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Qualche anno fa c’è stato un momento di estrema intimità tra me e mia suocera, perché quello che era nato da uno scherzo o da una serie di situazioni dettate dalla spontanea confidenza causata da una quasi convivenza, improvvisamente sembrava essere diventato qualcosa di più profondo. Da qualche mese non vivevo più la sua quotidiana presenza dentro casa nostra con disagio o fastidio, ma addirittura attesa. La temperatura estiva era torrida ed ogni giorno io mi facevo trovare molto informalmente in slip, mentre lei arrivava indossando una vestaglietta da casa molto leggera da cui, a volte, non riuscivo a capire se indossasse la biancheria intima o no. Fantasticavo e ogni volta facevo in modo che potesse vedere qualcosa in più o che succedesse quello che nella mia testa definivo “l’incidente diplomatico”, cioè una situazione che potesse spingere più in là questa situazione. Io stesso non perdevo occasione per abbassarmi e guardare, da sotto il tavolo, se stesse indossando le mutandine: non riuscivo a non farlo, benché quello che avrei potuto trovarmi davanti in realtà ce l’avevo ben chiaro, dato che l’avevo visto qualche anno prima, e da allora non ero mai riuscito a beccarla in castagna senza dei casti e casalinghi slip, normalmente bianchi. Già, qualche anno prima. Anche in quell’occasione era estate e io, dopo aver lavorato, mi trovavo a casa dei miei suoceri a trascorrere il resto della giornata in attesa che mia moglie, all’epoca mia fidanzata, finisse di lavorare in ufficio e tornasse a casa. La buonanima di mio suocero stava lavorando fuori città mentre l’anziana nonna, in quel periodo onnipresente e quantomai insopportabile, era partita per uno dei suoi girovagare vicino casa e non sarebbe tornata prima di una decina di minuti, proprio lei stessa mi aveva avvertito che sarebbe andata in solaio e che quindi sarei rimasto da solo a vedere la TV. Proprio nel momento in cui rimasi solo, però, riconobbi il rumore inconfondibile dello scorrere dell’acqua della doccia e, subito dopo, l’accendersi di un fon. Ricordo il tremore che mi invase come se fosse oggi, non so se fosse dovuto all’eccitazione di quello che avrei potuto vedere o dal rischio di essere scoperto, ma non ne tenni conto e, stando bene attento a non farmi sentire, sgattaiolai prima in cucina e poi nel corridoio, fuori dalla porta del bagno. Calcolai in un attimo che se fosse entrato qualcuno mi sarei potuto rifugiare nel vicino salotto o, alla peggio, uscire dalla porta secondaria, perciò mi avvicinai il più possibile alla porta del bagno, da cui continuava a provenire il rumore del fon, e mi abbassai, guardando avidamente dal buco della serratura: nello stesso istante vidi mia suocera di spalle, mentre riponeva l’asciugacapelli e si strofinava la pelle con un lungo asciugamano che, qualche secondo dopo, appoggiò sopra il vicino comò. L’immagine mi è rimasta impressa in tutti questi anni e ce l’ho ancora nitida davanti agli occhi perché dalla vulva di mia suocera, che a quell’epoca aveva circa sessantacinque anni, pendevano delle lunghe labbra e una sorta di prolasso anale che, ovviamente, non avevo mai visto né nel corso della mia vita sessuale né dalle mie documentazioni ludiche, che, in quegli anni, si limitavano alle copie pirata di qualche Vhs o ai film mai troppo espliciti che si vedevano in TV in tarda ora. Osservai la scena per lunghi secondi e, nonostante la sconcezza, mi accorsi che il tremore che mi aveva invaso prima sembrava fosse diventato una vera e propria febbre. Ricordo che la vagina, molto aperta a causa verosimilmente dell’indebolimento elle labbra, era internamente rosso fuoco e questo creava un elevato contrasto cromatico con la pelle bianchissima del resto del corpo. Il prolasso dell’ano era una sorta di pene che scendeva di qualche centimetro tra le due chiappe bianchissime, capii che era dovuto al rilassamento della pelle attorno al buco del culo che, forse con l’età, forse con i parti o chissà, con l’attività sessuale, faceva in modo che il buco non fosse più come un punto in mezzo alle chiappe ma qualcosa che scendeva verso il basso, come una piccola proboscide. Pensai che per incularla o per infilarle le dita dentro si sarebbe dovuto massaggiarlo e provare a farlo rientrare. I secondi passavano e, forse per eccesso di prudenza, non aspettai di vederle il seno o la parte davanti del bacino e mi rimisi in piedi, come avvolto da un’improvvisa febbre alta. Mi spostai nel vicino salotto, dove non andava mai nessuno perché veniva riservato alle grandi occasioni. Mi misi tra un mobile e il muro dove era posizionata la porta da cui ero entrato, invisibile. Mi allargai l’elastico della tuta da ginnastica, scostai gli slip e appena avvolsi con la mano il mio membro, mi svuotai tremando. Lo sperma mi aveva allagato gli slip e colava su una gamba, ma non riuscivo a fare nulla perché ero in preda a uno degli orgasmi più potenti della mia vita. Anche dopo aver finito di eiaculare, mi pulsava come non aveva mai fatto prima e cominciò anche a farmi un po’ male. Proprio quando stavo riprendendo le mie normali funzionalità, sentii la porta del bagno aprirsi e dei passi che raggiungevano la camera dei miei suoceri, che si richiuse subito dopo. In un lampo sistemai alla meno peggio le mutande e la tuta e mi fiondai in bagno, chiudendomi dentro. Mi diedi una ripulita, rendendomi presentabile, anche se il rossore della faccia era evidente anche dopo essermela sciacquata a lungo.
Da allora è capitato altre volte di spiarla mentre era in bagno, ma non è mai successo di avere un quadro visivo così esplicito e mi è rimasta la consapevolezza che quello che colpisce i nostri sensi non è per forza la bellezza o la perfezione, ma anche la sconcezza o il proibito. Il turbamento di qualcosa che è lontanissimo dalla tua normalità. Qualche anno dopo vennero a mancare, nel giro di poco tempo, prima suo marito e poi la madre e mia suocera, dopo un periodo decisamente triste, ritornò alla sua solita vita.
E’ in questo periodo, come stavo raccontando all’inizio, che è cominciato questa specie di “gioco”, fatto di complimenti, di avvicinamenti, di apparente normalità pur promiscua, di qualche regalo floreale nelle ricorrenze. Tante volte mi confidavo dei miei problemi, altre volte magari scherzando le ho fatto qualche complimento più ardito, subito innaffiato da un po’ di sano, apparente conformismo che stemperava la tensione. Mi avvicinavo, cercando una manovra di accerchiamento e lei non era sicuramente ferrea nel tagliare o farmi capire di finirla. Ogni giorno, quando ci vedevamo, ci scambiavamo i soliti due bacetti sulle guance, che poi sono cominciati ad essere meno fugaci perché indugiavo con le labbra qualche attimo in più, poi hanno cominciato, quando non c’era nessun altro, a sfiorare gli angoli della bocca, fugacemente. Un giorno come tanti, ci fu il primo bacio fu sulle labbra, sfiorato, frettoloso, talmente veloce da sembrare casuale, ma altamente simbolico. Eravamo appena arrivati a un altro livello ed ero consapevole che da lì in poi sarebbe stato normale, quando eravamo soli, salutarci in quel modo. E così fu. Nei giorni a seguire, ogni volta il saluto era diventata l’occasione per quel bacio veloce, sincronizzato, grazie ai quali però avevo avuto la consapevolezza che anche lei stava giocando e aveva un debole per me: inutile girarci attorno, chi bacia e si fa baciare sulle labbra da un genero solo per salutarsi? Uno di quei pomeriggi, con una scusa, venne a casa. Stavolta, nel salutarla, trattenni le labbra volutamente quell’attimo in più e lei ne fu sorpresa, probabilmente in quel momento non se lo aspettava o non si sentiva pronta e, con gli occhi bassi e senza dire niente, si diresse verso la cucina, come se si fosse sentita turbata da quel contatto un po’ più prolungato tra le nostre labbra. Le andai subito dietro, eravamo a una spanna di distanza e appena si trovò vicino al tavolo si chinò per raccogliere qualcosa da terra. Istintivamente mi fermai e lei, appoggiandosi con la parte superiore del busto al vicino tavolo, disse “No, no, per favore” La posizione del suo corpo, però, mi stava dando esattamente il segnale opposto e io, che ancora non l’avevo ancora nemmeno sfiorata, le cinsi le mani sui fianchi e avvicinai il bacino al suo sedere. Lei era rimasta piegata, con la pancia e le braccia appoggiate al tavolo e con la testa girata da un lato, ma senza guardarmi. Sentivo la sua pelle caldissima anche attraverso la vestaglietta da casa e il suo respiro pesante, ho ancora indelebile la sensazione del calore del suo sedere attaccato a me e la mia erezione sotto gli slip. Con una mano ho cominciato ad accarezzarle delicatamente un chiappa mentre con l’altra le massaggiavo la parte alta della schiena e il collo. Mi sono allungato e l’ho baciata sulla schiena e mentre l’ho fatto ho sentito il suo sedere premere forte sul mio membro. Non mi ricordo in quale frangente le sfuggì un flebile “ma che fai”, ma io ero ormai in trance. Con le mani le alzai la vestaglia e, dopo averle solamente scostato le mutande, cominciai con le dita a rovistarle la vulva, che era bagnatissima di umori. Prima piano, delicatamente, ma dopo qualche secondo infilai interamente il medio e l’anulare della mano destra fino in fondo mentre lei sussultava e accompagnava le mie penetrazioni spingendo il suo bacino verso la mia mano. Sembrò arrivare subito all’orgasmo perché, come percorsa da una scossa, alzò un attimo la schiena e si adagiò subito dove era prima, muovendosi appena. Senza toglierle le dita da dentro, con l’altra mano mi abbassai la parte davanti degli slip e avvicinai il mio membro alla vulva, visibilmente sbrodolata, di mia suocera. Quando tolsi le dita e le infilai dentro il cazzo la sentii ridire “ma che fai”, ma tornò subito ad accompagnare con il suo bacino i miei movimenti, anzi quando spingevo dentro lo faceva anche lei, per ottenere una penetrazione più profonda. Misi le dita con cui l’avevo penetrata in bocca e sentii fortissimo il sapore della sua vulva, i suoi umori erano di una consistenza viscosa e di un odore eccezionalmente intenso, ma estremamente piacevole. In un minuto le svuotai dentro tutto lo sperma che non credevo nemmeno di avere, ma continuai un altro po’ piegandomi di tanto in tanto per baciarle la schiena e toccarle il seno da dietro. Lei era silenziosa, ma accompagnava ancora con il corpo i miei movimenti. Poi tirai fuori, paonazzo e lucido, il cazzo dalla sua vulva e lo lascia al vento, barzotto, fuori dagli slip. Le rimisi le mutande a posto, subito dopo lei si alzò e trovandosi di fronte a me dopo essersi girata, ha farfugliato “Che abbiamo combinato”. “Niente di cui pentirci” risposi “non ce la facevo più, è un nostro segreto e non dobbiamo vergognarci di niente”. Lei mi guardava, inebetita, e ogni tanto buttava l’occhio sul mio pene. “Mai avrei pensato di poter fare una cosa del genere” mi disse. Io le risposi “nemmeno io, lo sai. Ma mi sei sempre piaciuta e non farei mai una cosa del genere con un’altra donna”. “Lo so che sei un bravo ragazzo, ma sei sempre un uomo ed ero io che non dovevo darti l’occasione..” “Ascolta, Barbara: non credo che se uno vive per la famiglia e poi, per una volta, cade in una cosa del genere possa essere condannato o non essere più una brava persona. Tu rimani la madre di mia moglie, la donna che amo e che non tradirei mai, però con te c’è qualcosa di forte, di carnale, che rimarrà sempre così e che non ci farà mai mandare in malora niente”. La abbracciai, baciandole la testa e lei non mi respinse. Poi prese coraggio e con la mano mi afferrò il pene e lo rimise dentro le mutande dicendo con tono scherzoso “rimetti a posto questo che per oggi hai già fatto troppo danno”. “Perché ho fatto danno?” le dissi e lei, allargando l’apertura inferiore della vestaglia e portando avanti la gamba mi rispose “lo vedi cosa mi cola sulle gambe? Mi sa che è roba tua, meno male che sono in menopausa da un bel po’ sennò dovevamo preoccuparci anche di qualcos’altro”. Presi un po’ di carta da cucina e mi chinai per asciugarle lo sperma che stava colando sulle sue gambe bianchissime, ma lei mi prese la carta e lo asciugò da sola. Da quel giorno è cambiata la mia vita e, probabilmente, anche la sua. L’abbiamo fatto altre volte ed è stato sempre, tremendamente eccitante ma mai come quella prima volta.

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