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Roby non era ancora rincasato. Nanà si cambiò d’abito, indossando la tuta che usava in casa, e iniziò a preparare òa valigia per il giorno dopo. Sceglieva i capi di vestiario da mettere in valigia. Doveva essere una valigia light, essenziale, senza fronzoli. Giusto il necessario per tutte le evenienze. E non era a dir poco! Per fortuna consisteva tutto in roba leggera, data la stagione. Solo che doveva prevedere due capi di vestiario, uno per la mattina e l’altro per la sera e in più il vestito elegante per una serata importante, più tutto il resto fra intimo e camicie da notte. Per fortuna il tessuto misto in seta e sintetico era facilmente ripiegabile e,soprattutto, non sgualcibile. Gli accessori più ingombranti erano le scarpe in cui infilò le buste delle calze per utilizzare ogni angolo vuoto. Poste ai lati della valigia nella loro busta, si adattavano bene.
 
Ripassò mentalmente l’elenco dei capi che aveva inseriti nella valigia, commisurandoli alle necessità che avrebbero dovuto soddisfare. Quindi passò alla borsa da viaggio da portare a mano, cioè a tracolla. Mise nelle buste trasparenti gli accessori per il trucco e le confezioni da viaggio delle creme varie che aveva comprato. Last, but not the least, stipò le pillole progestiniche nella tasca segreta sul lato interno della borsa. Dette due pacche dall’esterno, lì dove le aveva sistemate, sorridendo a se stessa, e chiuse la zip. Era tutto.
 
Si girò e si ritrovò incollata alle labbra di Roberto. “Roby…!” – sgranò gli occhioni. Le era giunto alle spalle. Si ritirò dal bacio con un piccolo scatto. Poi, arrossendo violentemente, rifiatò: “Mi hai fatta spaventare!”. Era confusa e inquieta. Non sapeva da quando fosse lì e cosa avesse visto. “Calmati! Ora ti spaventi per nulla?” – la rincuorò lui.                                           
 
“È che non ti ho sentito arrivare… ” – cercò di rispondere mentre lo squadrava per cogliere un gesto di irritazione nel suo interlocutore.                        “Sono rientrato ora. Non t’ho chiamata perché ho visto la borsetta nell’ingresso e la giacca all’attaccapanni. Beh, allora sei pronta per la partenza? Ti sei ricordata di tutto?”. Le sembrò che avesse rimarcato quel «tutto», ma pensò che fosse la sua coda di paglia a evidenziarlo. 
“Sì, sì! Ho preso tutto il necessario, anche se è così poco che non so se ce la farò per tre giorni.” – rispose in fretta.
“Veramente sono quattro i giorni… ” – intercalò lui, volutamente senza espressione.
“Quattro con il viaggio!” – ribatté lei, pronta.
“Già, già… il viaggio.” – sembrava sovrappensiero.
 
Nanà si spostò in cucina per preparare la cena, mentre lui si metteva in libertà in camera da letto. Si accorse della bottiglia di vino che Roby aveva comprato lungo la strada dall’ufficio e che aveva poggiato sul tavolo. La spostò nel frigo. Lui arrivò ciabattando e apparecchiò la tavola mentre lei rimestava l’olio nell’insalata che aveva approntato nella coppa. La ripose sulla tovaglia e aprì il frigorifero per prendere salumi e latticini che a lui piacevano tanto. Anche a lei piacevano, ma doveva stare attenta alla dieta light. 
 
Si muovevano in cucina, sfiorandosi da destra e da sinistra come ogni coppia ben affiatata, e Roby raccontava della sua giornata. 
“A proposito, stasera sono passato dall’enoteca vicino all’ufficio. Dove hai messo la bottiglia che ho poggiato sul tavolo?” – intercalò, continuando il racconto. 
“In frigo!” – rispose Nanà,impegnata ad affettare il salamino.
“Sai chi ho incontrato?” – continuò Roby. 
“Chi?” fece lei senza prestare eccessiva attenzione.
“Cinzia, la tua collega.”. Fu colpita due volte da una mitragliata in andata e ritorno. 
Assestò un colpo più deciso sul tagliere, scapitozzando dall’insaccato un pezzone fuori misura, come una ghigliottina calata sulla testa del povero salame. Rotolò fuori dal “cippo” di legno, saltando nel piatto quasi fosse il cesto posto sotto la testa del decapitato. Si arrestò, spostando la ciocca di capelli che “non” le stava ricadendo sugli occhi. Fu solo un attimo, perché riprese con più lena ad affettare. 
 
“Che ha detto?” – chiese, quasi indifferente. 
“Che ti salutassi. Ha detto che ha curato lei la prenotazione del tuo viaggio. Ci ha tenuto a sottolineare «nei minimi particolari». Una brava ragazza, oltre che una bella donna. Molto affabile!” 
“Immagino!” – pensò Nanà, con gli occhi vitrei – “Dannata stronza! Che aveva in mente?”. Non credeva alla casualità dell’incontro. Quell’efficiente macchina del sesso non lasciava nulla al caso.
 
“E poi?” – chiese, accorgendosi di averne affettato troppo di salame. 
“Ma quanto ne hai tagliato?” – chiese lui. 
“Lo conservo nella pellicola per te, se ne avessi bisogno nei prossimi giorni.” – si giustificò Nanà, provvedendo ad avvolgere le fettine nel foglio di plastica trasparente. 
“Poi? Niente! Ce ne siamo andati.” – concluse lui.
“Beh, possiamo sederci a tavola.” – fu quasi un ordine il suo, mentre ripensava alla scena dell’enoteca appena rievocata dal marito.
 
Mangiò distrattamente, mentre lui scherzava. Chi sa perché era di buona vena! Finirono di mangiare. Lui le si avvicinò e le schioccò un bacio sulla bocca. “Facciamo all’amore?” – chiese con gli occhi ardenti. Nanà lo guardò con compassione. 
«Povero caro s’era agitato per la visione di quella stronzetta ed ora voleva sfogarsi con lei! – pensò – Forse era meglio assecondarlo per fargli sbollire la caldana, prima di partire.» 
 
“Certo caro.” – e se lo tirò dietro, sbavando e scodinzolando come un bulldog dal troncone di coda, inserito a rovescio, che, invece di uscire dal coccige, lo precedeva fra le gambe.
Ciascuno spogliò l’altro con lentezza, assaporando l’assalto inevitabile che stava per consumarsi. Dentro di loro tremava tutto, dai cuori, alle viscere, alle ginocchia di entrambi, come in un terremoto al quarto grado della scala Richter. L’attesa scuoteva i loro corpi, ma ancor più le loro coscienze. Entrambi erano posseduti dal demonio della lussuria, legittima, ma che presagiva l’ombra di una lascivia di vago sapore adulterino. Era insomma una promessa di tradimento.
 
Mai come quella sera si sentirono soddisfatti dal loro rapporto, accrescendo il tormento del senso di colpa per un tradimento solo in ipotesi.
 
Delirio. Volava verso l’ignoto! Era quella la sensazione che captava dalle nuvole che si disponevano sotto di lei come pecorelle che brucavano. Era bello lo spettacolo, eppure Nanà era inquieta. Ricordava con un non so che di irritante la sensazione stupenda, della notte precedente, di essere posseduta da Roby. Ricordava le carezze, i baci appassionati, i succhiotti eccitanti, i morsi da delirio che si scambiavano, stigmatizzando i loro corpi. Era stata come la prima volta. È quello che l’agitava di più. Proprio quando si apprestava a conoscere, con tremore e fervida attesa,l’intimità di un altro maschio si scatenava di nuovo la sensazione di amore che la incatenava al vecchio mondo. La caricava di ansia e provava un senso di rimorso per il viaggio intrapreso.
 
Era troppo avanti per poter ritrarsi. Era lì, con quell’uomo che, in fondo, era un estraneo; che, forse, non sapeva nulla dei segreti progetti che lungamente lei aveva coccolato nel suo…cuore. L’eccitazione che le dava la sua vicinanza era stata al diapason quando si erano, incidentalmente, toccati…, ma, allo stato dei fatti, era tutto immensamente calato, quasi spento, sicuramente sopito. Si sentiva un palloncino pieno di elio che pian piano si sgonfia e perde quota, fino a ritrovarsi a terra. No, non è che la copulazione di Roby fosse risultata al massimo dell’esaltazione, ma doveva ammettere che era stato fantastico, quella sera. C’era stata una simbiosi nella ricerca dei sentimenti… e non solo. Si erano ritrovati in perfetta sintonia l’uno con l’altra, l’uno nell’altra. Sì, doveva ammetterlo, sarebbe stato meglio se fosse durato di più! Ma era stato bello.
 
Era lì, che non sapeva che fare. Doveva concentrarsi nel suo lavoro e dimenticare l’avventura che si era riproposta di perseguire? Al diavolo i dubbi! Chiuse gli occhi su quel cielo a pecorelle. Un’ora e mezza di volo non era poi tanto. Il diavoletto ricomparve. Le mostrò i suoi seni turgidi, irretiti dalle dita del suo adone che glieli massaggiava, stirando i capezzoli fino a farglieli diventare due tubicini, mentre lei imboccava l’arma d’assalto di Roby. Non troppo grosso, né troppo lungo, purtroppo! Ma l’aveva turgido e, in quel momento, le bastò. Glielo giostrò tanto, scappellandolo e usando la sua bocca come una vagina, leccandogli il solitario, polifemico occhietto e il frenulo che stirava la pelle, collegando il corpo pieno di cunicoli cavernosi con il glande. Scendeva sul breve bastone e lo imboccava per poi trarlo fuori con uno schiocco sulla cappella. Gli batté il frenulo con la lingua, a ripetizione.
 
Colto da frenesia, lui, con due dita le raggiunse la clitoride, accarezzandola e massaggiandola con estrema cura e dovuta gentilezza. Sapeva che era una parte molto delicata, da maneggiare con cura per non smorzare la voglia di sesso che ampiamente lei gli dimostrava. Finché Nanà non gli trattenne la mano, allontanandola dalla patatina bollente. Troppo eccitante, non voleva che l’orgasmo salisse. Accompagnò l’arto, indicando la via da seguire verso la vagina. Due dita di Roby affondarono nel condotto scuro che si dilatò, adattandosi alla dimensione della mano maschile, inglobandola e incollandosi come una ventosa. La titillazione provocava il rumore insistente dello sbattere del bianco d’uova in una ciotola. Aveva la stessa frequenza e consistenza man mano che il bianco montava. Il sangue le andò alla testa e non fu più in grado di stimolare il cannolo che le riempiva la bocca.
 
Si distese sul letto, dilatando la fica, e lo pregò: “Prendimi!”. Non un ordine secco ma fu una voluttuosa disposizione d’animo. Una resa incondizionata che per la prima volta, dopo molto tempo, rinvigorì il randello del suo ganzo. Lo sentì gonfio come non era mai stato,  o almeno non se lo ricordava più di quella consistenza. Si aggrappò con le braccia alle spalle di Roby, le cosce completamente aperte come quelle di un pollo appena squartato. I polpacci salirono in sella, attanagliandogli i fianchi, mentre lui si dava da fare carotandola col suo trapano, dimenandosi in avanti e indietro come uno stantuffo, alla ricerca affannosa dell’acme tanto sospirato.
 
Pareva un puledro imbizzarrito che lei cercava di cavalcare; o era lei il puledro che lui cavalcava? Erano in due a muoversi, complementari l’uno all’altra. Incollati l’uno all’altra come gli emisferi di Magdeburgo, saldamente in unico corpo procedevano in sincronici movimenti. Finché la fiamma dell’innesco non raggiunse le polveri. E fu un’esplosione pirotecnica che le fece scoppiare il cuore, mandando in pezzi il cervello. Avvertì l’eruttare del liquido bollente che le bruciava le visceri. Bordate di flussi ricorrenti le si riversavano nella “santabarbara”. Si strinse spasmodicamente a lui, cercando di trattenere all’interno della “coppa” quel dolce nepente.
 
Lo tenne stretto a immobilizzarlo, fino a sentirsi svuotata di forze, ma ebbra del sidro con cui lui le aveva riempito la botte. Roby giacque, incuneato su di lei. Pian piano scivolarono in una allucinazione delirante. 
Senza fiato, Nanà si sentiva leggera, priva di corpo, vuota di capacità di pensare. Una vera e propria droga. Non aveva mai provato quella sensazione. Era stupenda!
 
“Nanà…!” – una voce la stava chiamando – “Sveglia, siamo in fase di atterraggio. Legati la cintura di sicurezza.” – le consigliò Gianfranco. “Sì.Scusami, m’ero quasi addormentata.” – gli sorrise Nanà. Anche lui le sorrise.
Partiti con i soliti venti minuti di ritardo, rimasti nella durata media di volo, erano prossimi all’atterraggio.
Nina Dorotea

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