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La Gazzetta dello Sperma e i piedi di Maggie – Parte 1

By 8 Febbraio 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Quel tavolino corona l’atmosfera del giardino come un pugno in un occhio: tutt’attorno il verde, due piccole panchine di ciliegio, tinta naturale, uno stretto sentiero di ciottoli che porta fino all’ingresso del bungalow. Piccolo, estremamente piccolo. Sedie comode, anch’esse in ciliegio, con tanto di cuscini beige, morbidi, sullo schienale e sulla seduta.

Quei piedi erano la fine del mondo.
Le gambe incrociate, l’una accavallata all’altra all’altezza delle ginocchia, con i polpacci posati sul tavolino. E in fondo quei piccoli capolavori: due piedi dalla pianta sottile, dalle dita lunghe, con l’ultima falange praticamente tonda.
Lisci, infinitamente lisci, anche all’altezza della sottilissima caviglia.

Li fissavo, vista anche l’infima distanza tra loro e i miei occhi.

Leggevo il quotidiano, comodamente appoggiato dal lato opposto del tavolo rispetto a Magdalene.
Mia sorella non aveva avuto una grandissima idea a invitarla nel nostro bungalow.
Mi ero rifugiato nel bosco per poter preparare un bel po’ di documenti, come faccio, di consueto, quando rischio di accumulare lavoro: lo stile di lavoro “eremitico” mi ha sempre aiutato.
Barbara, mia sorella appunto, doveva studiare.
Ventuno anni entrambe, al secondo anno d’università. Dovrebbero avere gli occhi spiaccicati su dei tomi di carta e invece passano le giornate a dormire, giochicchiare sui rispettivi tablet e a bivaccare attorno e dentro casa.

Anna ha i capelli rossi, d’un rosso ramato luminoso, che d’estate acquisisce tutte le sfumature pensabili per coronare il suo viso dolce, dalla forma leggermente tondeggiante, in cui sono incastonate due perle verde smeraldo al posto degli occhi. Il suo difetto è il naso: storto, con una piccola gobba al centro, prima della stortura, appunto. Talmente storto da rendere l’imperfezione di quel volto eccitante e presentare le sue labbra carnose in una veste originale, non scontata e farle risaltare ulteriormente.
La pelle chiara, serica, esalta la forma sottile del suo collo, per non parlare dei suoi giganteschi seni: una quarta coppa D, sempre stretta in magliette rimasuglio d’adolescenza, che sembrano voler esplodere da un momento all’altro. Ventre liscio, morbido, sollevato appena in un leggero accumulo adiposo. Vita abbastanza stretta, che presenta il suo culotto come un invito a qualunque sguardo avido possa posarsi sul suo corpo: le mie mani potrebbero faticare a stringerlo completamente. Sodo come il marmo, invitante come ogni culo grosso, ma non troppo, e sodo. Sarà alta poco più di 1 metro e 70. Cosce dalle linee morbide, gambe proporzionate, scolpite dagli anni di atletica leggera, chiuse da un paio di piedini che mi ha sempre fatto impazzire: lunghi, ma privi di irregolarità, eccezion fatta per le vene che scorrono sul dorso. Un richiamo ancestrale alla mia fissazione per i piedi. Dita lunghe, sottili, leggermente arcuate, sempre sovraesposte da quegli smalti ultracolorati che adora utilizzare.
Oggi sono verdi.
Abbiamo sempre avuto un rapporto sereno e sincero. Le ho sempre detto che se non fosse mia sorella l’avrei già sbattuta più e più volte. Ridacchiamo sempre quando tocchiamo questi discorsi, perché la nostra differenza d’età mi ha sempre portato a essere una sorta di “secondo padre” per lei, pur essendo cazzone, come ogni fratello maggiore di 7 anni possa risultare.
Oggi viaggia con addosso un paio di pantaloni della tuta neri, larghi, una canottiera azzurra aderente, con le spalline larghe, senza reggiseno. Ai piedi delle infradito.
È seduta comodamente in fianco a me, anche lei con il suo tablet in mano a parlottare con qualcuno sui social network.

Magdalene, per gli amici Maggie, è una sua amica d’università. Non l’avevo mai vista prima di due giorni fa, quando siamo partiti per il bosco. è italiana, nonostante il nome possa far pensare diversamente. è la tipica ragazza di vent’anni che dimostrerà per il decennio a seguire sempre la stessa età: piccola, graziosa e in grado di ingrossare il bozzo nelle mutande senza dover fare strani “numeri”. Semplicemente esistendo.
Piccola, alta 1 metro e 55 o anche meno, magra ma non troppo, soda quel tanto che basta per riempire i vestiti suoi con muscoli che tirano la pelle di seta e fanno riempire i vestiti altrui di eccitazione. Capelli neri, lunghissimi, fin sopra al culo, ma sempre raccolti in uno chignon bloccato da fermagli improvvisati: dalle matite a qualunque altro aggeggio appuntito, lungo e sottile.
Occhi neri, anch’essi, apparentemente inermi, vacui, sopra un naso sottile, dalle linee morbide, come quelle delle labbra, carnose ma non esplosive come quelle di mia sorella: semplicemente dolci. Una terza coppa C è sempre stretta dentro ad abiti ampi, leggeri, che vogliono nascondere a fatica le nudità: le canottiere che indossa non nascono mai i suoi stupendi capezzoli “a bottone”, che coronano delle areole scurissime, piccole e invitanti. La pelle olivastra brilla d’estate, per quel velo di sudore che sottolinea ulteriormente la morbidezza della sua pelle. Gambe infernali, sode, dritte, che reggono un culo che sembra uscito da un laboratorio di un abile scultore porco fino all’inferno: sodo, infinitamente attraente in quella sua forma perfettamente “a mandolino”. I piedi sono la ciliegina sulla torta: stupende perle.
Ora posate di fronte a me. Lei è praticamente nuda: una canottiera rossa, eccessivamente larga. Senza reggiseno le si vede tutto. E un paio di shorts neri, aderenti. E quei piedi.

Dio, quei piedi di fronte a me.
Vorrei leggere il giornale.
E invece mi trovo a fissarli, mentre le dita si muovono tranquille, assorbendo l’aria fresca del bosco.
Penso. E tra le gambe mi cresce un’eccitazione che non mi permette d’alzarmi.
Non mi guardano, troppo prese dai loro tablet.

E io la guardo, invece, Maggie.
Guardo quei piedi e mi sembra di sentirli scorrere sui miei testicoli, sul mio cazzo. Sento le vene esplodere sotto ai suoi piedi.
Li guardo e li voglio.

Lì voglio lì, così, pieni di cremoso sperma su tutta la loro pianta, colare sul quotidiano che vorrei leggere.
Fottuta sobrietà.

Mia sorella si alza e va in casa. Starà andando in bagno.

Li voglio.
Li fisso. Senza ritegno.
Ora nemmeno mia sorella può guardarmi e sto a fissare i piedi della sua amica ancor più sfacciatamente di prima. Luminosi, come fossero velati di seta, illuminata dalla luce del sole che brilla ancora alto in cielo.

Non sono due piedi, sono un’erezione nei pantaloni di qualunque uomo dotato del minimo senso estetico. E li muove, di tanto in tanto, piegando quelle falangi, come se stesse avvolgendo qualcosa di immaginario.
In silenzio continuo a fissarli, ora con la schiena dritta contro lo schienale della sedia, con le braccia ancora ferme sul tavolino, sul giornale che avrei voluto leggere.
Li guardo e sto in silenzio.
Il respiro mi tradisce. O, comunque, qualcosa mi tradisce perché quei piedi iniziano a muoversi sempre di più attorno a quell’oggetto immaginario. Le dita sembrano voler avvolgere, massaggiare qualcosa, armoniosamente, lentamente. Non può essere un movimento involontario.
Mi irrigidisco.
Dev’essersene accorta. E la cosa non mi sorprende. E la cosa mi eccita ancora di più.
Non ho bisogno di toccare o guardare. So che l’erezione che ho nelle mutande è praticamente imbarazzante e impossibile da nascondere.

“Sì, sono stupendi”, dico con leggerezza, fingendo di tornare a leggere il giornale.
Improvvisamente le dita si fermano.
Maggie fa finta di nulla e continua a giochicchiare sul tablet.
Ha capito, la troietta. Ha capito, tanto che non ha detto nulla.
Troia. Ma non troppo astuta, a quanto pare.

Mia sorella torna fuori.
Ora devo fingere meglio, nonostante quei piedi stupendi continuino a essere un’eccitante presenza a una spanna dal mio viso.
Cerco di leggere una notizia. Impiego troppi minuti per leggere due righe.
La cosa mi da noia e mi alzo per andare in casa, così, sovrappensiero.
Sento mia sorella ridacchiare: “Notizie interessanti, eh?”.
Subito non realizzo. Mentre, con calma, infilo le mani nelle tasche dei pantaloncini capisco il perché. La cara vecchia erezione di prima non ha ancora deciso di andarsene e ho fatto una belle figura di merda. Anche la sua amichetta se la ride.
Scuoto la testa e torno in casa, senza dire alcunché.

Non faccio in tempo ad aprire la finestra del bagno che sento uno strano rumore. Una sorta di gemito strozzato. Scosto la tenda, senza aprire la finestra e vedo che il tavolino ora è sgombro. Non ci sono più i piedi.
Maggie ha le sue gambe girate verso la sedia in cui sta seduta mia sorella. Sul volto ha dipinto uno sguardo sadico, compiaciuto.
Non sembrava un gemito. Era un gemito.
Vedo che la gamba sinistra è piegata, rilassata, mentre la destra è tesa, si muove, spinge e si ritrae. Tra le gambe di mia sorella. Spudoratamente. “Cos’è? Vuoi succhiare il cazzone di tuo fratello?” le dice con fare imperturbabile, provocante, muovendo appena quelle labbra sottili.

Immagino quel piede affusolato che rovista il sesso di mia sorella, premendo sui suoi pantaloni larghi. I miei occhi sono fissi verso lo sguardo sadico di Maggie. Ci prova gusto.
“Abbassali”, dice a mia sorella.
“Ma cosa cazz'”, sbotta contro Maggie lei.
“Tuo fratello non tornerà a breve. Sarà sicuramente andato a segarsi”, le risponde imperturbabile.
Mia sorella rimane un attimo immobile, prima di sollevare il sedere dalla sedia e abbassare i pantaloni fino alla ginocchia, allargando poi le gambe, in modo da lasciare che quel capolavoro di piede possa carezzarle il sesso e sprofondarvi senza ritegno.

Mia sorella inizia a gemere intensamente, con entrambe le mani tra le gambe, oltre al piede di Magdalene. Strozza i gemiti in gola, a tal punto che sembra quasi volersi graffiare dall’interno la gola con la sola forza del respiro.
Anna riversa la testa all’indietro, sulla sedia. Non riesce a trattenersi. Stringe i denti per non urlare. Schiuma saliva dalle labbra, tale è l’eccitazione che le sconquassa il corpo. Trema. Magdalene sorride, osservando festante il suo piedino. Lo solleva, umido, bagnato, come fosse un trofeo. Lo accompagna al sinistro e spalma quegli umori con avidità. Piega, poi, la gamba sinistra, allungando poi la mano destra, staccandola dal tablet, per avvicinarlo alle labbra. Si succhia le dita e lecca parte della pianta. Geme a sua volta, sommessamente, con un’intonazione che, pur attutita dai vetri della finestra, mi provoca una vibrazione tale da sentir fremere il sesso nelle mutande.
Avrei voluto pisciare. Dovrò aspettare, per evitare di innaffiare la parete.

Lee

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