Skip to main content

La piantagione del colonnello Parker era considerata la più grande, la più bella e la più ricca di tutto il sud degli Stati Uniti.
Vasta quanto una regione, attraversata da ben due fiumi e ricca di terra fertile e grassa, dava lavoro a centinaia di schiavi neri e a decine di guardiani bianchi e, soprattutto, arricchiva sempre di più il colonnello.
Nessuno sapeva nulla del passato di quell’avventuriero misterioso nè di come avesse fatto tutti quei soldi, ma non c’era uomo o donna, nel raggio di centinaia di miglia, compresi i politici, che non avrebbe fatto carte false pur di essere invitato alla piantagione.
Vedovo di una donna bellissima che si diceva fosse una contessa russa, il colonnello Parker viveva con sua figlia Elizabeth, una splendida ragazza di diciotto anni, nella immensa villa a due piani che, con le sue quaranta stanze, era senz’altro la più grande costruzione privata dello stato.
Oltre ad essere bellissima Elizabeth, la signorina Liz, come veniva chiamata da tutti alla piantagione, era una ragazza piena di vita, amante della natura e degli animali, sempre gentile e disponibile con tutti, soprattutto con gli schiavi di suo padre ai quali cercava in ogni modo di migliorare le tristi condizioni di vita.
E il colonnello, che era noto per essere un tipo implacabile che non dava ascolto a nessuno, era talmente preso da quella sua unica figlia, la sua sola ragione di vita, che cedeva quasi sempre di fronte alle sue richieste.
Così, a poco a poco, la piccola Liz era riuscita, creando scandalo e scalpore tra la popolazione bianca di tutto il sud, ad impiantare una infermeria ed un piccola scuola dove gli schiavi potevano farsi curare e mandare i propri figli ad imparare almeno a leggere e a scrivere.
E, soprattutto, era riuscita ad eliminare, all’interno della piantagione, le pene corporali che i guardiani bianchi, quasi tutti avventurieri senza scrupoli armati di frusta e di fucile, esercitavano indiscriminatamente ai danni di uomini donne e bambini negri per qualsiasi mancanza, anche la più futile.
Inutile dire, quindi, quanto Liz fosse amata e rispettata dalla totalità degli schiavi, tra i quali aveva gli unici veri amici.
Appassionata di cavalli, Liz andava spesso a fare delle lunghe cavalcate accompagnata dallo stalliere Joe e da Cruz, una schiava negra sua coetanea che le faceva da cameriera personale e con la quale andava particolarmente d’accordo.
Anche Cruz era molto bella e quando le due ragazze, nei torridi pomeriggi estivi si fermavano per un tuffo ristoratore nelle fresche acque del fiume grande, il povero stalliere negro che le accompagnava pativa le pene dell’inferno di fronte agli splendidi corpi nudi delle due ragazze che giocavano allegramente nell’acqua come natura le aveva create.
Più di una volta il povero Joe, che era giovane, forte e pieno di vita, si era talmente arrazzato da doversi nascondere dietro qualche grossa quercia e menarsi furiosamente l’uccello fino a trovare un po’ di pace.
Nella grande villa Liz disponeva di un proprio appartamento composto di camera da letto, salotto, studio ed una grande sala da bagno dove Cruz si prendeva cura della sua padrona.
Era lei che la lavava, la massaggiava, la pettinava, la spogliava e la vestiva.
Ed era lei che placava i giovani ardori della padroncina.
Abituata alla promiscuità della piccola capanna che divideva con genitori, zii, cugini, fratelli e sorelle, Cruz la sapeva lunga in fatto di sesso ed era in grado di soddisfare ogni desiderio di Liz.
La quale, dal canto suo, non era affatto egoista, e ricambiava volentieri la cortesia.
Cosicché nelle ore più calde del pomeriggio, quando il sole martellava la terra ed era impossibile anche andare a cavallo, le due ragazze trascorrevano tanti piacevoli momenti nell”accogliente penombra della stanza da letto della padroncina confessandosi i loro sogni più intimi e i loro desideri più scabrosi.
A Liz piaceva soprattutto farsi raccontare dall”amica ciò che, nottetempo, avveniva nelle povere capanne degli schiavi dove, come lei ben sapeva, genitori e figli, nonni e nipoti, zii e cugini, vivevano nella promiscuità più assoluta obbligati a dormire tutti ammassati in uno spazio di pochi metri quadrati.
Senza contare che gli uomini, abbrutiti da una interminabile giornata di durissimo lavoro, trovavano nel sesso e nell’acquavite che si distillavano clandestinamente, gli unici momenti di temporaneo conforto ad una vita altrimenti impossibile.
E le donne, consapevoli di ciò e ben consce del loro stato di sfascio fisico dovuto ad un lavoro altrettanto duro, non protestavano più di tanto se i loro mariti, i loro padri, i loro fratelli o i loro cognati approfittavano delle ragazze più giovani.
Sdraiata sul grande letto tra fresche lenzuola di lino, la padroncina si faceva raccontare nei minimi dettagli da Cruz i tanti modi in cui la giovane negra, così come le sue sorelle e le sue cugine più giovani, dovevano soddisfare ora il padre, ora il nonno, o gli zii, i cugini o i fratelli più grandi.
A Liz, che se non era completamente vestita non permetteva al padre di entrare nella sua stanza, pareva impossibile che tali cose potessero avvenire tra parenti così stretti e in tale promiscuità, al cospetto degli altri, ma sapeva bene che i racconti dell”amica erano assolutamente veritieri.
Non che fosse bacchettona, tutt’altro, il sesso le piaceva e quando poteva lo praticava molto liberamente, ma l’idea di farlo in maniera incestuosa le pareva strano.
Non ripugnante, ma strano.
Lei, comunque, con suo padre non lo ‘avrebbe mai fatto.
Con Cruz, si, però.
Quella ragazza le piaceva; era bella, pulita, calda, sensuale e terribilmente esperta.
Sapeva farla godere come nessun altro con quelle sue dita delicate, quelle labbra piene, quella lingua saettante e quel corpo così femminile dal seno grande e sodo, i fianchi pieni e le gambe lunghe e affusolate.
Quando facevano l’amore era Cruz la padrona e lei la schiava.
Quando, completamente nude, si rotolavano sul grande letto baciandosi e carezzandosi, era Cruz a condurre i giochi.
Con dita agili ed esperte sapeva toccarla nei suoi punti più sensibili portandola ai limiti dell”orgasmo per poi fermarsi e riprendere in un gioco che non faceva che aumentare sempre di più il suo desiderio.
E quando la baciava e la leccava senza tralasciare un solo centimetro della sua pelle per poi tuffarsi col viso tra le sue cosce spalancate, Cruz era capace di farle avere due o tre orgasmi di seguito.
Anche a lei piaceva toccare, baciare e leccare il corpo della negra, la sua pelle liscia e fresca, la sua calda intimità.
Certi pomeriggi stavano ore a godere e alla fine Liz si sentiva talmente prostrata da non riuscire neppure a scendere per la cena con suo padre, il quale sapeva benissimo a cosa imputare la stanchezza della figlia ma, da uomo di mondo, fingeva di credere alle bugie che gli venivano propinate.
Anche lui, d’altronde, non era da meno.
Contravvenendo alla regola non scritta che impediva ai bianchi di avere rapporti sessuali con gli schiavi, il colonnello, forte della sua potenza che lo rendeva inattaccabile da chiunque, aveva sempre avuto delle amanti negre che si sceglieva tra le donne più giovani e più belle.
Quando, in media ogni sei mesi, arrivavano dall’Africa i carichi di schiavi pronti per essere venduti, il primo al quale veniva offerta la merce, essendo quello che pagava meglio di tutti, era proprio lui, che aveva, in questo modo, l’occasione di scegliersi gli uomini più forti, le donne più fertili e le ragazze più belle.
Quando era più giovane si sceglieva tre o quattro amanti per volta, le piazzava in casa a fare un lavoro qualsiasi e se le teneva sempre a disposizione.
Quante notti aveva passato insonni, con tre o quattro ragazze giovanissime e bellissime nel proprio letto a farlo godere fino a sfinirlo!
Era il padrone assoluto, il signore delle loro vite e l’unico arbitro del loro futuro.
Poteva farne quello che voleva, possederle, picchiarle, carezzarle o frustarle.
Nel corso degli anni aveva avuto decine di amanti negre, una più bella dell’altra, e se le era godute tutte.
Quando si stufava le rimandava al villaggio degli schiavi ma riservava loro un trattamento di favore esentandole dai lavori peggiori.
Di qualcuna si era persino quasi invaghito, ma gli durava poco.
Fino all’arrivo di Morena.
L’aveva comprata da un mercante olandese, pagandola uno sproposito.
Alta, slanciata, col fisico perfetto e un viso bellissimo, aveva il portamento altero di una principessa.
Capì subito che se ne sarebbe innamorato e così avvenne.
Suscitando scandalo e scalpore la trattò per anni come una moglie abbandonando ogni altra amante.
La voleva ogni notte nel proprio letto, le chiedeva consigli sulla gestione della piantagione e pareri sulla conduzione degli altri schiavi.
Lei lo ubriacava di sesso, lo sfiniva donandogli il suo corpo e ne approfittava, giorno dopo giorno, per cercare di migliorare, alleata con Liz, le condizioni di vita dei suoi compagni di sventura.
Fu uccisa da un guardiano bianco che, ubriaco fradicio, cercò di violentarla.
L’uomo fu impiccato dallo stesso colonnello che, da allora, divenne sempre più cupo.
Ma torniamo alla nostra Liz.
L’abbiamo lasciata che stava giocando con la sua amica Cruz, e lì la riprendiamo.
Sdraiate sul lettone in posizione di sessantanove, la faccia dell”una tra le cosce spalancate dell’altra, le due giovani si stanno facendo una bella leccata di figa. Saliva e succo di figa si mescolano mentre le loro lingue si lappano vogliose le tenere carni.
Godono, le due troiette, ma nessuna delle due si sente appagata.
Hanno entrambe voglia di un maschio; i racconti di Cruz le hanno infoiate e hanno bisogno di cazzo, di cazzo duro, di cazzo grosso, di cazzo che le faccia sentire davvero femmine.
– In questa piantagione ci sono centinaia di uomini forti e sani e io non riesco a trovare uno straccio di maschio, sbottò Liz.
– Siete piena di amici che farebbero carte false per voi, padroncina, possibile che non ve ne piaccia nessuno, le disse Cruz.
– Quei bellimbusti, puah! Sono tutto fumo e niente arrosto. Parlano, parlano ma mirano solo ai soldi di mio padre e non sono capaci di combinare niente.
– Ci sono i guardiani bianchi, la incalzò l’amica.
– Quelli sono peggio delle bestie, mi fanno schifo. Non mi farei toccare da uno di loro neppure con la canna da pesca.
– Allora, concluse Cruz, non restano che i negri, la mia gente. Qualche bel ragazzo c’è.
– Eccome se ce n’è, ma purtroppo non è possibile. Condannerei a morte sicura chiunque osasse avvicinarmisi. Se mio padre venisse a sapere che un suo schiavo ha osato anche solo alzare gli occhi su di me lo strangolerebbe con le sue stesse mani.
– E’ vero, fece Cruz, però ”(pausa)”, chi ha detto che il colonnello debba venire a saperlo?
– Tu sei pazza se pensi di farla franca con mio padre. Qui è pieno di spie, cosa credi.
– Lo so benissimo che è pieno di spie, ma se la facciamo da furbe nessuno verrà mai a saperlo.
– Cosa intendi dire?
– Intendo dire che se proprio vi va di avere un maschio negro, nella mia famiglia ce n’è a iosa e state pur tranquilla che nessuno parlerà.
– Vuoi dire che potrei disporre dei tuoi parenti?
– Certo, sono tutte persone fidate e, ve lo dico per esperienza personale, se volete levarvi qualche sfizio, sono proprio i tipi giusti.
(a quel punto Cruz ridacchiò significativamente).
– Come potremmo fare?- domandò Liz con interesse.
– Lasciate fare a me, padroncina, vi combino tutto io. Domani notte vi andrebbe bene?
– Ok, vada per domani notte. Bada, però, che non voglio assolutamente che nessuno corra dei rischi per causa mia.
– State tranquilla signorina Liz, fidatevi di me.
– Bene, mi fiderò. Adesso, però, leccami ancora un pò la figa; mi hai fatto venire voglia.
Il giorno dopo Liz, dopo avere cenato col padre come al solito, disse di sentirsi stanca e si ritirò nel suo appartamento.
Seguendo le istruzione di Cruz, al calare delle tenebre prese il suo bel cavallo nero e fece ciò che nessun altro bianco, neppure armato fino ai denti, avrebbe mai osato fare: si avventurò verso il villaggio degli schiavi.
Chiunque altro, appena entrato nel vasto spiazzo su cui erano adagiate le capanne dei negri, sarebbe stato immediatamente ucciso, ma lei no.
Sapeva di non correre rischi, se non quello di farsi beccare da suo padre, o da qualcuno dei suoi sgherri.
Era già stata tante volte al villaggio, ma mai di notte.
La luna piena rischiarava la zona e qualche falò ancora acceso mandava bagliori rossastri.
Legato il cavallo a una quercia, Liz si diresse verso la capanna di Cruz che sapeva individuare tra le altre essendoci già stata più volte.
Sentendola arrivare l’amica le si fece incontro e la condusse all’interno dove, ad attenderla, c’era la famiglia al completo.
In previsione della sua visita la capanna era stata spazzata e rassettata, tutti avevano fatto il bagno e avevano lavato l’unico indumento che possedevano e che indossavano in ogni occasione.
Fuori dalla porta brillava un piccolo fuoco sul quale bolliva dell’acqua da cui proveniva un buon profumo di erbe.
E’ una tisana di erbe selvatiche, disse Cruz, è per gli uomini. Serve per…..(breve pausa) insomma, avete capito, padroncina, serve per aumentare la loro potenza virile. Liz, annuì, poi salutò ad uno ad uno i presenti, che conosceva tutti per nome.
C’erano il nonno e il padre di Liz, sua madre, una zia e due zii, due sorelle, due fratelli, e una cugina. In totale dieci persone.
Si guardò intorno. La capanna, grande più o meno quanto il suo salottino privato, dava alloggio a tutti quanti.
E’ naturale, pensò, che vivano in promiscuità. Comunque, si disse, stasera sono qui per altro. Sono la padrona, in fondo; sono tutti di mia proprietà. Approfittiamone. Disse a Cruz di abbassare la tenda che fungeva da porta e fece accendere delle candele profumate che si era portata da casa.
Era imbarazzata, non aveva mai fatto una cosa simile e non sapeva da che parte cominciare.
L’idea di avere tutta quella gente, tutti quei maschi a sua completa disposizione per soddisfare ogni suo desiderio ed ogni suo capriccio l’attizzava, ma non sapeva bene come muoversi.
Fu come al solito Cruz a prendere l’iniziativa e a levarla dai guai.
Piazzò l’unica sedia che vi fosse in circolazione al centro della stanza e vi fece sistemare la padroncina.
– Accomodatevi signorina Liz, e guardate noi. Quando vi sentirete pronta potrete intervenire anche voi. Altrimenti potrete limitarvi a guardare.
Messo il nonno in compagnia di una pipa e della bottiglia di acquavite fuori dell’uscio a fare la guardia, Cruz si avvicinò al gruppo dei parenti e li invitò a levarsi i poveri stracci che li ricoprivano.
Mano a mano che si spogliavano, Liz osservava con interesse i loro corpi nudi.
Le due donne, madre e zia, per quanto non ancora vecchie, erano già sfatte, coi seni cadenti i fianchi sfondati, i culi grossi e flaccidi.
Delle tre ragazze, le sorelle e la cugina, la migliore era quest’ultima, una vera bellezza, di corpo e di viso, più bella ancora di Cruz, più piena, più rigogliosa, più femminile.
Poi passò ad esaminare gli uomini.
I fratelli di Liz avevano un bel fisico alto e muscoloso ma di viso erano brutti. Guardò i loro peni ancora flosci ma già molto più grossi di quelli di tutti i bianchi che aveva visto.
I due zii, che parevano gemelli pur non essendolo da tanto che si assomigliavano, erano decisamente brutti di corpo e di viso. Piccoli e tozzi avevano una muscolatura possente e la faccia da scimmia. Anche loro avevano il pene floscio, ma Liz rabbrividì a guardarne le dimensioni davvero gigantesche. Notò che anche la sacca che conteneva i loro testicoli era fuori dell’ordinario, le ricordava quella del suo cavallo.
Infine il suo sguardo si concentrò su Joseph, il padre di Cruz, il più bello di tutti. Alto, possente, muscoloso ed agile al contempo, pareva la statua di un dio greco. Era bellissimo anche di viso, coi lineamenti delicati, il naso forte ma non grande, gli occhi intelligenti. Il suo pene, ancora floscio, era grosso e lungo e ricadeva fino a meta coscia; anche la sacca delle palle se non era grande come quella degli zii, poco ci mancava.
Liz sentì un brivido correrle per la schiena e, contemporaneamente, una sensazione di caldo invaderle il ventre.
Un’improvvisa folata di vento penetrata dall’unica finestrella spense le candele e la stanza piombò nel buio.
Quando, un paio di minuti dopo, durante i quali si sentirono rumori di corpi e gemiti soffocati, gli occhi di Liz si furono finalmente abituati all’oscurità, al suo sguardo si presentò una scena apocalittica. Sull’unico pagliericcio stavano ammassati, in un groviglio di corpi, tutti i membri della famiglia.
Mentre la madre e la zia si stavano dando da fare, con le mani e con la bocca sui membri ritti dei due ragazzi, il padre e i due zii si stavano lavorando la sorella di Cruz e le due cugine.
Cruz, seduta a terra a fianco di Liz, le aveva infilato una mano sotto il vestito e le stava carezzando le cosce nude.
Impietrita dallo spettacolo cui stava assistendo, Liz quasi non si accorse che la sua cameriera le stava sfilando le mutandine e si apprestava a sbottonarle il lungo vestito da amazzone che lei aveva indossato per raggiungere il villaggio.
Inginocchiate a terra fianco a fianco col grosso culo nudo per aria, la madre e la zia si stavano reciprocamente ungendo di grasso vegetale l’orifizio anale mentre i due ragazzi, in piedi dietro di loro con le lunghe mazze nere dritte e dure che puntavano verso l’alto, si apprestavano a sodomizzarle.
Sull’altro lato del pagliericcio i due zii, di cui Liz, a causa della posizione in cui si trovava, vedeva solo le schiene, stavano leccando da capo a piedi la bellissima cugina che, sdraiata, offriva il suo splendido corpo alle lingue affamate di quei due assatanati.
Nell’angolo opposto, infine, il padre, piantato a gambe larghe davanti ad una delle figlie inginocchiata ai suoi piedi, si stava facendo ciucciare la testa del suo terribile cazzo mentre l’altra figlia, inginocchiata dietro di lui, gli leccava le palle e il culo.
– Accendi le candele, intimò la ragazza alla serva, voglio vedere bene.
Con le mutandine arrotolate alle caviglie, il vestito mezzo aperto da cui fuoriusciva quasi tutto il seno e un tremendo calore tra le cosce bagnate, Liz osservò, alla vivida luce delle candele, i due ragazzi incularsi di brutto, fianco a fianco, madre e zia.
Il rumore de cazzi che scorrevano velocemente negli orifizi unti e quello delle palle che ad ogni colpo sbattevano contro le grosse chiappe delle due donne la eccitarono tanto da farla alzare dalla sedia e farla accostare al pagliericcio per poter osservare più da vicino.
Mentre rivoli di sudore scorrevano sui loro corpi neri e muscolosi, i due giovani negri pompavano il culo delle due donne inginocchiate con un vigore che lei, abituata ai suoi mosci amichetti bianchi, non credeva possibile e che le diede quasi il capogiro.
Mentre Cruz le sfilava il vestito lasciandola solo col bustino da cui fuoriusciva prepotente il suo bellissimo seno, bianco come la porcellana e con le punte rosate rivolte all’insù, Liz diede un calcio e fece volare via le mutande.
Gli zii, mai sazi del corpo davvero stupendo della cugina, continuavano a mangiarsela con le loro bocche avide.
Adesso uno le stava leccando e ciucciando i piedi mentre l’altro, con la faccia affondata tra le sue cosce, le lappava rumorosamente la figa.
Finalmente Liz potè vedere le loro beghe dure e diede un gridolino strozzato nel constatarne le dimensioni davvero spropositate.
Erano lunghe e grosse più del suo avambraccio e facevano davvero paura, così nere e con la testa rossa così larga e minacciosa.
Il padre, nel frattempo, si era seduto sulla faccia di una delle figlie e si stava facendo leccare alla grande il buco del culo mentre l’altra, accovacciata tra le sue cosce, gli leccava la mazza gigantesca.
Nel silenzio della notte si sentiva solo il rumore di lingue che lappavano, di labbra che ciucciavano, di fighe fradice che sciabordavano, di cazzi che scorrevano in anfratti umidi e unti e di palle che sbattevano contro chiappe carnose.
Nell’aria aleggiava uno spesso afrore di maschi e di femmine in calore, odore di sudore, di figa, di cazzo, di palle e di culo.
Infoiata come una cagna, Liz si sdraiò sul pagliericcio in mezzo a quei corpi avvinghiati e ordinò a Cruz di leccarle la figa.
I due ragazzi annunciarono che stavano per venire. Sembrava che lavorassero in tandem.
– Voglio la loro sborra – disse Liz sull’orlo dell’orgasmo, voglio la sborra di tutti i maschi. Voglio fare il bagno nella loro sborra.
A quell’annuncio i ragazzi si arrestarono e guardarono interrogativi la sorella.
Cruz fece loro un cenno affermativo col capo e i due si sfilarono dai culi in cui erano affondati.
– Sborratele addosso, disse loro, annaffiatela per bene.
– Non ancora, fece Liz, quando lo dirò io.
Al che i due, scambiatisi i culi, ripresero la cavalcata.
Gli zii adesso avevano voglia di farsi una inculata ma la cugina non era in grado di allogare le loro terribili mazze e allora sloggiarono i due ragazzi e si infilarono nei culi delle due donne che, nonostante fossero abbondantemente sfondati, fecero difficoltà ad accogliere quelle mazze terribili.
Mentre i due ragazzi presero a giocare un po’ con le sorelle sostituendo il padre, questi si dedicò alla nipote, la splendida cugina di Cruz.
Dopo averla a sua volta carezzata, palpeggiata, baciata e leccata da capo a piedi, la fece mettere alla pecorina e se la fece alla grande infilandone la mazza in pancia fino ai coglioni e pompandola come una locomotiva.
– Io sono pronta, disse Liz.
– Anche noi, fecero i ragazzi.
– Noi ci siamo quasi, dissero gli zii sfilando le loro gigantesche mazze dai culi delle due disgraziate, basta che le ragazze ci lavorino ancora un po’ di bocca.
– Ci sono anch’io, sentenziò infine il padre sfilando la nerchia gocciolante di umori di figa dalla pancia della nipotina.
– Allora venite tutti, qua, sistematevi a semicerchio intorno a me e datemi la vostra sborra.
– Siete sicura, padroncina? domandò dubbioso il padre che temeva le conseguenze di quella decisione della ragazza.
– Certo che sono sicura. Stai tranquillo Joseph va tutto bene, sono io che ve lo chiedo.
– Va bene signorina Liz. Allora forza, ragazzi facciamo una bella doccia alla nostra padroncina, facciamole vedere di cosa sono capaci questi cazzi negri. E voi ragazze, cosa aspettate, datevi da fare, fateci godere, svuotateci le palle.
Cruz fece piazzare Liz inginocchiata al centro del pagliericcio con le gambe leggermente divaricate; poi le reclinò la testa leggermente all’indietro e, sdraiatasi con la testa tra le sue cosce, prese a lapparle la figa.
Piazzati a semicerchio intorno alla ragazza, i cinque uomini puntarono le teste delle loro mazze in direzione del suo viso.
Nonostante fossero a qualche centimetro di distanza, Liz poteva sentirne il calore contro la pelle del viso e, soprattutto, ne sentiva l’odore forte mischiato a quello dei culi e delle fighe dentro cui erano state.
Aiutati dalle bocche e dalle mani delle donne i cinque fecero quel Liz aveva loro richiesto.
In tandem come al solito, i primi a svuotarsi furono i due ragazzi che, uno da destra e l’altro da sinistra, riversarono su Liz lunghi schizzi, caldi e abbondanti, di sperma odoroso, liquido e fluido.
Poi fu la volta degli zii che uno dopo l’altro, le scaricarono in faccia fiotti spessi e cremosi, densi come crema.
Quei due sborravano come cavalli e a Liz parve di soffocare sotto quell’interminabile bombardamento di sborra che durò un tempo lunghissimo e che la lasciò ricoperta da capo a piedi di liquido bianco che, mescolato a quello fluido dei ragazzi, le scorreva dappertutto.
Infine fu la volta del padre che, con la potenza per cui andava famoso tra tutte le donne della piantagione, le scaricò sul viso una quantità tale di sborra e con una tale violenza che la fecero annaspare come quando, da ragazzina, giocava con le amiche a tirarsi addosso secchiate d’acqua gelata.
Occorre dire, per meglio comprendere la situazione e farsi un’idea di come fosse ridotta Liz dopo quel trattamento, che il sogno di tutti gli schiavi era quello di farsi una bianca e, soprattutto di scaricarle addosso tutta la loro potenza di negri.
Sicché è facile immaginare che in quell’occasione i cinque uomini, che già di solito non scherzavano, avevano dato il meglio di sé buttando secchiate di sborra.
Fatto sta che la ragazza durante il trattamento, aiutata anche dalle lappate della sua serva, ebbe il più stravolgente orgasmo della sua vita che la squassò tutta e la fece stramazzare, gocciolante e sfinita, sul pagliericcio.
Dopo che si fu ripresa e le donne la ebbero ripulita, Liz si sentiva pronta per la serata.
Quello non era stato che un assaggio.
Chiamò vicino a sé la cugina.
Quella ragazza le piaceva davvero. La baciò in bocca e la carezzò e toccò dappertutto. Quando prese a leccarla capì perché gli uomini non si saziavano mai del suo corpo.
La sua pelle era fresca, liscia e profumata. La sua figa era calda e morbida e sapeva di buono. Il suo seno appuntito era sodo ed il suo bel culetto rotondo e duro aveva un solco profondo che divideva le due mezze mele piene e rotonde.
Leccò anche quello e passò la lingua sul buchetto rosato.
Poi invitò i due ragazzi, che nel frattempo avevano le mazze nuovamente dure, ad avvicinarsi.
Prese in mano i loro cazzi e li scappellò. Avevano la testa grossa, rossa e umida.
– Fatevi la cuginetta, da bravi – disse loro – metteteglielo dappertutto.
Voltatasi Vide che il padre, piazzato sulla sedia, aveva preso in grembo Cruz con la schiena rivolta verso di lui e, reggendola per il sotto delle cosce, se la stava facendo lentamente scorrere su e giù per tutta la lunghezza del suo enorme cazzo nero.
Allora andò ad accovacciarsi ai loro piedi, col viso a pochi centimetri dai loro sessi uniti.
– Ti sta facendo godere?, domandò alla serva.
– Da morire, sussurrò Cruz.
E’ bravo il babbo, ci sa fare con le donne.
L’odore, il rumore e la vista di quei due sessi uniti la eccitarono allo spasimo e allungò una mano per toccarli.
La figa di Cruz era fradicia, il cazzo dell’uomo duro come l’acciaio. Gli tastò i coglioni, grossi, pieni, ribollenti di vita.
– Vuole darmi il cambio, signorina Liz? Domandò la serva.
– Vorrei, ma ho paura. Tuo padre è troppo grosso per me.
– Non abbiate paura, padroncina. Lui sa come fare. Sa essere delicato e se vi fa male glielo dite e lui si ferma.
– Allora dopo possiamo provare. Adesso, però, continua tu. Ti sta facendo godere e non voglio che tu rinunci per me.
– Grazie padroncina.
Uno degli zii, nel frattempo, si stava facendo leccare la canna dalle due donne. Una gli lavorava la cappella mentre l‘altra scorreva su e giù con la lingua per tutta la lunghezza del suo lunghissimo cazzo.
Il secondo zio, invece, seduto sul pagliericcio, si era sdraiato la sorella di Cruz sulle ginocchia e gliele stava dando di santa ragione. La cosa doveva farlo godere parecchio perché l’uccello, durissimo, perdeva in continuazione una bava biancastra e collosa. La ragazza, evidentemente abituata, si lamentava in silenzio.
– Perché la sta picchiando? domandò Liz. Cosa ha fatto?
– Non ha fatto nulla, le rispose Cruz. Solo che agli uomini, soprattutto quelli maturi, piace picchiare le ragazze, è una cosa che li fa godere. Guarda il cazzo dello zio come sta sbavando. Credo che stia godendo come un maiale. In realtà non le sta facendo tanto male. A volte vengo picchiata anch’io, sia dagli zii che dal babbo, e ti assicuro che non mi fanno troppo male.
Liz, poco convinta, si fece più vicina alla scena. Lo zio doveva davvero godere perché il suo cazzo, che puntava dritto al soffitto, sbavava sempre più copiosamente. Doveva essere sul punto di venire perché picchiava sempre più forte la povera ragazza che giaceva ormai semitramortita. Nonostante aborrisse la violenza, la visione di quell’uomo dal cazzo gigantesco che picchiava con tanta libidine la ragazza la eccitò da morire e quando l’uomo, continuando a colpire la propria vittima, si scaricò finalmente i coglioni lanciando al cielo lunghi schizzi di sborra che andarono quasi a colpire il tetto di paglia della capanna, Liz ebbe quasi un orgasmo.
– Che goduta mi sono fatto, annunciò l’uomo lasciando finalmente libera la fanciulla e accasciandosi sul pagliericcio. Era da tanto che non godevo così. Picchiare le mie nipotine è una delle cose che mi arrapano di più, concluse.
I fratelli di Cruz, nel frattempo, avevano ceduto la cugina all’altro zio che se la stava leccando tutta da capo a piedi e i due ragazzi, da canto loro, avevano rimesso madre e zia alla pecorina e se le stavano ingroppando nel culo.
Il padre, ormai prossimo a venire, aveva accelerato il ritmo e si stava facendo scorrere Cruz sul cazzo sempre più velocemente.
– Voglio farlo godere io, annunciò Liz all’amica.
– Va bene. Allora mi sfilo.
Cruz scese dal grembo del padre lasciandolo seduto col cazzo durissimo e gocciolante di umori di figa che puntava la testa verso l’alto.
Liz gli si avvicinò e, con mano malferma, gli circondò l’asta. Era calda, dura, nodosa e pulsante.
Ne fece scorrere la pelle, che era lunghissima, e gli ricoprì la cappella. Poi cambiò idea.
– Voglio guardarti godere mentre picchi Cruz, ordinò.
Il padre, che non aspettava altro, non se la fece certo ripetere e, presa la ragazza, se la depose sulle ginocchia e cominciò a dargliele di santa ragione su tutto il corpo. Per fortuna di Cruz l’uomo venne quasi subito, lanciando lunghi schizzi che colpirono Liz in piena faccia, dal momento che lei si era posizionata proprio in modo da poterli bene intercettare.
Anche l’altro zio venne e così pure i fratelli in un’orgia di sborra che andava a spiaccicarsi dappertutto, tutto sporcando e imbrattando.

4
1

Leave a Reply