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La Manager e il suo giovane Padrone

By 7 Ottobre 2018Dicembre 16th, 2019No Comments

Giulio, seguito da Rita e Laura, entrò, senza bussare, nella stanza della sua e della loro dirigente. Giulio ormai era il Padrone di tutte, e prima di tutto della sua dirigente, quindi lì dentro faceva quello che voleva.
Appena entrarono Maria Salini, a capo della direzione Supporto Clienti, si mise in piedi in attesa di ordini da parte di Giulio.
Giulio era il suo Padrone da un paio di mesi, nonché suo dipendente da meno di tre mesi. Un ragazzo che lei, da poco, aveva promosso a responsabile del suo staff. Questo non solo perché era diventato il suo Padrone, ma perché innegabilmente era molto in gamba. Anche se era ancora giovanissimo per un qualsiasi posto di responsabilità.
Giulio questa volta non perse tempo, di solito la teneva in piedi come una scolaretta per diversi minuti mettendola a disagio ed in imbarazzo.

Guardò l’orologio e le ordinò – spogliati troietta. –
Maria era una quarantenne minuta, alta sopra la media, motivo per cui appariva ancora più magra di quello che in realtà era. Aveva un seno piccolo, ma ben disegnato ed un culetto tondo ed alto. Fino a qualche settimana prima si presentava come una donna scialba e per nulla sensuale, ma in quei due mesi era già cambiata parecchio, anche se c’era ancora molto lavoro da fare.
Maria arrossì e si spogliò, era già umiliante quando era da sola con lui, diventava intollerabile davanti a quelle altre due puttanelle, anche loro sue dipendenti dirette. Ma ormai si stava abituando ed ubbidiva prontamente a quei comandi. Poi tutto si svolse molto in fretta. Maria fu travolta e non ebbe neanche il tempo di capire cosa stesse succedendo.
Laura tirò fuori da una borsa sportiva un catsuit nero in latex e, sotto lo sguardo implacabile di Giulio, aiutata da Rita, lo fece indossare alla dottoressa che pensò “un’ennesima umiliazione di fronte a queste due puttanelle”.
Nelle ultime settimane era successo più volte, ma ciò non le impediva di vergognarsi come una verginella, però ormai subiva ed accettava, si era adattata a quella nuova vita, certo molto umiliante, ma di cui, in fin dei conti, non sapeva più fare a meno.
Pensava che prima dell’arrivo di quel giovanotto la sua vita fosse molto triste, solo lavoro. Ora… era molto movimentata. Il vestito aderiva al suo corpo perfettamente, anche se tutto si svolgeva velocemente ebbe il tempo per ammirarsi, era come se fosse nuda. Il vestito auto-modellava il suo corpo come una seconda pelle, era un piacevole ed eccitante contatto, il piccolo seno ne era esaltato, il suo culetto anche e le sue gambe sembravano ancora più lunghe, vertiginose.
Maria non si allarmò neanche quando Giulio le prese i polsi, li portò dietro la schiena e lì li fisso con dei fermagli applicati al vestito stesso. Maria ebbe qualche difficoltà a rimanere in piedi mentre Laura inginocchiata di fronte a lei le faceva indossare delle decolté con un tacco a spillo spaventoso, di almeno 15 cm., lei che da poco aveva imparato a stare su un tacco 8. Ma la sostennero e ci riuscì, però ora iniziava ad essere stressata, a tremare ed a sudare, ed anche a preoccuparsi, ma cosa vogliono fare pensava.
Intanto era immobilizzata, per quello bastavano i tacchi e si sarebbe sentita persa, incapace di muoversi, ma aveva anche i polsi fissati dietro la schiena. Cercò di non perdere l’equilibrio.

Voleva riflettere, sentiva che nell’aria c’era qualcosa di diverso dal solito, ma intanto intorno a lei tutto si svolgeva molto rapidamente. Giulio le chiuse intorno al collo un collare di cuoio laccato ed altissimo, che la costrinse a tenere il collo eretto ed allungato, ora poteva guardare solo davanti a sé e lontano, non riusciva più a guardare in basso, come avrebbe fatto a camminare?
Ma non era finita, il peggio fu la maschera, sempre in latex, che Giulio le calò sul capo e sul viso. Maria andò nel panico, non vedeva più niente, infatti la maschera non aveva i buchi per gli occhi, solo quelli all’altezza delle narici e della bocca. Stava per dire – Padr… – che una ball gag le chiuse la bocca e non poté più parlare e doveva respirare solo dalle narici.
Il panico montò irrefrenabile, iniziò a dibattersi ed a tremare. Sotto la maschera piangeva e questo poteva essere pericoloso per la respirazione. Per fortuna, lei non se ne era neanche accorta, ma la ball gag aveva dei forellini, e quindi poteva respirare anche dalla bocca, anche se non poteva parlare. Quando se ne rese conto si calmò, ma era preoccupatissima, ne aveva passate tante in così poco tempo, ma quella le sembrava una cosa completamente nuova. Una svolta nella sua breve ed intensa vita da schiava.

Tutto andava sempre più veloce, Giulio la prese in braccio e la calò dentro una cassa che Rita era andata a prendere mentre lui terminava i preparativi. La cassa stava su un carrello. Giulio la chiuse e Rita guidò il carrello verso il montacarichi. Non erano passati neanche dieci minuti. Ora Maria era terrorizzata. Non vedeva, ma sentiva che era chiusa dentro una cassa e sentiva che il carrello scivolava nei lunghi corridoi dell’azienda. Dentro la sua azienda, l’azienda in cui era una dirigente.
Era terrorizzata che la scoprissero, prima ancora che di quello che sarebbe successo. E cosa sarebbe successo? Ora distesa dentro quella cassa, al buio, aveva tempo per pensare, ma non ci riusciva lo stesso, panico e terrore, ansia e paura la dominavano completamente, troppo per poter pensare. Era immobile ed aveva il fiatone, era terrorizzata anche dalla paura di non poter respirare, e se riempiva quei buchetti di saliva e se le narici si fossero riempite di muco?
Ecco, gli unici pensieri che aveva erano terrorizzanti. Nel buio più assoluto senti che era su un ascensore o sul montacarichi. Dove la stavano portando? Si chiese.

Erano in cinque, due uomini e tre donne, che da più di un anno si vedevano in quello scantinato ogni venerdì per fare bisboccia all’ora di pranzo, qualcuno portava le pizze, qualche altro le birre e alla fine ci poteva scappare anche qualche orgetta. A Rita i due uomini non piacevano, anche se riconosceva che erano due maschi cazzuti ed infoiati, quindi per evitarli aveva dichiarato di essere lesbica, di conseguenza si limitava a qualche rapporto saffico con le due manze. Uno dei due uomini era uno dei guardiani che aveva la chiave di quello scantinato e quindi non correvano nessun rischio.
Rita spinse fuori dal montacarichi il carrello con la cassa e si avviò lungo i corridoi scarsamente illuminati del piano interrato, verso lo scantinato.
La porta era aperta, entrò e richiuse la porta, aprì la cassa e tirò fuori la sua direttrice tremante e annichilita. Dovette fare un grande sforzo per riuscire a metterla in piedi, ma ci riuscì. La schiava camminava con grande fatica a passettini e sarebbe sicuramente caduta a terra senza il sostegno di Maria.
Fece un debole tentativo di opporsi, ma Maria ormai la comandava a bacchetta.
– Stai zitta troia se non ti vuoi far scoprire devi stare sempre zitta, qualsiasi cosa succeda. – Maria pur volendo non poteva parlare, voleva chiedere cosa sarebbe successo, ma non poteva. Rita la legò con tre larghe fibbie di cuoio ad un pilastro, una sotto il seno, un’altra all’altezza dei fianchi ed un’altra sotto le ginocchia. Poi si accese una sigaretta e si sedette sulla cassa. Ormai mancava poco, quindi i suoi colleghi sarebbero arrivati.
Maria faceva una gran bella figura in quell’oscena mise, non l’avrebbe riconosciuta nessuno, ma la troia non lo sapeva, anche se poteva immaginarlo e per tutto il tempo sarebbe morta di vergogna, un’agonia.

Giulio, con la complicità di Rita aveva visitato lo scantinato il giorno prima ed aveva predisposto tutto, ma soprattutto aveva piazzato una telecamera ed un’antenna wifi in un angolino in alto, difficile da individuare.
Ora seduto al posto della sua dirigente schiava si apprestava a seguire tutto al computer. Lui era seduto, Laura, la bella biondina alta e magra, ma con tutte le curve giuste, era sotto la scrivania, in ginocchio tra le sue gambe. L’aveva già preso in bocca e succhiava. Giulio l’accarezzava svogliatamente mentre guardava Maria. Purtroppo Maria era mascherata e Giulio non poteva vedere, ma solo immaginare, la sofferenza e la paura della schiava. Ogni tanto vedeva quel corpo sussultare spaventato, ma niente altro. Chi sa cosa sentiva? Si domandava Giulio osservandola. Desiderava essere lì ad accarezzare quel corpo tremante, sentire il suo cuore battere tumultuoso. Poi volse lo sguardo verso Rita che fumava tranquillamente seduta sulla cassa.

Nei giorni precedenti Rita aveva preparato un po’ il terreno, ma quello che sarebbe successo era comunque un’incognita. Rita aveva lasciato cadere come per caso alcune paroline.
– E se aveste una donna a disposizione inerme e sottomessa cosa fareste? –
Il guardiano rispose che le avrebbero riempito tutti i buchi, l’altro un funzionario di poche parole assentì, le due donne si sarebbero fatte leccare fino a sfinire la troia. Poteva andare pensò Rita, poi si sarebbe visto cosa sarebbe successo davvero.
La scena cambiò in pochi minuti, prima arrivarono due quarantenni, una balenottera con i capelli tinti di rosso e una bionda riccia, entrambe molto pettorute e su tacchi alti, la bionda a passettini per la gonna stretta, la rossa con passo deciso sui suoi polpaccioni e sulle sue coscione, due bei prosciuttoni. Avevano entrambe seni grossi, più definito ed alto quello della bionda e più largo e cascante quello della rossa. Appena videro la tipa legata alla colonna esclamarono all’unisono – E questa chi è? – avvicinandosi prima a Rita e poi alla figura legata ed offerta.
– La possiamo toccare? – chiese la rossa, ma intanto aveva già allungato le sue mani sul seno della schiava e ne palpava le tette.
– E’ a disposizione, usatela come volete. – Questa era Rita che parlava.
Maledetta pensava Maria, le voci le arrivavano attutite e distorte, ma quella di Rita era l’unica che aveva riconosciuto. Era nel panico, cosa sarebbe successo? Sotto la maschera e dentro quell’orribile vestito di latex era rossa e sudava come una scrofa.
Lo stress la stava demolendo. Ne sarebbe venuto fuori uno scandalo, sarebbe stata licenziata e rovinata pensava. Era sicura di essere ancora in azienda, anche se non sapeva dove, pensava che quelle che la stavano tastando erano colleghe, ma non aveva idea di chi fossero.
E cosa le avrebbero fatto? Intanto anche l’altra si era aggiunta ai palpeggiamenti, questa la stava toccando sulle cosce e sulla fica. Ora Maria provava vergogna, ma era legata e imbavagliata, non poteva fare nulla per impedirlo. E se fosse stata libera? Riuscì a realizzare che non poteva gridare e tanto meno parlare. Come le aveva detto la furba ed infida Rita l’avrebbero riconosciuta. E se l’avessero spogliata e levato quella ridicola maschera…?
Voleva morire. Maledisse il suo Padrone che per la prima volta l’aveva abbandonata nella più difficile delle prove mettendo a repentaglio la sua incolumità e la sua privacy. Era la prima volta che estranei stavano per usarla. Maledetto, maledetto. Di quella troia di Rita non si fidava. Dove l’aveva portata? E chi erano quelle altre due zoccole che la stavano palpando come una vacca.

Intanto nel locale fecero l’ingresso rumorosamente due uomini, uno basso e tarchiato, l’atro alto e robusto. La guardia giurata ed un dipendente. Che appena videro Maria, senza sapere, naturalmente, chi fosse esclamarono – E chi è questa bella troia – disse la guardia giurata, mentre l’altro dipendente rifletteva ad alta voce.
– Allora Rita non parlava tanto per parlare. –

Maledetto, maledetto pensava Maria, mi sta offrendo come una vacca al mercato a gente che non conosco, è proprio un bastardo, mai mi ha fatto capire che potesse succedere una cosa del genere. E’ pericoloso, pensava, e lui neanche c’è, non sarà certo questa puttanella di Rita che riuscirà a proteggermi da queste stronze e questi stronzi.
Ma ormai c’era ben poco da pensare, Maria sentiva mani dappertutto, quelle più leggere ed abili delle donne che la toccavano con decisione, ma con garbo e quelle possessive e rudi degli uomini che strizzavano e palpavano dovunque. Poi scoprirono che la muta aveva delle piccole cerniere nei punti strategici e le fecero scorrere. Vennero fuori le due tette e scoperti i genitali.
– Bella troia – esclamò ispirato la guardia giurata.
– Una vacca tutta per noi – affermò la bionda ricciuta mentre la rossa che si era chinata tra le gambe aveva dato due leccatine alla passerina di Maria e con cognizione disse – sì, deliziosa, ma la dobbiamo riscaldare e così non ci riusciremo. Sleghiamola e mettiamola più comoda. –
Ci misero un attimo a farlo, mentre Rita assisteva divertita.

– Fatene quello che volete, ma non me la rovinate. –
– Tranquilla – rispose la bionda, – vedrai che ora la facciamo decollare. –
Maria finì distesa a terra e le due donne ne presero possesso, la rossa le leccava la passera e la bionda capezzoli e tette. – Buona – disse la bionda mordicchiandola sui capezzoli, mentre Maria si inarcava e cercava senza nessun successo di divincolarsi.
La bionda strinse con i denti un capezzolo e lo mollò solo per dire, – fai la brava o te lo stacco. – Maria si calmò mentre la rossa le divorava la fica lappando con trasporto. – Buona, davvero buona – diceva intanto che leccava. Maria si calmò, trovava stupido resistere, stavano facendo quello che volevano e l’avrebbero fatto in ogni caso, in più, inutile negarlo, quelle due bagasce la stavano eccitando.
Iniziava a bagnarsi e diventare languida, la stessa situazione, uno stupro di gruppo la faceva sentire un giocattolo nelle mani di sconosciuti. I due uomini che per un po’ avevano guardato eccitandosi alle performances delle loro amanti si rifecero avanti.
La misero in ginocchio ed uno dei due le levò la ball gag dalla bocca, la guardia giurata le passò il cazzo sulle labbra e glielo sbatté sulle guance. Maria fece ancora resistenza agitando il capo e cercando di non prenderlo in bocca, serrando i denti. Era una resistenza inutile e stupida.
Intervenne Rita che la schiaffeggiò di diritto e rovescio – prendilo troia – ingiunse e Maria lo prese, si lamentò, ma saggiamente non emise un fiato, era terrorizzata che la riconoscessero. Aveva capito che i suoi stupratori dal fisico non erano arrivati a nessuna conclusione, ma temeva che se avesse parlato si sarebbe fatta riconoscere dalla voce.
Lei non sapeva chi erano, ma erano sicuramente dei colleghi o gente che in qualche modo lavorava lì dentro e quelle voci che per altro la raggiungevano distorte non le dicevano niente.
Il cazzo sapeva di rancido, la patta della guardia puzzava, ma Maria ingoiò e dopo un po’ non ci fece più caso.
– Brava troia, non sei molto esperta, ma diventerai una grande pompinara – l’incoraggiava la guardia andando avanti ed indietro. Rita le sciolse anche i polsi, prese una mano di Maria e le mise in mano il cazzo dell’altro. – Menaglielo vacca. –
Maria ora slurpava e menava, mentre la bionda continuava a leccarla sui capezzoli e la rossa sdraiata per terra le leccava la fica.
Poi l’uomo più alto spinse l’altro di lato e prese il suo posto nella bocca di Maria. Lei ormai non capiva più niente, faceva quello che volevano. Finì sdraiata a terra con un cazzo davanti, non sapeva quale, ed uno di dietro mentre sulla sua bocca sentì spingere una vulva gonfia e gocciolante, bastò uno schiaffo per farle capire che doveva leccare. La vulva gonfia fu sostituita da una più liscia e lei continuò meccanicamente a leccare,
La misero in un’altra posizione, ma aveva sempre un cazzo in culo ed uno in fica e la bocca piena di umori che lavano dalle fiche di quelle due baldracche. In quel momento non sapeva neanche lei più da quale delle due. Intanto era diventata un ricettacolo di umori e sborra. I buchi ne erano pieni e la bocca era impiastricciata di tutto, il grosso era finito sulla muta che diventava sempre più scivolosa.

Giulio stava penetrando Laura, la bionda si era denudata e si era seduta sul cazzo duro e possente del suo giovane Padrone. Tutti e due erano rivolti verso lo schermo del computer. Entrambi erano eccitati da quello che vedevano, nessuno dei due parlava. Giulio si limitava a fotterla ed a strizzarle le piccole tette. Laura ogni tanto si limitava a sussultare sulla verga del Padrone, il suo corpo si inarcava, le sue lunghe gambe si distendevano e le godeva.

Dopo novanta minuti Maria era sfinita, aveva subito di tutto, non sapeva neanche quante volte aveva fatto venire quegli uomini e quelle donne e neanche quanti orgasmi aveva subito lei stessa. Si sentiva una baldracca, un oggetto a disposizione di maschi infoiati e di femmine scatenate.
Lo stress aveva ceduto il passo allo sfinimento, si sentiva piena e rotta come una bambola.
I due uomini la rimisero dentro la scatola, Rita abbassò il coperchio attese che tutti sparissero e poi rifece la strada a ritroso. Maria dentro la scatola non sapeva cosa pensare, alla fine aveva goduto come mai avrebbe immaginato che le potesse ricapitare. Ora voleva essere di nuovo nel suo ufficio, farsi una doccia e ritornarsene a casa a dormire.

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Tre mesi prima.

Valeria era una schiava magnifica, una venticinquenne con un fisico portentoso, alta, bella, castana e piena di curve. Il viso era di un ovale perfetto, gli occhi verdi, il sorriso disarmante. Il corpo, stupendo, di Valeria, era inanellato. Era il frutto di un’esperienza precedente, breve, estrema ed intensa. La ragazza aveva due anellini ai capezzoli e tre per parte sulle grandi labbra della fica. Valeria era stupenda, una gioia per il suo Padrone e per chiunque avesse mai avuto la fortuna ed il piacere di incontrarla. E non era solo bella era anche piena di talenti, si era laureata con lode e aveva avviato una sua attività già abbastanza redditizia e molto promettente.

Il suo Padrone, Giulio, di qualche anno più giovane, appena laureato ed al suo primo giorno di lavoro era affascinante. Alto anche lui, moro, il fisico snello e dinoccolato, falsamente magro, i fianchi stretti, le spalle larghe ed un petto largo e forte. Non se la tirava però, anzi, tutto sommato, era timido e comunque non appariva arrogante, ma non bisognava farsi ingannare dalle apparenze, stava maturando e diventava ogni giorno più sicuro e deciso. Se non era arrogante e se non se la tirava era determinato. A questo aveva contribuito la relazione che aveva con Valeria. La schiava era stata attratta da quel giovane bello e timido, però ci aveva intravisto l’uomo che da lì a breve sarebbe diventato.

Qualche tempo prima lui cercava una schiava, aveva avuto qualche esperienza, ma non erano state molto soddisfacenti, quando aveva incontrato in chat Valeria non aveva nascosto la sua inesperienza e la ragazza, a dispetto del ragionamento, aveva deciso di provare. Rischiava di essere un rapporto impari, con la schiava che diceva al Padrone come comportarsi, ma anche se qualche consiglio glielo dovette dare la cosa funzionò quasi da subito, Giulio imparava rapidamente, era un talento naturale e il suo carattere si formava velocemente. Un altro problema era che lui ancora studiava e lei già guadagnava, ma l’attrazione reciproca fu più forte di queste quisquiglie.

Il primo giorno di lavoro di Giulio fu intenso, ma tranquillo, fino a che non incontrò la sua capa di persona personalmente per dirla come Catarella.
Il ragazzo immaginava che i problemi sarebbero arrivati più in là. La mattina partecipò ad una riunione di tutta la sua direzione, c’erano una cinquantina di persone divisi in tre reparti ed i reparti erano a loro volta divisi in uffici. L’azienda era una piccola multinazionale ed il compito di quella direzione era quello di seguire tutti i partner e gli agenti sparsi per il mondo che avevano il compito di assistere i clienti. La Direzione Supporto Clienti era diretta dalla dottoressa Maria Salini.
Alla riunione aveva parlato solo la direttrice. La dottoressa Salini era una donna minuta, magra ed alta centosettanta centimetri, Maria, si chiamava così, era una moretta timida e schiva, ma con un carattere duro e perseverante. Era una quarantenne che si poteva definire acida o quantomeno disillusa. All’università aveva avuto una grande delusione d’amore che l’aveva lasciata tramortita e depressa, sull’orlo di una crisi esistenziale. Da quel momento decise che l’amore non faceva per lei, troppa sofferenza, si richiuse in sé e si dedico solo al lavoro ed alla carriera. Non si sposò, non aveva amici, solo colleghi, fece una vita ritirata accumulando soldi che non sapeva bene come spendere se non in una bella casa ed in viaggi. Fece carriera, ma era diventata asessuata e scialba. Vestiva in modo antiquato, poco trucco e curava poco il suo aspetto. Grandi occhiali professorali le davano un’aria seria ed inavvicinabile. Statemi lontano sembrava dire ogni parte del suo corpo. Eppure non era proprio brutta, con un po’ di immaginazione e spogliandola con gli occhi, levandole quel severo tailleur grigio topo e quella camicetta inamidata si poteva intravedere un seno piccolo, ma ben fatto, due gambe snelle e tornite, un culetto niente male ed un viso, incorniciato da un caschetto di capelli nerissimi, affilato, ma piacevole, almeno quelle rare volte che sorrideva. Neanche la bocca era male e se ci avesse messo un po’ di colore sarebbe diventata attraente. Levandole gli occhiali si sarebbero visti due occhi spersi da miope, ma intelligenti, neri e, volendo guardarli attentamente, pieni di passioni represse.

Giulio dipendeva direttamente da lei solo perché era nel suo staff, altrimenti, come neolaureato, si sarebbe trovato tre livelli sotto. Lo staff della dottoressa Salini era composto da due ragazze sui trenta anni: Laura, una bionda magra ed alta e Rita, una castana di altezza normale e un po’ più tornita. Rita faceva anche da segreteria per la dottoressa Salini, ma era più che una segretaria. Entrambe belle, ma per Giulio niente di speciale soprattutto se paragonate con la sua schiava. Lì, il confronto non c’era.
La dottoressa Salini convocò il suo staff il pomeriggio e rapidamente fece le presentazioni del nuovo arrivato e redistribuì i compiti. Le due ragazze furono sollevate dal nuovo aiuto. La dottoressa Salini aveva fama di dura e pretendeva che le scadenze, anche le più improbabili si rispettassero. Giulio ne era ammirato, però già immaginava che non sarebbe stato facile lavorare con quella tipa. Si sbagliava, la dottoressa Salini era inflessibile, ma capiva le situazioni e sapeva anche aiutare, ma in quel momento il giovanotto che non era uno sbruffone e che sapeva valutare le cose si vide appioppare una serie di lavori che non era sicuro di essere in grado di fare in così breve tempo e senza nessuna esperienza, però, saggiamente, stette zitto, prima voleva capire.
– Se ha bisogno venga da me – concluse la dottoressa e li licenziò. Giulio ritornò alla sua scrivania ed iniziò a sgobbare, i suoi sentimenti verso la sua capa andavano dall’ammirazione alla tentazione di rigirarsela sulle gambe e sculacciarla fino a farla gridare. Per fortuna a casa l’aspettava Valeria. Solo a pensarla gli venne duro.

Valeria era in ginocchio, accosciata, le natiche elegantemente appoggiate ai talloni, indossava una casta vestaglia da camera e ai piedi delle civettuole pantofoline. Era bellissima, truccata leggermente e pettinata perfettamente. In silenzio aspettava che il suo Padrone parlasse.
– Il mio primo giorno di lavoro è stato un po’ stressante, ho una capa, una vecchia zitella scialba, ma valida professionalmente, che mi ha già caricato di lavoro come un mulo. –
– Quanto vecchia Padrone? Quanto scialba? Se ti va di confidare con me i tuoi problemi. –
Valeria dava al suo giovane Padrone del tu e a Giulio andava bene, sarebbe stato ridicolo che gli desse del lei visto che erano entrambi giovani e che lei era più esperta… in tutti i campi.
– Vieni qui schiava, sulle mie ginocchia. –
Felice Valeria si accoccolò sulle gambe del suo Padrone e si abbandonò sul suo ampio petto facendosi abbracciare e coccolare.
– Ha quaranta anni. Non è proprio brutta, ma si è lasciata andare, non si cura per niente, veste come una vecchia zitella qual è. –
– Più in là, quando avrai preso un po’ di confidenza invitala a casa per una cena. –
– Cosa hai in mente schiava? – Giulio si mise sul chi vive.
– La tua carriera Padrone, tu sei bravo ed affascinante. Perché la tua capa dovrebbe resisterti e non invece cedere al tuo fascino e agevolare la tua carriera? –
Giulio rise, – non smetterai mai di manipolare le persone, ci provi sempre. Ancora non mi è chiaro perché mi hai voluto come Padrone. Tutto sommato era solo uno studentello e tu eri e sei una schiava magnifica. –
Valeria nascose il sorriso che le affiorava tra le labbra nel petto del suo Padrone baciandolo e leccandolo.
– Non ti sottovalutare Padrone, è vero sei giovane, ma sei diventato un giovane sicuro. Eri già bello e gentile e lo sei ancora. E stai diventando un bravo Padrone, migliore di quelli che se la tirano a non finire. E poi sei molto affascinante. –
Giulio la fece scivolare sul tappeto e la baciò sulla gola, poi sulle labbra e poi…

Tempo dopo. – Ed il tuo lavoro come va? –
– Bene Padrone, giusto stamattina ho preso un bel contratto, il mio primo contratto preso senza l’aiuto di mio padre, prevedo per quest’anno di fatturare duecentomila euro. –
– Ohlalà, diventerai un buon partito. –
– Certo padrone, ma lo sono già. Ho questo bell’appartamentino di cui tu sei il padrone di tutto quello che c’è dentro. Mio padre ha fatto un sacco di soldi ed io ne farò più di lui. Ma per ora non voglio sposarmi, mi piace essere la tua schiava 24 su 24 e senza che ci siano altri nel mezzo. –
Giulio le fece aprire le gambe e ricominciò, non si sarebbe stancato mai della sua bella schiava.

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Era all’antica, quindi si davano del lei, nessuna confidenza, ma quando Giulio fu chiamato nell’ufficio di Maria Salini per discutere con lei di un piano per il lancio di un nuovo prodotto, la dottoressa Maria Salini si complimentò con il suo giovane aiutante e ne apprezzò il lavoro.
– Ti ho caricato di lavoro e fino a questo momento non mi hai deluso. –
Ora o mai più si disse Giulio. – Dottoressa… – Giulio esitò mentre lei lo guardava se non proprio con interesse con qualche aspettativa. – Dottoressa – ricominciò Giulio, – la mia fidanzata… – Giulio non sapeva come altro introdurre Valeria in quel contesto, non poteva certo dirle che Valeria era la sua schiava.
Ricominciò. – La mia fidanzata mi ha detto di chiederle se aveva piacere di venire una sera a cena a casa nostra. – Ecco, il discorso era un po’ contorto, ma l’aveva detto e sebbene fosse diventato, nel tempo, più sicuro ed autorevole, era in fondo ancora ancora un ragazzo timido ed appena laureato. Alla fine arrossì. D’altra parte non era stato semplice.
Maria Salini lo guardò sorpresa e confusa, non si aspettava niente del genere. Anche lei arrossì piacevolmente. Non sapeva cosa rispondere e rimase per più di un attimo a bocca aperta. Era da molto tempo che nessuno l’invitava più a cena, se non per lavoro, e sempre in ristoranti, mai in casa di qualcuno. Non si ricordava neanche più quando era stata l’ultima volta. Però non sapeva cosa rispondere, preferiva non avere nessun genere di turbamento nella sua vita, non voleva uscire dalla sua routine. Dirgli di no… era quello che voleva rispondere, ma pensava di apparire sgarbata e non poteva inventarsi altre scuse o impegni. Non le aveva dato una data su cui inventarsi una scusa, sarebbe stata una bugia, ma poteva andare. Quindi alla fine disse – volentieri, parli con la sua fidanzata e mi faccia sapere quando vi va bene. –

Era un venerdì sera e Maria Salini arrivò con un mazzo di fiori per Valeria e un dolce per il dopocena. La dottoressa rimase impressionata dalla bellezza di Valeria, si aspettava una ragazza bella perché il suo collaboratore era affascinante, ma non una così sfacciatamente bella e… sicura.
Il ragazzo ha buon gusto pensò e poi è più grande di lui e molto più matura. Inoltre deve avere un sacco di soldi se sta qui, in questa zona, anche se l’appartamento non è molto grande.
Valeria, al contrario di Giulio sapeva come comportarsi, l’accolse sorridente e la ringraziò per il pensiero, da perfetta padrona di casa. Si trovarono presto a loro agio e iniziarono a parlare dei rispettivi lavori. Un terreno sicuro per entrambe. Maria si rese subito conto che la ragazza nel suo campo era una promessa.
Valeria era anche una cuoca più che brava e la cena fu piacevole, Maria si stava sciogliendo e non disdegnava quel rosso corposo ed inebriante. Giulio e Valeria le piacevano sempre di più e non ricordava più da quanto tempo fosse così rilassata e soddisfatta.

Maria era distesa sul tappeto a gambe larghe, discinta, ma non nuda. Rossa come un peperone maturo e tremante. Di piacere. Non sapeva neanche lei come fosse finita lì, si vergognava come una bambina, ma, doveva ammetterlo, stava godendo irrefrenabilmente. il suo giovane sottoposto la stava penetrando e la sbatteva come una bambola di pezza e lei non poteva far altro che gemere ed emettere gridolini di piacere.
– Basta, basta, potrei essere tua madre… sì, sì, non ti fermare… spaccami… oh dio come è bello. Non sapevo che potesse essere così… –
E prima, quando Valeria l’aveva baciata sulla bocca e poi l’aveva trascinata per terra e poi le aveva aperto la camicetta, slacciato il reggiseno e baciato e succhiato i capezzoli fino a farli diventare duri come biglie di vetro. E non era finita, quella stupenda ragazza le aveva abbassato le mutandine e l’aveva leccata lì. Dove nessuno l’aveva mai fatto. Lei dapprima aveva stretto le cosce vergognandosi, ma quando lei l’aveva pizzicata tra le cosce e l’aveva morsa sulla fica si era arresa singhiozzando di vergogna e poi di piacere. Aveva goduto come una pazza, ma era stato niente in confronto a quel cazzo duro e impietoso che ora la stava fottendo come se fosse un martello pneumatico.
Lui non aveva nessun riguardo, la sbatteva e la mordeva, l’accarezzava e la sculacciava, ancora vestita, ma con tutta la biancheria sparsa per il pavimento e le calze strappate.
Si sentiva una puttana ed una troia, si vergognava, ma spingeva decisa il bacino contro i colpi di maglio che impietosi si abbattevano su e dentro di lei.
Poi lui la prese in braccio delicatamente e la portò a letto. Intervenne Valeria che la spogliò e lei da quel momento non disse più niente, nessuna protesta e nessun incoraggiamento. Voleva scappare ed allo stesso tempo restare. Voleva chiudersi ed aprirsi. Lasciò che facessero di lei quello che volevano. E furono bravi, eccezionalmente bravi. Nessun centimetro del suo corpo fu trascurato. Ricevette baci, carezze, pizzicotti e succhiotti dalle unghie dei piedi alla cima dei suoi capelli che furono scompigliati, tirati e infine accarezzati.
Lei gemeva e mugolava, non poteva farne a meno. Si lasciò fare, il suo corpo era caldo, gonfio, i capezzoli ritti, la fica un torrente in piena. Fini tra i due e continuò a godere come una bagascia. Si sentiva una cagna in calore, ne voleva sempre di più, fino a quando sfinita dalle emozioni e dal piacere, dopo l’ennesimo orgasmo, non si addormentò.

Si svegliò all’alba, i due ragazzi dormivano alla grande, li osservò, erano bellissimi, una coppia stupenda e… diabolica. E dire che all’inizio le erano sembrati così innocenti. Due demoni.
Si sentiva tutta rotta, ma fisicamente stava bene e si sentiva viva come mai prima di allora. Raccolse le sue cose sparse per tutta la casa, si rivestì ed andò via. Ebbe un lungo week end per meditare, per abbattersi ed esaltarsi, per andare all’inferno e ritornare in paradiso. La sua vita era stata stravolta, doveva riprendersela.

Lunedì mattina arrivò presto in ufficio, anche più presto del solito. Lei arrivava sempre prima di tutti e quella mattina ancora prima. Era uscita di casa che era ancora buio, quella notte praticamente non aveva chiuso occhio. La domenica era stata tremenda, si era resa finalmente conto di quello che era successo, non poteva negarsi che le era piaciuto, ma tutta l’immagine e la personalità che si era costruita in quegli anni ne era uscita a pezzi. Non l’avevano forzata, magari l’avessero fatto, ora avrebbe potuto considerarsi una vittima. No, l’avevano sedotta, forse avevano approfittato che era un po’ brilla, ma niente di più. Valeria diabolicamente, era lei la mente ed il motore, più ancora che Giulio l’aveva piano piano eccitata con i complimenti e con leggere carezze, con qualche affettuoso e innocente bacetto. Sembravano solo piccole e piacevoli attenzioni, teneri gesti di amicizia e cortesia, fino a quando carezze e baci non erano diventati più audaci ed espliciti e lei si era ritrovata con la lingua di lei che penetrava nella sua bocca.
La lingua, una padrona che le stava succhiando l’anima mentre le sue gambe cedevano, non si reggevano in piedi e la ragazza ne approfittò per aver piena ragione di lei portandola ad un parossismo di eccitazione che mai aveva provato, che non pensava neanche che fosse possibile. Quando Maria aveva visto i capezzoli e la fica inanellati della ragazza era rimasta allibita, ma neanche lontanamente aveva tratto qualche conclusione, se non quella più banale: la moda del piercing, una moda estrema per quella giovane ragazza per altro assennata ed in carriera.
Poi era arrivato lui e lei si era arresa. Totalmente e senza condizioni. Quel ragazzetto l’aveva sbattuta divinamente. Non che Maria avesse molti termini di paragone, gli unici precedenti erano molto lontani ed erano stati con un ragazzo suo coetaneo impacciato e frettoloso anche se entusiasta. Anche questo era un ragazzo, ma il paragone finiva lì. Giulio era a volte timido, ma quando fotteva era sicuro per non dire prepotente e comunque sapeva come far godere una donna. L’aveva presa in tutti i modi ed in tutti i buchi, per molto, molto tempo. Sì, lì dietro aveva perso la verginità, a 40 anni.

Alle nove precise lo chiamò in ufficio. Lui entrò e chiuse la porta alle sue spalle, per nulla contrito anche se non sapeva cosa aspettarsi, anche se immaginava che lei si era pentita, però non sapeva come avrebbe reagito.
Non era stato invitato ad accomodarsi e rimase in piedi, d’altra parte anche lei era in piedi e gli voltava le spalle, guardava fuori dalla finestra, una giornata grigia di metà ottobre.
– Quello che è successo nella notte tra venerdì e sabato… – la voce era lieve e monotona, lei parlava guardando fuori, senza manifestare emozioni, ma le parole non erano facili da trovare. Giulio non l’aiutava, non diceva niente.
– Quello che è successo l’altra notte– ricominciò Maria, – non si ripeterà più. –
Poi continuò – sarebbe meglio se lei andasse a lavorare in un’altra direzione, ma lei è in gamba e se la trasferissi da qualche altra parte apparirebbe punitivo e questo non è giusto. –
Giulio era tranquillo e anche se era in piedi era rilassato, non temeva niente.
Lei continuò – quindi rimarrà qui, continueremo come se non fosse successo nulla. E riprenderemo a darci del lei. – Fece una pausa e si voltò verso il giovanotto volendo apparire dura – sono stata chiara? –
Lui stavolta rispose. – Chiarissima e se non ha più bisogno di me io ritorno nel mio ufficio dove ho mille cose da fare. –
– Buona giornata – rispose lei congedandolo. Erano ritornati a darsi del lei.

Giulio era davvero tranquillo. Ne aveva parlato con Valeria e secondo lei Maria si sarebbe richiusa a riccio, ma per lui non ci sarebbero state conseguenze negative. E così era andata.
– Peccato – aveva detto Valeria, – stava andando tutto molto bene, poi mi sono fatta prendere la mano… beh è stato piacevole, le hai levato le ragnatele dalla fica ed ho visto che la carampana ti ha eccitato molto. –
– Mi è piaciuta, non pensavo che fosse così vogliosa e la sua eccitazione mi ha esaltato. Non capita tutti i giorni di scoparsi una che ha quasi il doppio dei tuoi anni e che è la tua capa. –
– Non è dispiaciuta neanche a me, ha molte potenzialità, ma penso che farà di tutto per tornare al suo tran tran. Forse dovresti… Ma no, lasciamo perdere… E non ti ho aiutato nella tua carriera. –
– Si, tutto vero mia deliziosa schiava, ma ti dovrò punire. Non perché non mi hai aiutato nella mia carriera, in verità non ci contavo molto, ma perché ancora una volta non ti sei saputa controllare. –
– Padrone, mio delizioso Padrone, fai di me tutto quello che vuoi. –
Giulio se la rivoltò sulle gambe, le sollevò la gonna ed iniziò a sculacciarla mentre la schiava emetteva gridolini di gioia e di dolore.

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