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Prestai molta attenzione al percorso, per esser certa di poterlo rifare nel senso contrario, senza errori e sciocche perdite di tempo.

Finalmente, arrivai alla nuova sede: piazzale più ampio, palazzina uffici che odorava di pittura e segatura, con squadre di muratori ed imbianchini che si aggiravano, mentre alcuni colleghi erano già al lavoro.

Mi accolsero cordialmente, volevano mostrarmi il sito, ma dissi che andavo di fretta (cosa verissima!) e li lasciai in pochi minuti.

E poi… e poi cercai di ricordarmi tutte le svolte, le curve, i punti che avevo memorizzato per tornare indietro e, alla fine…quella strada.

Mi fermai davanti alla palazzina e lo straniero di prima si scambiò un cinque col suo amico e poi si alzò e mi venne incontro, con un sorriso amplissimo.

«Bela signora, sei venuta a fare tanta amicizia?»

«Sì sì» confermai distrattamente. I miei sensi erano in ebollizione e speravo che mi toccassero, mi usassero alla svelta.

«Avete qualcosa da bere?» Chiesi.

Lui indicò la bottiglia di birra mezza vuota, sulla panchina: «Tu beve pivo? Birra?»

Annuii, qualunque cosa! Basta che succeda qualcosa! «Sì, ma quella bottiglia è mezza vuota… Non ne hai altre, in casa?»

Lo vidi interdetto, non se lo aspettava… «ma in casa ci sono amici…»
Eccheppalle! «E allora? Loro non bevono birra?»

fece una risata sguaiata: «Certo! Loro fanno tutto quello che fa io! Vieni!» E mi prese per il braccio (ero la sua preda?) e mi portò all’interno.

Mi portò in una stanzetta accanto al portone, dov’era un tavolo da cucina recuperato chissaddove, tre seggiole scompagnate una rete da letto con un materasso lurido, con sopra un lenzuolo che aveva bisogno di un lavaggio in lavatrice… ciclo lungo!
Il tipo abbaiò nella tromba delle scale qualcosa nella sua lingua, mentre il suo amico che ci aveva seguiti, mi studiava con un sorrisetto soddisfatto.

Arrivò un giovanotto, non più di 20-22 anni, con una scatola piena di bottiglie di birra e, dietro di lui, altri due uomini.

Il tipo che mi aveva portato dentro ne prese due, fece saltare la corona con una manata sulla bottiglia accostata al bordo del tavolo e me ne porse una, mentre anche gli altri ne aprivano una a testa.

Il tipo alzò la bottiglia in una sorta di muto brindisi e ricambiai il gesto, con un timido sorriso; feci per bere ma il tipo mi fermò: «No, bela signora, non così: amici bevono così!» e intrecciò il braccio con la bottiglia al mio; ero molto, molto vicina a lui ed anche un po’ impedita nei movimenti.
Bevve una sorsata e io lo imitai, ma sentii -ormai intrappolata dal suo braccio- l’altra sua mano alzarmi la gonna e accarezzarmi l’interno della coscia, risalendo verso il mio sesso incandescente e bagnato, mostrando le mie nude intimità agli altri che subito si avvicinarono e mi pressarono coi loro corpi, col loro afrore, coi loro aliti e dita e lingue e unghie sporche ovunque.

Sentii le loro mani addosso e, forse, ebbi un istintivo gesto di ripulsa, ma il primo fece una specie di sorriso e disse: «No fare così, bela signora: no vuoi fare tanta amicizia con me e miei amici?» e mi spinse, facendomi cadere sul letto.

Cadendo all’indietro, mi versai parte della birra addosso e sul letto, ma per loro non fu un problema: tempo trenta secondi mi avevano strappato la maglietta, tastato i seni (i miei seni, misteriosamente ingranditi!), tirato fuori i loro arnesi poco puliti e subito proposti da succhiare e masturbare, davanti alla mia bocca.

Come presi in bocca il primo, persi la cognizione di cosa sia successo: me li hanno messi ovunque, e mi hanno tirata, frugata, pizzicata, ispezionata dappertutto e poi penetrata davanti e anche dietro (grazie padrone per avermi preparata!) e anche contemporaneamente!
Li avevo pregati di non venirmi dentro, ché non prendevo la pillola, ma dirgli così fu ancora peggio: sia che stessero giungendo al piacere sodomizzandomi che profondandomi i me3mbri in gola, si sfilarono poco prima di esplodere e mi affondarono i loro arnesi in vagina, schizzandomi dentro il loro seme, tutti.

Alla fine mi ritrovai sul materasso, stanca ma con un po’ meno di quella voglia bruciante che avevo prima, con un rivolo di sperma che mi colava dalla topina, altri schizzi che mi si stavano seccando in faccia e sui capelli e… oddio! Il mio cellulare che pigolava di nuovo (ecco cos’era quel rumorino fastidioso che sentivo, mentre mi usavano!) per un messaggio!

Loro si stavano rivestendo ed io afferrai lo smartphone: avevo otto messaggi di whatsapp da leggere!

Erano tutti dello stesso mittente, un numero che non mi diceva nulla: “Dove sei, troia? Sono il tuo padrone, davanti alla tua porta e non ci sei! Dove cazzo sei finita, baldracca?”

E poi altri con solo “Sono Paolo, dove cazzo sei, cretina?”

Mi sbrigai a rispondere: “Mi scusi: mi son fermata lungo la strada perchè tre… -esitai un po’ in cerca di una definizione adatta, ma poi mi tenni sul neutrale!- … signori hanno voluto che gli facessi compagnia. Mi dia 15min ed arrivo, padrone!”

Trenta secondi, che trascorsi a memorizzare il numero come “Dottor Paolo” e la risposta: “Sbrigati troia, non posso restare qui fuori come un coglione!”

«Devo scappare!» dissi, mentre cercavo di drappeggiarmi addosso la maglietta strappata, cercavo di risistemarmi un pochino, afferravo le mie cose e me ne andavo verso la macchina, in un unico movimento.

«Messaggio di maritino che ti ama tanto e che vuole fare tanto sesso con te, bela signora kurva?… -ghignò- … Sbrigati andare a casa da maritino, per preparare sua cena con tanto amore e tanti bacetti… ma se vuoi buoni cazzi, noi sempre qui ed anche altri amici!»

Mi infilò la lingua in bocca, mi strinse dolorosamente una natica tra le dita forti e callose, mi mollò un potente sculaccione e poi mi lasciò andare.

Tempo una ventina di minuti, ero davanti alla porta di casa, ad aprire la serratura e Paolo mi si materializzò alle spalle.

«Spogliati!»
«Sì, un attimo che apro…»

«No, spogliati adesso, qui, subito!»

Mi guardai rapidamente intorno, sul pianerottolo deserto e poi mi tolsi la maglietta lacerata e la gonna macchiata e le lasciai cadere sul pavimento.

«Sei una donna molto disordinata! Adesso tiri su quello che ti sei levata, lo pieghi per bene e poi lo appoggi sul pavimento, ordinatamente! La gonna sotto e la maglietta sopra»

Non potevo far altro che obbedirgli e quindi feci come aveva detto, prima di aprire la porta, farlo entrare e poi recuperare gli indumenti.

Sprofondò nel divano, con uno sguardo malevolo: «Suppongo che tu abbia un mazzo di chiavi di scorta… -negai, con un cenno della testa- … ecco, allora dammi le tue, che non voglio restare fuori ad aspettare che tu finisca di fare i tuoi porci comodi!»
Glie le diedi, anche se una vocina dentro la testa mi chiedeva come avrei fatto, senza..

«Uhm… poi vedremo come potremo fare a fartene una copia…

Adesso vieni qui e spiegami perché hai tardato così tanto e perché sei arrivata conciata così…»

Mentre gli narravo del mio pomeriggio, lui mi soppesava e palpava i seni , con un sorriso soddisfatto e poi si occupò alla stessa maniera anche del mio sesso, frugandolo e tastandolo.

Mentre stavo raccontando, mi interruppe bruscamente: «Mi stai facendo girare i coglioni, con tutte queste metafore! Non hanno messo i loro membri della tua micina, ti han piantato i cazzi in fica! Impara a parlare come gli adulti, senza nasconderti dietro infantili allusioni!»

Era un bel salto… culturale, ma cercai di adattarmi. (Devo però dire che, col tempo, mi venne naturale, raccontare di cazzi che mi allargavano la fica ed il culo…)

Alla fine, con un vago sorriso divertito, mi chiese se era tutto ed io stavo per annuire quando… la lettera!! La lettera della signora Stefania!!!

«Padrone, mi perdoni! La signora Stefania mi ha dato una lettera per lei! Scusi, ma mi era proprio uscita di mente!»

Visibilmente irritato, me la strappò quasi di mano, quando glie la porsi; poi lacerò la busta e si mise comodo a leggere il messaggio.
Quando finì la lettura, si era rasserenato e mi parlò: «La signora Stefania ha delle idee interessanti, su di te; penso che l’essere la schiava mia e sua non possa che giovarti…

Adesso dammi un foglio ed una busta, che voglio risponderle!»
«Ma… ma io non ho buste in casa…» ammisi con rammarico ed un briciolo di preoccupazione.

«Che cazzo di casa, che non c’è mai nulla che serva!

Ho visto che poco più in giù lungo la strada c’è una tabaccheria: vai giù a comprarne qualcuna!»

Feci per prendere i miei indumenti, ma mi stoppò: «No, vai giù così, almeno impari a non tenere neanche due buste nuove in casa!»

Nonostante lo stato di eccitazione nel quale ormai vivevo, lo implorai di non mandarmi giù nuda: rischiavo di essere arrestata!
Meditò qualche secondo sulle mie parole e poi disse: «Sì, non hai torto…»
Si levò la polo gialla che indossava e me la porse: «Ecco, mettiti questa!»
Trasecolai. Ma lui insistette ed io la misi: per fortuna il dottor Paolo era più alto di me e quindi la polo mi celava il pube… se non mi fossi in alcun modo piegata!

Osservò l’effetto e grugnì soddisfatto: «Già che scendi: c’è un ferramenta, qui vicino? Qualcuno che faccia copia delle chiavi?»

Ricordai che ce n’era uno poco più avanti del tabacchino e glie lo dissi.
«Ecco: allora fai anche una copia delle chiavi di casa, così non devo perdere tempo io a farle!»
Si fece dare dei fogli ed una penna, mi fece prendere una ‘pochette’ dove mettere giusto chiavi e soldi e mi mandò via.

Ero in uno stato di tensione, mentre scendevo con l’ascensore e poi mentre camminavo verso i due negozi: da una parte la paura di essere vista, riconosciuta, additata da casigliani e da conoscenti del circondario; dall’altra l’eccitazione di sapermi praticamente nuda, accessibile, pronta ad essere scrutata, toccata, frugata da chiunque. Se soltanto mi fossi anche solo un poco piegata, avrei mostrato a chiunque il fatto di essere nuda, sotto la polo.

Entrando in tabaccheria, venni urtata dalla borsa di una donna che usciva, proprio sul pube: era stato un banale incidente o lo aveva fatto apposta? E se lo aveva fatto apposta, è stato in segno di riprovazione o di apprezzamento della mia tenuta? Cercai di ricordare la durata del contatto e valutarne ogni significato e sentivo, con questi ragionamenti, che l’eccitazione stava salendo e che sotto ero sempre più bagnata… e gonfia!

Mi sembrava gli occhi di tutti addosso, che percepivano la mia nudità e che mi scrutavano di nascosto, da dietro le loro espressioni distratte o interessate alle cose loro.

Anche le persone che incrociai fin dal ferramenta e ritorno, finsero di non accorgersi della mia scandalosa nudità e, dalla frustrazione, avevo quasi voglia di mettermi a urlare e di stracciar via la polo che mi copriva sommariamente, per mostrarmi nella mia totale nudità e famelica voglia di soddisfare ed essere soddisfatta da chiunque.

Alla fine tornai nel mio portone e attesi l’ascensore; mentre guardavo il numero dei piani decrescere, fui raggiunta dall’anziana signora del secondo piano e da un tizio con un cane meticcio al guinzaglio ed un cestello d’acqua nell’altra mano.

Arrivò la cabina e per primo entrò l’uomo e poi io e infine la vecchina, che sarebbe scesa per prima.

Cominciammo la salita ed il cane dell’uomo, alzando il muso, lo infilò sotto alla polo che cercava di celare la mia nudità.

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