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Startrail con Dolomiti – 3

Fase 3

Correzione dell’esposizione

Nelle puntate precedenti:
Sono sicuro che Emma, quando le avevo proposto di accompagnarla a fare una foto con le Dolomiti, si aspettava che ne avrei approfittato per strapparle un bacio e, al massimo, una palpatina al suo bel seno, ma di certo non le due dita che l’hanno penetrata e dato un orgasmo con vista sulle tre cime di Lavaredo. In seguito alla foto che le ho scattato e, suppongo, pure per il piacere che la mia “intromissione” le ha provocato, Emma non ha fatto problemi quando le ho proposto di tornare lassù, la notte successiva, per un’altra foto ancora migliore. Sono certo che ha frainteso, aspettandosi di sicuro una chiavata completa che possa competere con il ditalino, ignorando la mia vera intenzione, ma, oh, dovremo pur fare qualcosa mentre aspettiamo che torni mattina, e io a carte ho sempre fatto pietà.

Per contattarmi, critiche, lasciarmi un saluto o richiedere il racconto in PDF, scrivete a william.kasanova@email.it

Tornammo all’albergo attorno alle tre, incontrando diversi ospiti che, a differenza nostra, davano inizio alla loro escursione quotidiana nel pomeriggio, terminato il pranzo e in piena digestione. Non fu necessario questo a ricordare a Emma e a me che quel mezzogiorno non avevamo pranzato, ma riuscimmo comunque a scampare al calo degli zuccheri grazie ad alcune barrette che mi ero messo nello zaino e che non mi andava di riportarmi a casa al termine della vacanza.
Quando facemmo rientro nel giardino quasi vuoto, scoprimmo che il ristorante era chiuso e per altre tre ore non avrebbero riacceso i fornelli. Proposi alla mia compagna di escursione di consumare qualcosa al bar ma lei mi rispose che voleva riposare un po’ in vista del nostro ritorno sul pianoro.
Annuii, convenendo che aveva ragione e che mi sarei ritirato anch’io nella mia camera per schiacciare un sonnellino. Ovviamente, avendo conosciuto diverse ragazze in passato, sospettai che la stanchezza fosse solo una scusa quanto piuttosto il desiderio di non frequentarmi per qualche ora. Dopo quel ditalino e l’orgasmo che aveva provocato, non voleva sembrare troppo facile o dare l’impressione che adesso non potesse più fare a meno di me. Sospettai comunque che, per un altro orgasmo simile, tra l’altro nemmeno uno dei miei migliori, si sarebbe gettata nel fuoco.
Prese la sua fotocamera e scomparve lungo le scale che portavano alle camere. Avrei voluto consigliarle di non pubblicare la foto che le avevo scattato, che un passaggio in un programma di fotoritocco l’avrebbe migliorata, ma credetti che dire alla donna che si aveva penetrato a tradimento con due dita e portata al parossismo del piacere che la foto che le ritraeva non fosse perfetta sarebbe stata una gran pessima idea, soprattutto se avevo intenzione di entrare nel suo splendido corpo anche con altre mie estremità.
I cinque giorni passati a camminare in zona avevano allenato i miei muscoli a sufficienza per non sentire stanchezza, permettendomi di non cercare riposo su un letto, da solo, quindi mi sedetti ad un tavolino del bar, all’esterno, sotto un ombrellone, aspettando che una buon’anima di cameriere venisse a chiedere se volessi qualcosa.
Un cameriere arrivò, ma definirlo “buon’anima” sarebbe stata un perfetto esempio di ossimoro, come stavo iniziando a comprendere.
– Oh, ben tornato! – disse Lucio, iracosamente ironico, facendomi riaprire gli occhi che avevo chiuso per riposare un po’. – Com’è andata con la ragazza con i capelli non rossi?
– Piacevole escursione, devo dire – risposi, deciso a tralasciare proprio la parte migliore. – Emma, perché a questo nome risponde quella splendida fanciulla, ha una passione per i film d’amore, un qualche tipo di orsetti di peluche con l’impermeabile e il lavoro manuale. – Mi guardai bene dallo specificare che tipo di “lavoro manuale” avesse apprezzato qualche ora prima.
– Bene, allora le faremo sbucciare le patate in cucina, questa sera… – ribatté stizzito il mio amico, fraintendendo completamente.
– Oh, no – lo corressi, – questa sera io e lei torneremo lassù a fare altre foto. – Lanciai un’occhiata al pianoro che, dal fondovalle, sembrava parecchio in alto. Sarebbe stato meglio portarsi qualche coperta in vista del freddo della notte.
L’espressione di Lucio non lasciò dubbi sulla sua opinione del tempo che passavo con Emma invece della influencer che aveva rubato il suo cuore. O, più probabilmente e prosaicamente, forse solo un altro suo organo. – La foto che voglio io è un’altra. E se non me la porti entro due giorni dovrai pagarti tu gli altri, se vuoi restare qui a goderti questo luogo così. – Quindi, prima indicò le tre cime di Lavaredo all’orizzonte con un dito, poi lo spostò su un capannello di giovani. Non fu difficile notare al centro una testa femminile dai capelli rossi.
– Non preoccuparti – gli dissi per calmarlo. – Nel caso, posso dire che, nonostante tutto, anche a casa non si sta male.
Lui non rispose per qualche istante, per poi ricordarsi del nostro incontro in mattinata. – Ah, già: il tuo piano basato sulla gelosia – esclamò, apparendo però meno convinto di qualche ora prima. – Comunque, ti porto qualcosa?
Ordinai un toast ed una tazza di the, poi chiesi a che ora avrebbe aperto il ristorante. – Sarà utile che ci metteremo in viaggio un po’ presto, io ed Emma, prima che cali troppo il sole.
– Che te ne frega – disse Lucio guardandomi sopra il bloc notes dove stava scrivendo la mia comanda. – Verso le otto e mezza sale in jeep il responsabile della stazione meteorologica nei pressi del rifugio – e mi indicò un uomo di mezza età che stava scrivendo ad un portatile.
Sollevai un sopracciglio. – Ah, bell’orario per andare a controllare l’igrometro. Anche lui non apprezza la tv, la sera?
Facendo spallucce nel massimo dell’indifferenza, il mio amico mi spiegò in poche parole che il tizio era stato mandato qui qualche giorno prima da un‘università in Trentino-Alto Adige per sostituire un circuito bruciato necessario per la trasmissione dei dati meteo attraverso la rete dati dei cellulari, ma quello che era stato fornito dall’azienda produttrice in Germania era sbagliato e, dopo avere ordinato quello corretto, il quale sarebbe arrivato nel tardo pomeriggio con un corriere, quella sera avrebbe terminato il suo lavoro e nella notte sarebbe tornato a Bolzano. – Praticamente è rimasto qui a raccogliere di persona i dati e spedirli via e-mail, ma domani si sposa la figlia e non vuole mancare.
– Comprensibile – commentai.
Quando Lucio andò a preparare la mia merenda, mi alzai e parlai con l’uomo: dopo essersi assicurato che fossimo solo in due, indifferente alla motivazione che ci portava lassù, accettò di darci un passaggio alle otto e mezza con la jeep. Tornai alla mia sedia, soddisfatto che almeno la lagna di farci altri dieci chilometri con un dislivello positivo non indifferente, quella sera, ce la saremmo schivata.
Presi il telefonino dalla tasca e cominciai a studiare cosa portarmi quella sera con noi per fare la foto. Buttai giù una lista, prevedendo possibili problemi, e non solo per quanto riguardava lo scatto: la lampada da campeggio che avevo portato con me e che si era limitata a occupare spazio e pesare nei bagagli sarebbe potuta tornare utile, e pure le altre tre o quattro barrette energetiche che erano rimaste in camera. Ovviamente, anche il pacco di batterie avrebbe finalmente fatto qualcosa per meritarsi la mia fatica nel portarlo fin lì.
Mi stavo godendo il toast quando sentii uno strepito alla mia destra. Mossi solo gli occhi non volendo apparire troppo interessato a quanto stava accadendo. Notai che il gruppo di ragazzi era decisamente diminuito, e che ora Gala si vedeva perfettamente. Si vedeva perfettamente soprattutto il suo sguardo assassino, puntato sul povero Arturo, che stava nuovamente armeggiando con la fotocamera. Supposi fosse un altro di quelli che comprava una macchina da mille e passa euro e con le caratteristiche simili a quelle del telescopio orbitale Hubble ma non leggeva il manuale di istruzioni, aspettandosi che funzionasse come la fotocamera del telefonino con qualche intelligenza artificiale ad occuparsi delle varie impostazioni, molte delle quali completamente ignote al proprietario. O, come capii pochi secondi dopo, quando il ragazzo abbandonò il gruppo, dirigendosi di corsa verso l’interno dell’albergo, che la batteria era di nuovo a terra.
Gala, cercando di non mostrare la propria frustrazione ai suoi seguaci, e probabilmente per avere un attimo di pace, propose dieci minuti di pausa. Selfie, video e autografi sarebbero proseguiti più tardi, promise. Un mormorio di disapprovazione si levò tra i fan, ma dopo qualche secondo si allontanarono: una volta finalmente da sola, la ragazza si lasciò cadere sul divanetto, chiudendo gli occhi e cercando di rilassarsi.
Tornai a concentrarmi sul mio toast ma, dopo un paio di morsi e un sorso di the, mi resi conto che qualcuno si era fermato accanto a me. Quando mossi la testa trovai proprio lei che fissava il suo telefonino, uno di quelli sovradimensionati, appositi per l’uso dei social network. C’era una profonda rabbia nel suo sguardo quando lo mosse dal display alla mia faccia.
– Sei tu… – iniziò a chiedere, per poi tornare a controllare sullo schermo prima di continuare. Pronunciò il mio nome come se fosse una presa in giro nei suoi confronti. – William Kasanova?
Annuii.
Mi fissò confusa. – Ma… parente?
– Oh, no, purtroppo – risposi, trattenendo a stento un sorriso. – In caso contrario avrei chiesto uno sconto per l’acquisto dei casalinghi di casa mia.
– Cosa? – sbottò, e solo dopo qualche secondo comprese cosa intendessi, senza però accorgersi che, adesso, la stavo davvero prendendo in giro. – No… intendo quello famoso, di una volta!
Simulai stupore, poi disgusto. – Giacomo Casanova? Quel puttaniere libertino, baro, ladro ed evaso? – Scoppia in una risata, la ragazza confusa che mi fissava. – Spero proprio di no! Voglio dire: se fossi suo pronipote la stirpe si sarebbe davvero imbastardita. Povero Giacomo, sono scarso pure come puttaniere, ed è il mio passatempo preferito.
Gala restò in silenzio un istante, incapace di comprendere se fossi serio. – Ma… mi stai prendendo per il culo?
Non potei evitare di abbassare lo sguardo all’altezza dei suoi glutei che, stretti in un paio di pantaloni che lasciava ben pochi dubbi, apparivano meravigliosi. Ammisi con me stesso che non mi sarebbe dispiaciuto affatto prenderla per il culo, ma non in senso figurato….
La ragazza si scosse dalla confusione. Allungò il telefono verso di me, mostrandomi lo schermo: sotto la scritta “emmacattaneo” ed il geotag “Tre cime di Lavaredo” appariva la foto che avevo scattato qualche ora prima, e che Emma aveva caricato su Instagram senza modificarla se non aumentando un po’, fortunatamente non troppo, come invece molti facevano, la saturazione ma senza raddrizzarla. La ragazza appariva magnifica, con una carica erotica che permeava l’immagine al punto tale che io mi sarei vergognato a pubblicarla; constatai che avrei forse dovuto aumentare di uno step l’apertura del diaframma, diminuendo la sfocatura che dissolveva il contorno delle tre cime con lo sfondo.
Appena sotto, con un giro di parole e dimostrando di possedere una certa vena poetica, Emma raccontava che quella foto era stata scattata dal ragazzo che le aveva dato un orgasmo pochi istanti prima, quindi compariva il collegamento al mio profilo. Giunsi alla conclusione che sua madre non usasse Instagram, così come il resto della famiglia; mi chiesi anche se pure le altre foto, o per lo meno le loro descrizioni, presenti nell’album alludessero alla sua vita sessuale. Avrei dovuto farci un giro, più tardi, magari a letto, con qualche fazzolettino di carta.
– Quindi l’hai scattata tu – concluse la rossa. Non nascose la propria cocente delusione. – Cazzo…
– Qualcosa non va? – domandai.
– Fanculo! – mi disse, il trucco pesante che non riusciva a nascondere la sua rabbia. Sembrò sul punto di sputarmi addosso. – Io mi devo tirare dietro quella merda, e uno bravo è uno stronzo come te che corre dietro a quella stupida troia.
Non so spiegarmelo, ma non rimasi sorpreso dalla trivialità della vippetta. – Di certo non ho intenzione di sollevarmi al tuo livello sociale e, soprattutto, culturale, principessa – le risposi, offeso esclusivamente per il termine con cui aveva etichettato la dolce Emma. A giudicare dall’espressione di sorpresa e allarme di Gala, il disprezzo che apparve sulla mia faccia fu ben più efficace di qualsiasi insulto che potessi lanciarle contro. – Quindi, abbi la cortesia di non macchiare la tua persona con un plebeo come me e torna dal Frank Capa che ti meriti, anche se mi sembra più Frank West.
Gala fu sul punto di esplodere, vibrando come se un brivido l’avesse colpita, ma poi si limitò ad un “ti odio! Sei uno stronzo!”, infine si voltò con le mani che si stringevano in pugni con un vigore tale che mi sarei aspettato di sentire il grosso telefonino emettere suoni di plastica intenta a creparsi.
La guardai allontanarsi cercando di non fissarle il culo, ma il mio sforzo ebbe ben poco successo.
Avrei dovuto offendermi, sentirmi insultato, ma l’unica cosa che feci fu infilarmi la lingua tra i denti per non mettermi a ridere quando mi chiesi cosa avrebbe pensato Lucio se avesse assistito a quello scambio di battute.

Verso le sei del pomeriggio, con in mano la lista che avevo preparato in giardino, recuperai il materiale che ritenevo necessario per passare la notte al pianoro con Emma e lo posi nello zaino, aggiungendo un paio di borracce piene, qualche barretta proteica e una manciata di preservativi: a giudicare dal comportamento della ragazza quando le avevo proposto di tornare lassù, immaginai che sarebbero tornati comodi. Mi dispiacque non aver portato della crema per massaggi oltre a quella solare…
Avevo mandato un messaggio a Emma, informandola della possibilità di scroccare un passaggio. Lei mi aveva risposto che si sarebbe presentata al parcheggio per l’ora pattuita con la sua fotocamera e il necessario per la notte all’aperto, e così fece: mentre l’ombra delle montagne stava risalendo dalla valle verso il pianoro dov’eravamo diretti, mi raggiunse accanto alla jeep dell’albergo data in prestito al meteorologo.
Emma mi sorrise, incapace di trattenere l’eccitazione. Mi diede un casto bacio su una guancia, ma la mano che appoggiò, forse inconsciamente, a pochi centimetri dal mio inguine, di casto mi sembrò avere ben poco. – Sono davvero curiosa di scoprire cosa vuoi fare questa notte – mi confidò a bassa voce, lasciando intendere un secondo senso alle sue parole. Non voleva darlo a vedere, ma era decisamente intenzionata a sedurmi nella speranza di ricevere un nuovo ditalino come quello della mattina.
Sogghignai al pensiero. Non avevo intenzione di deluderla.
Il meteorologo indugiò qualche secondo di troppo su Emma quando la vide per non far capire che apprezzava la sua vista quanto una cella temporalesca, poi notai un accento di amarezza infondersi nelle sue parole quando annunciò che stava per partire. Salimmo sui sedili posteriori, in quanto quello anteriore era occupato da una scatola di cartone dalle dimensioni sufficienti a contenere un forno a microonde, ma quando l’avevo vista spostare dall’uomo avevo intuito che non doveva pesare più di un paio di etti: verosimilmente era solo un circuito elettronico avvolto in fogli di pluriball, gomma e isolante, più un manuale per il montaggio scritto in tedesco e probabilmente tradotto in un italiano più simile al lituano.
Il viaggio, che nella mattina aveva richiesto un paio di ore a piedi, in auto richiese solo un quarto d’ora di scossoni, sobbalzi e chiacchiere del meteorologo che, probabilmente, stava cercando di impressionare Emma con fronti di aria fredda, anticicloni e precipitazioni. Ma la spiegazione fu così noiosa che il mio interesse per il meteo passò in pochi minuti da un già scarso in precedenza a inesistente, facendomi ricredere riguardo alla noia che dovevo sopportare durante le lezioni pomeridiane di tre ore di matematica alle superiori. In più i sedili della jeep erano tutto fuorché comodi e sembrava che dovessimo prendere con le ruote ogni singolo, dannato buco e sasso presente nella strada sterrata.
Quando finalmente scendemmo dal mezzo, mi sentivo ancora più stanco della mattina. – Che radio, per la miseria – dissi, quando la jeep ripartì nella luce arancione della sera.
– E non ci ha nemmeno detto com’è il tempo domani – esclamò Emma, ponendosi lo zaino in spalla.
Ridemmo alla sua battuta mentre ci rimettevamo in cammino. Il sole aveva già cominciato a scivolare sotto le cime a occidente e le ombre della notte ad inspessirsi negli avvallamenti. Le poche nuvole all’orizzonte si erano già ingrigite ad oriente, perdendo il rossore della sera. Fortunatamente, l’aria era ancora di un piacevole tepore, in cui echeggiavano i canti di qualche uccello e, di tanto in tanto, le strida di un rapace. Quando arrivammo in cima al pianoro e raggiungemmo il punto dove avevo dato un orgasmo in mattina alla ragazza, il sole era ormai un lucore ad occidente e la notte iniziava il suo breve regno quotidiano.
– Temo che siamo arrivati troppo tardi – constatò Emma, con un pizzico di delusione nella voce.
Mi tolsi lo zaino dalle spalle e lo posai a terra. – Tutt’altro: è ancora troppo presto – risposi.
Lei mi guardò confusa, ma sembrò fidarsi sufficientemente per accettare le mie parole.
Aprii la cerniera dello zaino e cominciai ad estrarne il contenuto. Presi un plaid e lo posi a Emma. – Per favore, stendilo in qualche posto un po’ comodo – le chiesi, poi cavai anche la lampada e il treppiede. Dischiusi quest’ultimo, allungandone le gambe e posandolo appena oltre il macigno dove avevo piazzato la ragazza per la foto che aveva causato tutto quello scalpore con la vippetta. Feci un paio di passi indietro, inquadrando meglio nella mente la scena, poi controllai la bolla della testa e regolai la lunghezza di uno dei sostegni per averla perfettamente dritta.
Emma mi si avvicinò, stringendosi ad un mio braccio. Un seno, di nuovo, venne volontariamente appoggiato contro il mio corpo.
– Hai freddo?
– No – rispose, poi si corresse, sebbene sembrasse ancora calda per la camminata. – Solo un po’.
Le dissi di passarmi la sua fotocamera, la programmai e la innestai sul treppiedi. La ragazza continuava a non capire cosa stessi facendo, ma probabilmente apparivo ai suoi occhi come una persona competente.
Attesi qualche secondo dopo aver premuto il tasto di scatto, quindi controllai la foto apparsa sul piccolo display. Non male, dovetti ammettere: una volta passata al computer sarebbe stata ancora migliore.
Emma si sporse e guardò a sua volta l’immagine, simile a quella in cui era ritratta anche lei. Non parve particolarmente colpita quando si voltò verso di me. – Abbiamo già finito?
Le posi una mano dietro la nuca, una sul collo e la baciai. Fu sorpresa dalla mia mossa, ma dopo qualche istante il suo atteggiamento passò da passivo ad attivo, massaggiandomi la schiena e gemendo nell’apprezzamento. Nella leggera brezza della sera, percepii espandersi il profumo che aveva impregnato le mie dita bagnate dopo averle estratte dalle mutandine della ragazza, quella mattina. Misi una mano sotto il suo sedere e la sollevai, lei strinse le gambe attorno alla mia vita. La portai fino al plaid e ve la adagiai sopra.
– Spero tu abbia controllato che non ci siano sotto sassi appuntiti – le dissi, sdraiandomi accanto a lei.
Lei prese il mio mento e lo avvicinò alle sue labbra. Il suo fiato caldo accarezzava la mia faccia. – Taci e baciami – rispose sottovoce, quindi diede il buon esempio.

Continua…

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