Skip to main content

Mena
Dopo che Mena rimase incinta, finalmente la sua famiglia e quella di Roberto si conobbero e nacque un ottimo rapporto tra i rispettivi parenti.
Mena e Roberto si sposarono in fretta e furia e pochi mesi dopo il matrimonio nacque Antonio.
La loro unione fu felice dal primo giorno. All’inizio genitori di Mena li ospitarono nella loro piccola casa al mare, per la “gioia” di Teodora, all’epoca quindicenne, che dovette rinunciare a malincuore a trascorrere le vacanze estive in quella casa. Mena sbuffò ripensando alle sue lamentele; sua sorella avrebbe dovuto imparare le giuste priorità in famiglia ed essere felice per loro, invece di pensare unicamente alle sue vacanze.
Fu nell’ospedale lì vicino che nacque Antonio: era un bimbo stupendo, robusto, in piena salute, con una bella capigliatura castana e folta già alla nascita; una gioia per gli occhi.
Adesso erano una famiglia; poco per volta, erano riusciti ad emanciparsi. Roberto si laureò e passò facilmente l’esame come professore in un liceo, Mena lavorava part time come istruttrice in palestra e badava ad Antonio. Con la benedizione dei genitori di Mena, rimasero a vivere in quella casa, dopo averla arredata e ristrutturata con i loro soldi.
Il tempo volava, a Mena non sembrava vero di aver raggiunto un equilibrio al di fuori della sua vita da monellaccia in perenne movimento. Aveva imparato a godersi gli attimi di pigrizia, il dolce restare distesa ad allattare Antonio. Mena si guardò allo specchio, il seno nudo, il capezzolo preda delle poppate del bambino, il latte che fluiva regolarmente, la serenità di un bimbo che si nutriva; chiuse gli occhi anche lei, per un breve attimo; quando li riaprì, erano già passati venticinque anni.
Il tempo era davvero volato. Erano davvero trascorsi venticinque anni; eppure, Mena dimostrava un’avvenenza non comune per una quarantacinquenne.
Non aveva più la tonicità dei vent’anni, eppure aveva mantenuto il fisico atletico e l’incarnato scuro.
Rispetto alla sua giovinezza, la pelle presentava alcune macchie solari che nemmeno le creme migliori riuscivano a contrastare e il suo sedere a mandolino era diventato leggermente più ampio e pesante, mentre le gambe erano ancora seducenti anche se leggermente più tornite.
Dopo l’allattamento di Antonio, il seno aveva guadagnato una taglia e lei era fiera di ostentare la sua quarta con delle scollature un po’ ardite, a volte. Non era più quel seno perfetto della sua adolescenza; era leggermente cadente e anche le areole erano diventate più grandi. I capezzoli, al contrario, erano rimasti uguali: due noccioline molto sensibili e reattive agli stimoli, come continuava piacevolmente a constatare al tatto.
Nel complesso, lo sapeva: il tempo era stato generoso con lei e, anche grazie alle lunghe sessioni di palestra a cui si dedicava, dimostrava almeno dieci anni di meno.
Con l’età pensava che gli sguardi eccitati dei suoi compaesani si riducessero; invece, giovani e anziani continuavano a fissarla, pieni di desideri e, probabilmente, immaginando di venire su quel viso dai tratti seducenti, su quegli occhioni verdi, sul nasino all’insù e sulle labbra carnose, mostrando palese invidia verso quel professorino di mezza età, unico destinatario (a quanto si sapeva) di tanta grazia.
Una volta, le attenzioni altrui erano un valore neutro per Mena. Adesso, erano poco più che una confortante conferma del suo ottimo stato di forma. Anche se manteneva un certo di numero di “seccatori” molto avvenenti che si erano dichiarati dispostissimi a ricoprire il ruolo di amante, Mena non aveva mai pensato a tradire Roberto né aveva mai avuto pulsioni in tal senso; le cose tra di loro andavano bene da quel punto di vista e lui continuava a lasciarle, ogni mattina, un bigliettino pieno di amore sul comodino.
L’unico altro pensiero di Mena era rivolto a suo figlio.
Crescendo, Antonio diventava un bambino forte, intelligente, appassionato di calcio. Con un carattere orgoglioso. Deciso. In famiglia lo chiamavano affettuosamente “Toni”.
Mena andava sempre a vederlo giocare a calcio e rimaneva affascinata dalla potenza fisica di suo figlio, indubbiamente il più forte della squadra.
Aveva capito che tutti gli amici di suo figlio lo avevano soprannominato “Zaniolo” con indubbio riferimento alla sua abilità sportiva ma anche con un malcelato rimando a Francesca Costa, la bella mamma del calciatore Nicolò Zaniolo.
Mena sorrise al pensiero e pensò che, in effetti, ci fosse una incredibile somiglianza tra sé stessa e Francesca Costa nonché una somiglianza altrettanto marcata tra Antonio e Nicolò Zaniolo.
Personalmente, si sentì lusingata da un simile paragone con una bella donna come la madre di Zaniolo. Non era certa che suo figlio, dall’indole molto protettiva verso di lei, fosse altrettanto contento del suo soprannome.
Con l’età Mena era diventata leggermente astigmatica e per leggere usava degli occhiali dorati con una montatura molto sottile e aveva riempito casa di occhiali per averceli sempre a portata di mano; li aveva indossati in quell’occasione per vedere meglio la partita.
Strinse gli occhi per guardare suo figlio, il corpo statuario, i capelli castani corti, la mandibola volitiva e lo sguardo attento come quello di un’aquila.
Un soprannome azzeccato, dopotutto.
La verità è che Toni era bello come un Dio greco. E lei era fiera di lui.

Toni
Zaniolo. Un cognome che lo perseguitava. Detestava profondamente quando lo chiamavano così. Non lo aveva mai confessato a nessuno ma considerava quel soprannome come il drappo rosso per il toro.
“Passate la palla a Zaniolo, tanto fa tutto lui!”, “Vai Zaniolo sei libero”, “Oggi Zaniolo offre da bere”.
Zaniolo, Zaniolo, Zaniolo.
Sorrideva con aria di superiorità, ma ogni volta avrebbe voluto strozzare i suoi compagni di squadra. Erano solo invidiosi di lui.
Non volevano di certo riferirsi alle sue doti di calciatore; semplicemente non avevano le palle di fare battute su di lei in presenza di suo figlio e allora avevano trovato il pretesto perfetto per stuzzicarlo sotto la veste di un soprannome in apparenza positivo.
La palla, passata malamente da un compagno, finì tra le gambe di un avversario.
Non importava, ci avrebbe pensato lui. Anticipando l’avversario, fece uno scatto sorprendente per un ragazzo della sua stazza e recuperò il pallone mentre gli avversari lo circondavano.
A quel punto, fece una finta che ne sbilanciò due e si ritrovò nuovamente a correre, stavolta verso la porta.
Vedeva un compagno libero e lo ignorò, proseguendo verso la porta, fingendo di non notare le risatine dei suoi stessi compagni, le braccia che si alzavano in uno finto gesto di resa.
Tutti in squadra lo invidiavano e, non potendolo affrontare direttamente, si sfogavano ghignando alle sue spalle, attenti a non farlo infuriare.
Sarebbero serviti almeno quattro compagni per fermarlo se si fosse arrabbiato davvero e molti lo temevano; nella sua squadra di calcio era indubbiamente il più forte, il più veloce, il più resistente, il più determinato.
Quasi una macchina da guerra, un attaccante dei più puri.
Puntò il malcapitato difensore evitando un intervento in scivolata a dir poco pericoloso e fu, finalmente, davanti al portiere.
Nel mondo esisteva una gerarchia implicita. In ogni gruppo esistevano persone come lui, avvezze a vincere, a intimorire.
Ad essere temute.
Gli invidiavano tutto: l’abilità, la forma fisica, la fidanzata. E anche lei. Soprattutto lei. Ogni tanto ascoltava i loro commenti quando passava a prenderlo al campo.
“Milf. Mammina porcellina. Beato lui. Chissà le seghe che si fa vivendo con lei. È proprio vero, è Zaniolo in tutti i sensi”. Ecco, questi esseri vivevano in fondo alla piramide, un gradino sopra le bestie. Buoni solo per spettegolare, godere della loro sordida complicità.
Quando tirava il pallone in porta pensava a loro. Il tiro uscì precisissimo e così forte da spaventare gli avversari meno avvezzi, da crepare un muretto di cartongesso.
Paradossalmente, gli sembrava che la rabbia l’aiutasse a giocare meglio.
Il momento dopo il gol era quasi deludente. Il vero attimo soddisfacente era quello dello sfogo, dell’esibizione dei propri muscoli e dell’inadeguatezza altrui.
Tornate nelle vostre tane a uccidervi di seghe, pippaioli. Toni vi ha umiliato, tanto per cambiare. Fine della partita.
Poi, stremato, guardò verso gli spalti e vide lei. Sua mamma. Era venuta a prenderlo e lo guardava felice, applaudendo come la migliore delle fan.
Le fece un cenno di saluto e le disse che arrivava subito, il tempo di una doccia.
Il momento della doccia negli spogliatoi era altrettanto soddisfacente; aveva dimenticato di precisare di essere anche il più dotato del gruppo. Non era un esibizionista, ma si divertiva a notare le occhiate piene di frustrazione dei compagni alla vista del suo pene.
Madre natura era stata generosa in tutto con lui. Anche da moscio, era evidente la superiorità del suo randello rispetto ai peni dei suoi compagni. Era un po’ la sintesi delle loro differenze: le stesse che potevano esserci tra un lupo e dei cani.
Lasciò scorrere l’acqua sul suo corpo massiccio, sui suoi muscoli perfetti; il calore lo aiutava a riprendersi, gli toglieva di dosso la stanchezza.
Soddisfatto, si ritrovò a massaggiarsi distrattamente il membro, sentendo un immediato senso di eccitazione, il sangue che induriva piano il suo corpo cavernoso.
Come sempre dopo una partita vinta, quella sera avrebbe fatto sesso con Anna, la sua bella fidanzata; chiunque altro avrebbe benedetto l’altissimo per la fortuna di stare con una simile bellezza. Invece Toni sapeva che non era tutto oro ciò che luccicava.
Il primo lato negativo di Anna era la battuta pronta. Se avesse usato quella stupenda bocca solo per fare contento il suo uomo, sarebbe stato un mondo migliore.
Invece ad Anna piaceva fare battutine, provocare, essere ironica su tutto e con tutti. Incluso lui.
Toni non era un musone né era privo di senso dell’umorismo, però ammetteva di essere orgoglioso e discretamente permaloso.
Ci sono fatti su cui sarebbe bene non scherzare e ognuno di noi dovrebbe avere la sensibilità di capirlo.
Ma c’era dell’altro. Anna tendeva a prendere troppa confidenza con gli altri. Sembrava godesse nel fare la profumiera, l’arrizzacazzi, nello stuzzicare gli uomini nonostante fosse fidanzata.
Doveva ammettere che Anna non aveva mai avuto comportamenti fuori luogo o detto parole inappropriate ed era abbastanza convinto non l’avesse mai tradito, però come spiegare altrimenti la sua tendenza a vestire provocante? Il piacere negli occhi della sua ragazza quando notava gli sguardi eccitati altrui? Le labbra sensuali arricciate in un sorriso divertito quando i ragazzini si giravano contemporaneamente a guardarla passare?
Al pensiero che Anna flirtasse con altri, l’erezione di Toni scemò. Non le avrebbe mai dato la soddisfazione di renderlo uno zimbello e non l’avrebbe nemmeno mai lasciata.
In realtà Anna era solo l’ennesimo oggetto di invidia altrui. Se l’avesse lasciata avrebbe scatenato le solite malelingue e l’onnipresente banda di arrapati bavosi che le avrebbero scritto in chat un minuto dopo aver visto lo status “single” suo social network.
Che rimanesse lì, il suo ennesimo trofeo da invidiare.
Doveva sbrigarsi ad uscire dalla doccia, sua madre lo stava aspettando.
Sentì nuovamente il suo cuore pompare forte, la mano muoversi leggermente, il membro risvegliarsi, la cappella gonfia muoversi di vita propria. Fermò la mano prima che il suo cazzo raggiungesse i suoi venti centimetri di erezione completa e accantonò l’idea di sfogarsi lì.
Era in ritardo e non voleva far aspettare l’unica persona che tenesse davvero a lui.
Vide Mena corrergli incontro mentre usciva dal campo e la abbracciò forte; lei, affettuosa come sempre, lo baciò sulle guance, entusiasta come una tifosa che vede uscire il proprio idolo dagli spogliatoi: “sei stato bravissimo amore di mamma, erano tutti si tuoi piedi! Ho visto il difensore provare a farti male e lo hai comunque umiliato, ben gli sta! Hai segnato un gol da urlo!”; gli diede un altro bacio sulla guancia, mettendosi in punta di piedi.
Toni sorrise notando il sincero entusiasmo di sua madre e iniziò a sommergerla di dettagli tecnici sulla partita e sui gol, quando notò gli altri compagni raggiungerli, i pesanti borsoni a tracolla. Notò un paio di gomitate tra due suoi compagni di classe mentre guardavano sua madre. Prese nota mentalmente di causare loro qualche piccola, involontaria, contusione in allenamento.
A parte questo, gli altri erano troppo esausti dalla partita e si limitarono a salutare “Zaniolo” senza particolari commenti.
Mena riprese il discorso, prendendo sottobraccio suo figlio: “stasera esci con Anna, vero?” Toni rimase stupito: “sì, già lo sapevi?”
Mena gli mostrò il suo sorriso smagliante e rispose “chi ti conosce meglio di tua madre? Lo so che quando vinci vuoi stare in sua compagnia”.
Toni arrossì e Mena, rassicurante, proseguì “e fai bene, devi festeggiare i successi e fare quello che ti rende felice, sempre; dove la porterai?”
“Volevamo andare a cena fuori stasera e in seguito a vedere un film da lei. Suo padre è fuori casa e pensavo di dormire da lei stanotte”.
Mena annuì, sorridendogli e accarezzandogli la guancia: “certo, parlerò io con papà, tu pensa a divertirti, amore di mamma”.
Toni sorrise e la abbracciò, sentendo il tocco freddo degli occhiali della madre sul suo viso, il fremito del ragazzo nascosto dalla risata e dalle chiacchiere di mamma.

Anna
Anna non era solo una bella ragazza, era una vera e propria modella mancata.
Amava truccare di nero e grigio gli occhi brillanti e intensi, scuri e decisi, conferendo al suo sguardo un magnetismo notevole.
Le bastava fissare un uomo, sorridendogli appena, per vedere il poveretto impazzire di desiderio.
Uomini. Tutti uguali. Prevedibili come i cagnolini che, con la bava alla bocca, fissano assorti la tavola apparecchiata implorando un boccone.
E che tavola. Il suo corpo, il suo volto, il suo sorriso erano un richiamo irresistibile.
Pelle liscia e olivastra, una somiglianza marcata con Dua Lipa, la top model. Capelli neri mossi di media lunghezza, occhi neri, labbra carnose, sempre perfettamente truccata.
Appassionata di nuoto, amava mostrare il suo fisico tonico. Un metro e settanta per sessanta chili, una seconda di seno tonda e perfetta. Un sedere degno di Miss Italia e benedetto dal vigore della giovinezza.
Non vestiva mai in maniera troppo provocante, era pur sempre fidanzata. Preferiva indossare jeans aderenti o gonne lunghe e maglie e giacche leggermente scollate o con camicette. Quando usciva da sola, come quel giorno nel negozio di scarpe, si concedeva un dettaglio nascosto, un perizoma, una scollatura eccessiva, una leggera trasparenza, un reggiseno dimenticato, un rossetto rosso acceso. Le piaceva lasciare degli spiragli, dei sentieri per l’immaginazione. Delle esche.
Infatti, nonostante il suo fisico, Anna era convinta che non fosse solo quello a renderla così desiderabile. Quello che serve, per sedurre un uomo, non è tanto la bellezza, quanto essere sexy: raffinatamente sexy.
È facile sedurre un uomo con il sesso; provate a sedurlo solo con uno sguardo furtivo o un movimento impercettibile delle labbra. Una ragazza davvero sexy si avvicina e si allontana, tiene l’uomo come un giocattolo di cui disporre a piacimento.
Anna amava provocare, utilizzare il suo fascino per vedere fino a dove un uomo potesse spingersi per attaccare bottone con lei.
Se n’era accorto anche il commesso del negozio di scarpe, un bel ragazzo non particolarmente esperto di scarpe femminili ma che di colpo si era riscoperto un perfezionista.
Le aveva fatto provare decine di paia di scarpe, chiedendole informazioni sul vestito con cui le scarpe sarebbero state abbinate e sorridendo dopo che Anna gli mostrò sul telefono la foto del vestito indossato da una modella con una scollatura notevole.
Era evidente che il ragazzo avesse immaginato il seno di Anna in vista con una scollatura del genere.
A lei non dispiacevano tutti quei cambi di scarpe, trovava riposante sentire le mani del ragazzo che le sfioravano appena i piedi quando calzava un nuovo paio, le dita affusolate del suo piedino che si muovevano ritmicamente sfoggiando unghie perfettamente laccate di rosa.
Al contrario, il poveretto non sembrava affatto rilassato, anzi. Guardava nervosamente sotto la gonna di Anna, cercando di cogliere un accenno del suo pube tra le gambe accavallate.
Chissà che avrebbe fatto se avesse notato che Anna era senza mutandine.
Uno dei doveri di una nuotatrice è quello di essere sempre impeccabilmente e totalmente depilata.
Forse lo aveva notato, come dimostravano il gonfiore evidente sotto ai pantaloni, le mani nervose che ogni tanto scendevano a cercare di nasconderlo.
Anna sorrise. Cosa fa scattare la molla e fa impazzire i nostri ormoni? Nessuno lo sapeva realmente.
La sua opinione era che bastasse osservare gli uomini, assumere il loro punto di vista, lanciare loro un’esca e aspettare che ci cascassero; provocare una vibrazione, insomma.
Poi, dare il colpo di grazia, con discrezione.
“Ti ringrazio caro, penso che prenderò queste décolleté slingback color argento; si abbina perfettamente con l’abito. Mi piace anche il tacco alto e molto sottile, elegante.”
Il ragazzo annuì estasiato e, prima che potesse parlare, Anna proseguì: “vuoi andare in magazzino a prendermi un paio nuovo?” Sorrise, scoprendo i denti bianchissimi, distendendo le labbra piene: “io ti aspetto qui, fai con calma”.
Notò divertita il commesso annuire ancora e allontanarsi senza recarsi nel magazzino, bensì correndo nel bagno di servizio da dove uscì dieci minuti dopo, visibilmente più calmo a seguito di un’appagante masturbazione in onore della sua impudica cliente priva di mutandine.
Uomini. Tutti uguali.
Tranne lui. Anche dopo nove anni di fidanzamento, Toni restava un mistero per lei.
Erano coetanei; Anna era stata sua compagna di classe e fidanzatina sin dalle superiori. Nonostante tutte le sue pose e i suoi sguardi maliziosi, era stato l’unico uomo nella sua vita amorosa.
Tornata a casa, Anna si preparò per la serata e, vestendosi, ripensò ai loro primi tempi assieme.
Era rimasta fin da subito affascinata da Toni, dalla sua bellezza e dal suo fisico statuario; visti da fuori sembravano una coppietta stereotipata da film americano di serie B: il capitano muscoloso della squadra di calcio e la bella nuotatrice un po’ stupidina.
Però, in realtà, quello che le piaceva davvero di lui era la sicurezza che riusciva a trasmetterle, la tranquillità che infondeva il suo stato di calma, il suo carattere deciso, il rispetto e la paura negli occhi dei suoi compagni di scuola.
Uscendo di casa, Anna ripensò a sua madre, venuta a mancare poco dopo averla partorita; Luigi, il padre di Anna, era sempre stato molto protettivo verso di lei, viziandola come una principessa senza farle mancare mai nulla.
Forse cercava a scuola quella stessa sicurezza di cui aveva sempre goduto a casa.
Ma c’era dell’altro. Provava sempre un brivido nel notare gli sguardi di impotente desiderio degli altri nel sapere quanto lei fosse irraggiungibile. Nessuno si sarebbe azzardato a provarci con lei per rischiare di finire con un occhio nero.
La verità è che Toni era anche la barriera perfetta tra sé e il resto del mondo, lo schermo dietro al quale poter giocare in tutta sicurezza come una ninfa tentatrice.
Sovrappensiero, lo sentì suonare il clacson sotto casa e lo raggiunse dentro l’automobile.
“ciao amore mio” le disse Toni baciandola gentilmente sulle labbra. Il ragazzo era particolarmente affettuoso e ciò, paradossalmente, provocò un lieve fastidio in Anna: “Hai stravinto la partita, vero?”
“Dovevi vedere le loro facce, quando scuotevano la testa e si sbracciavano” disse Toni, mimando divertito un gesto un po’ effeminato da “checca spaventata” e ridendo della sua stessa sceneggiata.
Anna scosse la testa e rise, muovendo appena i seni ben in vista nella scollatura del vestito e di colpo sentì lo sguardo di Toni su di lei che per l’occasione aveva indossato un vestito blu aderente. Era un abito scollato con due spalline molto sottili e che scopriva totalmente la schiena, con uno spacco laterale fino a terra che lasciava quasi tutta la coscia scoperta.
“Ma che vestito hai messo? Non ti sembra un po’ troppo scoperto? E il reggiseno dov’è?”
Anna sbuffò, fingendo un adorabile broncio e disse che quel vestito non si prestava molto all’uso del reggiseno e, nel farlo, gli mostrò meglio la scollatura.
Sedotto, lui le poggiò spudoratamente una mano dentro la scollatura e afferrò dolcemente uno dei suoi seni, soppesandolo come un pompelmo profumato e le diede un altro bacio, stavolta molto più appassionato e rispose: “E va bene, tanto ci sono io qui con te e poi l’abito mi piace. Andiamo, al ristorante ci aspettano”.
Fu una serata piacevole. Toni la portò nel ristorante più romantico di un Paese vicino; il posto era raffinato, con luci soffuse e rose fresche ai tavoli.
Era di ottimo umore dopo la vittoria e bevve un paio di bicchieri di vino mentre raccontava ad Anna degli aneddoti divertenti su Zia Teodora che, da brava cristiana bigotta, aveva steso sul balcone di casa dei teloni con dei simboli religiosi per esorcizzare il passaggio di un corteo del Gay Pride sotto la sua abitazione.
Anna approfittò del discorso per una delle sue solite frecciatine: “molto divertente, tua zia è sempre la solita finta puritana. Fa tanto la perbenista cattolica quando in realtà si è separata da tuo zio Sergio e ti dirò, ha fatto bene! Quello è sempre perennemente infoiato, tutte le volte che lo incontro non mi schioda gli occhi di dosso, chissà quante corna le avrà messo!”
Toni sembrò rabbuiarsi “credi sempre a tutti i pettegolezzi del Paese? Ignorali, mia zia si è separata perché era infelice con lui. Che altro avrebbe dovuto fare? Nemmeno una santa avrebbe potuto sopportare quel tipo! Però non so se è mai stata tradita dallo zio Sergio, sicuramente le malelingue non lo sanno e non dovresti credergli!”
Anna si intestardì: “Credo a quello che vedo. Mi sembra che sia tu a ragionare per partito preso quando si tratta della tua famiglia”.
“La famiglia è tutto, Anna. Senza famiglia non siamo nulla. Adoro mia zia nonostante le sue stranezze e spero che un giorno farà pace con zio Sergio. Lo spero anche per il bene dei miei cugini. Non è bello vivere in un Paese in cui tutti sanno che tuo padre non vive più con tua madre”.
Complice il vino, Anna si sentì avvolgere dal demone della polemica: “è proprio questo il tuo problema, Toni. Tu vivi aggrappato a questo mondo di Paese, alla tua famiglia, alle tue partite, come se non ci fosse altro. Sei forte, probabilmente il miglior calciatore del Paese. Potresti giocare serenamente in una squadra di professionisti in città e non lo fai, perché? Preferisci passare le giornate a sfogarti battendo quelle pippe dei tuoi compagni, come una Ferrari che gode a compete con le 500. Non hai mai pensato che là fuori ci sia un mondo? Non hai delle ambizioni? Non hai dei progetti?”
Toni fece una smorfia, evidentemente colpito in un punto delicato e rispose sarcastico: “oh guarda, e io che credevo che bastasse essere felici nella vita. Adesso so che il mio obiettivo dovrebbe essere quello di diventare ricco e famoso! E magari infelice e lontano dai miei cari, lontano dalla mia bellissima fidanzata!”
“E soprattutto lontano da mammina che ti lava le mutande e ti cucina la cena” questo avrebbe voluto dirgli. Invece Anna si morse la lingua, e si limitò a sorridere ambiguamente, arricciando le labbra piene e cambiando argomento.
Il resto della serata fu piacevole; passeggiarono abbracciati per le vie del centro e passarono da un Luna Park dove ad Anna parve di tornare bambina, provando le giostre mentre Toni la guardava rapito.
Quando rientrarono a casa di Anna, era quasi l’una ed erano soli. Il padre era fuori per un convegno aziendale e iniziarono a baciarsi appassionatamente sin dalla soglia, le lingue che si accarezzavano e le labbra infuocate di passione.
Rimasero avvinghiati fino al letto sul bordo del quale lui la fece distendere e, inginocchiandosi davanti a lei, mise le mani sotto la gonna forzando lo spacco laterale. Afferrò e le tolse di dosso le sue mutandine con decisione, quasi strappandole e infilò la testa sotto la gonna, ammirando il pube liscio della sua fidanzata.
Iniziò a leccarle la vulva con grande trasporto, mentre lei si aggrappava sulle lenzuola e contraeva le dita dei piedi, ora in preda a scariche di eccitazione.
Toni era estremamente eccitato e non poteva resistere a dirigere quella scena secondo i propri desideri, quindi, con un pizzico di delusione di Anna, si spogliò e rimase in piedi, accarezzandole le labbra con desiderio e avvicinandole piano il volto al suo membro duro come il marmo.
Anna sorrise e gli baciò il grosso glande umido e rosso varie volte, piano, sulla punta e sui lati e proseguì con dei soffici baci lungo l’asta, alternandoli a piccoli morsi.
Toni gemeva, godendosi quella prestazione tanto richiesta: “ti prego succhiamelo. Prendilo tutto in bocca”.
Senza farsi troppo pregare, Anna accolse il cazzone del fidanzato in bocca, infilandone una buona parte nel palato.
Toni aveva proprio un grosso bastone, lungo e piuttosto massiccio. Le prime volte era stato strano per Anna sentire quel randello riempirle la bocca e aveva sempre avuto difficoltà a prenderlo integralmente fino in gola, rischiando i conati, complici le mani forti di Toni sempre premute sulla sua testolina e desiderose di sentirla scendere sempre di più, fino al pube del ragazzo.
Con l’esperienza Anna aveva imparato a gestirlo e a ora andava su e giù con la testa senza bisogno di particolari forzature: le bastava risucchiare in maniera costante la sua stessa saliva, mista agli umori del suo cazzo, lasciando che i residui le colassero dalle labbra e gli scivolassero lungo l’asta.
Generalmente Toni si godeva la bellissima la fellatio della fidanzata fino a quando non sentiva l’orgasmo salire e la sborra pronta a schizzare, lasciando che Anna ingoiasse il suo sperma senza mai interrompere il suo risucchio costante.
Stavolta, Toni lo tirò fuori dalla bocca di Anna e raccolse inspiegabilmente i suoi pantaloni.
“Amore, facciamo come nei film porno, metti questi!” e le passò degli occhiali da vista, tirati fuori dalle tasche dei propri pantaloni.
Anna raccolse gli occhiali un po’ perplessa; cosa aveva in mente il suo ragazzo? Dentro di sé fece spallucce e li indossò.
Capì pochi secondi dopo quando Toni le avvicinò il cazzo ormai palpitante al volto e, dopo averlo scappellato un paio di volte, urlò per l’orgasmo e i suoi densi schizzi di sperma bollente le colpirono il volto e gli occhiali.
Sentiva il calore dello sperma di Toni sul viso e in bocca e si domandò che fantasia fosse mai quella, non ne avevano mai parlato; nel frattempo il suo ragazzo le strofinava il cazzone sul viso e sulle guance sporcandole le labbra e smuovendole gli occhiali, che lei tolse con un gesto lento.
Toni, esausto, si stese sul letto accanto a lei che, lentamente, iniziò a pulirsi lo sperma dal viso con un fazzoletto di carta; rimasero stesi, in silenzio, per una decina di minuti finché Anna non gli chiese spiegazioni sugli occhiali.
“Sì, amore me li sono portati appresso perché da un po’ fantasticavo di fare come in alcuni film porno in cui gli attori vengono in faccia alla protagonista che porta un bel paio di occhiali. Ti ha dato fastidio?”
Anna non voleva sembrare pedante: “Non mi è dispiaciuto amore, però avresti potuto parlarmene! Dove hai preso gli occhiali? Sembrano occhiali da astigmatici, mi è bastato metterli un attimo per capirlo.”
“Ecco, non ricordo. Forse li ho comprati a caso in una bancarella” e sorrise, aggiungendo: “sei pronta per il secondo round?” e iniziò a baciarla, a stringerla e a strusciarle il suo cazzo barzotto contro il sedere di Anna che iniziò nuovamente ad eccitarsi.
Toni abbassò la spallina dell’abito di Anna quel tanto che bastava per liberarle il seno e permettere alle sue mani di stringerle la pelle liscia dei seni e i capezzoli facendole quasi male; lei si scoprì nuovamente eccitata e iniziò a stringere con la mano il bastone duro di Toni; sentì il glande scoperto umido, e le vene pulsare lungo l’asta carnosa.
A quel punto, alzandole la gonna quel tanto che bastava, Toni la tirò deciso verso di sé e, quasi anticipandolo, Anna si piegò in avanti assumendo una perfetta e invitante posizione della pecorina.
Stavolta è il solito Toni, pensò divertita Anna; il ragazzo fece scorrere la cappella gonfia e turgida contro il suo sedere perfetto e facendo gemere di piacere Anna che, in un attimo, sentì le sue piccole labbra cedere di fronte a quella forza della natura.
Nel momento in cui il cazzo di Toni la penetrò interamente, Anna si lasciò andare ad un gemito liberatorio. Una bella cavalcata era quello che ci voleva. Sentì delle vampate di piacere mentre Toni le stringeva il seno e spingeva come un ossesso, preda di un istinto bestiale.
Scoparono con vigore, la luce della luna che li avvolgeva come un manto, il loro sudore che si mischiava, il ritmo dei loro corpi che finalmente avevano trovato un perfetto coordinamento tra le spinte poderose di lui e le contrazioni di lei, fino a quando Anna sentì, finalmente, arrivare il proprio orgasmo. Urlò di piacere, i liquidi vaginali che colavano sulle gambe della ragazza e sul letto.
A quel punto anche Toni arrivò al culmine, quindi si allungò sulla schiena di Anna, le afferrò i seni e stringendola con forza scaricò il suo possente carico d’adrenalina nella vagina dilatata della fidanzata.
Eruttò cinque, sei fiotti di sperma caldo dentro di lei e, come sempre dopo esserle venuto dentro, si adagiò a baciarle la schiena liscia e perfetta sussurrandole: “Finalmente.”
Anna lo accarezzò teneramente e, dopo qualche minuto, si spostò leggermente per non essere schiacciata da quel ragazzone, sentendo un lieve dolore, una sensazione di vuoto, nello sfilarsi il membro barzotto di Toni dalla vagina.
Alla fine, Toni si rialzò, le baciò il collo e le disse che sarebbe andato a farsi una doccia.
Anna rimase sdraiata, il tempo di fare qualche respiro profondo e di asciugarsi il sudore misto a sperma sul suo volto. Il suo bel vestito era distrutto, quasi a brandelli. Sentiva un abbondante flusso di sperma defluire dalla sua vagina; per fortuna prendeva la pillola.
Mentre Toni era in bagno, Anna ripensò alla loro imbarazzante prima volta. Già a quel tempo Toni era un Adone, con un fisico incredibile e una verga notevole. Era un Adone impacciato, goffo, stranamente distratto. Fu anche piuttosto doloroso, visto che lei non era ancora abituata ad aver a che fare con un randellone come quello del suo ragazzo.
L’abitudine aveva reso i loro successivi rapporti sessuali molto più soddisfacenti, eppure.. Eppure.
Eppure, non pienamente soddisfacenti. Anna rimproverava spesso a Toni di essere troppo abitudinario, legato ai suoi riti, al suo piccolo mondo di Paese. Ma in realtà ciò era vero anche dal punto di vista sessuale.
In nove anni di fidanzamento avevano fatto sesso quasi sempre alla pecorina. Molto raramente avevano cambiato posizione, Toni non lo apprezzava molto. Tutti le facevano complimenti spudorati sul fatto che fosse identica a Dua Lipa. Si chiese quale ragazzo, potendolo fare, preferisse scopare senza guardare in faccia Dua Lipa. Ad ogni orgasmo dentro di lei, solo un banale “finalmente” a sugellare la soddisfazione di Toni.
Uomini. Non che a lei dispiacesse essere montata con la foga che le riservava il suo ragazzo, però ogni tanto sentiva il desiderio di cambiare ritmi, cambiare modalità. Quel singolo, quasi meccanico, orgasmo vaginale ogni tanto non le bastava.
Quando Anna gli aveva detto di essersi fidanzata con Toni, suo padre sembrava contento. Aveva espresso molti pensieri positivi verso il ragazzo, però aveva concluso il discorso con una frase un po’ criptica: “la mia unica speranza è che la vostra sia sempre una relazione trasparente, sincera”.
Sorrise ripensandoci; suo padre era sempre stato apprensivo ma non altrettanto diretto a volte. La sua discrezione era tale da non avere spesso il coraggio di dire in faccia a sua figlia di nutrire qualche perplessità su Toni e sulla sua capacità di aprirsi con lei.
Forse c’era un fondo di verità nelle preoccupazioni del padre.
La verità è che a volte lei non lo capiva e lui non faceva nulla per farsi capire. Toni restava un mistero. Sembrava vivere in un suo mondo, fatto di abitudini, di sfide immaginarie, di strane frustrazioni, di tensioni, di fantasie. Ultima quella degli occhiali. Perché non glielo aveva mai confidato?
In una coppia ci dovrebbe essere tensione, possibilmente positiva, a livello di affetto e di desiderio sessuale.
Anna pensò che fossero senza dubbio una coppia di tensioni, nel bene ma anche e purtroppo nel male.
Non litigavano mai apertamente, forse avrebbero dovuto. Quantomeno avrebbero sfogato le loro reciproche tensioni. Stesa sul letto, si ritrovò ad accarezzarsi pensierosa le cosce sode; lei ne era la riprova: soddisfatta ma non del tutto, in tensione eppure irresoluta sul da farsi. E, sorridendo maliziosa, decise di concedersi un terzo round con sé stessa.
Aprì leggermente le gambe e con una mano iniziò ad accarezzare le labbra della sua vagina; le sentì ancora calde e umide e iniziò piano a stimolare il suo clitoride, con movimenti circolari crescenti; non appena lo sentì duro come una monetina, infilò delicatamente le dita nella sua fessura bagnata e implorante attenzioni. Rabbrividiva di piacere avvertendo la mano sbattere ritmicamente contro il pube liscio e depilato, le dita e la fica ben lubrificate dai suoi liquidi e dallo sperma di Toni, dentro e fuori. Sempre più veloce.
Dopo pochi minuti, raggiunse un orgasmo intenso, appagante, completo. Il suo clitoride era la ciliegina sulla torta. Una torta che tanti avrebbero desiderato, poveri loro.
Rimase tutta piegata su sé stessa, ansimando e gemendo, nel gustare l’orgasmo. Finalmente soddisfatta, stava cercando di ripiegare il vestito senza stropicciarlo ulteriormente quando sentì un telefono vibrare. Notò che non era il suo telefono, doveva essere quello di Toni. Gli stavano arrivando dei messaggi. Molti messaggi.

2
54

Leave a Reply