Foto intriganti. Hanno un che di misterioso; attraenti è dire poco. Lo sguardo malizioso fissa l’obiettivo. Sembra che penetri in chi l’osserva al di là dello schermo, intrigante sotto la frangetta bionda. Attraverso lo spazio/tempo fulmina l’attento spettatore. Occhi grandi, scuri che esprimono capacità di sentimenti profondi, acuti che ti spillano, procurando una fitta, al cuore. Ma anche inquieti, che turbano l’animo assorto. Un malessere che si sana, maturando nel tempo; forse con l’esperienza? Desiderio di affidarsi completamente, con fiducia, a un compagno che culli, a un’altra esistenza che saldamente si incastoni con la sua. Ombra di insicurezza dettata dal tentativo di evitare delusioni.
Magari esistesse qualcuno con mani capaci che potesse prenderti fra le braccia, coccolarti, e farti provare le sensazioni forti che desideri; t’intrigano troppo, ma non hai il coraggio di provarle. Ti catturano, t’impediscono di sfuggire alla loro malia. Le spalle sono fragili e strette; quelle di un pulcino che vuole essere accarezzato, che vuol essere baciato sul capo. La tua bocca socchiusa a bocciolo sta per scoccare un bacio da rubare al volo appena dimostrerai un certo gradimento e, soprattutto, un cenno di assenso.
Il tuo figurino delicato desta infinita tenerezza. Il seno, raccolto in una taglia acerba, da adolescente fa intravedere il tubero rosa appena appena sporgente sulla linea fasciata del reggiseno, sapientemente reso indiscreto dall’indumento discinto. Quel capezzolo, …ricordo, è stato l’interprete fulgido di un’altra tua foto ormai cancellata.
Sul seno appena accennato si protende quel capezzolo, quasi a chiedere di essere colto da labbra assetate; a pretendere di essere gustato. Un seno da sogno! L’incontro richiesto, alla fine, l’hai concesso, curiosa come sei; poi, immagino, in un raptus di ravvedimento, di timore, di timidezza, hai spedito un laconico, arido messaggio; un improvviso impegno, hai preso a pretesto. Fuggita! Vero o falso, l’impegno; solo un ripensamento? Non è facile rinunciare dopo aver tanto fantasticato sulle tue foto. Uno shock da evitare. Ma fino a quando è consentito giocare con i sentimenti e tradire le legittime aspettative?
Non basta la tua immagine. L’assillo è conoscerti, sapere se scatta quella molla che ha spinto al primo passo, a quel primo appuntamento così miseramente naufragato. Sarebbe utile prendere una decisione: o dentro o fuori, ma con una seria giustificazione. Tanto vale esprimerti chiaramente. Vuoi importi di non aderire a nessuna richiesta e, allora, sarà gioco forza continuare a sospirare davanti ad un’immagine votiva ed a immalinconire.
Dalle foto appari esile. L’altezza non è definibile, però sembri slanciata. Fragile come un grissino, appari, le cosce perfettamente lisce e invitanti; eccitanti è dir poco. Quel braccialetto di corallo alla caviglia è stuzzicante. Conviene astenersi dal toccarsi per preservare l’eccitazione a quando (e se) ti deciderai a manifestarti in carne ed ossa.
E, finalmente, è arrivato il momento! All’apparenza mi mostro cordiale, sereno, mentre in effetti l’animo è in subbuglio e, dentro, tremo come una gelatina. Ti avvicini al tavolo del bar dove ti attendo. Sai di trovare un attempato signore, ma spero che tu sia abile a scoprire il lato giovanile. Oggi anche maturi signori sembrano ragazzini. Ragazzini dai capelli bianchi.
Un accenno al baciamano è la prassi per un uomo galante. Perfetta sei tu, nella mise giovanile. A quarant’anni, o poco su di lì, te lo puoi permettere con quel fisico acerbo. Due gambe mozzafiato innalzate su venti centimetri di sandali bianchi, in pelle a strisce, allacciati alla caviglia, ti conferiscono il look seducente che non ostenti, ma che ti conferisce sicurezza nell’alternante passo incrociato appena sulla linea mediana davanti a te.
Un controllato ancheggiare nella minigonna bianca con fascia annodata in vita di morbida pelle, una camiciola bianca sblusante a delicati fiorellini pastello di varia tonalità. Il piccolo seno si intravede appena dallo scollo a V che ti fascia il corpo, incrociandosi morbidamente sul petto. Il viso è regolare anche se gli occhi sono nascosti dalla montatura da sole a specchio con accenni a motivi floreali.
“Cosa prende la Signora?” è la cerimoniosa domanda del cameriere che, pronto, s’avvicina per l’ordinazione, aggiustando il dispenser dei fazzolettini di carta e ispezionando il posacenere per accertarsi che sia pulito.
“Un gin tonic, grazie.” è la pronta risposta. “Anche per me!” aggiungo. Il tono della tua voce mi sembra contenuto, ma cordiale. Il timbro, invece, direi da contralto, piena e ricca di modulazioni, diventa effervescente o bassa con estrema volatilità. In definitiva una voce sensuale.
Mi piaci! Gigioneggio, mentre t’accomodi meglio sulla sedia, accavallando le gambe che scoprono due cosce lunghe e ben tornite da centometrista, tanto sono scattanti e nervose. Con naturale sobrietà scopri il triangolino di pizzo nero che, pudicamente, ricopre il delta di Venere. Per evitare equivoci sulla tua onorabilità, abbassi il livello delle gambe, aderendo perfettamente alla sedia, così da evitare sguardi indiscreti di estranei. Ma per me il guaio è stato già fatto e tu sembri contenta dell’effetto sortito dal sapiente spettacolo di cui mi hai fatto partecipe.
Ti desidero sempre di più ogni istante che passa nella nostra frivola conversazione. Non arrivo certo a stenderti sul tavolino della consumazione e saltarti addosso per penetrarti così, di brutto, come vorrei! Ma è quello che desidererei e, credo, dai tuoi occhi lucenti e un po’ febbrili, che accetteresti di buon grado. Ah, le maledette convenzioni che non ci consentono di essere bestie allo stato brado!
Le galanterie si susseguono e tu le gradisci molto, finché non ti invito:”Vuoi fare un giretto sul mio coupé?” “Perché no?!” pronta accetti, sfoggiando la tua conciliante domanda retorica. Capisco che gradisci molto l’offerta. Sfili le gambe accavallate, posizionandoti, composta, sull’orlo della sedia prima dello slancio del corpo in alto per non scoprire troppo quel che è saggio nascondere agli altri in quel momento. Ah, maledetto pizzo nero che impedisce più intima visuale!
Sei un po’ più alta di me su quei tacchi enormi. La moda richiede qualche sacrificio e rischio di passare per un nanetto vicino a te, anche se mi difendo col mio metro e 75. Sei meravigliosa! Ti porgo il braccio che tu infili disinvoltamente e ci allontaniamo verso il parcheggio salutati dal cameriere , ossequioso per la mancia ricevuta.
L’auto, sorniona, sonnecchia nel parcheggio annesso al Bar del Parco. Apro la portiera sui sedili ergonomici in pelle nera. Mi volgi i tuoi occhi dolci da cerbiatto prima di sprofondare nel posto del passeggero, questa volta, a gambe ben chiuse, ruotando le ginocchia accostate, in modo da trasportare facilmente quel ben di Dio della tua personcina nell’auto, senza incidenti e con eleganza. Fiuuu! Che bambola!
Mi siedo accanto, dal lato sinistro dell’auto, giro la chiavetta e s’accende il luna park dello schermo digitale.Ti sorrido, prima di partire. Stupenda!
Il condizionamento dell’aria è al punto giusto, e l’MP4 inizia a trasmettere dai diffusori le canzoni di Whitney Houston con I Will Always Love you. Sembri inquieta nel ritmo della musica e ti giri verso di me con le gambe dischiuse, come per un silenzioso invito. Poi, chiarifichi l’intento e ti metti comoda, sprofondando nel sedile, mentre la gonna sale vertiginosamente attraversando il breve tratto che la sua esiguità consente di coprire.
Intravedo l’elastico del “pizzo” sul pancino nudo. Il gonnellino si raggrinza intorno alle anche. Imbizzarrito, do di brutto sull’acceleratore, buttandomi sulla statale. “Che ne dici se andiamo in un posticino tranquillo sul mare?” chiedo. “Direi che è perfetto. Amo il mare e tutto ciò che gli è connesso.” mi risponde la voce vellutata come una pesca appena uscita dal frigo e coperta di rugiada, in attesa d’essere divorata.
Cerco di calmarmi e rispondo: “Benissimo! Vedrai, ti piacerà.” Intanto alzo un po’ l’audio per il brano Sound of Music di Rodgers & Hammerstein. Sembri gradire molto. Il motore romba, mentre tu, guardando fuori dal finestrino dal tuo lato, distrattamente, m’appoggi una mano sulla coscia. Segui la musica, canticchiando.
La camicetta s’è scostata lasciando intravvedere qualcosa di morbido. Mi concentro sulla strada, accelerando per arrivare più presto. Quella mano resta ferma sul muscolo della mia gamba come per tenermi al caldo. Ha l’effetto di vedere aumentare la consistenza del mio pacco. Spero di resistere. “Stiamo arrivando.” chioso. All’approssimarsi di un ristorante, mi guardi dalla cintola in su con sorpresa, quasi delusa, temendo forse un posto pubblico. Poi comprendi di aver frainteso quando supero il ristorante. “Ah, dove ci fermiamo?” domandi. “Poco avanti, dietro la curva.” ti rivelo. Apri la borsetta e prendi gli occhiali da sole che inforchi. Capisco, vuoi la riservatezza. In quel gesto elegante sei la fine del mondo!
Ci siamo immessi in una stradina di campagna deserta. Ai lati i campi sono coltivati a grano. Una massa frusciante di pannocchie, ancora piccole per essere mietute, fa festa intorno a noi. Il vialetto sterrato s’apre, dopo una curva, fra alti e frondosi querceti e faggeti. In fondo una casupola di pietre a secco fa capolino. Basse, sul tetto spiovente si sovrappongono allegre tegole rosse, così come si costruiva una volta in campagna. Due finestre, da un lato e dall’altro della porta d’ingresso, ed una in alto con un balconcino, piccolo e stretto, allietano la facciata. Lo sguardo è attratto dal paesaggio lontano. S’intravede, fra l’argento degli olivi, il brillio inquieto del mare.
Spengo il motore, mentre l’auto avanza per inerzia sul viottolo in discesa. S’affianca alla casa. Docile, s’infila sotto il pergolato dove l’arresto, inserendo la marcia. S’impunta riottosa, subendo l’innesto del freno a mano che, chiamato in causa, protesta con un lieve lamento. Il silenzio ci assale. Si comincia a discernere la voce della natura. È un tripudio fra il canto degli uccelli e il frinire delle accaldate cicale.
Incantata, fissi il luccichio del mare che ammalia, là dove la campagna declina, fra le roverelle e i coccoloni che aprono bassi i loro ombrelli.
E io mi sorprendo a fissare te. Conturbante! Il paesaggio, non mi interessa più, ormai sono abituato.
Cap 2
Scendi dalla macchina e ti pianti a fianco dello sportello, spalancando le gambe, dimentica della femminilità che dovresti ostentare. Respiri a pieni polmoni la brezza che proviene dal mare. È evidente che sei rapita dalle visioni che si susseguono, emozionandoti fino a farti dimenticare la parte impegnativa che reciti. Te ne accorgi e accosti le gambe, tirando giù il gonnellino, pudicamente, a coprirti le cosce. Sei uno schianto! Ti prenderei, piantandotelo dentro, contro il primo tronco d’albero, ma mi astengo.
Ti raggiungo sull’acciottolato. Affondiamo entrambi, calcando il passo nelle parti più profonde del tappeto di piccola ghiaia che rimanda il tipico trapestio. Ti arresti per un sassolino capriccioso che, dallo scollo del sandalo, si è infilato nel sottopiede. Ti appoggi a me protestando con un: “Ahi!”. Mi sorridi e scuoti il piede, cercando di liberarti dell’incomodo. Ma non se ne vuole andare quella pietrolina testarda! Ti aiuto, slacciandoti la scarpa e sfilandola dal piede. Un piede curato anche se lungo. Bello, però! Ti risistemo la cinghietta intorno alla caviglia. Ti sei appoggiata col corpo a me, approfittando della mia galanteria. Avverto il calore del tuo piccolo seno caldo.
“Grazie!” mi sussurri mentre accosti il viso al mio.Sei troppo vicina.I segnali di pericolo si accendono, mentre le sirene d’allarme squillano nel mio cervello. Mi accosto alla tua bocca, attirato come un pezzo di metallo alla calamita. Ti sfioro, ti tocco,ti bacio. Il countdown è terminato. E limoniamo che è una meraviglia! Mi afferri il pacco, già di dimensioni notevoli, e me lo scuoti, massaggiandolo vigorosamente. Vuoi risvegliare i miei istinti bestiali! Non hai falsi pudori nel toccarmelo e questo mi piace.
“Entriamo…!” consiglio in affanno, distaccandomi da te quel tanto che mi consenta di prendere le chiavi dal borsello per aprire la porta della casetta che, già prevedo, sarà, come nella favola, di pan di zucchero con te dentro, guarnita dalla tua ciliegina, pronta per essere cucinata. La mano mi trema e devo forzare la chiave nella serratura per ottenere che s’apra. Scivoliamo all’interno, puntellandoci uno nelle braccia dell’altra. La frescura della casa ci investe. Lo spessore dei muri isola completamente dal caldo esterno. Chiudo la porta e il buio, complice, ci avvolge.
Camicia e camicetta volano fuori della cintura; i pantaloni e il gonnellino si disintegrano. Ora c’è solo l’intimo. “Accendi la luce…” mi suggerisci e per me è un ordine, ma schiudo solo lo scuro di una finestra. “Sì, tesoro, vieni, andiamo su, c’è la camera da letto…!” Mi segui, raccogliendo le tue robe sparse per la stanza. Sui tacchi quindici mi sovrasti, mentre sali le scale davanti a me.
Mia betulla! Alta come una svedese; bianco latte è la tua pelle. Che altro scoprirò tra poco. M’immagino i prossimi momenti e avverto che qualcosa mi si rizza, ma non sono i capelli. Non può sfuggire ai tuoi occhi la battaglia ormonale che avviene in me.
Mi precedi sulle scale, io in mutande e tu in intimo in raso nero con perizoma che ti lascia le chiappe e le cosce libere di fluttuare nell’aria. Mi sorridi, squadrandomi alla scoperta del mio pacco e fissandomi, poi, negli occhi. Noto che ti soffermi un attimo sui capezzoli. Mi stai valutando mentre prosegui nella scalata verso il Paradiso.
Sali leggera, tanto sei delicata nell’anteporre una gamba all’altra, mentre affronti gli scalini. I muscoli allungati si disegnano sulle tue cosce e sui polpacci comparendo e sparendo nell’alternarsi del momento di tensione. Il passo è elastico, tonico. Che tocco di femmina, che preda magnifica sei! Sto esplodendo per la felicità. Finalmente siamo al piano superiore. Mi è sembrata un’ora di scalata, mentre, in realtà, abbiamo percorso il breve tratto di dodici scalini in pochi secondi.
“Che bomboniera!” – esclami, meravigliata – “Ma è magnifica!”. Ti riferisci alla camera, naturalmente. Ammiri il lettone in ferro battuto con lenzuola di seta lilla e cuscini foderati nello stesso tessuto. Il vano della stretta finestra che nasconde il balconcino è abbellito da una tendina ricamata ad uncinetto. Gli scuri sono appena accostati e la stanza si soffonde di una tranquilla luminosità diffusa. Il canterano s’appoggia alla parete mentre l’importanza dello specchio rococò è sminuito dal ristretto spazio dello spiovente del tetto a mansarda.
Ti incanti un attimo ad osservare la tua immagine nell’alzata della specchiera e ti giri verso di me che ti sono alle spalle. Mi sorridi. Stendi le braccia e incroci le mani oltre la mia testa; m’imbrigli nel tuo abbraccio, socchiudendo gli occhi. La tua sicurezza mi scombussola, sollecitando il mio eretismo; sprofondo nel tuo corpo. Una sensazione di serica morbidezza mi gratifica, accrescendo la dose di testosterone che si riversa a fiumi nelle mie arterie, incendiandomi le cervella. Che dolcezza, sei!
Capitolo 3
Ti stringo dalle spalle, ti accarezzo sulla cervice, lungo tutte le vertebre fino alle chiappe sode che s’innestano sulle cosce nervose. Sei soffice, levigata, senza una peluria che offenda la tua bellezza. Ti stringi ancora di più a me, incuneando il delta di Venere nei miei genitali. Avverto il tuo ingombro. Strofini i tuoi pizzi contro la mia proboscide che si offre in tutta la sua maestosa turgidezza scavallando con uno scatto lo slip. Snap, ed è fuori in tutta la sua stupenda energia.
Baci incendiari, mi doni. Ti lecco le labbra, ti succhio, aspirandoti la lingua come una lumachina, estraendola dal guscio. Tu collabori, titillandomi con la punta della lingua il palato per poi affondare nella mia vorace bocca verso la glottide. Ti mangerei tutta!
Sento che il mio rampino d’acciaio è proteso verso la tua tolda, pronto all’arrembaggio. Ti arpiona, scava nell tuo stomaco, scivola giù per trovare un passaggio….
“Spogliati!” ti supplico, camuffando l’ordine in preghiera. Mi slaccio dal tuo abbraccio e sfilo il brandello di slip che è rimasto incastrato fra le palle, arrotolato fra i gemelli ormai gonfi all’inverosimile. L’asta, possente, indurita, stagliandosi sui due ovoidi turgidi e dolenti, si sforza di trattenersi dall’eiaculazione. È una macchina chimico-biologica perfetta e sto per dimostrartelo.
Ti scosti da me e, girandoti di spalle, mi inviti con una vocetta gentile e piena di tremori: “Mi slacci…?” Ti riferisci al reggiseno. Il mio bastone vibra contro le tue chiappe, mentre m’avvicino per eseguire l’operazione. Le mani sono insicure, cincischiano, ma, alla fine, riesco a liberare il gancetto. Reggi con le mani le coppe imbottite, che cadono in avanti, perché l’indumento non scopra il piccolo seno. La schiena è nuda! Il perizoma, lunga striscia nera, s’infila nella fessura che divide le chiappe, dando risalto alla loro turgidezza; due magnifiche sfere opalescenti. Potrei leggere in esse il tuo futuro, immediato! Rido fra me all’idea. Intanto, ti prendo per la mano e t’invito a girarti, mentre, con noncuranza, cade il pizzo che reggevi in mano.
Due tenere coppe da adolescente fanno la loro splendida comparsa: le tue piccole mammelle. Le accarezzo inserendole nel palmo delle mani. Le costringo a seguire il moto ascendente delle mie mani per quel che lo consente la loro forma poco rilevata.
I capezzoli, scuri e inturgiditi nella loro posizione di offerta, m’invitano ad assaporarli. Avvicino la bocca, stringendoli fra le punte delle dita e leccò. Prima uno, poi l’altro in una serie infinita, alternata, degusto le mammelle perché dividano il piacere equamente, a sinistra e a destra.
Schiva, ma fremente, ti vorresti tirare indietro, invece rimani ferma davanti a me; ti offri sempre più alla mia voracità.
Approfitti della vicinanza e anche tu martirizzi i due bottoncini che mi ritrovo sul petto. Me li tiri, me li strizzi, me li mordi affondando i denti fino quasi a farmi piangere. Fanno un male cane, …però, che sapore acido mi dai! Accentui la mia eccitazione erotica.L’animo è in subbuglio. Il mio tubero fra le gambe si trasforma fino ad assumere la consistenza di un boa conscriptor. Fila e sbava come il bruco per rinchiudersi nel bozzolo.
“Via!” con un rauco grido, strappo i tenui collegamenti del perizoma alle tue anche e lo lancio in aria dietro di me.
Hai un moto di vergogna; stringi le gambe. Ma non puoi più esimerti dall’apparire quel che sei. La tua nudità rileva la tua natura. L’oggetto del desiderio ti ballonzola davanti, scuotendo la testa a destra e sinistra. Tentenna come un pallone gonfiato a gas elio che sta per sollevarsi. Che asta meravigliosa!
Resto stupito dalla dolce creatura che ti cresce in fondo alla pancia, annidato fra le gambe. “Sei bella!” ti sussurro, non accorgendomi dell’anacoluto evidente fra il “genere” grammaticale e quello sessuale.
Tu continui a strofinarti come una gatta contro il mio corpo, ormai asservito ai tuoi voleri. Il mio naso contro il tuo, la mia bocca sulla tua, il mio sesso insieme al tuo, fra le tue mani. Lo impugni con una presa a due mani, accogliendolo insieme al tuo sesso come due candelotti, unendoli in un solo fascio, pelle contro pelle, bagnati entrambi dal liquido prostatico che ormai li umetta abbondandemente.
Li agiti con gentilezza. Conosci la materia di cui sono fatti! Sei avvezzo alle caratteristiche esplodenti degli elementi che tratti, sempre pronti a correre verso la dirittura finale, a chi arriva prima. Ecco perché ritardi l’innesco. Li fai calmare rallentando, lasciando che prendano respiro. Soffi sul mio randello che è più esuberante e lo redarguisci con scappellotti sulle palle. Mi sorprendi. M’accartoccio su di esse. Che dolore! Mi sento stordito. Tuttavia, con gli occhi lucidi per il martirio subito, ti ringrazio per la strigliata che hai riservato al mio esuberante attrezzo.
Mi piaci perché sei un tipo deciso che sa il fatto suo. Capisco che è per il mio bene, per consentire al prossimo amplesso una maggiore durata. La sofferenza è atroce! Mi accoscio, tenendomi le palle per superare l’attimo angoscioso che mi fanno arrivare le palle quasi in gola. Mi dà un senso di nausea. Respiro profondamente per ristabilire l’equilibrio. Il dolore si attenua. Ora non c’è più pericolo di eiaculazione. Inturgidito, il randello pulsa soltanto.
Riprendi a maneggiare con cura il cannone che, capita la lezione, ha abbassato la cresta. Ti segue docile. Ora farà quel che vuoi. Lo consoli facendogli opportune moine, per fargli rialzare il capo. È tutto rosso e non per la vergogna. Poi mi dai le spalle, mentre io sto accoccolato sulla sponda del letto. Una delle tue meravigliose, lunghe gambe scavalca la mia, offrendo il didietro alle mie voglie.La tua posizione è uninvito. Dice: “Prendimi…!”.
Ti ritrovi sulla perfetta linea di tiro del mio cannone. Passi una mano sotto la pancia, tra le tue gambe; afferri la mia canna ribelle che si protende verso l’obiettivo. Con una salda presa lo guidi, mentre si avvicina pericolosamente al cruciale punto d’impatto. Lo accogli, dilatandoti, inizi a stantuffare il pistone con moderazione. Spingo con un certo sforzo, ma tu agevoli l’operazione macchinosa allargando le gambe e dilatando l’orifizio.
T’accompagno ancorandomi ai tuoi fianchi, mentre calo come un falco sulla preda. Avverto lo sforzo che sostieni nel ricevere la testata nucleare che non si trattiene più dal precipitare. Lo raddrizzi per evitare che sgusci fuori dalle ordinate del tiro.
Ansimi, perdendo il controllo che ho riconosciuto in te finora, mentre io non sono da meno e sbuffo e scalpito, spronando a sangue il mio destriero imbizzarrito. Ora spingo sempre più su, dentro di te. Voglio possederti! Tu butti indietro la testa, ti agiti, emetti un suono rauco, di sofferenza. Vorresti fuggire, ma non puoi perché ti tengo ferma sotto il mio arcione. E, invece, t’impali; agevoli lo scorrimento dell’asta che sprofonda, improvvisa, fino a raggiungere il fine corsa.
Finalmente, dopo lo sforzo iniziale, cominciamo a gustare per intero la bellezza del nostro incontro. Sono fuori di me! Godo! Vampate di calore mi attraversano il cervello, mentre una frenesia inarrestabile mi agita, facendomi muovere in su e in giù nel tuo fodero.
Carne, carne, tenera carne e ancora calda carne, morbida carne…la tua, la mia… che s’incontrano, si vogliono… si pretendono… si strappano a morsi, a brani.
Capitolo 4
Un bramito, un roco, soffocato richiamo d’amore; urlo di irrefrenabile goduria. Provo il dolce sbandamento, l’amara soddisfazione che assale quando tutto sta per compiersi; quando non si può più tornare indietro; quando si è assolto il proprio compito al meglio; quando diventa difficile continuare a concupirti.
Tu, invece, ancora pretendi; ti agiti, risucchi tutta la residua vitale potenza della mia sostanza; e ne vorresti ancora, ancora e sempre di più; ti stringi contro il pischello che traballa, non è più saldo. Cede al sobbalzo, si distorce, perde aderenza, sfugge alla presa del tuo pozzo ormai colmo, mentre il liquido pastoso, che t’ha riempita, gorgoglia fuori dalla pozza in forma di collosa materia bianca. Cola giù lungo le tue cosce che ancora non vogliono riconoscere la fine del piacere e, testarde, puntano sulle lenzuola, piegate alle ginocchia, aderendo al mio esausto campione.
Irretita dal mio urlo, rispondi con prontezza.
Frenetica la tua mano agita il testimone di nozze finora ha guardato e che ti cresce, inutile, fra le gambe. Ora pretende nel banchetto la sua fetta di torta. Avverto i tuoi nervi tesi sotto il peso del mio ingombro che arranca su di te. Tento di penetrarti, ma finisco miseramente nel vuoto, mentre crollo sulla tua schiena, ansimando.
Imperterrita continui nella tua opera auto devastatrice. Sento attraverso il calore della tua pelle, la frenesia che ti invade. Stai per raggiungere l’orgasmo anche tu! Resisti, prolungando l’agonia, mentre smanetti il tuo aspersorio per trarne, fino all’ultimo, il residuo piacere.
Uno due tre, quattro, cinque… sei… i colpi si susseguono! Ma i fuochi pirotecnici si esauriscono, le cartucce sono sparate. Crolli rovinosamente sul tuo secreto, mentre io accompagno la caduta, schiacciandoti sotto di me.
Un lungo, estenuante intervallo in cui il respiro è franto in mille pezzi, con la testa poggiata da un lato, nel tentativo recuperare le forze. Accosto le mie alle tue labbra, dopo essere scivolato giù dalla collinare ondulazione della tua schiena.
Ci baciamo, trattenendoci uno nelle braccia dell’altro!
IL soffitto mi gira intorno, mentre riprendo fiato. La visione dei tuoi fianchi, della tua pelle, la compattezza della tua carne, lo meravigliosa sensazione di estremo piacere provato, tutto mi ritorna nel girotondo, mentre immagino che la tua voce calda e profonda mi sussurri: “Caro, caro, caro, caro, amore mio! Ti voglio sempre così, così, così!” e mi baci, mi strapazzi. Un pupazzo nelle tue mani!
Invece, tu taci, giacendo al mio fianco. A che pensi?
Forse a quello che inquieta i miei pensieri. Che domani può avere il nostro amore?
La domanda è irritante, insopportabile, è indegna di un sentimento alto come l’Amore. Eppure, quante volte la realtà deve scontrarsi con il sogno? Possiamo amarci noi due, uguali, dello stesso sesso? Ma che domande mi vado facendo! Sono stizzito con me stesso, sono un ignobile verme su questa terra immonda. Ma, poi….Non è detto che debba sbandierarlo ai quattro venti! Che importa al mio vicino se mi scopo un maschio! Mi invidierà perché vedrà in lei, cioè in lui, una bella donna. Non andrà mica a toccargli le palle!
“Sei irritato, Amore?” mi soffia in faccia per allontanare la maschera scura che mi è scesa sul volto.
“No, tesoro! È che pensavo a qualcosa che mi ha rattristato.” farfuglio.
“Centro io?” mi sussurra con le labbra carnose riverse sul mio viso.
“No, amore mio! Non c’entri nulla…Pensavo a… a questioni di lavoro.” non voglio umiliarla, ma intanto… l’ho pensato.
“Ti sembra il momento? – si è sollevata e siede sulle gambe incrociate al centro del letto – Credevo che stessi pensando a me!” si mostra delusa.
“Mi accosto a lei che resta un po’ discosta, imbronciata, e l’attiro fra le braccia.
“No, no tesoro mio! Tu mi dai solo felicità, gioia, allegria. Perdonami quell’attimo di malessere che mi ha assalito.”
“Già! Una volta esaurita la carica…!” è imbronciata.
Vorrei dirgli o meglio, dirle: “Ma per te non è la stessa cosa?” ma mi astengo, capisco che l’offenderei a morte.
Le bacio il collo e continuo sulle vertebre, una per una.
“Scusami…” le sussurro ad ogni tocco.
Ora è lei ad avere un atteggiamento malinconico, perduto nel vuoto, mentre poggia il viso contro il suo ginocchio.
“Non ti preoccupare.So a che pensi…!” ma non aggiunge parola.
Mi sento un miserabile!
Capitolo 5
Mi sono addormentato. Non so com’è stato. All’improvviso non ho sentito più nulla. L’ombra è scesa nella camera. Ma dove sono? Non sto nel mio letto. Stento ad aprire gli occhi. Ho bisogno di riflettere. Ma il torpore non mi lascia. Mi sento più leggero. Il corpo è rilassato e la mente stenta a connettere. Mi invade un benessere animale.
Qualcosa di caldo, di umido mi copre le labbra. Comincio a riconoscere gli affetti! Mi stai tirando fuori a forza dalle braccia di Morfeo. Chi sei? Lo so benissimo, ma non mi interessa saperlo. Il velluto con cui avvolgi le mie labbra sosta a respirarmi sulla bocca; è il viatico che mi riporta in vita. Profumo delicato, il tuo! Senza aprire gli occhi ti cerco.
Palpo la tua fronte. A due mani scendo sulle guance. Ti impongo delicatamente i polpastrelli dei pollici sugli occhi. Le lunghe ciglia si piegano al passare delle mie dita, poi sfarfallano, titillandole. Fremo di piacere, prima di scendere con le dita verso la bocca sensuale che è pronta ad accoglierle ad una ad una, leccandole. Le tue labbra cercano il palmo delle mie mani baciandolo, prima uno, poi l’altro.
Resto immobile, mentre ti tuffi verso la mia bocca. Te ne impossessi. Labbra su labbra, t’insinui, forzando le mie, con la lingua che penetra, sfiorandomi i denti; procede verso il mio mollusco linguale che giace tranquillo sotto il palato. Lo stimoli, allacciandoti in un carezzevole nodo, piacevolmente ricambiato. Brividi di piacere!
Le mie braccia si allargano lungo i fianchi durante il tuo assalto inaspettato che m’invade. Ora le richiudo sopra le tue spalle che si fanno coccolare nel mio abbraccio. I tuoi capezzoli si strofinano contro il mio petto. Assaporo la seta dei tuoi piccoli seni. Maga! Fattucchiera, maliarda, strega lussuriosa, mia dannazione,… eterno Amore!
Ti stringo al petto, baciandoti, mentre sfreghi i tuoi genitali contro i miei. Il tuo pene si schiaccia contro la mia pancia, inturgidendosi, mentre il mio si erge, attraverso il varco delle tue gambe aperte, svettando oltre le tue chiappe che cercano di contenerlo, indirizzandolo verso il punto sensibile.
Strofinano le gambe, le mie, pelose, le tue, seriche, inseguendo il piacere dei nostri corpi.
La fame del tuo corpo strazia il mio essere; licenziosità, lussuria, lascivia, oscenità, lubricità, impudicizia mi rendono schiavo. Pronta, rispondi con inusitata protervia. Quale divinità celeste o infernale ti comanda? Attraverso la tua porta si sale verso l’empireo o dolce, o tenera creatura.
Ti copri della mia nudità, sale della mia acqua, fuoco delle mie vene, giumenta vibrante che scorrazzi per la mia prateria, valanga inarrestabile di godimento che tutto travolge. Riempi labbra, bocca; fai vibrare ogni millimetro quadro della mia pelle; soffi come in una tromba, gonfiando le cavità del mio organo inturgidendolo; lasciami svuotato, vescica inutile, come viscido mollusco che col suo peduncolo si ancora allo scoglio; prendimi, mordimi, scuotimi, squassami, svuotami, struggimi e non lasciare nulla di me prima di avermi ridotto in polvere.
Mia fastosa, sontuosa, mia piccola, micidiale Vedova nera!
P.S.: Agli amici più fedeli che sempre mi hanno sopportato e letto e, alcuni, ispirato. Grazie a Voi tutti. Non so se sarà l’ultimo racconto o ne seguiranno altri. Sappiate che vi ho tutti presenti e profondamente capiti e apprezzati. Ciao. Del domani non v’è certezza…
Spero di pubblicare presto la prosecuzione di questa storia...
Hai pubblicato anche altri racconti? Se sì, mi farebbe piacere leggerli.
Grazie!
Grazie! Questo genere di relazione è vietato dal codice deontologico... Sono contenta che ti piaccia.
Complimenti, gran bel racconto!