Skip to main content
Stette un po’ lì,immobile, sdraiata,la testa sul cuscino, le braccia sotto la testa, lo sguardo perso al soffitto. Il respiro tranquillo di Roby cominciò a darle ai nervi. Si alzò, evitando ogni rumore, infilò le babbucce col pon-pon bianco che erano accanto al letto e la vestaglietta corta a kimono, che lasciò aperta sul davanti, e andò in bagno. Chiuse la porta con cura. Illuminò la specchiera, allungando la mano verso il sensore dei faretti a led. La luce si soffuse sul retro dello specchio, rivelando la sua figura. Gli angoli più lontani della stanza rimasero in penombra. Si ammirò, girandosi da tutti i lati. Si piaceva, anche nelle parti più “rotonde”. D’altro canto aveva soltanto ventisette anni. Si sfiorò il nasino a patatina. Le dava l’aspetto di una bella maialina. Si accarezzò, lisciandosi scrupolosamente centimetro dietro centimetro. La pelle le restituì la sensazione tattile del velluto di una pesca.
 
Un calore intenso le attraversò il corpo, salendo dall’utero al cervello per ridiscendere. Evidente:  era ancora insoddisfatta! Prese da un cassetto l’astuccio che conteneva il suo prezioso “coniglietto”. Lo deterse con l’apposito disinfettante si disfece del kimono e si sedette, così come mamma l’aveva fatta, sulla chaise-longue in doghe di legno fissata nella vasca da bagno trasparente. Sotto il suo peso la sedia ondeggiò leggermente. Il papà, architetto, l’aveva prevista per impreziosire il bagno, accollandosi le spese della propria estrosità, da bravo papà.
 
Allungata sulla poltrona cominciò ad accarezzarsi il “nido della passera scopaiola” con l’elastomero color carne. Un grosso e lungo fallo sporgeva di venti centimetri almeno dal palmo della mano. Il robusto cono simulava il glande maschile eccitato che, introdotto e premuto al centro, ingigantiva le sue dimensioni. Alla base del corpo dell’attrezzo si innestava una forma più piccola, che poteva sembrare un coniglietto all’erta, con le orecchie allungate. Serviva egregiamente a massaggiare la clitoride durante la penetrazione dell’ingombro, cogliendo due “piccioni” con una fava o, meglio, un piccione con due fave. 
 
All’interno del marchingegno biglie rotanti assicuravano, elettricamente, il massaggio delle pareti vaginali durante la progressione, mentre il glande, ruotando lentamente, avanzava e stimolava il recondito punto “G”. La vibrazione del “coniglietto” poteva essere modulata in sette modi differenti e permetteva di titillare il clitoride. Simulava il passaggio di una lingua, ruvida al punto giusto, sulla parte voluta, assolvendo ai compiti del cunnilingus di un robusto maschio da monta. 
 
Allungata nella concavità della sdraio da bagno che l’accoglieva, sostenuta dalla spalliera, mentre le gambe si adagiavano nella parte leggermente rialzata, in modo da risultare sollevate rispetto al bacino, chiuse gli occhi, iniziando a galoppare nel mondo di fantasia. Il vibratore sussurrava, ronzando discreto come un’ape in cerca del miele. A occhi chiusi, l’immagine si profilò davanti alla sua vista interiore: il Capo, quel giovane uomo cordiale sulla quarantina, vigoroso, vitale, sempre pronto a sostenere ed incitare i dipendenti sul lavoro. 
 
Lo ammirava! Aveva delle idee geniali che risolvevano tutti i problemi. Se si presentavano delle difficoltà nella gestione del cliente, interveniva lui a salvare la situazione. Era un esempio da imitare. Stava apprendendo molto, lavorando a gomito a gomito con lui. E lui l’apprezzava per la duttilità con cui si adeguava alle situazioni, smorzando sul nascere i possibili conflitti che in un ambiente ristretto si verificano facilmente. Lo stimava ed aveva dimostrazioni che fosse ricambiata.
 
Ma non lo vide sotto quella luce. Le saltò subito in mente una situazione scabrosa realmente capitata. Stavano esaminando insieme delle pratiche in un brief di lavoro. Lei seduta al computer; lui le era alle spalle, in piedi. Stavano discutendo sull’opportunità di una data strategia di vendita, rapportandola al cliente, quando lui volle mostrarle un indice sullo schermo e si avvicinò alla sua spalla, proprio mentre lei si spallava leggermente sulla sedia. L’inguine di lui entrò in contatto con la spalla di Nanà. 
 
L’incontro fortuito causò il touch-in sulla camicetta di seta di lei. L’occhio di Gianfranco, il chief-manager, scese dal desktop alla operatrice, verso la camicetta sottostante. In quel momento il primo bottone sul petto di Nanà s’era sbottonato, lasciando intravedere il disegno del seno a coppa di champagne. Una stupenda fessurazione che faceva immaginare più del dovuto. Fu in quel momento che lei avvertì immediatamente un ingombro considerevole contro la sua spalla, di una durezza invitante.
 
Si scostarono entrambi come se si fossero folgorati. Senza interrompersi, Gianfranco si girò di spalle e continuò a teorizzare il comportamento del cliente, mentre cercava di indurre alla ragione la “bestia” che mugghiava in lui. Lei, dopo una lieve esitazione, riprese a rispondere al capo. Gianfranco concluse in fretta: “Nanà, ci rivediamo nel pomeriggio. – guardando l’orologio – Tu apporta le modifiche nel senso che ti ho detto rispetto sia ai volumi di vendita che alle disponibilità di rifornimento dei magazzini in modo da commisurarli alla richiesta di mercato. Ciao dolcezza!”  – e si affrettò ad abbandonare la riunione che si stava rivelando elettrizzante. “Com’era duro!” ricordò Nanà; non lo poteva dimenticare. Ogni tanto lo immaginava che le ballonzolava davanti, provocante, bellissimo!
 
Ne sognava le dimensioni. Immaginava di approcciare quel vigoroso membro virile. Provò il desiderio di prenderlo in bocca e succhiarlo. Accostò il vibratore alla bocca e cominciò a leccarlo sulla punta del glande. Era morbido, tenero nella sua grossa consistenza. Sembrava di pelle umana. L’aveva preso in bocca tante volte al maritino, ma mai le sue “grazie” avevano sortito un effetto così esaltante da portarlo alla durezza che vanamente inseguiva. 
 
Vibrava, l’attrezzo, fra le labbra, mentre la sua mano correva ad impugnare il grilletto che strabuzzava il durone fuori dalla patatina. Cominciò a masturbarsi, mentre si passava lentamente il vibratore sulle mammelle, sulle areole dei capezzoli. Le saliva la febbre, mentre le guance si imporporavano. Scese ancora col vibratore lungo l’addome, mentre l’altra mano pescava nel “vel dulcedo” con movimenti rotatori sempre più intensi.  
 
La clitoride, arrossata, iniziò a risentirsi. Quasi le doleva per l’eccesso di stimolazione che riceveva. Ma Nanà continuò imperterrita nei suoi disegni. Ormai erano forti le contrazioni orgasmiche. La lasciavano senza fiato. Aveva la sensazione di voler abbandonare la presa, invece, subito l’afferrava l’estasi. Le sembrava che, da qualche parte, dovesse uscirle anche l’anima, mentre ondate di piacere si susseguivano, iniettandosi nel cervello. La mano diventava insicura, tremava nel reggere il vibratore.
 
Ansimava ora; prima mugolii contratti, silenziati dal desiderio di mantenere per se il piacere di quel momento senza che altri intervenissero a rompere le scatole; poi rantoli soffocati, rauchi, prolungati, come di una gatta in fregola. Era tutto suo quel godimento! Stravaccata sulla sdraio, le gambe aperte accoglievano il siluro che le perforava l’addome, mentre il coniglietto le zompettava allegramente sulla minuscola asta della turgida escrescenza, appollaiata sula voragine dell’ostio vaginale.
 
Il sibilo del’apparecchiatura elettrica andava avanti, sommesso, da dieci minuti e passa e la portava a variare da una condizione di desiderio estremo di penetrazione ad uno di soddisfazione immensa, dal digrignare i denti e storcere la bocca, ad affannare, affrettando la respirazione, come se stesse per partorire. Le pareva di essere investita da getti di colore che le turbinavano intorno: gialli, rossi, magenta che poi diventavano blu, nero per ridiventare rosso purpureo, scarlatto e via nell’infinita gamma del piacere; mentre fiammate improvvise le bruciavano le vene. Si contorceva sulla chaise-longue, nel tentativo di non lasciare inesplorato ogni recondito angolo della vagina.
 
Gli occhi chiusi, stretti nel godimento, la fronte imperlata di sudore, le sembrava di grondare sangue da quella voragine che le si apriva fra le gambe, tant’era il calore ricco di umori che le scorreva sulla mano. Non poteva trattenersi dallo spingere l’attrezzo sempre più in fondo in cerca del Paradiso dei sensi. Click, fece l’interruttore quando aumentò la potenza di spinta al massimo.
 
Ora sì che ballava! Non riusciva a trattenersi. Fu quasi scaraventata dal suo stesso incontrollabile impeto contro la spalliera. Si agitava spingendosi in avanti e indietro, mentre l’asta la penetrava e il peduncolo leporide le spatolava la cuspide conica del minuscolo glande femminile. Stravolta, lo sguardo irretito dall’immagine dello specchio che la sovrastava, rimandandole la cruda bellezza del suo corpo nudo di un candore abbagliante, che si dannava alla ricerca del piacere estremo. 
 
Calamitata dallo spettacolo di rude potenza (un involucro eburneo dalle fattezze eccitanti che si dimenava, incuneandosi nella vagina, mentre l’altra mano  stringeva alternativamente le mammelle, ora una ora l’altra), sembrava votata alla sofferenza di una mungitura prolungata che assicurava il godimento perenne.
 
Una scarica di adrenalina le attraversò le membra. La scintilla partì dal cervello per propagarsi in ogni molecola del corpo, scendendo fino agli alluci. Vibrava in ogni fibra, aspettando che la catarsi si compisse, purificandola dall’eccitazione che la faceva smaniare. Non capiva più niente, mentre una luce accecante l’avvolse. S’irrigidì come se avesse ricevuto una scossa da 3000 volt.  Tutto divenne nero. Si abbatté, schiacciata, senza fiato, sulle doghe della sedia “elettrica”.
 
Nina Dorotea

Disponibile

Leave a Reply