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Venduta come una Puttana nei cessi

By 5 Luglio 2021No Comments

Ciao! – disse Marco, con un cenno amichevole, ai due stranieri.
– Ciao – Risposero all’unisono, con quell’inconfondibile accento dell’est.
Senza aggiungere altro, mise in mano al più giovane le mie mutandine, indicandogli il gesto di annusarle: quello, lo guardò con un’espressione interrogativa, incerto di aver ben compreso, ma venne rassicurato dall’assenso di lui. A quel punto, benché perplesso, ci cacciò dentro il naso e aspirò profondamente.
Il mio odore dovette piacergli: infatti, mostrando di apprezzarne ogni nota aromatica, inalò a occhi chiusi, letteralmente estasiato. Replicò il gesto per tre volte di seguito. Quando ebbe terminato l’indagine olfattiva, passò l’indumento al compare e la scena venne ripetuta con l’identica modalità.
Marco, prese a parlottare fitto e a bassa voce con loro. Era di spalle e non potevo sentire cosa si dicessero, sembrava aver socializzato alla grande: gesticolavano con le mani, per intendersi si facevano dei segni. I due sorridevano ammiccanti, dalle espressioni parevano apprezzare molto quanto stavano udendo. Guardavano verso me e con la testa facevano segni d’assenso.
Non potevo sapere cosa si fossero detti: a un certo punto, il più vecchio, estrandolo dalla tasca posteriore dei pantaloni, mostrò a Marco il contenuto di un portafoglio di plastica nera, anche il giovane fece per mostrare il suo, ma Marco lo fermò con un gesto, intendendo che non era necessario.
Alla fine ridevano cameratescamente, si scambiarono pacche sulle spalle e strizzate d’occhio, sembravano aver concluso felicemente un accordo, oltre che stretto una felice amicizia.
Intanto mi ero ricomposta, la prossima fermata era la nostra: dovevamo scendere. Attendevo quindi di riavere le mie mutandine. Marco fece ritorno, ma senza il mio capo intimo, lo aveva lasciato in mano a uno dei due individui.
– Cazzo, amore! Che fai, gli lasci le mie mutandine? Dai, veloce, fattele rendere, dobbiamo scendere. La prossima è Amendola / Fiera. – avevo una nota ansiosa nella voce.
Lui sedette al mio fianco e rassicurante, mi passò il braccio intorno alle spalle.
– Tranquilla micina, non ne hai bisogno, tanto non scendiamo ora. –
– Che significa non scendiamo ora? Per quale motivo? – chiesi stupita e confusa
– Di cosa hai parlato con loro? –
– Niente, gli ho chiesto da dove venissero e avevo ragione sai: sono rumeni. –
Ok, va bene: sono rumeni e a noi che ce ne viene? Perché gli lasci le mie mutandine e perché non scendiamo alla nostra fermata? –
– Gli ho anche chiesto se avevano in tasca trentamila lire a testa. –
– E che ti frega se le hanno o no? Perché cavolo glielo hai chiesto?-
– Perché prima gli avevo chiesto se gli andava di scoparti, tutti e due insieme. –
Restai basita, incredula d’aver udito bene.
– Bene! Appurato che gli vada di scoparmi, questo cosa significa? – replicai, iniziando a spazientirmi.
– Significai molto. – rispose serafico – Gli va di scoparti insieme e hanno i soldi necessari. Uno dice che hai delle belle tette, gli piacerebbe metterci il cazzo nel mezzo. Ti vuole venire sulle tette. L’altro invece, ha detto che hai una bocca da pompini e vuole venirti lì. –
– Cazzo amore, ma cosa è sta stronzata? Ti è andato in pappa il cervello? Non scherzare: mica vorrai davvero farmi scopare da questi due sventurati, qui sulla metro? –
Ero sconcertata, non comprendevo dove volesse arrivare e se si trattasse di uno scherzo.
– No tesoro, non qui sul vagone. Per questo proseguiamo fino a Pero. Li è più comodo, ci sono i cessi nella stazione. Hanno pagato trenta euro per uno
Mi guardò divertito, gli occhi sfrontati di un giovane demonio: ero sconvolta.
– Ma che bella pensata, complimenti! E cosa ti fa credere che io sia d’accordo? Inoltre, a parte lo scoparmi, cosa significa la storia delle trenta euro ? –
– Alzò gli occhi al cielo, cercando pazientemente le parole.
– Perché gli ho spiegato che sei molto troia, che ti piace il cazzo, che non hai problemi a farti scopare da tutti e due, ma che non fai pompini o la dai “a gratis”. –
– Merda! Ma sei matto? Mi hai venduta per trentamila lire? –
– Intanto non sono trenta ma sessanta, poi lo sappiamo tutti e due che ti piace il cazzo e l’occasione di prenderne due insieme, facendoti anche pagare, ti attizza troppo. –
– Sei uno stronzo bastardo! Io da quelli non mi faccio toccare, non sperarci. –
– Davvero non ti va che ti riempiano la fighetta insieme puttanella ? –
– Certo che non mi va, scordatelo! –
– Sicura che non ti stuzzica? Guarda che a occhio mi sembrano anche ben dotati, mica capita tutti i giorni un’occasione così. –
Esibiva una assoluta faccia di bronzo. Ero veramente tentata di schiaffeggiarlo in malo modo.
– Vabbè non ti va, però di questo cosa mi dici troietta ? –
Mi aveva infilato la mano tra le cosce, le dita insinuate fra le labbra della fica, le mosse appena e un fiotto caldo gliele intinse.
– Sbaglio o la tua fighetta la pensa in modo diverso? –
Aveva un sorriso beffardo, mostrava tutto il divertimento che quella situazione gli procurava. Però lo stronzo aveva ragione: dentro ero ancora in fiamme, ero stata troppo sollecitata, sarebbe bastato un nulla a farmi partire l’orgasmo.
Mi fissò negli occhi e vi lesse chiaramente l’incertezza di sottrarmi a quella sorta di mercimonio. Mi conosceva troppo a fondo: leggeva i miei pensieri.
– Troietta, non voglio chiederti nulla che tu non abbia voglia di fare. Questa cosa è un gioco tra di noi, loro sono balocchi da usare per il nostro piacere. Credimi è solo questo: stiamo giocando. –
Non risposi, avevo il broncio e l’aria offesa.
– Dai puutanella, proviamo! Se vedi che non ti va o si comportano male, li mandiamo a fare in culo e ce ne andiamo. Mica dobbiamo sposarli, giusto? –
In effetti, messa così la cosa aveva un suo senso. Era vero che se qualcosa non mi fosse andata a genio, si stoppata tutto e li mandavamo a stendere
Lui intuì che mi stavo ammorbidendo: mi baciò con uno dei suoi baci mozzafiato.
Non ci fu bisogno di aggiungere altro: aveva vinto.
Il treno macinava le stazioni a velocità fulminante, ci eravamo già lasciate alle spalle quattro fermate dopo la nostra e riuscivo solo a pensare che quella per Pero era fra tre.
Ero in palla. Tutto stava accadendo troppo in fretta e io ero troppo fatta per ragionare in maniera sensata. Un marasma di pensieri frenetici mi martellava la mente, mi sentivo intrappolata in un gioco che lui aveva creato, dandomene conto solo alla conclusione e questo mi bruciava.
Lui appariva tranquillo, non mostrava emozione, sembrava quasi che la cosa non lo riguardasse: era impegnato a leggere una pubblicità di vacanze estive, su un pannello sopra le nostre teste.
Gli altri due si avvicinarono e presero posto in fronte a noi.
A loro, contrariamente, la cosa riguardava molto. Non perdevano un mio solo respiro, mi stavano divorando con gli occhi. Per quei due ero una vera botta di fortuna: il biglietto vincente della lotteria di capodanno, trovato per strada.
Sguardi lascivi, correvano voraci, da un punto all’altro del mio corpo.
Sorridevano e si godevano le linee morbide delle mie cosce tornite, soppesavano le labbra carnose della mia bocca, il volume del mio seno, con tette così prominenti ed esposte fino all’aura bruna dei capezzoli, dove il vestito era rimasto sbottonato
I due maiali mi fissavano, pregustando il mio sapore, tra poco avrebbero potuto saziarsi a piacimento: avevano pagato per farlo.
Portavano larghe camice a quadri, dai colori improbabili, malamente sgualcite della giornata di attività. Indumenti da bancarella, buoni per il lavoro di cantiere. Le tenevano sbottonate sul petto e annodate al bacino. Aloni scuri di sudore segnavano le ascelle, le maniche rimboccate mostravano avambracci robusti e nodosi.
Avevano fisici di statura superiore alla media. Muscoli asciutti su ossature massicce, mostravano consuetudine a lavoro duro e fatica. Le epidermidi sui volti e le braccia erano brunite, non certo abbronzature guadagnata in piscina, ma sudate sotto il sole ì, fra polveri di cemento e fumi di catrame bollente.
Mi sentivo una prostituta che avevano comprato: una puttana raccolta per strada, un oggetto di piacere a totale disposizione. Mi fissavano e ridevano tra loro, bisbigliandosi qualche grassa oscenità, in quella lingua aliena.
Se chiudevo gli occhi, potevo immaginare le loro mani ruvide e callose, percorrere rapaci il mio corpo, a cercare ingorde, penetrare e dilatare la morbidezza dei miei orifizi.
Vedevo le loro labbra ansiose sulla mia pelle, le lingue umide a leccare, le bocche a succhiare e mordere, i loro sessi, esasperati di voglia, cercare sfogo nel profondo delle mie intimità. Il mio corpo da possedere a piacimento e forse, umiliare con disprezzo.
Si levarono insieme dai sedili avvicinandosi. Scambiarono uno sguardo con Marco per accertarsi del suo permesso, lui approvò con uno cenno del capo.
Il giovane posò le mani sui seni, li strinse forte, scese a mordermi i capezzoli: la barba ispida mi graffiò la pelle, mentre lasciava tracce umide di saliva con la lingua. Emisi un gemito trattenuto.
L’altro, con una mano mi dischiuse senza delicatezza le labbra della fica: le dita scivolarono morbide fra le mucose fradice. Le spinse a fondo, poi le ritrasse zuppe di umori e le succhiò con un rumore sconcio.
Non pago, con una sberla su una natica mi fece intendere di voltarmi: mi poggiò una mano sulle reni per farmi reclinare in avanti, le stesse dita, ancora bagnate, me le introdusse nell’ano. Aveva dita nodose e dure come legno, le ruotò nel budello.
Questa volta al sospiro seguì un gemito: ero molto sensibile lì.
Avrei dovuto provare ribrezzo, disgusto per loro e per quella situazione mortificante in cui, quel mostro di Marco, mi aveva cacciata. Mi dicevo che sarebbe stato normale sentirmi salire in gola il vomito, lo attendevo: ma non accadeva nulla e provavo una strana vertigine per questo.
Ero furente con Marco, sentivo che avrei dovuto ribellarmi, alzarmi da quel sedile e scendere alla prossima fermata, lasciandolo con quei due disperati, fuggire via e non cercarlo più.
Cercai dentro di me l’energia per farlo, ma non c’era. Restavo invece inerte, svuotata di forze. Il treno proseguiva sua corsa cieca: filava rapido, verso l’inevitabile conclusione di quella storia dissoluta.
La mia rabbia di quel momento si legava a un rancore più antico, una situazione analoga vissuta anni addietro: quella del rapporto con mio cugino Filippo, più grande di me di due anni.
I fatti risalivano ai miei quattordici anni, quando spinta dai miei, ansiosi che praticassi uno sport da adolescente di classe agiata, calcai riluttante la terra rossadi un club di tennis. Non divenni mai una tennista decente, il mio rovescio era penoso, ma appresi presto altre specialità.
Frequentavamo lo stesso club con Filippo, il quale era amico di tre coetanei, iscritti come noi.
Uno di loro mi faceva il filo di continuo, era un bel tipo e ne ero fortemente attratta: così un giorno che ci eravamo appartati a pomiciare negli spogliatoi, Filippo ci sorprese mentre gli facevo un pompino.
Quel bastardo iniziò a ricattarmi, minacciò di sputtanarmi raccontando la cosa ai miei. Giunse al punto di costringermi, per un certo periodo, a fare pompini ai suoi amici, in cambio di una nuova marmitta cromata per la sua moto da enduro. Anche allora non trovai la forza di ribellarmi e subì quella sorta di violenza in uno stato di sudditanza mentale.
Ciò che poi mi turbò per molto tempo, fu d’aver vissuto quell’esperienza in uno stato interiore profondamente ambiguo: facendomi scoprire la vocazione a ricavare piacere nell’essere dominata. Avevo scoperto, mio malgrado, che quel vile ricatto, invece di affliggermi, mi lasciava le mutandine umide di succhi.
Immersa in quei ricordi, mentre ci avvicinavamo alla destinazione, avvertivo uno strano languore caldo, un misto di paura e curiosità malata. Cresceva in me il desiderio perverso di provare, di andare in fondo, abbandonarmi affinché tutto accadesse.
L’insana voglia di essere offerta a sconosciuti, pagata come una puttana da marciapiede.
– Sei uno stronzo! – mormorai rabbiosa all’orecchio di Marco.
– Si, lo so. – rispose senza scomporsi.
– Sei anche un gran porco! – Aggiunsi a denti stretti.
– Vero! E questo ti piace un sacco. – gli avrei cavato gli occhi.
– Sei una merda! – rincarai – Poi, io, in tre non l’ho mai fatto. –
– Tranquilla sono solo due. Io non partecipo. –
– Ma sei pazzo? Vuoi lasciarmi sola nelle mani di..di questi maiali? –
– Beh! Sai, qualcuno deve pur fare da palo lì nei cessi. Vabbè che è l’ultima corsa del metrò, ma non si sa mai che arrivi qualcuno che gli scappa di pisciare. Poi loro hanno pagato, non sarebbe corretto. –
– Cazzo! Sei un pappone schifoso. Dovevi avvertirmi di questa cosa. –
– Dai, lo sai, non c’era tempo. Ho avuto un lampo di genio e ho agito d’istinto. –
Rise, allegro e soddisfatto come se avesse compiuto un’impresa di cui essere fiero.
– Poi, ragiona: se te lo avessi detto, non ci sarebbe stata sorpresa. –
Che figlio di puttana! Lo detestavo con tutta me stessa.
– Sei un fottuto rotto in culo. Ti odio. –
Mi prese il mento tra le dita con una carezza gentile e mi guardò negli occhi con tenerezza.
– Dai micetta, fai la brava. Ho tanta voglia di vederti fare la porca con due così rustici. Mi arrapa da matti. –
Mi bacio le labbra con tenerezza soave.
– Dai ti prego, fai la maialina, fallo per me, lo sai che ti amo. –
– Scese a baciarmi languidamente il collo: un succhiotto che avrei dovuto nascondere con un foulard l’indomani, per non fammi sgamare dai miei.
– Depravato! Questa ma la paghi! Giuro! –
– Si troietta, però adesso, visto che pagano loro, tu gli ciucci un po’ il cazzo e ti fai riempire la fica da brava. – Rise di gusto.
– Vaffanculo! Sei un pervertito. –
– Non c’è dubbio amore. Ma so che farai del tuo meglio, perché sei tanto troia dentro e lo sai meglio di me. –
Il convoglio decelerò, la fila continua di luci lungo la galleria presero a distinguersi, con intervalli sempre più lunghi.
Il fischio prolungato della frenata annunciò la nostra fermata: eravamo a Pero..Arrivammo alla stazione della stazione della metro e

Smontammo sulla banchina, poi salimmo per le scale che portavano al mezzanino superiore. La stazione appariva deserta e silenziosa, nella luce cruda dei neon ci muovevamo rapidi e circospetti come fantasmi.
Marco faceva strada con sicurezza, conosceva bene il posto, il maiale.
Lungo la parete alla nostra destra si apri un lungo corridoio. Un cartello con grafiche scolorite segnalava l’accesso ai bagni della stazione. Piastrelle, un tempo bianche, ora simili nella tinta alle pareti di un obitorio, rivestivano l’ambiente fino a due metri da terra. Una processione di neon polverosi ci guidarono ai cessi degli uomini.
I due grezzi allungarono mani ansiose, facendole correre sulle natiche, pizzicando e tastandomi il seno.
L’interno presentava una fila di orinatoi a parete e gabinetti alle turca sul fronte opposto. Centinaia di graffiti osceni tatuavano le pareti fino all’altezza permessa dalla mano d’uomo. L’arte rupestre di generazioni di grafomani, passati da li a vuotare la vescica, avevano lasciato messaggi volgari e demenziali a sedimento del tempo.
Marco si fermò nell’antibagno, ci fece cenno di proseguire dentro senza lui: entrai seguita dai due uomini.
– Potete farle di tutto. – li istruì deciso – Ma non il culo, intesi? Per quello non avete pagato. –
Si appoggiò al muro e si accese una cicca, con l’occhio rivolto al corridoio, pareva un vero magnaccia al proprio impiego quotidiano.
Il luogo era impregnato di un odore pungente: orina ed escrementi incrostati che ti prendeva alla gola. Pensai a quanto fosse umiliante essere li mezza nuda, a fare la puttana per quei due.
Loro, impazienti di cominciare, andarono per le spicce, il più vecchio aprì le danze: mi slacciò del tutto il vestito, lasciandomi solo con le mie Superga sabbia ai piedi. Con una smorfia volgare di denti ingialliti dal fumo, mi rifilò subito una serie di schiaffi alle natiche: il mio culo era sodo e la cosa gli dava gusto.
Non mi capacitavo: non solo non sentivo ripugnanza, ma avvertivo la sensazione che ben conoscevo quando mi si induceva a compiere cose turpi. Lo stesso olezzo che aleggiava nella stanza aveva nel mio cervello un effetto conturbante, paradossalmente afrodisiaco. Il sesso iniziò a pulsarmi e mi si indurirono i capezzoli in maniera vergognosa.
Loro lo compresero e la cosa li rendeva euforici: stesero il mio vestito a mo’ di lenzuolo, sul lercio pavimento e mi fecero mettere carponi, viso a terra.
Il più vecchio mi introdusse, senza delicatezza, due dita o più nella figa, iniziò a pomparle dentro con un movimento brusco: le ritirò lucide delle mie bave e le mostrò al giovane:
– Guarda come sbroda questa puttanella. – disse nel suo italiano incerto e risero sguaiatamente.
– Le cola la fica per la voglia di cazzo. – assentì il più giovane.
– Ora gliene diamo quanto ne vuole. – concluse l’altro.
Pensai che qualcosa di italiano, quei due lo avevano imparato, almeno quello che serviva a spiegarsi quando andavano a troie.
Da vicino, la puzza di sudore e del vino, presumibilmente bevuto a cena, era greve. Sicuro che non avessero fatto una doccia di fresco o nettati i denti quella sera, e forse neppure nei giorni prima.
Mi fecero cenno di aprirgli le patte dei pantaloni, lo feci ed estrai i loro membri dagli slip. Mi ritrovai in mano due attrezzi di considerevoli dimensioni e già in tiro. Iniziai a far scorrere la pelle lungo le aste: le loro cappelle congestionate lacrimavano goccioline sierose dall’uretra. Presi a segarli lentamente avvicinandoli al viso: avevano una sentore selvatico, il clitoride mi doleva per quanto era turgido.
– Sputa sui cazzi troia, menali come si deve. Datti da fare piccola sporcacciona. –
Feci colare fili di saliva su entrambi i sessi, le mani scivolarono lisce sulle pelli lubrificate, tirai lentamente le epidermidi ai bordi delle cappelle, per poi riportarle in basso fino al limite dello scroto. Avviai la vigorosa masturbazione usando in contemporanea le mani: una per ciascun sesso .
– Ora lecca e succhia. Facci sentire come ingoi i cazzi, con quella bocca da pompinara. –
Obbediente, iniziai a percorrere i membri con le labbra dischiuse e salivose. Li inzuppai lungo tutta la superficie di bava filamentosa. Esplorai con la punta della lingua i rilievi nodosi e le vene ingrossate che li solcavano, poi la feci guizzare rapida sui frenuli alla base delle cappelle e ancora più in giù, voluttuosamente, lungo lo scroto fino a lambire gli ani.
Emettevo versi lascivi e sospiri, nel colmarmi la bocca dei sessi.
Mentre compivo quel raffinato lavoro di bocca, vidi con la coda dell’occhio Marco che appoggiato allo stipite della porta, si godeva lo spettacolo: aveva tirato fuori il sesso e si stava masturbando con lentezza.
” Che porco! ” pensai “Gli piace toccarsi guardandomi succhiare il cazzo a degli sconosciuti.”.
Allora decisi che se godeva a vedermi fare la troia, lo avrei accontentato.
Per ripicca sarei stata una cagna in calore, più puttana e insaziabile di una baldracca da reggimento.
Presi il cazzo del più vecchio e lo strusciai fra le tette: il porco mi fece colare la sua saliva in mezzo ai seni perché scivolasse meglio, intanto con le dita mi pinzò i capezzoli e li torse tirandoli verso l’alto, un dolore ardente che ebbe il potere di eccitarmi ancora più.
– Uhmmh …Siii…cosììì… – Emisi dei gemiti prolungati e una nuova colata di ciprigno mi fiorì fra le cosce.
Il sesso dell’altro lo avevo in bocca, mi teneva la testa tra le mani e mi scopava la gola con metodo. Scivolava a toccarmi l’epiglottide, combattevo lo stimolo a rigettare e sbavavo tossendo. Quando lo tirava fuori, la saliva glielo rendeva lucido e brillante: mi stupiva che potessi ricevere tutta quella carne in bocca senza soffocare.
Mentre avevo quel cazzo affondato nella gola, l’altro da dietro, si faceva strada con la mano nella fica.
Spinse tutte le dita dentro, mentre con la mano libera mi sculacciava con colpi secch:, sentivo bruciare le natiche a ogni schiocco sonoro. Ero in fregola, mi sentivo una porca in estro. I due lerci mi scopavano insieme come una vacca, ansimavo forte e lampi rossi mi appannavano la vista.
Il più vecchio, non pago delle sculacciate, sciolse la cintura dei pantaloni, la piegò in due nella mano e iniziò a infliggermi delle energiche staffilate sulle natiche. I suoi colpi si alternavano agli affondi del cazzo del compare nella mia bocca: lavoravano in sintonia, non dandomi tregua. Gemiti, come un gorgoglio liquido mi salivano dalla gola, secrezioni di bava colavano lungo il collo, avevo il seno fradicio.
Mi vollero supina al pavimento, spalancandomi le cosce: il giovane mi teneva le braccia sopra al capo stringendomi i polsi, l’altro iniziò a rifilarmi cinghiate sui seni e sulla figa aperta. Davano sfogo alle loro fantasie sadiche, la libidine gli riempiva gli occhi e io ero il soggetto perfetto su cui scatenarle. Mugolavo sussultando ai colpi, ma ubriaca di desiderio tendevo il bacino, inarcandolo per riceverli.
Poi si scatenarono: avevo le loro mani ovunque, mi strizzavano le tette, ciucciavano e mordevano con frenesia, mi colpivano ripetutamente i capezzoli con schiaffi che li rendevano turgidi come sassi. Ero carne calda, plasmabile come pasta frolla nelle loro mani: questo mi piaceva, volevo esser usata così, presa oscenamente senza ritegno, volevo godere.
Mi costrinsero a prenderli in bocca insieme, erano grossi, avevo le guance sformate dai loro sessi, mi dolevano le mascelle, la saliva colava copiosa sulle tette e sul ventre, loro me la impastavano sul corpo con le mani, ero in un bagno di umori.
Il giovane, si stese a terra e mi volle a cavalcioni della sua bocca. Gli sfregai l’inguine sulle labbra: iniziò a divorarmi la fica e il culo con la lingua. Ero tutta aperta, mi scavava dentro con quell’appendice mobile e viva come un piccolo serpe. Le labbra mi succhiavano il clitoride come fosse un minuscolo cazzo eretto, mi dilatò l’ano infilandoci le dita, urlai di piacere, gli colmai la bocca di liquidi densi.
L’altro volle che mie tette gli stringessero il sesso come tra due guanciali. Eeravamo intrisi di sudore, saliva e secrezioni intime: l’odore di sesso caldo si mescolava nell’ambiente e a quello rancido delle latrine. Mi sentivo sporca, sconcia e piena di voglia, desideravo solo che mi insudiciassero con la loro saliva, le lingue e la sborra cremosa.
– Forza, datevi da fare, che viene tardi.- li incitò Marco. – Fottetela ora! –
Allora mi misero prona, con la testa in basso, uno mi prese da dietro: sentì la grossa cappella farsi strada nel mio nido caldo e scivolare come risucchiata all’interno. Subito iniziò a pomparmi con foga, mi diede colpi forsennati fino al fondo dell’utero, pareva che volesse devastarmi col sesso.
L’altro, in ginocchio davanti al mio viso, continuò a farsi succhiare il cazzo, mentre lo facevo mi mungeva le tette a piene mani, a tratti le colpiva col dorso della mano. Marco gli aveva detto che non potevano farmi il culo, perché non era pattuioto nel prezzo, ma il più vecchio, mentre mi fotteva, mi dilatava ugualmente l’ano con le dita.
Mi sentivo piena di cazzo e dita in tutti i buchi, sentivo l’anello dello sfintere dilatarsi al limite della rottura, mi stava sfondando il culo con la mano, il maiale.
– Scopatemi! Allargatemi la fica! – supplicavo.
– Ti sfondiamo piccola cagna, vedrai che ti facciamo contenta. –
– Sii! Di più! Sono la vostra puttana, da farcire di cazzo e sborraaa!… –
Il più giovane mi fece impalare sul suo sesso. Col suo membro in figa mi attirò a se, supina, sul suo petto con le cosce divaricate. A quel punto l’altro mi si inginocchiò davanti e iniziò a leccarmela succhiandomi il clitoride, sotto di noi una macchia scura si era allargata su tutto il mio povero vestito.
Poi il più vecchio prese il membro in mano, sputò sul glande e lo puntò sulla soglia della mia fica: iniziò a spinge dentro il sesso con la pressione delle dita, voleva infilare anche il suo nella mia vagina già piena del compagno.
– Nooo! – gridai spaventata.
Lui indifferente continuò a spingere il suo grosso bastone nella morbidezza madida del mio sesso. Mi si bloccò il respiro per il terrore: annaspavo senza fiato. Tentai di farlo desistere, di respingerlo con le braccia protese, lo insultai con tutti gli epiteti più sanguinosi che conoscevo, ma fu uno sforzo vano. Lo sentì avanzare inesorabile, si fece strada lentamente fra le mucose elastiche e sdruccie, mi sentì dilatare come per un parto, ma incredibilmente, alla fine, riuscì ad entrare in tutta la sua dimensione.
Ero sconvolta! Non potevo crederci, avevo due cazzi in figa che mi stavano scopando.
Presero a muoversi dentro me con spinte sintoniche, sembrava che un solo cazzo di diametro asinino mi stesse sfondando. Temevo a ogni colpo di lacerarmi, ma non avvenne. Dopo poco, iniziai ad adattarmi, non provavo dolore, la sensazione era di assoluta pienezza, per la verità niente affatto spiacevole, le mie secrezioni si fecero più abbondanti e iniziai a muovermi, tutta aperta per riceverli più a fondo.
La mia fica era una bocca vorace e bulimica di piacere, quei colpi li desideravo ancora più penetranti e violenti. Avevo la respirazione in affanno per lo sforzo, farfalle bianche nel campo visivo, era un delirio carnale che mi travolgeva con vampate crescenti, dal basso ventre a salire lungo la spina dorsale.
Ero piena! Il giovane, da sotto, mi strizzava le tette muovendo sinuosamente il bacino dentro me, quel massaggio rotatorio mi slabbrava il sesso. L’altro, da sopra, pompava colpi potenti, mi stavano sfondando. Mormoravo frasi sconnesse e torride, nel linguaggio osceno del sesso.
Ero persa, sconvolta, fradicia di sudore e secrezioni, la mente annebbiata seguiva un filo incandescente di fremiti che irradiavano dal mio clitoride alle terminazioni nervose della vagina.
“Cazzo!!” pensai “Sto per godere!”.
– Sii! Riempitemi di sborra. Riempitemi tutta! –
Marco si era avvicinato, contrariamente a quanto aveva detto, ora cercava la sua parte.
Si piazzò a gambe divaricate sopra il mio viso e flettendo le ginocchia portò il cazzo alle mie labbra, lo accolsi, lui iniziò a dondolare il bacino scopandomi la bocca.
– Dai troietta godi, che sborriamo tutti insieme. – disse Marco, con una voce impastata di libidine.
Infatti, sotto i colpi dei tre cazzi, venni travolta da un orgasmo che mi scosse come un fuscello nel mezzo di un tifone. Una sensazione intensa e lunga che mi tolse forze e fiato. Vennero anche loro, ma non dentro me: il più vecchio sulle tette inondandomi il petto, il giovane lo sflò inondandomi il cespuglio del ventre.
Solo Marco si ritirò dalla mia bocca senza eiaculare e mi domandai perché?
La stanza volteggiava intorno, rimasi sdraiata in attesa che la vertigine cessasse. La scossa di piacere ricevuta mi aveva lasciata come un naufrago gettato in riva dai flutti. Lo sperma ricevuto mi colava lugo il corpo con rivoli vischiosi, ne colsi una ditata e me la portai alla bocca, la leccai guardando Marco negli occhi.
– Troia, succhiacazzi. – disse sorridendo.
– Si, pappone e guardone. – risposi sorridendo a mia volta.
I due stranieri si ricomposero alla meglio, pagarono la marchetta e si dileguano verso l’uscita. Avrebbero avuto molto da raccontare di quella notte, al loro ritorno in patria.
Io e Marco restammo soli, lui tirò fuori un pacchetto di Kleenex e mi aiutò a detergermi dallo sperma e le secrezioni, mi sentivo addosso un odore di sesso che neppure una puttana da casino doveva avere mai sentito.
– Ti è piaciuto vero? – sorrise e mi passò un dito sulle labbra, aveva un tono protettivo, quasi paterno.
– Sì, brutto bastardo e molto anche. – risposi, col broncio da bimba troia indispettita.
– Non ne dubitavo. – replicò lui appallottolando i fazzolettini sudici.
– Ho la figa rovinata, non mi potrai più scopare per almeno due settimane. –
– Dai rivestiti, che cerchiamo una cabina telefonica e troviamo un taxi per andarcene. –
Mi scappava di fare pipì, quindi entrai in una cabina con la turca dove scaricami e mi appartai per farla.
La porta era aperta, Marco di fuori mi osservava compiaciuto.
– Toccati un po’, mentre la fai. – mi disse.
– Che porco depravato che sei. Ma non ti basta mai? – mi venne da ridere di gusto.
Allargai le cosce e mentre le prime gocce stillavano, mi massaggiai le grandi labbra ancora dolenti per la performance subita, la sentì scorrere piacevolmente calda tra le dita.
– Trattienila, falla lentamente, mi piace guardarti mentre pisci e ti tocchi. –
– Sei troppo maiale amore…Tu sei malato. – esclamai.
– Anche tu ti difendi bene tesoro. – Un sorriso perfido, di irresistibili denti candidi gli illuminò il volto.
Trattenni il getto rallentandolo e mentre lo facevo portai la mano dietro e mi infilai due dita nell’ano.
– Scommetto che così ti piace di più? – dissi provocante.
Lui si avvicinò e quando terminai mi fece voltare e poggiare al muro con le mani.
Si inginocchiò alle mie spalle, mi dischiuse le gambe: sentì la sua lingua penetrare la corolla orlata dell’ano, dopo averla insalivata si raddrizzò, poi la sua cappella turgida si appoggiò al mio sfintere e con lentezza venne inghiottita dal mio budello.
– E’ tutta la sera che ho voglia di farti il culetto porcellina mia. –
Mi leccò sensualmente la nuca e ghermì le tette con le mani, sentì i suoi testicoli sulle natiche mentre sprofondava in me fino a premere il pube contro il mio coccige, ansimando mi mormorava irripetibili porcate nell’orecchio.
– Troia, pompinara, sfogacazzi, cagna, ciucciatrice di sborra. Ti sto sfondando il culo! –
Muovevo i glutei per accompagnare la penetrazione che entrava e usciva lenta dal mio intestino. Con le gambe che mi reggevano a stento, mi abbandonai contro la parete che avevo davanti a ricevere quegli assalti,.
Mi colse il nuovo orgasmo: venni squirtando ciprigno e schizzi di orina tra le cosce. Venne anche lui, esplose assestandomi colpi animaleschi, fu un clistere di sperma bollente. Restammo ansanti e stremati: io col viso e le mani poggiati al muro, lui dentro me con le mani strette ai miei fianchi. Lo sentì diminuire di dimensione, rimpicciolirsi nel mio retto.
Poi avvertì una sensazione calda invadermi il budello: il calore tracimava dal mio ano e colava liquido all’interno delle cosce creando rivoli lungo le gambe, una pozza si allargò intorno ai nostri piedi.
– Scusami! Ma scappava anche a me di fare pipì. – disse Marco, poi mi morse tra il collo e la spalla con dolcezza……il mio porco perverso…….per commenti——————————————–ciccina5551@gmail.com

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