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Capitolo 1 – Pioggia

Ho fermato il tergicristalli e aspetto; i vetri si stanno appannando, mentre nuove gocce sembrano allargarsi di colpo sul parabrezza bagnato per poi colare in rivoli sul vetro, verso il basso.
Il motore &egrave spento e sento il vago, lento ticchettio del radiatore che si raffredda, credo.
Ho voluto spegnere la radio ed adesso aspetto, mentre l’ultimo chiarore del giorno svanisce, che arrivino all’appuntamento.
Dal vagare della mia mente, emerge l’immagine di un sorriso: &egrave il suo sorriso e in un istante lo rivedo qui, vicino a me, ora, quasi fisicamente.. e invece son passato quasi cinque anni…
Me lo rivedo, giovane, alto e magro, coi capelli ricci lunghi e gli occhi frenetici, sempre pronti a scrutare in ogni angolo, ad abbeverarsi di qualsiasi forma o movimento.
Era anche un po’ goffo e poi, qualunque cosa facesse, dava sempre l’idea di esser pronto a schizzar via per affrontare altre nuove cose.
Però era dolce, tenero, affettuoso e da quella volta che lo avevo conosciuto, mentre inciampava passando e mi faceva cadere di mano il bicchiere in quella discoteca, avevo a poco a poco capito che avrebbe potuto essere il mio compagno ideale.
Quella sera eravamo entrambi in quella fase della vita tra i venti ed i venticinque anni, dove entrambi avevamo cominciato a imparare qualcosa della vita e tentare di progettare il nostro posto nel mondo ed entrambi, sopratutto, sopravvalutavamo la quantità e l’importanza delle poche cose che avevamo cominciato a capire.
Quella sera, prima di uscire per andare in quella discoteca, avevo avuto una pesante discussione con mia madre, che per non urlare e quindi non coinvolgere mio padre, mi aveva sibilato quanto avesse ‘sentito dire’ su di me e quanto, in estrema sintesi, mi disprezzasse per la mia evidente attrazione per il cazzo… o, per essere più precisi, per i cazzi, al plurale…
Cosa ci potevo fare? Mi piaceva essere corteggiata, vedere il lampo del desiderio negli occhi degli uomini, sentire le loro mani prima sfiorarmi e poi stringermi; i loro fiati, prima sul collo e poi a mischiarsi col mio.
E poi invariabilmente prendevano la mia mano e la pilotavano lì a… valutare il loro orgoglio virile; molti erano di dimensioni francamente imbarazzanti e contavano sul fatto che, per la mia giovane età, non avessi ancora avuto modo di di capire ed apprezzare la differenza tra un cosinobuffo ed un VERO cazzo.
Quella sera, mentre uscivo, sentii mia madre sibilarmi dietro, con cattiva disperazione: ‘Se si sparge la voce che sei una zoccoletta, non troverai mai un uomo disposto a sposarti!’, come se il convolare a nozze rappresentasse il mio scopo nella vita!

E poi, tempo un paio d’ore, inciampo in Giorgio, coi suoi occhi frenetici, con la sua mente acuta, coi suoi modi garbati.
Mi ero trovata ad uscirci per un po’, tanto per avere un ‘fidanzato’ che mi venisse a prendere a casa e che fosse presentabile a mia madre, che mi guardava sempre con occhi accoratamente severi.
Inaspettatamente, si dimostrò un uomo, invece del solito maschietto traboccante di ormoni e mi trattò fin dall’inizio come una sua pari, invece come ‘tutta quella roba inutile intorno a un buco’, com’ero già abituata.
Non che l’essere trattata così mi dispiacesse, intendiamoci!, ma mi andava bene solo in ‘quei’ momenti; nell’arco di una ‘storia’ era francamente avvilente, col passare del tempo.
Lui invece non chiedeva mai e quindi non potevo cavarmela con un sì/no, detto pensando che però, forse, non avrei dovuto rispondere così ma… No, lui faceva delle proposte e poi le esaminavamo, le svisceravamo, le modificavamo insieme fino a fare quello che meglio andava per entrambi.
In quei primi tempi, però, avevo come la sensazione che tra noi ci fosse una zona d’ombra, un qualcosa di non-detto, un qualcosa di… strano, vagamente stonato in lui; ma veniva fuori molto raramente e non mi ci scervellavo certo sopra.
E comunque, anche a lui piaceva molto il sesso ed era abile e inoltre -buon peso- madrenatura era stata generosa con lui, non solo per il suo metroenovanta scarso…
Poi venne la sera della festa a casa di Luca: mi ero ormai abbandonata alla sicurezza che mi dava la storia con Giorgio e ci divertivamo anche molto a fare l’amore e andando spesso a farlo in auto, capitava che finissimo in luoghi ‘presidiati’ da guardoni: ce ne rendevamo conto e la cosa, dopo che entrambi le primissime volte avevamo studiato con una vaga apprensione le reazioni dell’altro, dava un’ulteriore sferzata di piacere ai nostri sensi e ormai loro riconoscevano la sua utilitaria e sapevano che avrebbero potuto accostarsi senza problemi, per poter godere dello spettacolo da vicino. Così mi godevo la storia -ed il sentimento nascente- con Giorgio e frequentavamo le sue conoscenze.
Luca era figlio di un industrialotto ed abitava in una villa abbastanza grande e, approfittando di un viaggio dei genitori, aveva organizzato una festa per gli amici -tra cui il suo compagno dalle medie Giorgio- e con diverse ragazze.
Da perfetto padrone di casa, aveva fatto organizzare tutto dalle persone di servizio e poi gli aveva dato magnanimamente la serata libera… per toglierseli dai piedi!
Durante la festa, intuivo gli occhi di Luca appiccicati addosso, che mi cercavano, mi spogliavano -come anche tutte le altre volte, a dire il vero!- e capivo che mi desiderava con una determinazione che stava rapidamente lievitando.
Dopo un’oretta, mi ero persa di vista con Giorgio e francamente, ritrovarsi in quella villa con così tanti ambienti, il parco e anche la piscina, piena di luci, schizzi e giovani che ridono e si bagnano, non era semplicissimo.
Luca mi aveva preparato un drink e me lo aveva dato con uno sguardo complice; appena assaggiato, avevo sentito che era molto -ma molto!- alcolico e che quindi il buon Luca, il fraterno amico del mio ragazzo fin dai tempi della scuola dell’obbligo, era seriamente intenzionato a scopargli la fidanzata!
Ero curiosa di vedere fin dove era disposto ad arrivare e così l’ho assecondato…

Ci eravamo appartati in un salottino e, a farla breve, lui si era seduto in una poltrona ed io mi ero impalata sul suo uccello, guardandolo negli occhi maliziosi e godendomi la tragressione di beccarmi il notevole cazzo del migliore amico di Giorgio… ed anche la sua innata capacità a manovarrlo.
Mi aveva mangiato le tette e la bocca e quando non mi baciava mi mormorava adorabili porcate che facevano lievitare ancora di più il mio piacere.
Ero crollata su di lui, quando avevo raggiunto l’orgasmo, mordendomi le labbra per non fare cagnara e lui aveva continuato ad rovistarmi la fichina col suo palo senza neanche rallentare, procedendo dritto come un fuso verso il suo piacere.
Quando avevo sentito il suo cazzo sussultarmi dentro, pronto a sborrare, gli avevo detto di non venirmi dentro, ma lui mi aveva bloccata tenendomi per i fianchi, mentre mi faceva andare su e giù come una bambola gonfiabile e… e il suo piacere era arrivato insieme ad un altro mio orgasmo.
Come ripresi fiato lo baciai, poi però mi alzai subito per andare a cercare un bagno e sciacquarmi un pochino; lo slippino giaceva sul tappeto, a brandelli, così riabbassai semplicemente la mini intorno ai fianchi, riabbottonai la camicetta e mi avventurai nel corridoio, dopo aver aperto la porta che -evidentemente- avevamo lasciata appena accostata.
Fatti pochi passi, appena girato l’angolo, mi trovai davanti Giorgio, sorridente; ero imbarazzata, in effetti avevo appena finito di tradirlo col suo migliore amico e non riuscivo logicamente ad essere a mio agio, nonostante cercassi di fingere una serenità che non sentivo per evitare malumori.
Lui mi abbracciò, mi strinse forte, appassionatamente e mi diede un lungo, profondo bacio in bocca. Per un attimo fui contenta di non essermi fatta sborrare in bocca da Luca: lui avrebbe sicuramente riconosciuto il sapore dolcesalmastro dello sperma!
Ma poi Giorgio, sempre tenendomi stretta a lui con un braccio, abbassò la mano, la infilò sotto la minigonna e mi mise subito senza alcuna esitazione due dita nella fichetta, dilatata e scivolosa del seme di Luca.
Poi tirò fuori le dita, gli diede una rapida leccata e sorridendo me le mise in bocca da succhiare, ma come gesto di complicità, non come un rimprovero!
Poi me le tolse dalla bocca e sempre sorridendomi teneramente, col suo braccio sulle spalle, mi chiese: ‘Ma perché a Luca, che ti impalava su quella poltrona, non hai dato anche il culo, che ti piace tanto?’
Aveva visto tutto! Ci aveva spiati! Aveva spiato la sua ragazza mentre faceva la troia col suo migliore amico! E non era incazzato, no: solo blandamente divertito ed incuriosito!
Ero spiazzata e balbettai la prima stronzata che mi passò per la mente: ‘Beh sai…non volevo che pensasse di me che sono una troia…’
Come lo dissi, mi resi conto dell’enorme puttanata che avevo detto, ma Giorgio non si incazzò, anzi: prima ridacchiò e poi, mentre evidentemente si ripeteva in testa la frase e pensando a quello che aveva appena visto, cominciò a ridere, ridere, ridere sempre più fragorosamente e io, superato il primo stupore, cominciai timidamente , ma poi via via sempre più confortata a ridere, a ridere forte con lui!
Facemmo fatica a farci passare la ridarella, ma alla fine, sotto gli sguardi divertiti di chi passava nel corridoio , richiamato delle nostre risate, lui mi mise le mani sulle spalle, tese le braccia per tenermi alla giusta distanza e poi, sempre sorridendo, mi fece LA domanda: ‘Roberta… vorresti diventare mia moglie?’ Pensai a mia madre, col suo anatema ‘Non ti sposerai mai!’; poi pensai a Giorgio, a come avrebbe potuto essere la mia vita accanto a lui: amava scherzare, giocare -tra di noi- ma una persona seria e sensata; aveva cominciato a lavorare ed i risultati erano decisamente promettenti e poi era allegro, propositivo, tollerante e -lo avevo appena scoperto!- senza stupide gelosie.
Anzi: sembrava addirittura divertito che mi avesse scopata un altro e la sua espressione era beata, mentre si assaporava le dita bagnate da sperma alieno, dopo avermele intinte nella vagina appena usata -e riempita- dal suo migliore amico.
Riflettei sulla… rispettabilità sociale che mi avrebbe dato lo status di donna coniugata, sopratutto per placare mia madre e capii che, se avessi giocato con giudizio le mie carte, con Giorgio avrei potuto fare come meglio avessi voluto, senza troppi sforzi.

Accettai!

I sei mesi che seguirono, li sfruttammo per preparare ogni cosa per il nostro matrimonio, ma anche e sopratutto per renderci conto di quanto fossimo caratterialmente compatibili e come volessimo che la nostra vita si dipanasse.
Giorgio sapeva comportarsi con grande educazione e garbato fascino e sfruttò queste sue doti per presentarsi ai miei genitori; mio padre era abbastanza poco interessato (lui aveva già cominciato a vivere in un mondo tutto suo ormai, con scarso interesse per me e per mia madre), ma mia madre soppesò ed analizzò Giorgio ed alla fine il suo responso fu favorevole: ‘Mi sembra davvero un giovane perbene. Spero solo che non scopra mai quanto tu abbia fatto la puttanella in giro, prima di conoscerlo, o te lo perderai!’
Mi stupii, riuscendo a reprime la potente risata che mi stava per esplodere nel petto ed a dirle, con espressione e tono contriti ‘Sì, mamma…’
In realtà il mio comportamento disinvolto, la mia voglia di provare sempre maschi nuovi, di sfidare me stessa a portare i miei limiti ancora più avanti era ciò che affascinava maggiormente il mio fidanzato.
Dopo quella famosa festa, ci eravamo parlati chiaro ed io gli avevo fatto capire (non avevo reso esplicito il concetto, ma c’ero arrivata molto vicina!) che per quanto potessi amarlo, per quanto mi chiavasse bene in ogni buco col suo bel cazzo, mi sarei intristita a dovermi accontentare solo del suo arnese.
Lui aveva sorriso e mi aveva detto che era esattamente questo il tipo di donna che cercava da sposare: ‘… Che sia disinvolta, porcella, una vera puttana cazzodipendente, ma che -col manto dell’unione matrimoniale- possa essere la complice ideale ed avere quella rispettabilità alla quale la fede al dito porta subito a pensare’
Non ebbe remore ad ammettere che, anche se riusciva già ad essere contento a sapermi con altri maschi (‘Maschi, al plurale!’, aveva sottolineato con un sorriso denso di complicità), in realtà avrebbe apprezzato molto il vedermi arata da cazzi vari ‘dal vivo’.
Fu dopo un po’ che ammise di aver subito anche lui -da ragazzino, in collegio- la fascinazione che una nerchia dura sa donare già solo al guardarla; se poi quella verga interagiva col suo corpo… uhmmm!
Mi rassicurò che quelle esplorazioni dell’ambito omosessuale, erano solo il guardarsi intorno di un ragazzino, alla ricerca della propria posizione nel disegno generale della Vita; inoltre mi disse che lui era affettivamente eterosessuale, nel senso che provava attrazione sentimentale solo nei confronti delle donne e la sua parentesi coi cazzi era stata solo per motivi di ‘gioco’ e sopratutto per mancanza di femmine…
Presi atto di questi suoi trascorsi e li archiviai nella mia mente.

Ormai, quando andavamo a scopare in macchina, lo facevamo coi finestrini abbassati ed i guardoni si avvicinavano, arrivavano a sfiorarmi, a toccarmi e solo alcuni ‘osavano’ farsi spompinare da me; Giorgio apprezzava di vedermi in azione a distanza zero, ma ovviamente entrambi volevamo di più.
Così cominciammo anche a frequentare cine porno -sedendoci invariabilmente nella fila con davanti il corridoio trasversale della galleria, per avere più spazio di manovra!- dove cominciavamo con lui che mi toccava e sollevava gli abiti (il poco che indossavo, in vista di queste attività!), giusto per far avvicinare i singoli, che subito allungavano le mani, brancicavano tette e gambe, sguainavano i cazzi e dopo, già ancora mentre ero seduta su Giorgio col suo piolo ben piantato in fica, mi piegavano per spingermi le loro cappelle congestionate in bocca, tanto per essere rassicurati della mia (nostra) disponibilità.
Poi Giorgio mi faceva alzare e si scostava di un passo: era il segnale che loro aspettavano per avventarsi su di me, voraci come un branco di squali ma molto più divertenti!
Sentivo i loro cazzi turbinare sul mio corpo, penetrandomi in ogni buchino e depositando spesso possenti sborrate.
Una variazione sul tema era che mi sedessi su Giorgio girata vis-a-vis, invece di dargli le spalle, in modo che i cazzi da succhiare spuntavano accanto al suo collo, perch&egrave i singoli erano nella fila dietro alla nostra e poi, se qualcuno passava nel corridoio davanti a noi, Giorgio mi allargava le chiappine, offrendogli il mio culo e spesso l’invito era raccolto con entusiasmo, regalandomi improvvisate ‘doppie’…
Oltre a queste piacevoli attività, eravamo impegnati nei nostri abituali impegni e, inoltre, fare i preparativi per il matrimonio e far sistemare il nostro futuro nido.
Quanto ho dovuto incoraggiare gli artigiani perché fosse tutto pronto per il giorno delle nozze! Sopratutto l’elettricista, che aveva l’aiutante di colore e… beh, ho dovuto incoraggiare molto entrambi!
Poi venne finalmente il giorno del matrimonio.
Avevamo subito la volontà dei nostri genitori (che comunque si facevano carico di tutte le spese!) per un matrimonio classico: io in un vaporoso abito bianco, lui con un elegante abito grigio chiaro, con cerimonia in chiesa e poi abbuffo generale in un ristorante.
Proprio la sera prima però, sul tardi, la sorella di mia madre aveva avuto un grave malore ed era stata ricoverata in un ospedale della sua città, distante oltre un’ora di strada dalla nostra e così venne deciso che mia madre e mio padre sarebbero andati subito al capezzale di zia Lina, portandosi però dietro gli abiti da cerimonia, in modo da arrivare direttamente in chiesa dall’altra città.
Io sarei stata accompagnata in chiesa dai due testimoni e all’idea la fichina mi friggeva: il testimone di Giorgio era il suo eterno amico Luca, quello della villa e che mi aveva scopato ancora qualche altra volta, mentre l’altro testimone era Gianmario, uno dei miei miei primi e più dotati amanti, restato un buon amico e confidente.
In effetti passarono a prendermi una mezz’ora prima di quanto fosse necessario, per compiere il tragitto, ma come avevo previsto, facemmo giusto una breve sosta, il tempo necessario per alzarmi il vaporoso abito bianco, strapparmi letteralmente le mutandine di pizzo e scoparmi entrambi, stando ben attenti a non spettinarmi, a non rovinarmi il trucco e sopratutto a lasciare due abbondanti sborrate dentro il mio grembo.
Arrivammo in chiesa giusto in tempo e mio padre mi accompagnò all’altare, fingendo un interesse che sapevo non provava, fino a fianco del mio Giorgio.
Il quale era raggiante già per la giornata, ma poi, annusando l’aria come un cane da tartufi, sentì l’odore dello sperma che -avendomi i due testimoni proibito di pulirmi, ridendo ‘Così anche mentre sei davanti al prete non ti dimentichi di noi!’- mi stava colando lentamente lungo le cosce, dandomi una sgradevole sensazione di umido e di appiccicaticcio.
Giorgio mi guardò con espressione interrogativa e, mentre celebrante litaniava le sue formule, mi chiese rapidamente, sottovoce: ‘Luca…?’. Annuii e lui diventò raggiante, come un sole che all’alba emerge dal mare. Però non era solo Giorgio ad aver sentito l’afrore del sesso appena concluso; vedevo ogni tanto fremere anche il naso dell’anziano celebrante, come un coniglio che esplorasse l’aria per aver traccia della volpe.
Giorgio poi mi confidò che per tutta la cerimonia aveva sudato, resistendo stoicamente alla tentazione di alzarmi l’abito e mettermi le dita dentro!
Comunque la cerimonia finì e, in una tempesta di riso, arrivammo fino alla Mercedes guidata da Luca, che essendosi lasciato da pochi giorni con una ragazza, era libero ed aveva quindi accettato di buon grado di farci da autista.
Mentre raggiungevamo il ristorante, Luca mi passò una confezione di salviettine inumidite, nel caso avessi voluto darmi un’asciugata, ma Giorgio, dopo avermi messo tutte e quattro le dita dentro, si era abbassato e me l’aveva leccata avidamente tutta; intanto il nostro improvvisato chaffeur affermava che essendo stato l’ultimo a sborrare nella mia fica da nubile, era suo inalienabile diritto essere il primo a scoparsi la signora sposata.
Coinvolta dalla giudiziosa ripulitura che mi stava dando il mio maritino d’oro, risposi in modo vago, che bisognava vedere la situazione, il ristorante, gli spazi, i luoghi…
Comunque, quando arrivammo finalmente al ristorante prenotato, fuori città, eravamo riusciti tutti a darci un aspetto ed un atteggiamento rispettabile e dignitoso, nonostante il pompino che avevo donato a mio marito (il primo, da sposati!), per sdebitarmi dopo la grandiosa leccata di fica che mi aveva fatto.
Entrammo nella sala del ristorante, riservata a noi e cominciò il lento, chiassoso rito del pranzo nuziale.
Mia madre si era fatta il suo regolamentare pianto da madre-della-sposa in chiesa e, in attesa che servissero gli antipasti, capivo che tirava su col naso, ripensando alla sua pooooovera bambina che era diventata grande e sposa di un uomo, pur con l’ombra di un vago sorrisetto sul viso, della serie ‘siamo riusciti ad accasare una figlia zoccola e adesso saran cazzi del marito!’
Mio padre invece aveva la tipica espressione, ormai diventata sua solita, del ‘ma perch&egrave devo stare qui a rompermi gli zebedei?’; i loro atteggiamenti, in fondo, mi divertivano.
Anche i genitori di Giorgio recitavano accettabilmente la parte dei genitori dello sposo, con sua madre che si lascia sfuggire una dignitosa lacrimuccia e suo padre che abbracciandomi… ops! gli scappa la mano e mi da una rapida palpata sul culo.
Le solite frasi, la solita allegria posticcia da matrimonio, le solite battute, i soliti ammiccamenti vagamente pruriginosi (che voglia che avevo, davanti a tutti questi maschi così volenterosi ‘a parole!- di tirarmi su quel cazzo di abito con gonne e sottogonne, mettermi sul tavolo da pranzo e dirgli: ‘Avanti: adesso dimostratemi, qui davanti a tutti, che siete davvero all’altezza dei maschi che affermate di essere!), i soliti giochini stupidi, compreso il taglio della cravatta (prontamente sostituita in auto da Giorgio, che preferiva farsi tagliare a pezzettini una cravatta da bancarella, piuttosto di quella molto raffinata, indossata durante la cerimonia.
Il vino scorreva allegramente e l’allegria portava un certo tasso di cagnara, con gente che veniva tutta ilare a congratularsi con gli sposi ed a baciare la sposa (ed a controllare anche la tonicità di culo e tette!), mentre io sopportavo stoicamente tutto quel bailamme.
Mi allontanai dall’allegrotta brigata solo un paio di volte, con la scusa di andare a fare pipì, ma in realtà per concedere a Luca l’onore di essere il primo a sbattersi Roberta in versione donna-sposata, prima e poi per dare un rapido acconto al fotografo.
Quando dio volle, il banchetto finì: notai che tutti c’erano andati pesanti nel bere e anche per questo, alcune inappuntabili signore sembravano gradire strofinamenti che mia madre avrebbe giudicato sconvenienti, oppure secondo il proprio temperamento- non far assolutamente caso alle intraprendenti mani esploratrici di alcuni degli invitati.
Alla fine, quando il cuore ci diceva che non saremmo MAI riusciti a liberarci di quella marmaglia festante, riuscimmo invece ad allontanarci con la nostra auto e, dopo esserci fermati dietro al primo angolo per staccare i rumorosi ed immancabili barattoli dalla macchina, partimmo diretti ad un albergo vicino all’aeroporto, dove avremmo passato la notte -la nostra prima notte di nozze!- per poi imbarcarci sul volo per Cuba, dove avevamo programmato il nostro viaggio di nozze.
Entrando in camera, mi vidi riflessa in un grande specchio e mi trovai decisamente erotica, anche se con l’aria un’ideina stanca e l’abito da sposa che cominciava ad essere parecchio stazzonato.
Il personale dell’albergo ci aveva accolti con grandi sorrisi, visto che ci eravamo presentati ancora vestiti da cerimonia ed ora in camera cominciavo ad essere impaziente per la voglia di togliermelo, ma sapevo che dovevo pazientare ancora un pochino.
In effetti, dopo pochi minuti, sentimmo bussare discretamente alla porta e mio… marito (che effetto mi faceva quella definizione, quel giorno! Mi sarei facilmente abituata, ma quel giorno pensare di chiamare Giorgio ‘marito’ mi provocava la ridarella!) aprì, sorridente, facendo entrare i quattro amici africani coi quali ci eravamo accordati.
In poche parole, Giorgio seduto in poltrona si godette lo spettacolo della sua mogliettina -ancora col candido abito nuziale!- palpata, frugata e poi penetrata ripetutamente in ogni buchino da questi quattro, con fave decisamente grosse e la pelle così scura da sembrare quasi blu.
Giorgio volle comunque conservare un ricordo tangibile di quella prima notte e quindi, oltre alla telecamera fissa sul cavalletto a riprendere algidamente ciò che avveniva nel suo campo focale, lui si divertì a scattare foto avvicinandosi per cogliere particolari e suggerendoci, in alcuni casi, posizioni che rendessero meglio come immagini, sfruttando al meglio il contrasto tra il candore dell’abito, il lieve tono ambrato della mia pelle ed il nero profondo della pelle dei quattro.
Nei giorni precedenti mi ero segretamente accordata con Albert, uno degli amici di colore ed al mio cenno sorrise e agì: coinvolse Giorgio nel gioco ed io mi feci leccare da lui tutto lo sperma che mi avevano scaricato dentro.
Mentre era così intento, inginocchiato sul letto col culo in alto, Albert cominciò a masturbarlo brevemente, poi gli insalivò il culo; mio marito trasalì, intuendo cosa stava per accadere, ma io gli afferrai la testa e lo tenni bloccato in quella posizione, a pascolare tra le mie cosce.
Quando Albert, con delicatezza, cominciò a scivolare dentro di lui, Giorgio provò a rifiutarsi, a fuggire, ma io sapevo che era più per la vergogna di farmi capire quanto gli piacesse la cosa, piuttosto che per rifiuto dell’atto in sé.
Quando infine i testicoli dell’africano cominciarono a sbattere ritmicamente contro quelle di mio marito, un amico si sdraiò dove prima ero io, mi fece impalare col culetto sul suo cazzo svettante e cominciò a fottermi deliziosamente, mentre afferrando i capelli di Giorgio, lo pilotavo a leccarmi la patatina ed a non lesinare leccate anche alla verga ed ai grossi e gonfi testicoli dell’amico.

La mattina dopo ci alzammo, un po’ stravolti dalla fatica di essere stati a giocare con gli amici fin quasi alle tre del mattino, ma con grandi sorrisi soddisfatti; quando alla fine Giorgio aveva deciso di smettere di farsi delle pippe mentali nei miei confronti, ci divertimmo molto tutti e sei ed i nostri amici non si risparmiarono nell’usare a fondo tutti i nostri buchi, come fossimo due vere troiette.
A me aveva eccitato moltissimo una delle situazioni che si erano create, con me alla pecorina, scopata da mio marito, ma seguendo il ritmo imposto dagli affondi della nerchia d’ebano che gli sprofondava nel culo.
Approfittammo delle lunghe ore di volo per ritemprarci e dormire un po’, ma lui aveva evidentemente più bisogno di dormire di me ed io, ormai sveglia, cominciavo ad annoiarmi, irrequieta.
Per fortuna, trovai un signore così gentile che, oltre a farmi un po’ di compagnia, anche se nel minuscolo cubicolo dei bagni dell’aereo -dove &egrave già complicato muoversi da soli!- mi ha permesso anche di entrare nel cosiddetto club dei ‘30.000 high’, che raccoglie chi ha scopato a bordo di un aereo in volo a quota di crociera, i trentamila (piedi) a cui si allude.
Ricordo il tenue sorriso indulgente della hostess che ci vide uscire e poi quello davvero divertito che fece quando, dopo meno di mezz’ora, rientrai nel cubicolo con un altro uomo, visto che mi sembrava giusto che anche mio marito entrasse nel club.
Quando uscimmo era sempre lì e mi guardò con intenzione, strizzandomi l’occhio e lisciandosi la gonna dell’elegante divisa sulla coscia, in un gesto di sensuale complicità.
Le sorrisi e mi passai rapidamente la punta della lingua sulle labbra, poi le mostrai la fede che risaltava tra le dita unite strizzandole l’occhio.
Forse avrebbe potuto essere divertente ritrovarci una volta a terra, per giocare io e lei, ma non stavo viaggiando da sola e inoltre stavamo seguendo un programma che, in quella fase, non ci concedeva il tempo per sfruttare quell’occasione.
Anche un’altra hostess, che si era affacciata dal galley lì accanto (&egrave questo il nome dei cucinini degli aerei, l’ho imparato quella volta!), mi sorrise e mi strizzò l’occhio; poi si accostò alla collega, osservandomi benevolmente e mormorando una frase a cui l’altra rispose con un sorriso divertito ed un rapido assenso col capo, dopo di che entrambe risero silenziosamente, guardando ancora nella nostra direzione.

Arrivati a Cuba, girammo da bravi turisti per L’Avana e poi anche un pochino in giro per l’isola, sia lungo la costa che salendo sulla cordigliera.
La sera nei locali sentivamo buona musica, Giorgio sentiva il sapore dei rum caraibici ed io sentivo le mani degli uomini sul mio corpo; un rapido scambio di sguardi tra noi ed ero pronta ad appartarmi con il tipo -o i tipi- da cui mi ero lasciata rimorchiare.
Invariabilmente, tutte le notti, tornavo alla nostra camera, dove Giorgio mi attendeva sveglio per scoparmi vigorosamente, eccitato anche dal dettagliato resoconto della mia uscita.
Fu girando per locali che conoscemmo Xavier, un facoltoso francese (con l’immancabile foulard indossato sotto la camicia!) il cui padre aveva acquistato una grande villa, verso Santa Fe, da un ricco americano che aveva dovuto abbandonare l’isola alla caduta di Batista.
Il padre -e poi lui- erano riusciti a mantenere buoni rapporti con le autorità cubane e Xavier, quindi, poteva muoversi con una libertà impensabile per gli abitanti dell’isola.
Fu molto galante con me ed estremamente affabile con Giorgio ed alla fine ci invitò ad una festa nella sua villa per il sabato sera seguente.
Qualcosa che aveva detto o fatto (o piuttosto: qualcosa che aveva omesso di dire o deciso di non fare) ci avevano fatto drizzare le antenne e in quel detto-non-detto avevamo intuito che la festa avrebbe avuto elevate probabilità di trasformarsi in una colossale orgia.
Devo dire che ci pensavo spesso e mi accorgevo che anche mio marito era distratto, assorto e quando ci confessammo reciprocamente che entrambi eravamo… prigionieri delle pur garbate allusioni del francese, scoppiammo a ridere.
Poi, finalmente, anche il sabato arrivò. Per andare sul sicuro, mi vestii con un abitino estivo che amavo molto: a fiori, con la gonna a corolla ed il corpetto aderente e senza spalline ed, ai piedi, un paio di sandaletti con un tacco da dieci centimetri.
Era una mise che mi permetteva di sentirmi a mio agio sia nel caso che la festa si fosse mantenuta nei limiti della… tranquillità (anche se speravo di essere notata da qualche autoctono per potermici poi appartare insieme in qualche angolo tranquillo), sia che fosse lievitata fino a trasformarsi in una vera orgia.
Anche Giorgio apprezzò la mia scelta, contento anche per l’abito col quale qualunque reggiseno sarebbe stato malissimo (quante volte, ballando con quello indosso, il mio partner del momento mi aveva tirato fuori le tette…) ed anzi, incrementò il piccante del mio abbigliamento suggerendomi di non indossare intimo. Ovviamente lo accontentai!

La villa era davvero lussuosa, ampia, con un’enorme piscina ai bordi della quale si svolgeva la festa: Xavier aveva invitato una quarantina di persone, anche se io e Giorgio eravamo probabilmente i più giovani della brigata.
Noi donne, tutte accoppiate, eravamo una dozzina e, a parte una cinquantenne con l’aria matronale, andavano dai miei 23 anni fino ai 35, magari sforati ma comunque ben portati.
Gli uomini non accompagnati (i maschi!) ci scrutavano, ci soppesavano, stabilendo una certa scala di preferenza tra di noi e facevano i galanti, pur con sorrisi carichi di pura lussuria appena celata.
Erano sia stranieri che anche isolani, da uno svedese biondissimo, a diversi creoli e un paio di scurissimi neri, ma tutti accomunati da quel certo sguardo sfrontato dei maschio-alfa.
Xavier aveva coinvolto Giorgio ed altri (caso buffo: tutti erano arrivati accompagnati!) in una discussione accanto ad un tavolo carico di liquori e noi signore c’eravamo trovate il bersaglio della caccia del branco di lupi.
A quanto pareva, nessuna delle altre sembrava infastidita dalla situazione e anche loro, come me, vennero tenute sempre con un bicchiere pieno e corteggiate in modo man mano più esplicito.
Venni invitata a ballare ed ogni ballerino sembrava essersi fatto un punto d’onore nello stringermi contro di lui, anche per farmi apprezzare la dimensione della propria erezione e per palparmi ben bene.
Dopo un po’, qualcuno dei cacciatori si era appartato con qualche preda, ma io ed altre due donne eravamo al centro delle evoluzioni di tutti i maschi, tanto che alla fine ci trovammo circondate, al centro dell’area piastrellata, ognuna appoggiata alle spalle delle altre.
Furono gli sfioramenti e le carezze, furono i fiati caldi sul collo e la nuca e le orecchie, furono i baci prima timidi, casti, poi via via sempre più decisi ed impudichi e coinvolgenti e le mani che sentivamo ovunque ed il sibilo delle cernierelampo dei nostri vestiti che scorrevano, attestando la loro vittoria.
Non avrei saputo chi era stato ad abbassarmi la zip e mi stavo godendo la situazione; però il mio spirito monello decise di non cedere così subito: avrei reso un filino più complicate le cose e questo, ne ero certa, avrebbe ancora di più eccitato i maschi.
Così come l’abitino si raccolse afflosciato sulle maioliche intorno ai miei piedi, mi liberai dalla mezza dozzina di mani che avevano cominciato ad esplorare la mia pelle, feci un passo di lato, una torsione e, nuda coi sandaletti, mi tuffai in piscina.
Quando riemersi, li vidi come pietrificati a bordo vasca, ma fu un istante: qualcuno si tolse gli abiti, altri solo le scarpe e mi raggiunsero tutti in acqua, anche le due donne che, come me, erano state denudate.
Mi trovai toccata, frugata, penetrata in acqua, da maschi che si tenevano con un avambraccio al bordo piscina, mentre con l’altro provavano a fottermi, dal davanti o da dietro, oppure mi spingevano la testa sott’acqua a succhiargli le verghe turgide.
Oltre alle altre due donne, accerchiate con me, si erano tuffate anche le altre ancora libere.
Giocammo un po’ nella piscina, ma poi decidemmo che l’ambiente acquatico non si prestava quanto l’asciutto per i nostri giochi e così cominciammo da uscire dalla grande vasca.
Dopo poco altro tempo, mi trovavo presa alla pecorina da un mulatto decisamente dotato, che si divertiva ad alternare affondi nella mia fichina con altri nel culetto, mentre la mia bocca era sempre impegnata a leccare, succhiare, essere invasa da cazzi, anche due insieme! Poi mi sentii sodomizzata da un altro maschio e, insieme!!!, da qualcuno che mi lappava la fica deliziosamente. Mi sembrava di sentire un naso premermi sul monte di venere ed allungai la mano per toccare e, in un certo qual modo, gratificare chi mi stava praticando in modo così efficace e piacevole quella leccatona.
Mi stupii al punto che cercai di vedere che i lunghi capelli serici che la mia mano aveva trovato, appartenessero davvero ad una delle altre donne e così dopo un po’, mi trovai con lei in posizione di sessantanove; non avevo mai fatto una cosa del genere, con una donna, ma era tanto il piacere che lei mi stava dando che trovai naturale ricambiare ed anzi, mi trovai a sollecitarla, succhiando, penetrando o leccando, come avrei voluto che lei facesse con me. In quella occasione scoprii moltissimo, sull’intimità delle donne e sulla mia per prima.
Nel corso della serata mi trovai così ad essere penetrata (anche per solo due-affondi-due!) in ogni orifizio, anfratto, buco del mio corpo e mi ritrovai a ripulire i sessi e gli ani delle altre donne dalle abbondanti eiaculazioni che qualcuno gli aveva donato.
Ma tutti vollero rendere omaggio al mio sex-appeal scaricandomi in gola, nel culo, in fica e variamente anche addosso fiumi di sperma.
Ogni tanto, la siepe di corpi che mi bramavano si apriva e riuscivo a vedere mio marito sprofondato in una poltrona, accanto a quella di Xavier, a sorseggiare cognac, fumare un sigaro e godersi lo spettacolo, complice e divertito; mi strizzava l’occhio e mi mandava un bacio, mentre contemplava come la sua mogliettina veniva sbattuta, come l’ultima delle troie, da quel battaglione di maschi prepotenti.
Alla fine della serata, valutai che tutti i maschi presenti mi fossero venuti dentro o addosso, anche alcuni degli accompagnatori delle altre donne, esclusi soltanto il padrone di casa e Giorgio.
Ero esausta, ma d’altra parte mi dispiaceva che la serata fosse già finita, perché avevo una sorta di frenesia erotica e mi sarei fatta scopare (in modo passivo, perché ero stroncata di stanchezza) ancora e ancora.
Tornati al nostro hotel, Giorgio aveva gli occhi brillanti e ripeteva quanto mi amasse e quanto fossi stata fantastica anche quella sera e che vedermi a lappare la fica di un’altra donna proprio non se lo aspettava.
Sarebbe stato divertente andare ad un’altra festa di Xavier, ma purtroppo lì a tre giorni avremmo dovuto prendere l’aereo per tornare a casa (fateci caso: viaggiando, si trovano le situazioni più divertenti solo quando si sta per venir via…) e perciò gli telefonammo per ringraziarlo della squisita ospitalità e poi ci preparammo mentalmente allla fine della nostra permanenza.

Fu dopo un paio di mesi che capimmo quanto sarebbe stato indimenticabile il viaggio di nozze a Cuba: per una di quelle eventualità statisticamente irrilevanti, nonostante prendessi regolarmente la pillola, ero restata incinta.
Le probabilità che fosse successo alla festa di Xavier erano estremamente elevate e se così fosse stato, l’unica certezza riguardo la paternità era che il cucciolo in arrivo NON era figlio di mio marito, che quella notte non mi aveva proprio toccata.
Ovviamente ne parlai con lui e non ci fu quasi discussione sul portare o no avanti la gravidanza: si trovò entusiasta dell’idea che fosse di un altro, uno sconosciuto… e che il bambino magari fosse mulatto, fatto che avrebbe reso noto all’universo mondo quanto lui fosse cuckold e quanto amante dei cazzi neri, io.
Xavier, che ci aveva telefonato da Cuba per gli auguri per il nuovo anno, venne perciò a saperlo e si congratulò molto.

Nacque un bellissima bimba, a cui decidemmo di dare il nome di Jamila, che in arabo significa ‘bella’; il nome esotico era anche indotto dal fatto che Jamila mostrasse, già appena nata, alcune caratteristiche che poi l’avrebbero fatta diventare una stupenda ragazza dalla pelle ambrata e dai tratti somatici vagamente africani.
Visto che le nostre due famiglie non avevano legato granch&egrave, avemmo buon gioco a spiegare -sia agli uni che agli altri- che il nostro coniuge aveva un antenato di origini africane.
Man mano che Jamila cresceva, Giorgio ne era sempre più orgoglioso e, secondo i casi e le persone, oltre a narrare la storia dell’antenato africano, asserivamo di averla adottata oppure, nei contesti dove la mia fica diventava più popolare della mia faccia, la verità: che Jamila era l’amato ricordo di una colossale gang bang multirazziale.
Perché ovviamente la gravidanza e poi la nascita della bimba, avevano solo leggermente complicato le mie/nostre attività, ma senza incidervi in modo drammatico; mio marito accettava di buon grado di rimanere a casa con lei, mentre io raggiungevo i miei maschi dove mi invitavano; oppure, se qualche ‘amico’ voleva venire a casa nostra, era sempre disponibile a portarla fuori ed ad inorgoglirsi per i complimenti che Jamila si attirava.
Se poi qualcuno notava la scarsa rassomiglianza tra lui e la bimba, Giorgio spesso si inorgogliva a raccontare la verità, godendo intimamente dell’espressione di disprezzo che non raramente si dipingeva sul volto di alcuni interlocutori; ma, sopratutto era felice quando partivano allusioni, spesso anche pesanti e addirittura la richiesta brutale: ‘Fammi chiavare quella troia di tua moglie!’ Sono stata con molti uomini, centinaia… ed anche qualche donna; anche se non ci siamo mai cercate, come rapporto una a una, ma solo giocando io ed una qualche lei, insieme con maschi, spesso solo per la maggiore eccitazione dei maschietti; potrei dire che mentre trovo attrazione emotiva, coinvolgimento anche sentimentale per i maschi, con le donne &egrave esclusivamente un giocare, anche se con una dolcezza aliena al rapporto con i maschietti. In altre parole, ho ‘rischiato’ di innamorarmi di uomini, ma mai di donne!
Mi son sempre ritagliata il ruolo della preda, coi maschi, perch&egrave solo la ‘preda’ ha il pieno controllo della cosa: un suo ‘No!’ &egrave un no assoluto, definitivo e quindi &egrave la preda ad avere davvero in mano le chiavi del gioco ed io, in fondo, giocavo solo a fare la preda, ma non mi fidavo a lasciare che il controllo totale fosse preso da un’altra persona.

Giorgio amava molto, però, che io fossi così… popolare: riflettendoci adesso, con calma, penso che la sua fosse una sorta di invidia, nel senso che avrebbe voluto lui avere un corpo femminile per poterlo donare ai maschi come facevo io.
Ho sempre saputo dei suoi trascorsi giovanili, della solitudine sofferta in collegio, del peloso affetto di un prete che lo ha iniziato e poi, uscito dal collegio ormai grande, ha sempre continuato, ogni tanto, a… ‘viaggiare a vela e vapore’, come spiegava ridendo.
Amava le donne e ha amato profondamente me; non solo come… soggetto del suo amore, ma accettandomi proprio integralmente, come persona, coi miei pregi e difetti e particolarità e il fatto che io fossi -e sia anche adesso!- morbosamente attratta dai cazzi, per lui era un plusvalore che ha voluto assicurarsi di condividere per la vita intera.
‘Sai -mi spiegava- sono uscito con ragazze che la davano in giro, ma sempre di nascosto, ‘a mia insaputa’ -e gli scappava una risatina- e vergognandosene molto.
Tu invece la dai con gioia, con passione, con entusiasmo, con l’orgoglio che può avere una bella donna di essere apprezzata per la propria bellezza e troiaggine da qualunque maschio!’

Giorgio si fidava di me, di quanto l’istinto e la pratica mi avesse aiutata a trovare maschi che fossero solo occasione di divertimento e non fonte di guai vari ed assortiti.
Poi a volte ‘inciampavamo’ involontariamente in situazioni e la cosa -casuale, non organizzata, alla ‘come capita’- ci divertiva ed intrigava.
Come quella volta, eravamo ancora fidanzati, che ci venne una tremenda voglia di fare l’amore mentre stavamo viaggiando in autostrada, in pieno giorno; lui vide che poco più avanti era segnalata un’area di sosta, ma quando ci fermammo, ci trovammo in una minuscola piazzola e lui decise, proprio per non essere in piena vista per chi percorresse l’autostrada, di accostarci al terrapieno che sosteneva la rampa della provinciale che scavalcava l’autostrada con un anonimo cavalcavia.
La giornata di inizio estate era già calda ed il sole battente, senza la possibilità di stare all’ombra; perciò abbassammo i finestrini, oltre agli schienali e riducendo al massimo i preliminari, cominciammo a scopare appassionatamente.
Come Giorgio mi scaricò felice la sua sborrata in fica, alzò la testa e lo sentii prima irrigidirsi -vigile!- e poi ridacchiare, rilassandosi subito dopo: ‘Abbiamo avuto pubblico!’
Girai lo sguardo e vidi anch’io: sul cavalcavia si era fermato un pulmino ed sette-otto operai erano scesi e si erano comodamente appoggiati al guardrail da dove si erano goduti lo spettacolo che inconsapevolmente gli avevamo donato.
Mi venne naturale salutarli con la mano ed un sorriso ed anche loro contraccambiarono cordialmente.
La mia porcellaggine mi aveva fatto subito ragionare sul come farli… ancora più contenti, ma purtroppo la solida recinzione autostradale ed il rischio che qualche pattuglia della stradale passasse e ci trovasse in situazioni complicate da spiegare, ci convinse di accontentarci di quel casuale contatto.
Dovettero accontentarsi del fatto che mi mostrai nuda, in piedi accanto all’auto, mentre cercavo di mostrargli al meglio le mie attrattive.

E quella volta che invece, passammo teneramente abbracciati tra i vicoli di una certa zona, ed un colossale travestito, con una potente voce da baritono, ci gridò dietro, in modo blandamente canzonatorio: ‘Ma piccolina e magrina com’&egrave, te la sfondi tutta! Non ti regge!!!’
Ci fermammo di colpo con un sussulto; io tra l’altro ero snella, ma non certo ‘magrina’ ed ero quasi piccata dall’imprecisione!
Giorgio, punto sul vivo, si girò e replicò, in tono anche lui scherzoso: ‘Oh sì, che mi regge! Ormai l’ho aperta ovunque della misura giusta e mi regge, da sopra o da sotto…’
Pensavo che si sarebbe accontentato di quella lasciva replica, ma la sua testa era sempre a studiare cose: ‘… Ne stronca per così, di uccelli… Vuoi vedere di persona??’ Lo sfidò.
Al travestito gli si illuminarono gli occhi per l’imprevista variazione alla solita routine e malignamente rilanciò: ‘Ma allora aspetta che chiamo due amiche… Va bene?’
Giorgio annuì, intrigato dagli inattesi sviluppi e dopo pochi minuti ci trovammo in cinque in un ‘magazzino’, una specie di camera da letto a livello del vicolo, adatta al commercio di ‘quelle signore’, dove sul lettone venivo spogliata da mio marito e poi mostrata e decantata ai tre travestiti, come se fossi una schiava sessuale in vendita.
Sapevo che il mio amatissimo ed innamorato Giorgio stava giocando, ma mi faceva comunque uno strano effetto raggelante, il sentirlo vantare l’elasticità della mia fichetta e del mio culetto, dilatandomeli con le dita.
Poi volle mostrargli come io spompinavo e me lo diede da leccare e succhiare e poi offrì ‘un assaggino’ anche ai tre travestiti, mentre lui aveva cominciato a denudarsi, ormai deciso a fare l’amore davanti ai tre.
Mentre due -con una discreta dotazione, ma nulla di clamoroso- accettavano e me li mettevano a turno in bocca, il terzo e più femminile travestito, Sally, si schernì con un sorriso: ‘No, apprezzo l’offerta di questa bella ragazza, ma mi spiace: io vado solo con gli uomini’
Detto ciò, anche lui si abbassò le mutandine e… Ohhhhh! Un cazzo magnifico, davvero grosso, ma grosso-grosso! Lo valutai non meno di 27-28 centimetri e del diametro di una lattina, con una cappella che, quando fu finalmente perfettamente duro, era grande quasi come il mio pugno! Uno spettacolo della natura!
Anche mio marito strabuzzò gli occhi ed anche a lui venne l’acquolina in bocca, davanti a quella meraviglia.
Sally non era un semplice travestito, ma un vero trans -all’epoca erano piuttosto rari!- con un paio di tette magnifiche e un aspetto che, a parte il quasi metroenovanta di altezza, era decisamente femminile
Quando, dopo oltre un’ora, lasciammo il magazzino, eravamo stanchi ma contenti: avevamo fatto l’amore tra noi, ma anche i due travestiti avevano ‘giocato’ sia con me che con mio marito, mentre lui era anche riuscito, con una certa cautela all’inizio, a farselo mettere nel culo ed &egrave stata una strana ma piacevole cosa, il sentire gli affondi di Sally attraverso il cazzo di Giorgio piantato nella mia fichetta (e poi anche nel mio culetto), mentre succhiavamo e leccavamo gli altri due uccelli disponibili.
Quella volta invidiai davvero il mio incredibile maritino, che aveva potuto giocare con così tanto scettro, mentre a me -che avrei voluto farci di tutto!- mi aveva solo graziosamente concesso di toccarlo per pochi secondi.
Sally salutandoci ci disse che, se solo avessimo voluto, avremmo potuto lavorare con lei, perché conosceva facoltosi viziosi i quali avrebbero assolutamente apprezzato il poter giocare con una coppietta giovane e maialina come noi ed avrebbero pagati cifre importanti per farlo.
Con mio marito, a casa, riflettemmo che l’idea era stuzzicante, ma avevamo deciso di fare questi giochi unicamente per il piacere, per il divertimento e non, come dicono i tedeschi, ‘Fur Geld’.
Ammetto, comunque, che l’indecente proposta di quella splendida trans era diventata una stuzzicante fantasia, che utilizzammo per eccitarci quelle volte che facendo l’amore, avevamo bisogno di un pensiero molto peccaminoso per avere una sferzata di… energia erotica. Quanto ci divertiva, poi, l’arrizzare i camionisti in autostrada!
Era un gioco che facevamo per spezzare la monotonia dei lunghi viaggi in autostrada: quando decidevamo di farlo, abbassavo parecchio lo schienale del sedile e poi -o alzando la gonna, o abbassando i pantaloni e trovando, a volte, anche il modo per mostrare le tette- mi mettevo a fica nuda e cominciavo a giocherellarci.
A volte, poi, usavo anche un dildo, di quelli belli grossi che colpiscono subito la fantasia dei maschietti.
Giorgio guidava placidamente e quando scorgeva davanti a noi una fila di TIR, mi diceva invariabilmente: ‘Ok, ci siamo! Sii troia, amore mio! Falli impazzire!’
Cominciava a sorpassare l’ultimo TIR a bassa velocità (relativa!), rallentando quando il nostro abitacolo era all’altezza del cabina del camion, fino a viaggiare per qualche decina di secondi affiancati.
Spesso lui, in un eccesso di zelo, dava un colpettino di clacson, giusto per essere sicuro che l’autista ci prestasse attenzione, mentre io cominciavo a toccarmi, a spingermi dentro le ditine o il giocattolo o entrambe le cose; oppure mi prendevo le labbrine con le dita e me le allargavo, per mostrare bene quanto la mia fichina potesse allargarsi e fosse capiente…
Spesso ignoravo assolutamente il camionista e la situazione tutta e mi comportavo come se fossi in camera mia da sola: mi fidavo di mio marito che, dopo avermi dato modo di intrigare il primo autista, accelerava leggermente e procedeva fino ad accostarsi alla cabina dell’autocarro successivo per un altro affiancamento da trenta-quaranta secondi e poi proseguire, via via, per tutta la fila.
Ovviamente, il primo della fila avvertiva dello… spettacolo in arrivo tutti i colleghi che lo precedevano, dicendoglielo col baracchino -la radio CB, insomma!- e mentre ci lasciavamo un conducente infoiato alle spalle, questo esprimeva il proprio gradimento con vorticoso lampeggio di fari e possenti muggiti di trombe, secondo le personalizzazioni di ogni autocarro.
Ovviamente, ai commenti del primo della fila si sommavano via via quelli ai quali ci eravamo affiancati brevemente e gli ormoni nell’aria (e sopratutto ‘on-air’, coi baracchini della banda dei 27Mhz!) erano così tanti da essere quasi visibili!
Lasciavamo bollire gli animi per un po’, precedendo il primo TIR della fila alla stessa velocità per un paio di chilometri; poi tra noi bastava uno sguardo, per decidere se sganciarci con una accelerata, oppure se ‘trainare’ il codazzo dei nostri ammiratori fino alla più vicina area di sosta.
Ricordo ancora una delle prime volte, quando ci eravamo ‘innocentemente’ fermati in un’area di parcheggio ed avevamo accettato che tre camionisti attaccassero bottone con noi.
In poco tempo, un altro paio di conducenti si era unito ed in breve Giorgio si trovò tagliato fuori dalla conversazione: ormai il fulcro di tutto ero io e lui accettava di buon grado il venire emarginato, poiché quello era il primo passo perch&egrave gli squali mi accerchiassero, studiandomi da vicino per capire quali difese avessi e per poter poi sferrare il colpo vincente.
Io, facendo l’ochetta ingenua, arrivavo ad esprimere interesse e meraviglia per il loro faticoso lavoro e buttavo lì un: ‘… Certo che voi, da lassù, chissà che visuale avrete…’
Subito, l’immancabile domanda: ‘Ma non sei mai stata in una cabina di ‘barrapesante’? Vuoi salirci?’
E io che mi dimostravo felice come una bimbetta, di potermi arrampicare fin lassù!
Il più sfacciato, allora, mi proponeva di salire in cabina e quando mi mostravo impacciata dai tacchi nell’arrampicarmi sugli alti scalini della motrice per raggiungere il posto di guida, immancabilmente una mano soccorrevole mi si appoggiava sulle natiche… -da SOTTO la minigonna!- e spesso percepivo lo stupore, quando la mano non trovava traccia di biancheria intima.
Poi mi seguiva in cabina e invariabilmente un altro saliva dall’altro lato ed io mi trovavo seduta in mezzo.
Qualche volta i tipi erano abbastanza intraprendenti da far partire subito le mani per esplorare il mio corpo; altre, invece, dovevo mostrarmi interessata alla brandina subito lì dietro e spesso, inginocchiandomi sul sedile per curiosare dietro, era la mossa che faceva finalmente accadere ‘tutto’.
Quando invece ci… ‘trainavamo’ un convoglio in un parcheggio, Giorgio parcheggiava in un angolo appartato, mentre io mi spogliavo completamente e ricominciavo a giocherellare con la fichina, col finestrino aperto e man mano i camionisti si avvicinavano, guardavano ed osavano mettere una mano dentro per accarezzarmi e poi per propormi i loro cazzi da menare e succhiare e spesso mi facevano scendere, nuda accanto alla nostra auto, per poter fruire al meglio del mio corpo ed anche mio marito scendeva per godersi la scena.
A volte -sopratutto le volte che facevo l’ingenua esploratrice di cabine di TIR- qualcuno teneva il gioco, in attesa di darsi il cambio coi colleghi, intrattenendo Giorgio con futili conversazioni; quando invece gli altri camionisti non avevano la malizia di intrattenerlo, era lui a dire che: ‘… Già che siamo fermi, mi sgranchisco le gambe facendo due passi…’
Magari poi, andando nei gabinetti, riusciva anche lui a… fare amicizia e così si trovava anche lui a succhiar cazzi o farsi impalare, come la sua deliziosa mogliettina nella cabina di un TIR.
Poi, sempre parlando di viaggi in auto, le volte che magari ci fermavamo in qualche autogrill e venivo puntata da qualcuno; se erano soli, erano spesso uomini tra i 35 ed i 50, che cercavano di convincersi di essere (ancora?) grandi tombeur-des-femmes e io ci stavo, non per quanto mi intrigassero loro, ma solo perché adoro quel tipo di situazioni e le loro manie, le loro goffaggini, a volte persino anche la paura che io fossi stata mandata dalla moglie per farli beccare in flagrante…
Oppure, i ‘cuccioli smaniosi’, in branco: una muta chiassosa di ragazzotti tra i venti ed i venticinque, che cercavano di sovrastare gli altri esagerando… Esageravano nella sfacciataggine, nell’approccio, nei gesti, nel tono della voce, nella pesantezza del linguaggio, il tutto per convincere gli altri -ma sopratutto se stessi!- di poter aspirare al ruolo di maschio-alfa.
Sempre a vantarsi degli irraggiungibili piaceri a cui mi avrebbero portato, da esperti maschi quali affermano di essere, salvo poi andare in panico per una zip che si inchioda, o toccarmi in modo goffo, inesperto, da cuccioli che sperimentano per fare esperienza…
In questi casi, Giorgio tendeva a diventare invisibile ed a vigilare che tutto andasse tranquillo, perché spesso il giovane branco tendeva ad esagerare sempre, umiliandolo pesantemente; non che mio marito rifiutasse queste cose, ma poi c’era sempre il rischio latente che la cosa diventasse anche fonte di guai, o che -distratti dall’azione- ci si trovasse in situazioni antipatiche, per esempio con una solerte pattuglia della Stradale…
Giorgio mi aveva detto una volte, che noi due operavamo proprio come una coppia di cacciabombardieri: io a compiere la missione e lui a coprirmi le spalle, ad evitare che intrusi mi distogliessero dal bersaglio. Era un’immagine strana, perciò mi &egrave restata impressa!
Comunque, in ambito autostradale ho conosciuto centinaia di cazzi: nelle cabine dei TIR, a volte anche nelle furgonature degli autocarri, con una coperta buttata sul freddo pavimento e via, uno dopo l’altro!, o nei cessi degli autogrill o -più spesso- in quelli maggiormente laidi delle stazioni di servizio; e poi buttata su sedili di pelle sintetica, stoffa o pelle vera o su aiuole spelacchiate o tra i miseri alberi dietro la siepe in fondo al piazzale…
Sì: viaggiare apre la mente, ma a me anche la fichina ed il culetto! Con Giorgio avevamo deciso, fin dall’inizio, che avremmo tenute separate queste nostre deliziose trasgressioni dalla nostra vita, diremo così, ufficiale.
Per cui, niente colleghi -di entrambi- o vicini e andare a giocare solo in parti lontane della città o, meglio ancora, fuori città.
Anche per andare nei cineporno, non utilizzavamo mai quelli dalle nostre parti.
A volte Giorgio si divertiva a farmi entrare in sala da sola, non accompagnandomi al posto ma restando a sbirciare, seminascosto dalle tende dell’ingresso, per poter osservare gli sviluppi, il come i singoli reagivano alla mia presenza, come cominciavano a cambiare posto per sedersi vicini a me e poi verificavano -con mille paure- la mia disponibilità.
Di solito, gli indugi erano stroncati dall’immancabile maschio-alfa, che prendeva arrogantemente possesso del mio corpo e.. si serviva per primo, lasciandomi poi impiastricciata -ma ancora eccitata- a disposizione degli altri.
Oppure mio marito si sedeva accanto a me e mi baciava, mi manipolava scoprendomi le gambe, le spalle, i seni, il pube per attizzarli ed immancabilmente venivamo circondati da maschi eccitati che, dalla fila dietro, facevano sporgere i loro cazzi duri ai lati della mia testa e infilavano le mani sotto la mia maglia, a cercare i capezzoli da pizzicare.
Se poi ero impalata su di lui seduto nella poltroncina, era ancora più immediata la proposta di uccelli da succhiare e spesso, in questi -&egrave il caso di dirlo!- primi abboccamenti i maschi mi spostavano la testa perch&egrave potessi spompinarli al meglio; non raramente anche Giorgio si &egrave trovato con cappelle in bocca.
Poi, impalata su di lui, se qualcuno si metteva alle mie spalle, nel corridoio (ovviamente cercavamo sempre le poltrone con comodo spazio davanti, tipo quelle che sporgono alla fine di file disuguali o che hanno il corridoio trasversale davanti) cominciando ad accarezzarmi le reni e le chiappine, il mio delizioso complice me le allargava per far capire che avrei accettato volentieri un’altra verga piantata nel culetto.
Dopo il primo, non era raro che anche altri mi farcissero il culetto (o la fichina, se Giorgio la lasciava libera) con bei pezzi di carne calda.
Ma sto divagando…
Dicevo che sul lavoro il mio comportamento era irreprensibile e godevo dell’apprezzamento e della garbata simpatia del signor Rossetti, l’anziano titolare della ditta, che si occupava di pulizie industriali, movimentazione materiali e facchinaggio.
Sono l’impiegata, quella che sta in ufficio (anziché ‘sul campo’) a tenere la contabilità, preparare paghe e contributi, barcamenarmi con leggi, regolamenti, contratti ed appalti, rispondere al telefono eccetera.
Venne però il giorno il cui il suo medico gli consigliò di vendere la ditta e ritirarsi a fare il pensionato ed alla fine lui trovò un compratore, un moldavo che si era stabilito in Italia.
Rossetti ricavò meno di quanto avesse sperato, ma un infarto gli aveva fatto capire che non aveva il tempo di aspettare che la situazione generale migliorasse e quindi accettò la proposta dello straniero.
Offrì a noi dipendenti una bella cena per salutarci ad uno ad uno e poi se ne andò col suo passo lieve e tutta la sua signorilità.
Goran invece era un’altra pasta d’uomo: più giovane di me di un paio d’anni, irsuto, con l’aria arruffata, portò le tre signore ultracinquantenni, che si occupavano di pulire gli uffici, a licenziarsi ed anche qualche uomo si trovò nella lista degli indesiderati, da non avere più in ditta.
Con me imbastì un discorso il cui succo era che mi teneva, per adesso, perch&egrave ero l’unica che ci capiva qualcosa con le norme e leggi italiane, ma o mi dimostravo MOLTO (lo sottolineò, con un sorriso da predatore!) interessata a conservarmi il lavoro, oppure mi avrebbe cacciato fuori.
Avevo visto il lampo di libidine nel suo sguardo (mi ero vestita in modo… dignitoso, anche se leggermente più audace di come mi sarei vestita con Rossetti!) ed avevo già considerato che aveva un bel ‘pacco’ che per giunta, mentre mi diceva queste cose con fare sprezzante, si sistemava vistosamente.
Valutai che Giorgio non si sarebbe irritato, se avessi allargato il mio ‘parco giochi’ fino al lavoro, visto che in pratica Goran mi stava ricattando e quindi sfidai il moldavo, che era in piedi accanto alla mia scrivania e quindi mi sovrastava, seduta com’ero sulla poltroncina alla mia scrivania e con tono tra il petulante e l’aggressivo chiesi: ‘Ma cosa intende dire, mi scusi??? Come potrei dimostrare di tenere MOLTO -anch’io calcai i toni- a questo lavoro???’
Se un lupo o uno squalo fossero in grado di sorridere, lo farebbero come ha fatto lui mentre con due passi mi veniva accanto, con una manona mi afferrava per la testa e con l’altra si abbassava la lampo, tirava fuori un bel cazzo abbastanza grosso e me lo spingeva contro le labbra.
Mi sembrò sciocco resistere troppo e aprii quasi subito la bocca, che lui invase con la sua turgida appendice.
‘Vedi signora-putana, che hai già capito cosa tu deve fare per essere amica di Goran?’
Mi afferrò solidamente per i capelli ed in pratica mi scopò in bocca: ‘Adesso Goran sbora e tu puoi scegliere se essere amica di Goran e ingoiare tutto o se farlo arabbiare e sputare e fare facce che schifo’
Mi sembrava uno spreco, dover usare quel bell’arnese solo per un ingoio ma riflettei che se le cose fossero proseguite, poi, col tempo…
Quando sentii la nerchia vibrarmi in bocca, ormai prossima alla sborrata, decisi di dimostrare la mia estrema dedizione abbracciandolo all’altezza delle reni, in modo da impedirgli -se mai lo avesse voluto!- di sfilarmi il cazzo dalla bocca.
Guardai in su come una brava sottomessa, per spiare il suo gradimento e fece un altro dei suoi sorrisi da predatore.
Poi si liberò della mia stretta, mi afferrò per il mento e premette sulle guance con pollice ed indice per farmi aprire la bocca; la spalancai volenterosa, mostrandogli che avevo ingoiato fino all’ultima goccia.
Ghignò, gratificato, poi mi afferrò per i capelli e mi fece alzare in piedi.
Con l’altra mano, mi diede un forte sculaccione e poi cominciò a trafficare con la mia gonna per alzarla; sentì il secco fruscio del tessuto che si lacerava, ma poi la sua mano trovò il mio perizoma e cominciò a tirarlo, tirarlo, tirarlo finché non si strappò.
Poi mise la mano dentro la camicetta, stavolta brandendo il cutter che avevo sulla scrivania e strappando anche due bottoni, in tre tagli mi distrusse il reggiseno; levò i brandelli, poi mi abbrancò una tetta, strizzandomi il capezzolo con l’attaccatura tra medio e anulare.
‘Da oggi nuova regola: signora-putana viene in ufficio sempre in gonna corta e senza intimo! Se tu porta intimo, io ti licenzio! E da domani, più trucco e più tacchi… e tu sarai gentile con tuuutti miei amici e nuovi clienti! Capito?’
Annuii, facendo un musetto spaventato, ma in realtà l’unico dispiacere era per la gonna e la camicetta da riparare o gettare.
Mi afferrò di nuovo per i capelli, mi piegò di colpo sulla scrivania e, senza esitare un secondo, me lo affondò in fica: fortuna che ero lubrificata dall’eccitazione, se no sarebbe stato davvero sgradevole; lo aveva di nuovo bello duro e mi chiavava con ritmica energia, ma dopo un po’ sentii la sua mano andare ad ispezionare il mio buchino.
‘Signora-putana, stai rilassando culo o &egrave proprio largo?’ chiese, irridente.
‘E’ proprio largo, Goran…’
Mi arrivò uno schiaffo secco, sulla guancia: ‘Io sono padrone e do a te del tu; tu sei dipendente e da a me del lei e mi chiama signor Goran!
Se hai capito -avevo annuito- dimmi: culo largo perch&egrave presi tanti cazzi?’
Lo ammisi.
‘Di a signor Goran verità: tu piace prendere tanti cazzi grossi?’
Pensai alle conseguenze che avrebbe avuto la mia risposta, a cosa avrebbe potuto decidere di fare se avessi negato o se, invece, lo avessi ammesso; pensai a mio marito, alla nostra casa, alla nostra vita, a nostra figlia e poi ai compaesani di Goran -e tutta l’altra gente dell’est ed agli africani- che gli giravano intorno: tipacci con occhi luccicanti di lussuria e pacchi gonfi, che avevano ‘convinto’ Margherita a farsi scopare da quattro di loro -insieme!- nello spogliatoio, appena prima che ragazza portasse i suoi ventitr&egrave anni altrove, licenziandosi.
Se avessi detto sì, la vita di tutti noi sarebbe cambiata, forse irrimediabilmente…
Sentivo il grosso, duro cazzo di Goran alternarsi ormai liberamente tra fica e culetto ed immaginai che se avessi detto ‘sì!’ lo avrei sentito tutti i giorni… e magari anche quello dei suoi amici… sarei diventata la loro puttana, il loro sborratoio…
Sentivo il piacere montare inarrestabile dentro di me, ma volli rispondere prima di raggiungere l’orgasmo: ‘Sì, signor Goran: mi piace prendere tanti cazzi, ma solo belli grossi!’ Arrivai a casa, quella sera e raccontai gli sviluppi a Giorgio, con la vaga paura che potesse irritarsi per il mio puttanesco coming-out col mio datore di lavoro.
Invece mi ascoltò, mi fece qualche cortese domanda ed alla fine mi abbracciò teneramente, affermando divertito che non avevo alternative, se volevo conservare il posto di lavoro. Quella sera facemmo l’amore con un entusiasmo che non provavamo più da tempo e, una volta di più, riflettei su quanto fossi fortunata ad avere un marito -pur ben dotato!- che mi permetteva ed incoraggiava a cercarmi altri cazzi, ancora più… impegnativi del suo.

Dal giorno dopo, Goran cominciò ad… impadronirsi del mio corpo, magari anche dandomi solo due affondi al volo, appena alzandomi la gonna o facendomi abbassare per farsi succhiare; oppure i suoi amici… prima un amico con lui, poi due o tre amici insieme.
Una volta dovetti essere ‘molto gentile’ con un tizio che aveva solo mezza intenzione di concederci l’appalto.
Da quella volta poi, venni considerata una ‘risorsa’ della ditta.
La sera, quando tornavo a casa -e sottolineo ‘quando’: ormai non avevo più un regolare orario per lasciare il lavoro!- Giorgio voleva conoscere ogni dettaglio della mia giornata, prima di amoreggiare con me; se ero particolarmente esausta o -magari- avevo qualche escoriazione, ci coccolavamo e baciavamo e null’altro: era un ‘fare all’amore’ gratificante anche quello.
Dopo un paio di mesi non si stupì poi troppo, la sera che, appena rientrata, gli dissi che Goran aveva invitato entrambi a cena presso un locale di suoi amici.
Mandammo Jamila a farsi ospitare da una compagna di scuola per la notte e ci recammo alla cena.
Il locale era una piccola pizzeria, che quella sera era aperta solo per noi.
Durante la serata Goran fece in modo che, dopo un pò, mio marito ci facesse da cameriere e che venisse irriso da tutti ed oltraggiato da lui, richiamando la sua attenzione quando lui o un altro dei suoi amici mi frugava o baciava o me lo metteva da qualche parte.
Alla fine Goran mi fece stendere nuda sulla tavola e poi disse a Giorgio di guardare da vicino come mi avrebbero montato tutti… ed anzi, di tirar fuori il cazzettino e farsi una sega.
Notai -con una piccola punta di divertita malignità- che restò perplesso, quando vide che mio marito aveva venti dignitosi centimetri di bel cazzo (probabilmente si era fatto l’idea che Giorgio avesse un cazzettino ridicolo!), ma comunque sia lui che i suoi amici erano -chi più, chi meno- meglio dotati del mio sposo e quindi poterono placidamente affermare che la sua dotazione era comunque inferiore alla loro.
Alla fine, accordandosi nella loro lingua, mi erano venuti tutti nella fichina, che perciò colava sborra ed il mio principale obbligò Giorgio (senza eccessivi sforzi, in verità) a pulirmela bene, leccando e suggendo ogni secrezione.
In seguito a quella serata, a volte Goran veniva a casa nostra, sia da solo che con qualche amico, per montarmi e per umiliare mio marito (che in realtà si godeva molto la situazione) e, col tempo, anche a coinvolgerlo sempre più, prima usandolo come ‘nettafica e culo con tua lingua’ e poi facendosi leccare e spompinare per farli diventare belli dritti, dopo divertendosi a levarmeli al volo per piantarglieli in gola e sborrargli in bocca, fino alla volta che -Giorgio ormai pensava che non sarebbe mai arrivato il momento!- lo misero ‘in batteria’ accanto a me, anche lui nudo, alla pecorina sul letto, pronto ad essere penetrato in contemporanea a me.

Era passato un bel po’ di tempo e ormai eravamo sessualmente succubi di Goran e dei suoi amici; Giorgio era intimamente felice perché lo avevano ‘costretto’ a travestirsi e truccarsi e diventare ‘l’altra troia di casa’, quella che alle volte Grigor, il cugino di Goran, ridendo sguaiatamente, chiamava ‘La mia fidanzata Oliusha’.
Cominciai ad avere la sensazione che Goran stesse per architettarne qualcuna delle sue, tipo quella volta che aveva portato me e Giorgio en-travesti a far marchette su un viale di una cittadina non troppo distante -marchette avvilenti da cinque, dieci euro a botta!- oppure quando mi portava nei parcheggi di camion a sollazzare una quindicina di camionisti per sera, ma non mi aspettavo certo la sorpresa di quella volta che, a casa sua, vollero bendarci.
Ci cominciarono ad usare come sempre, anche se bendati (o bendatE, visto il ruolo femminile di Giorgio? Boh…), ma dopo un po’ avvertii dei tocchi delicati, meno bruschi del solito e una lingua che mi percorreva la pelle e che giocava coi miei capezzoli, la mia fichina e poi dall’orecchio al collo alla spalla, senza l’effetto grattugia di una barba rasata da troppe ore e poi ancora alla mascella fino a baciarmi sulla bocca e far guizzare la sua lingua tra le mie labbra e duellare con la mia, mentre le mie mani avevano capito che era un fresco, giovane corpo femminile che mi esplorava (poi seppi che lo stesso trattamento lo aveva avuto anche Giorgio, probabilmente nei momenti in cui mi lasciava in pasto dei maschi).
Alla fine sentii che le dicevano di mettersi lì, così e poi glie lo misero (davanti? Dietro?) di colpo, strappandole un lamento e quel lamento, quel tono di voce, no… non potevo crederci!
Mi strappai la benda e vidi nostra figlia Jamila montata da Dragar, che aveva forse la dotazione più grossa, tra tutti.
Jamila ci aveva visto usati da Goran e compagnia, ci aveva toccato, leccato, baciato…
Quella serata finì che anche noi dovemmo darle piacere, ma nel modo che aveva architettato Goran: Jamila doveva stare sopra, in posizione di sessantanove con me, mentre suo padre la sodomizzava e Grigor montava Giorgio, dandogli il ritmo e l’intensità degli affondi per il suo giovane culetto.
Quando alla fine fummo a casa, Jamila ci raccontò che i moldavi l’avevano notata ed avevano perversamente pensato di coinvolgerla, per cui l’avevano fatta sedurre da Stefan (il più giovane e carino della combriccola) e quando avevano cominciato a frequentarsi, lui l’aveva introdotta all’amore di gruppo: prima con un’altra coppia giovane e poi via via con sempre più persone.
‘Ma ti hanno sverginato, allora?’ Aveva chiesto Giorgio, in tono combattivo.
‘Papà… -sorrise e rispose con tono indulgente- era da un bel pò che non ero più vergine… Mi mancava il giocare con un’altra donna, ma me lo hanno fatto provare ed ho scoperto che &egrave piacevole anche quello… anche se comunque mai come un bel cazzo che ti scava dentro, non trovate?’
Il sorriso era innocente, come lo era il tono; era come se avesse detto: ‘non pensate che mi stiano meglio queste decolté, invece che le snicker?’.
Non eravamo proprio nella condizione di potergli dire che non eravamo d’accordo… anzi: cominciammo a ridere, abbracciandoci. E così la mia bambina cominciò anche lei a farsi usare da Goran e dai suoi amici e devo dire che, al di là del primo brusco impatto, la cosa semplificava notevolmente le cose.
Non avevamo più problemi di nasconderci, una volta in casa; diversa era la faccenda fuori dalle quattro mura, perch&egrave Giorgio aveva un ottimo lavoro in un’antica società, ma gestita con pugno fermissimo da un ultraottantenne che era sopratutto fissato con la estrema moralità dei dipendenti: chi fa, o dà scandalo, o resta ne comunque, a qualunque titolo, coinvolto… Fuori!
Goran, al di là della sua brutalità ed arroganza, capiva la faccenda ed aveva correttamente valutato che non avesse nulla da guadagnare, mettendo a rischio il lavoro del marito e padre delle sue troie personali e perciò era arrivato a minacciare i suoi sodali per tenerci al riparo da ogni casino di risonanza pubblica.

Col tempo, pur essendo noi tre a disposizione di tutto il giro di Goran, erano inaspettatamente fiorite tre coppie: io ero -sopratutto!- la donna di Goran ed a volte mi ha sottratta alla pubblica fruizione e mi ha portata a trascorrere qualche finesettimana fuori città; io e lui da soli -escludendo gli occasionali a cui lui amava pursempre cedermi- senza nessuno degli altri, includendo anche Giorgio e Jamila.
Stefan invece faceva coppia con Jamila ed anche loro a volte si appartavano, anche se con il preventivo accordo di Goran.
Giorgio, infine, era diventato (o diventatA? Non fateci caso, se a volte parlo di lui al femminile…) la ‘fidanzata’ di Grigor, che lui chiamava Oliusha, il diminutivo di Olga.
Pretese che, ogni volta che lui arrivava a casa nostra, mio marito si facesse trovare correttamente vestita, truccata, indossando una delle parrucche e alcuni dei monili che lui gli aveva regalato.
Mio marito era glabro già di suo, ma Grigor pretese che fosse sempre perfettamente depilato, liscio e, col passare dei mesi, lo portò da un medico di sua fiducia, che dopo le doverose analisi, gli prescrisse una terapia ormonale per ‘tirare davvero fuori la donna-troia che &egrave in te!’, come diceva Grigor con grasse risate.
Io e lui continuavamo a volerci bene, anche se ormai non mi aveva più occasione di penetrarmi e ci coccolavamo, ci toccavamo, baciavamo, leccavamo… come una coppia di amiche molto, molto intime!
Col tempo e col procedere della terapia ormonale, a Giorgio cominciò a spuntare un pochino di seno e, per contro, le sue caratteristiche maschili cominciarono ad affievolirsi.
Dopo qualche mese, mio marito decise che a casa sarebbe stato Oliusha per cui, arrivato a casa, si metteva comoda, con un filo di trucco, la parrucca ed abitini da casa, pronta, nel caso che Grigor le telefonasse per passarla a prendere e portarla in qualche balera in località del circondario, frequentata da altri europei orientali.

Un giorno Goran mi disse che avremmo fatto un viaggio ‘vero’, che saremmo stati via almeno una settimana, in una paesino ad un centinaio di chilometri da Chisinau, in Moldavia, di dov’era originario.

Però, mentre volavamo verso la capitale di quel paese, improvvisamente Goran posò la rivista che stava occhieggiando e mi parlò: ‘Sai troia, Goran ha pensato e… vuole che tu abbia una bambina…’
La guardai, sgranando gli occhi, incredula di ciò che avevo pur appena ascoltato.
Ripeté pari pari la frase e poi disse, come una sentenza inappellabile: ‘Da oggi tu basta pillola!’
Prese la mia borsa, ci frugò brevemente dentro e -trionfante- estrasse la scatoletta di cartone che conteneva il blister dell’anticoncezionale: con uno sguardo trionfante la accartocciò con le dita forti e si mise la pallottola in tasca.
Arrivati là, dopo un viaggio non comodissimo in auto, mi portò a trovare i suoi parenti ed amici, ma ebbi la netta sensazione di essere esibita come un trofeo e capii che ero stata valutata e soppesata, da praticamente tutti quelli che avevamo incontrati (con anche dolorosi pizzicotti o potenti manate sul sedere da maschi resi particolarmente ridanciani dalla presenza di Goran e me) ma fu tutto sommato un viaggio interessante, in un luogo che non avevo mai visto.
L’unico pensiero, era l’aver interrotto la contraccezione; più volte tornai sull’argomento, facendogli notare che cominciavo ad essere troppo vecchia, che se continuava a mettermi a disposizione ‘di tutti’, non avremmo mai saputo chi sarebbe stato il padre, eccetera.
Ma lui mi disse che non gli fregava nulla delle mie proteste e che mi voleva incinta!
Visto che aveva deciso così, non valeva la pena che provassi ad oppormi: tanto, avendo già compiuto i quarant’anni, le probabilità che restassi incinta cominciavano ad affievolirsi…

Dopo un paio di settimane, anche Jamila mi disse che Stefan la voleva gravida e che le aveva vietato di prendere anticoncezionali; lei non era poi molto contraria alla maternità, ma avrebbe voluto un figlio da Stefan, sicuramente suo, mentre invece lui continuava a farla montare anche da altri maschi.
La consolai un pochino, raccontandole che anche io dovevo sottostare allo stesso desiderio da parte di Goran: ci abbracciammo, con gli occhi lucidi!

Oziosamente, mi trovai a riflettere come sarebbe stato, se le cose fossero andate in una certa maniera ed io mi fossi trovata ad essere mamma e nonna nell’arco di poche settimane…
La cosa mi dava un po’ di logica preoccupazione, ma poi cercai di rilassarmi, pensando che tanto era improbabile che io ci rimanessi e che, invece, il probabile arrivo di un nipotino mi… elettrizzava! Andare per mare può non essere piacevole, se lo si fa nella stagione invernale e col mare grosso, su un traghetto carico praticamente solo di autotreni.
Era stata un perversa idea di Goran, quella di ‘Fare viaggio in mare, fino Morocco!’
Aveva scoperto che esiste un traghetto che collega Genova a Barcelona ed a Tangeri, in Marocco e gli era venuta un’idea, porca delle sue: lui ci avrebbe proposte ai camionisti, annoiati durante la navigazione…
Aveva preso quattro cabine: una per sé, per Stevan e per Grigor, una per me, una per Jamila e una per Giorgio, che però si era rifiutata di viaggiare in ‘versione’ Oliusha.
In pratica, i tre si comportarono a bordo come se fossero i nostri magnaccia e ci trovarono camionisti annoiati dalla navigazione che… cercassero un po’ di svago in cambio di un regalino…
Il primo col quale andai in cabina era un omone, con una grossa pancia, l’alito… che si notava e una probabile antipatia per le docce.
Ma dovevo ‘farlo contento’, come mi aveva sottolineato più volte Goran e così, dopo avergli rianimato col bocca-a-bocca il cazzetto, lo avevo ospitato nella mia fica, adatta a cazzi ben più degni del suo; ma lui non si era sentito sperso (com’&egrave quella battuta crudele? ‘come gettare un salame nel corridoio’?), ma anzi, tutto contento in dueminutidue aveva ringraziato sorridendo e se n’era andato.
Dopo di lui, un omino che sarà pesato 45 chili con la barba da fare, olivastro, nero di occhi e capelli, ma con un cazzo piacevolmente… sproporzionato!
Lui, dopo la bocca, volle fare il tour completo: prima davanti e poi (un bel po’, poi!) fine gloriosa dietro.
Però era stato piacevole!
Dopo lui due olandesi, biondi e burrosi che sembravano fratelli (e forse lo erano) che mi fecero insieme.
Poi un milanese, sbruffone, volgare, che adorava insultarmi e che in dieci minuti &egrave sparito.
Poi un gruppo di quattro della stessa ditta, dalla Germania ed anche loro hanno voluto fare una cosa… collegiale.
E dopo i tedeschi, marocchini, spagnoli, un senegalese educatissimo e garbato, un francese sprezzante, un croato con il figlio, che aveva appena preso anche lui la patente per gli autotreni e poi altri e altri e altri.

Quando siamo sbarcati ero stanca, ma anche Jamila e mio marito avevano l’aria spossata.
Giorgio, probabilmente per la stanchezza, si era struccato con poca cura e, sapendo cosa guardare, si capiva che si era reso appena presentabile di gran fretta.
Sorrido ancora, a ricordarlo, tutto affannato…
Ci regalammo una settimana a girare con un grosso fuoristrada, da Tangeri giù per i 350 chilometri fino a Casablanca.
Il fuoristrada era guidato da un amico marocchino di Goran che, per il suo disturbo, aveva preteso di poter approfittare liberamente di me e Jamila.
Con Goran restarono a discutere a lungo, ma alla fine raggiunsero un accordo per cui lui poteva avere solo o me o mia figlia, ma mai noi due insieme e, se gli fosse girato, anche mio marito, ma condannata ad essere Oliusha per tutta la permanenza in quel paese.
Beh, per stringere molto, visitammo posti davvero affascinanti, ma tutte le sere o Jami o io eravamo a disposizione di suoi conoscenti, mentre Oliusha veniva concessa ad appassionati del genere: ho capito come mai Goran mi aveva prospettato il viaggio come un qualcosa a costo praticamente zero!
Dopo la prima notte, ho perso il conto dei cazzi che ho dovuto soddisfare e so che anche jamila e Oliusha avevano smesso di contarli.
Comunque, dopo un ampio giro a Casablanca e -sopratutto!- una telefonata dall’Italia, spinsero Goran a rientrare (e tutti noi con lui!), in aereo.
Perciò interrompemmo la nostra vacanza marocchina e tornammo a casa, dopo aver visto luoghi affascinanti e (noi tre) preso davvero un’esagerazione di cazzi.

Ritornammo al nostro movimentato tran tran e, dopo qualche settimana, Jami venne da me:
‘Mamma… ho un ritardo…’
Mi sfrecciò nella mente l’idea di stare per diventare nonna e stavo per darle mostra della mia gioia, ma dall’espressione di mia figlia, capii che al momento quella non era per lei una notizia lieta.
Ci spiegammo, mi disse dei sei giorni di ritardo, ed io le parlai, l’abbracciai, la rincuorai e forse entrambe versammo qualche lacrimuccia.
Quando tornò dalla farmacia col test di gravidanza, avevamo entrambe qualche esitazione a farlo, ma poi prese il coraggio a due mani e… POSITIVO: sarei diventata nonna!
Jamila si buttò subito a fare conti complicati, ma non c’erano santi: il bimbo era figlio di uno dei suoi tanti amanti marocchini; anche se fosse riuscita a capire quale giorno esattamente era stato concepito, le avevano sborrato dentro non meno di 4-5 uomini ogni giorno, magari a 50 chilometri di distanza l’uno dall’altro!
Con tutto l’affetto del mondo, cominciai a parlare e ragionare cercando di abituare la mia bambina alla maternità.

Ci trovammo tutti insieme la sera dopo ed avevamo deciso di mettere gli altri al corrente della novità in quella occasione: devo dire che furono tutti molto contenti della notizia (forse, in modo più controllato Giorgio, il futuro nonno…), ma andaron a comprare bottiglie e bagnammo, bagnammo molto la notizia.
Anche il ginecologo, ovviamente, confermò la gravidanza, anche se era ancora troppo presto per poter vedere qualcosa che non fossero risultanze di esami; si rallegrò che mia figlia non fumasse e non facesse uso di ‘sostanze’ e raccomandò a Jamila una vita più tranquilla, possibilmente senza alcolici (era una moderata e saltuaria bevitrice, per cui non sarebbe stato un tremendo sacrificio) e di farsi rivedere dopo qualche settimana.

Cominciammo a ragionare, a riflettere, a pensare ai preparativi per l’arrivo del cucciolo, ma… non so, mi sentivo strana.
Ricordo che una sera mi addormentai con quel pensiero, cercando di capire perch&egrave mi sentissi così…

La mattina dopo mi svegliai di scatto, sedendomi subito dritta sul letto: oddio, no…
Mi sciacquai la faccia, mi diedi una pettinata, mi misi la prima tuta che trovai ed un paio di sneakers e fuori subito, verso la farmacia.
Arrivata a casa, feci anche io il test e scoprii che oltre che nonna stavo anche per diventare di nuovo madre…
Occazzo! Alla mia età!

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