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Nanà – Capitolo 1

By 8 Marzo 2020Aprile 2nd, 2020No Comments
“Ciao Roby!” gridò Luana, rientrando a casa. Intanto si sfilava le scarpe tacco 10 che l’avevano sostenuta tutto il giorno. Non le reggeva più. Tutto il giorno impegnata in promotional mix. Su e giù tra il marketing chief ed i clienti; continuamente impegnata in brainstorming e customer-briefing per sviluppare le strategie migliori di vendita delle miriadi di prodotti che la sua multinazionale doveva pubblicizzare. 
 
Gambe e piedi gonfi. Dalle sette della mattina alle nove di sera diventa una tortura stare in piedi con quei trampoli. Non erano poi esagerati, ma non poteva farne a meno per rendere più slanciata la personcina. Non raggiungevano il tormento del tacco dodici, ma anche così non ce la faceva. Una corsa continua, da quando ti alzi, la mattina, a quando ti vai a seppellire nel letto, la sera. Rifiatò di soddisfazione. Si sentiva meglio in pantofole.
 
Buttò le chiappe del suo culo sulla poltrona e sospirò, massaggiandosi le caviglie. Un’altra giornata era passata. 
“Robyyyyy….!” chiamò lamentosa, senza avere risposta.
“Cavolo di uomo…” sbottò. Che cazzo d’importante stava facendo per non salutare nemmeno. Eppure la giacca era all’attaccapanni, le scarpe slacciate giacevano in un angolo della stanza…”Quante volte devo dirti – abbassò la voce sfumando in un non detto – di non…”. Avrebbe voluto rimproverargli di essere disordinato, pretendendo che mettesse le calzature al posto, nella scarpiera. Ma l’evidenza della sua cattiva coscienza le balzò agli occhi: le due décolleté che s’era sfilate dai piedi giacevano al centro della stanza a distanza, fra loro, di un metro e mezzo una dall’altra.  
 
Adagiate di lato sul pavimento,sembravano due navi che stavano lentamente affondando. Le raccolse, insieme a quelle di lui. Sbuffò, andò al guardaroba; le poggiò sul ripiano posto in basso, sotto i vestiti. Passando, la specchiera le fece un fischio. Si soffermò, rimirandosi; si riavviò i capelli, aggiustando il garbo. Carina, sì…; un po’ troppa ciccia sui fianchi; il sedere a mandolino…Beh… non proprio, forse un po’ abbondante. D’altronde anche la Merkel…! Sorvolò, canticchiando.
 
“Dove staiii?” – benedett’uomo, mai che si trovasse al posto giusto. Aveva un po’ di astio nei suoi confronti. Non che fosse giustificato, perché riconosceva che lui fosse molto buono, remissivo, servizievole; un po’ troppo, forse. Mai a contraddirla, come dovrebbe fare un vero uomo…! No, non voleva dire questo. Neanche che lei fosse un’attaccabrighe. Anzi era molto comprensiva, generosa anche, specialmente al lavoro, ma quell’uomo l’esasperava. Non era stato sempre così. 
 
Si sedette sulla cassapanca un attimo a pensare. Già non aveva neanche la forza di pensare. Si sentiva confusa. Sospirò rumorosamente e si trascinò in camera da letto. Il crepitio dell’acqua che scorreva l’accolse. Ecco dov’era! Sotto la doccia, in bagno. “Quante volte t’ho detto che devi usare l’altro bagno, nella camera di servizio!” gli gridò attraverso i vetri opacizzati dal vapore dell’acqua calda.
 
La doccia si schiuse quasi subito, vomitando nuvole di nebbia bollente. Dopo un attimo di esitazione un essere allampanato, magro come un chiodo,gocciolante, con i capelli attaccati al cranio che denunciava l’inizio di una incipiente calvizie, apparve al dissolversi del vapore acqueo che l’aveva preceduto come per sfuggire a una forzata compagnia. Lo sbirciò in tralice, quasi di sfuggita con un certo senso di ripulsa.
 
L’uomo cercò affannosamente di ingraziarsi le simpatie della sua interlocutrice con un sorriso ebete che si espanse sulla faccia. “Mi dai l’asciugamano alla tua destra, per favore?” chiese. Gli lanciò l’asciugamano. “E copriti!” lo riprese, gettando un’occhiata traversa al minuscolo ingombro che gli si affacciava tra le gambe, come un pulcino bagnato. Era quella, forse, la causa del suo livore!
 
Lei era una donna forte, sana, di ventisette anni, e che diamine! Proprio a lei doveva capitare un pistolino piccolo a tal punto da non arrivare a soddisfare i suoi giustificati appetiti sessuali. Si sentiva frustrata nelle sue aspettative. Eppure lui era alto.. sì, non era un “maciste”, ma… E come faceva a saperlo prima! A caramella scartata era già sposata.
 
A chi doveva schiacciare la testa? A sua madre! “Devi arrivare al matrimonio pura e illibata!” era l’imposizione. E lei, stupida, l’aveva ascoltata. Meglio le ragazze di oggi che se ne fregano e fanno mille  di pippe, prima di scegliersi il cannolo che dà più gusto! Eppure, quasi mai restano soddisfatte. Quante amiche le raccontavano le misure dei loro “ganzi”, non è detto che fossero mariti. E quante, più giovani di lei, rifiutavano la “merce” per un motivo o per un altro.
 
Boh! Ormai la frittata era fatta e doveva mangiarla. Sconsolata, le sfuggì un respiro profondo dal petto. Sospirò attraverso la gorgia che finiva nel rigonfiamento dell’inizio di doppio mento, uscendo allo scoperto attraverso le guanciotte piene che si ritrovava. Intanto si spogliava.
 
L’armadio a specchio la seguiva in tutte le sue operazioni e, ora le trovava un foruncolo, ora un neo che non ricordava di avere; finché non arrivò a denudare il seno. Le piaceva quel seno piccolo ma ben teso. Non è da tutte averlo così. Beh, certo se fosse stata un po’ più magra sui fianchi… Ma a lei non interessava. Si sentiva bene così! E chi la sfotteva perché sembrava grassa …che andasse in malora!
 
Si girò verso il letto, quando sentì un soffio caldo umido sul collo seguito da un bacio. Roby! Decise di prenderselo così com’era quell’unico uomo che aveva a disposizione. Con una mossa di Seoi Otoschi lo fece volare davanti a sé, rovesciandolo pancia all’aria sul letto, il loro tatami! Conosceva lo judo e fu talmente ben fatta quella mossa che il trentacinquenne avversario restò stordito e indifeso, nudo, col piccolo pene inturgidito tra le gambe e che, preso in contropiede, ora minacciava di crollare miseramente.
 
In un attimo lo immobilizzò, bloccandolo in un Kesa gatame prima di salirgli sopra. Non che lui si tirasse indietro, perché gli faceva piacere quella sorta di angheria a cui lo sottoponeva la sua donna. Solo che lei era un po’ violenta quando prendeva l’iniziativa; ed era sempre lei a prenderla. Luana, Nanà per gli amici, avrebbe voluto che fosse l’uomo a corteggiarla prima di arrivare al dunque, ma sapeva che se l’avesse lasciato fare sarebbe finita in un desolante nulla di fatto.
 
Se lo ficcò tra le gambe approfittando dell’inturgidimento del membro. Ora poteva iniziare la cavalcata all’amazzone. Dettava legge, sia in tempo che in profondità. Se lo fece scivolare in tutta la lunghezza, non eccessiva, purtroppo, fino alle palle. L’importante era che le strofinasse la clitoride e che la penetrasse il giusto. Si agitò, si mosse, fino a che non lo sentì eiaculare con un caldo flusso che le bagnò la guaina interna del condotto, la vagina, insomma. Crollò sul corpo di lui, agitandosi freneticamente in conseguenza dell’orgasmo in corso, fino ad esaurire le spinte in un “Ooohhhh!” liberatorio.
 
Lui s’era già acquietato. A lei non restava che smontare, lasciando il cavallo allo stato brado, ed emise il solito sospiro: “Ah!” – che voleva dire: “Fosse durato di più…!”. Roby s’era addormentato. (segue)
Nina Dorotea

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