la volta celeste, sfiorandomi il viso e il petto ansante donandomi una sfumatura lattescente e diafana. Mi sentii piccola piccola, ma parte di quel meraviglioso tutto e presi a sognare. Cosa c’è di più bello?

Solo allora la vidi, proprio mentre stavo per varcare il portone di casa, ebbi il presentimento qualcuno o qualcosa mi stesse scrutando tra le tenebre precarie. Mi girai lentamente inondandomi il viso di quella iridescente luce, quasi al rallentatore, come in un film. Era tutta scarmigliata, smarrita, coi vestiti stropicciati, il trucco tanto sbavato che riuscivo a scorgerne l’imperfezione persino alla fioca luce dei lampioni esterni e delle incandescenti sfere celesti. Ne provai una sincera pietà: mi guardava con l’aria di un animale ferito, ma ancora affamato, mai pago. Sì, mi diede l’idea di una brama smodata. Era avvenente, senza dubbio, ma di una bellezza già tormentata dalla corruttela, involgarita e appesantita in forme stereotipe. Mi sfiorai le labbra con ostentata ingenuità e alzai lo sguardo immacolato quando mi chiamò. La aiutai a salire le scale perché si trovava in evidente impaccio come spossata da un eccesso. Avevo intuito quanto poteva esserle accaduto, le chiesi spiegazioni e ottenni le prime confidenze. Mi raccontò di aver esagerato quella sera e, durante il racconto, in luogo di eccitarmi, ne provai solo una sorta di tenerezza mista a pena ancora più profonda. Non riuscivo a capire la sua tendenza all’umiliazione. La fissavo con aria interrogativa, ma percepii in lei solo una forte volontà autodistruttiva, uguale e contraria alla mia attesa di Vita. Nel suo sguardo non c’erano solo estasi e lascivia, ma soprattutto vuoto. Un vuoto perenne, sovrapposto di nulla.

Mentre ci struccavamo, chiarì una volta per tutte le motivazioni del suo atteggiamento nei miei confronti e dinanzi alle mie incerte aperture mi chiese venia, esortandomi a rimanere sempre com’ero. E poi quale un fulmine: ‘Deborah io, non giudicarmi ti prego’..io vorrei sentirti godere vedendoti perdere quell’aura impeccabile. Ti desidero.’ Rimasi confusa e ammutolita. ‘Non mi piacciono le donne’ fu tutto quel che riuscii a replicare come un automa, ma fui più dolce di quanto avrei voluto. Lei allora si alzò dal letto venendomi vicina, ci guardammo per un attimo e poi mi diede un bacio sulle labbra. Scosse mi pervasero miste a repulsione. Mi illuminava un’ingenua felicità per essermi sottratta a quel turpe contratto. Forse non c’era solo valenza erotica da parte sua, ma io ero sempre più schiava di me stessa e della purezza di cui mi ammantavo. Mi accorsi dal battito cardiaco estremamente accelerato, ero molto eccitata, mi stordiva il desiderio di abbracciare la mia sensualità, il mio essere donna e lanciarlo in faccia a quella sgualdrina. Furiose lotte coi demoni della superbia.

Avrei forse voluto davvero mostrarmi nuda, ma nemmeno la delicata euforia che mi pervadeva poté qualcosa contro un senso ossessivo d’invitto pudore. Lasciai scorrere il tempo, minuti interminabili, bagnati di smaniose pulsioni. Quando sentii il respiro di Elisa regolarizzarsi, capii che era scivolata nel sonno. Mi chiesi tra quale sudiciume fosse stata avvinta e annegata.
Giudicai quello fosse il momento opportuno per unirmi a me stessa, non ne potevo più: la fiamma che mi bruciava il corpo dall’inguine, protendendosi in ogni direzione doveva essere tacitata. ‘Ma lei dorme lì a pochi metri da me, noterebbe cosa stai facendo, non puoi’ Riflettevo. Passarono altri minuti nella penombra: più che mai mi trovavo in bilico, combattuta tra la ragione e la prepotenza dell’impeto che scuoteva e seduceva il mio elastico corpo.
Infine presi il coraggio a due mani, telecomandata dall’invaghimento per me stessa e dalla necessità di tributare a questa passione un degno sacrificio. Bramavo dissolvermi nell’etere.

Sfilai prima una spallina della camicia da notte poi l’altra e iniziai lentamente a lasciarla scivolare sul pettoe dopo sui fianchi, fin sotto al bacino. Molto lentamente slacciai anche il reggiseno e con altrettanta calma lo dispersi sotto le lenzuola. Sorridevo a me stessa, baciandomi idealmente. Quindi mi trovavo scoperta a metà, in parte contro il mio volere. Avvertivo con paura indicibile il cuore correre prepotentemente, tanto che, ipotizzai nel delirio che Elisa potesse udirne i battiti furiosi come demoni incauti.. Presi a strofinare e strizzare i seni e i capezzoli con le mani. Questi ultimi mi dolevano tanto erano turgidi. Le punte delle dita scorrevano lungo quella morbida curva carnale per poi concentrarsi sulle areole torturandone l’area rosea così estesa. Sfidavo l’essere scoperta con impavida fierezza.

In ciò trovava forma e dimora il mio vero piacere: sostituire a poco a poco il mio desiderio di resistere con l’audacia e la forza di sensi innocenti avvolgendomi attorno ad una spirale d’estasi. E così trasfigurata martirizzavo me stessa nell’agonia di una caduta: attimi di felicità silente esaltando il mio corpo appena sbocciato.
Abbassai ancor di più la camicia da notte sfilandomela dai piedi. LI sfiorai carezzandoli dolcemente, apprezzando la loro curvatura e le dita frementi. Poi, passai le mani sulle cosce tornite e sode a contatto col lenzuolo fresco che sapeva di bucato. Ero al tempo stesso accaldata e agghiacciata. Il cuore mi batteva all’impazzata, il respiro trattenuto a fatica come prima dell’inizio d’una corsa infinita.
Rannicchiai le ginocchia sfiorando il tessuto delle mutandine che ricopriva il perineo e poi più su verso frammenti di me ancor più nascosti, ancor più intimi. Toccai il mio fiore inserendo all’interno un poco di tessuto. Era quella la fonte di tutto il calore che mi pervadeva.
Strofinai per qualche secondo intorno alle labbra e alla clitoride. Mi sfuggì un sospiro lievissimo, morsi le labbra fino a provarne dolore. Litania dell’eterno dilemma umano tra spasimo obbligato, sogno sottratto e piacere disperato. Quanto l’orgasmo assomiglia alla morte, pensai.

Seppellii il viso nel cuscino con la mente ormai appesa all’ineluttabilità arcana di un semplice gesto. E di colpo lo feci. Mi liberai anche di quel residuo tessuto che mi ricopriva il sesso:era tanto fradicio che ne rimasi impressionata. Colma di emozioni. Fiera di me e dei miei 18 anni. Nuda.
Le mie labbra erano gonfie e tutto intorno a loro carne febbricitante irrorata di umori. Chissà da quanto stavo grondando così, desiderandomi ardentemente. Avrei voluto sdoppiarmi per fare l’amore con me stessa nella declinazione più classica.
Stordita dall’ansito fremente che mi mozzava il fiato iniziai a lasciar scivolare le mani lungo i lineamenti prima di sfiorare proprio lì dove le sensazioni diventavano più ineffabili. Focalizzai l’attenzione coi sensi tutti in allerta giocando a spalmarmi intorno al sesso il nettare che usciva da quel solco rorido.
I miei gemiti erano attutiti dalla volontà di non essere scoperta mentre avevo iniziato a spingere il dito avanti e indietro lungo la fessura bagnata e dentro di me. Continuamente. Ipnoticamente. Armoniosamente.

Poi ecco una seconda pressione a facilitare il loro percorso peccaminoso ancor più all’interno. Sentivo urgere la necessità di rilasciare tutte le mie energie sopite. Non avrei potuto aspettare un minuto di più.
Mai tanta leggerezza e delicatezza che in quella dolce elegia. Molto lentamente l’altra mano scivolò giù imprimendo e tracciando carezze soavi a lambire la mia clitoride.

Con la coda dell’occhio scorgevo Elisa sdraiata a occhi chiusi: non ebbi sufficiente coraggio per accertarmi dormisse. Continuai, non ne potevo fare a meno. Il mio corpo mi desiderava totalmente, con imperio assoluto. Ero obbligata ad esplodere di lì a poco. Come dotato di propria volontà, il bacino oscillava verso l’interno rispondendo alle spinte per poi risalire al richiamo della mano che stava sconvolgendo quel centro di donna.
Le cosce si stringevano ritmicamente all’armonia primigenia d’idealità in movimento. Cercai ancora di muovermi piano piano per non essere udita in quell’attimo di folle estasi, ma via via che il mio nettare colava lubrificando la pelle tesa e accaldata, irrorando persino la coscia, mi sentivo sempre più audace e incosciente, mentre covavo piacere segreto.

Mi rotolai sulla schiena lontano tormentando con una smania folle il solco tra le gambe che pareva divenuto il centro dell’universo. Lo avvertivo pulsante. Le mie dita vennero subito infradiciate di quel piacere, ero così eccitata! Le dita correvano indiavolate sulla clitoride, attorno alle mie labbra esterne e dentro, al caldo umido della mia carne da giovane donna in fiore. Immersa nella beatitudine sessuale mi muovevo in quel buio zuppo di calore. Chiedevo sempre più a me stessa, ma temporeggiai leziosamente, sapendo che più a lungo fosse durato quel gioco estenuante maggiore sarebbe stata la ricompensa.

Mi attraversavano tanti pensieri: la mia bellezza, il bacio serale, il pensiero di quando e come avrei avuto la mia prima volta, di come sarebbe stata, alcuni dettagli del racconto di Elisa, il rischio concreto di essere scoperta cui mi esponevo. Tutto fungeva da catalizzatore. Aggiunsi pressione e velocizzai il ritmo continuando ad esplorare dolcemente maliziosa. Avrei accolto ogni movimento di quelle dita furtive con un profluvio di gemiti se solo fossi stata sola, ma ero costretta a soffocare. I miei succhi scivolavano giù per la valle delle mie labbra interne e oltre ancora. Le falangi affusolate, da pianista mi avevano sempre detto, seguivano il percorso su quelle morbide valve, lentamente , leggermente … verso il basso e viceversa … più e e più volte lungo il solco…Mi stavo regalando un sogno. Sapevo che sarebbe stato veloce, ma volevo rallentare. Ogni tanto mi concedevo tregue portando le mani a stuzzicare i seni e giocando coi capezzoli eccitati nella loro accennata erezione. E poi passavo le dita sulle mie stesse labbra assaporandole e tendendole a prodursi in baci dall’infinita tenerezza. Labbra superbe e ingannatrici che tendevano agguati per ogni dove a mia difesa.

Finalmente non potei più aspettare. Lasciai le mie dita vagabondassero libere ovunque volessero: ora ne avevo dentro ben tre sul vestibolo della mia femminilità. Anche se l’imene non permetteva loro di scivolare oltre, già tenerle lì al caldo era meraviglioso. Ansimavo. L’aria che sfiorava le piccole labbra sobillava il mio orgasmo moltiplicando il piacere cui mi stavo adattando languidamente tesa. La clitoride era gonfia e m’induceva gemiti involontari mentre le dita che la stuzzicavano trovavano finalmente il loro piccolo spazio ideale. Allargai le labbra con le dita di una mano e ritmicamente circondai la mia clitoride con l’altra divaricando le gambe. La mia rosa rispondeva immediatamente, aderendo sopraffatta a quelle dita che teneramente la violavano. Era così stretta. Tanto stretta e ancora intatta. Oh mio Dio! (lo dissi forse ad alta voce?!) Ormai mi pervadeva il delirio, scoppiato nell’incendio rovinosamente ineluttabile della mia anima!

Non volevo interrompere l’incantesimo! Chiusi gli occhi e mi morsi le labbra, sprofondando il capo sul guanciale che mi proteggeva, silente compagno di quell’atto di passione. Avrei voluto morire. Ero supina, sapevo che Elisa mi avrebbe potuta vedere, forse mi stava osservando. Dio mio. Ne trassi ancora maggior eccitazione. Sicuramente i movimenti sotto il lenzuolo e l’espressione del mio viso deformato dal piacere mi avrebbero tradita. Fossi stata una fata, avrei fermato il tempo altrui con la mia bacchetta fatata.
Suscitai immagine vivide di me stessa che facevo l’amore- i miei capelli intrecciati da un ragazzo dall’avvenenza di un principe, lo sguardo sul suo volto distorto dall’erompere di una passione che esplodeva come una diga divelta dentro di me, e poi io che con una furia animalesca mi adagiavo ancora sopra di lui, il suo membro che mi riempiva da dietro sigillando. Le sue parole virili. Pensavo a come mi sarei inginocchiata allargando le gambe oscenamente, io che non m’ero mai piegata a nessuno. Ancora ancora….non ne avrei avuto mai abbastanza.
Aumentai ritmo e pressione di pari passo ala turbolenza di immagini nuove che facevano capolino nella mente, rifluendo in me che annaspavo. Ogni tocco a vezzeggiare la clitoride avrebbe potuto essere decisivo ma che quell’agonia si prolungasse indefinitamente nell’elegia di un segreto notturno. Correvo a perdifiato concentrando armonie sulle dita. Mi stropicciai il bottoncino piuttosto energicamente, quella piccola protuberanza rosa, scoperta della mia adolescenza. Correvo sempre più velocemente, sempre più! Mantenere un respiro minimamente regolare mi stava diventando impossibile. Tacitavo sospiri con tutte le mie ormai deboli forze. Quelli che mi sfuggivano parevano penetranti e udibili nell’aria grondante di ombra.Elisa non avrebbe potuto evitare di sentirli. Per un breve istante mi girai verso di lei e mi chiesi come diavolo fosse possibile continuare a dormire mentre il mio mondo era scosso oltre ogni ragione. Sull’orlo dell’esplosione.

… Silenzio ora, assenza di suono . Non volevo infrangere l’incantesimo che il mio fiore mi stava donando. Rallentai gesti raccogliendo la mia anima in quel buio, illuminandola di estasi.

Un dito, poi due, scivolavano impercettibile sul sesso inzuppato – caldo, bollente , così stretto e protetto dall’imene virgineo. Avrei voluto lacerarlo con un grosso oggetto, perdere la verginità da sola, in quel momento. Nel sospiro caldo della sera. Le mie dita tremanti imitavano per quanto possibile il movimento di un piccole pene … dentro e fuori … sempre più forte … più veloce! Ondate di euforia correvano attraverso i fianchi formosi, scuotendoli saettando quindi sulla pancia piatta incoronata dal bacino. Era così stretto e caldo il mio sesso. Il mio corpo da cigno brillava illuminato dalla beatitudine mentre mi penetravo: un dolce sciabordio come di mare… dentro e fuori … dentro e fuori … la mente costantemente riempita da visioni roventi: eccelsa armonia di contrasti per me così pura.

La tensione cresceva, straziante, magnifica! Il sesso mi colava sulla mano, mentre altre dita eccitavano la mia clitoride fino al punto del non ritorno … tutto il corpo si contorceva, specie i fianchi spinti verso l’alto come da forze inaudite a me ignote, sospinta all’inizio del tutto. Mi trovavo al di là dello stato di coscienza e del connaturato pudore. Nessuna sensazione poteva ormai contrastare e ridurre l’oceano profondo di delizie in cui mi stavo immergendo senza ritegno cercando un alba voluttuosa: sospensione fatata intrisa d’intimità fanciullesca. Ansimavo, non mi preoccupavo neppure più dei suoni da me generati che come echi lottavano contro il silenzio: niente mi separava dal mio paradiso terreno. Ero certa sarei stata scoperta ma non m’interessava ormai. In quell’atto sensualmente mi offrivo sentendomi mancare.

Ero sempre vicina … così vicina e in bilico. Tra onde via via crescenti perdevo il controllo. Ogni singola fibra del mio Io era tesa, le dita dei piedi arricciate ermeticamente Improvvisamente m’investì un’ ultima ondata gigantesca e poi giù capovolta in un abisso d’estasi. Ecco le familiari scosse attraversare il mio ventre come multipli tuoni, i miei fianchi rimbalzare su e giù convulsi ad incontrare il movimento febbrile e inconsulto delle mani contro le labbra aperte del mio giglio bagnato. Il mio pube sospinto a far l’amore con l’aria che avevo profumato del mio essere donna.
Tutto il mio corpo rabbrividì più volte, avrei voluto gridare. Mi morsi persino la lingua serrando le labbra per mantenere il silenzio. ma non riuscivo a fermare tutti i gemiti che avrebbero spezzato l’immobile fissità della nostra stanzetta come l’immenso piacere e sollievo che mi sopraffaceva. Allo stesso modo speravo non si udisse quello ‘sciac sciac’ provocato da dita che, da sopra, tormentavano ancora la clitoride scuotendo violentemente anche il mio frutto ricolmo di umori quale anfora ripiena di nettare. Quanto avrei voluto trovarmi dinanzi ad uno specchio per godermi quella vista dall’alto. Il mio bacino scosso da convulsioni multiple mentre ciondolavo il capo come una posseduta mordendomi le labbra fino a sentire quel tipico sapore ferroso. Mio sangue, mia vita! Sentivo il cuore battere forte, forse troppo forte. Il respiro ancora irregolare. Pulsazioni rapide e piacevoli si disperdevano all’interno della mia rosellina. Ero così bagnata lì sotto, dentro invece inondata del tutto. Mi sentii felice mentre il battito cardiaco e il respiro andavano regolarizzandosi. Un sottile velo di sudore m’imperlava la fronte che scottava. Lasciavo riposare la mano fra le gambe ancora scosse e tremanti, mi sentivo così bene, come sepolta in un fondale marino, appena diventata sirena. Ci sarei voluta rimanere per sempre. Lentamente cominciai a rilassarmi assaporando la mia restituzione al mondo terreno …

Presi un profondo respiro cercando d’immagazzinare ossigeno e ritornare al ritmo il più regolare possibile. Paradossalmente, mi sentivo purificata, liberata da tensioni invisibili.

Riaprii gli occhi per girarmi, maldestra, a controllare. Raggelai: come una visione bizzarra gli occhi spalancati di Elisa mi stavano fissando studiandomi al buio. Dannatamente fissando. ‘E’stato tanto bello, vero piccola?’ sussurrò col tono più dolce avessi mai udito uscire dalle sue labbra viziose. ‘Stasera penso di essere venuta più di dieci volte, ma mi hai eccitata nuovamente’. Ero imbarazzatissima, paralizzata. Avrei voluto sprofondare, mi limitai a volgere lo sguardo verso il soffitto lasciando Elisa scorgesse il mio profilo. Il piccolo naso, le labbra della bocca che avevano appena represso centinaia di sospiri. Non pensavo più a nulla, annichilita e sgomenta. Una sensazione di smarrimento che mi serrava la gola. Il viso che mi bruciava alla lieve brezza. Mi vergognavo a fissarla in viso. Niente e nessuno mi avrebbe mai fatta disabituare al pudore.
‘Non essere in imbarazzo, Debbie ” sussurrò. ‘Sei stato fantastica. Onestamente, non hai fatto nulla di male’. Mi inviò un sorriso gioioso e pieno di malizia mentre scorgevo che stava cominciando ad accarezzarsi la fica sotto le coperta mentre il mio corpo non aveva ancora finito di fremere.
“Io … io … mm … non volevo svegliarti, Elisa. Non so cosa mi abbia presa” è tutto quello che riuscii ad articolare. “Tranquilla, cuginetta” si alzò e mi fece una carezza sui capelli e le guance. Tremavo ancora sia per l’orgasmo recente sia per lo shock di essere stata scoperta da Elisa.

“Beh , per esempio, sono molto contenta di averti vista provare tanto piacere. Senti come scotti’. All’improvviso mi strappò le lenzuola per svelare me nuda e ancora infuocata. Mi ricoprii arrossendo nella penombra e lei le tolse nuovamente gettandole a terra. Era giusto così, volevo anch’io mi vedesse e ammirasse. ‘Dio, dio mio come sei bella. Tu sei semplicemente perfetta’. E calò su di me passando le unghie leggermente sopra il mio seno per poi protendersi di leccarmi l’areola del seno sinistro. Glielo impedii con una spinta. Ero sconvolta e compiaciuta al tempo stesso. ‘Ora basta davvero, non sono lesbica, lasciami stare’ le dissi a bassa voce con accento perentorio. ‘Voglio semplicemente fare quello che hai appena fatto tu mentre ti ammiro nuda. Ti va? Nient’altro, parola mia’. Soppesai la sua richiesta: lasciarmi guardare mi avrebbe dato un senso di tale stordimento erotico e appagamento narcisistco che non ne sarei rimasta dispiaciuta. La accontentai e non mi riavvolsi tra le lenzuola. Sorrisi imbarazzata. Chiusi gli occhi e divaricai lievemente le gambe affusolate verso di lei che già soccombeva agli impulsi impellenti. Mi sentivo scoperta e oscena mentre i sospiri di Elisa invadevano l’aria accaldata, velata dei miei sapori di fanciulla in amore. Ogni volta che li riaprivo la vedevo tamburellare a perdifiato sulla clitoride e poi violarsi la vagina con tre, persino quattro dita, dell’altra mano. Avveniva tutto tanto violentemente in lei quanto era stato teneramente inesorabile in me.
Non avevo mai fatto una cosa del genere: non mi ero mai mostrata tanto spudoratamente. Con cauta perplessità respiravo lentamente, ma il cuore, in disaccordo, aveva ripreso a martellare testardo.
‘Dio, quanto ti voglio’ continuava a sospirare Elisa, ossessionata da me e dal mio corpo. Mi chiamava mentre affogava nel fiume che la stava conducendo all’orgasmo. La mia mente era paralizzata, come i muscoli del mio corpo svelato. Vedevo che fissasse la mia ovale perfetta, la fronte imperlata di stille invisibili, le rotondità simmetriche del seno, le cosce e i piedi, i fianchi, il bacino, il ricciolo dell’ombelico, i peli curati del pube e poi il bocciolo di rosa e lì il suo sguardo si soffermava come ci fosse un magnete e quasi potesse arrivare a leccarmi e a possedere con lo sguardo. Sentivo il profumo della mia intimità, misto ormai a quello di Elisa che tutta scoperta come me, non si dava pace nel torturarsi infinite volte.
Iniziai persino a tremare, inclinai la testa prendendo a tormentare i capelli nervosamente. I miei occhi si chiusero ancora fino a quando udii il grido soffocato di Elisa. ‘Sto venendo, Deborah, sto venendo’.siiiiiiiiiiiiiiiiii mmmmmmmmmm mmmmmmmmm ahhhhhhhhhhhh ahhhhhhhhh ancora’. Scorsi la sua bocca sfacciata aprirsi e chiudersi come sottoposta a scosse di assestamento, le due mani percuotere a ritmi incredibili le pareti della vulva e la clitoride . Il suo essere veniva franto come da un maremoto di straordinaria intensità, ondata dopo ondata il piacere incandescente la stava annichilendo , ogni nervo del suo corpo pareva dominato dalla voluttà. Elisa gemette ad alta voce, battendo rapidamente le cosce intrise di umori. I suoi grandi seni nudi, ciondolavano ai lati come lei si mise seduta appoggiata alla testiera del letto. A poco a poco anche i suoi ritmi vitali ripresero regolarità. Mi mostrò le dita scintillanti di umori e se le leccò con aria compiaciuta. Pareva devastata dai piaceri. Ci guardammo l’un l’altra restando così per chissà quanti minuti. Non provavo nulla: solo beatitudine fresca. Emisi molti sospiri di benessere.

Elisa si alzò in piedi traballante, tirando la sua camicia da notte giù sui fianchi. Penso sentisse ancora il piacere fremerle dentro , ma allora vidi mescolata anche l’angoscia, coatta assertrice di piaceri negati. I suoi occhi erano lucidi come avesse già lacrime negli occhi .

‘Domani andrò via. Devo fare molte cose in città.’ Ruppe il silenzio come nulla fosse successo. ‘Mi mancherai Debbie e, non dimenticare: sei perfetta così. Non cambiare mai quando sarai in un’altra esistenza che io non conosco’. Quasi mi commossi anch’io a quelle parole, pronunciate con estrema delicatezza mentre mi rivestivo. ‘Sei la ragazza più bella io abbia mai visto, sono nulla al tuo confronto’. Risi nervosamente schermendomi imbarazzata da quei complimenti inaspettati sino a poche ore prima. Poi parlai dolcemente, quasi in un sospiro lieve: ‘anche se siamo diverse, so che in qualche modo strano mi vuoi bene’. E fu la mia volta di apporle una timida carezza sulle sue guance che scottavano di febbre, lei mi prese i piedi e li carezzò, per poi leccare le dita della mano che avevo inserito audacemente sin sulle soglie del mio solco inviolato. Quella ragazza perduta m’ispirò profonda tenerezza.

Poco dopo mi ritrassi e sprofondai la testa sul guanciale, i capelli tutti mossi disposti in un caos armonico come sinuose serpi acquatiche. La mano con cui mi ero stuzzicata sotto la tempia con le dita inanellate di boccoli che ricadevano a cascata. Ero esausta e non avevo forze residue per pensare a nulla. Caddi rapidamente tra le braccia di Morfeo, acquisendo tonalità d’innocenza preraffaelita. Sognai a lungo di essere cullata dalle onde del mare, su di una barca. Ora non avvertivo più quel calore appiccicoso, ero fresca e raggiante, la brezza del mare si divertiva scherzando coi miei capelli e io li carezzavo rannicchiata su una panchina del ponte della nave. Respiravo aria salmastra, attendendo l’amore, il mio primo amore.
E nel sogno mi ricongiungevo a me bambina.

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