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I personaggi e gli eventi descritti in questo racconto sono frutto di fantasia. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o decedute, è puramente casuale

“Se conquisterete un territorio nemico, dovrete prendere una donna, un luogo appartato e questa siringa”, disse il medico indicando una siringa sul tavolo della conferenza. Era una siringa piccola in plastica contenente un liquido trasparente. Nella siringa sono presenti 5 tacche in nero, probabilmente ad indicare le dosi.
“Presa la donna, le inietterete una dose e il gioco sarà fatto”, disse il medico con semplicità, con l’accenno ad un subdolo sorriso. “Poi non dovrete far altro che aspettare, capirete allora che fare. Questo si tratta di un esperimento e solo 20 di voi riceveranno la siringa, non usatela su di voi.”

Venni considerato nel campione dell’esperimento, nonostante non mi sia ben chiaro. Sarà senza dubbio un veleno o un virus, che altro mai. Di certo non l’avrebbe salvato dalla guerra che ci attendeva.

Due giorni dopo raggiungiamo la trincea, un carro ci portò nel bel mezzo del nulla e a chilometri e chilometri di distanza non si vedeva anima viva. Ci accolse un sergente che ci fece mettere in fila.
Da protocollo devo portare la siringa in uno spazio comodo della giacca e il sergente, vedendola, decide di darmi una pacca sulla spalla, ammiccando.

Passano quattro giorni, passiamo da una trincea all’altra, il nemico sembra ritirarsi sempre più velocemente.
Raggiungiamo una certa trincea. Ci sono alcuni corpi qua e là, probabilmente quei poveri cristi che hanno cercato di difendere la trincea, per quel poco che potevano. Le ultime ondate sono state piuttosto scarse, trincee vuote e pochi soldati nemici. Questo ci ha permesso di progredire abbastanza velocemente fino a raggiungere questa trincea.

Erano le una e la mia compagnia, formata da altre 12 persone, decise di pranzare. Non era normale un comportamento del genere, ma considerate le precedenti ondate, era più che normale pensare che non ci fosse nessuno ad aspettarci. In ogni caso c’era un silenzio devastante.

Decisi comunque di investigare, da solo perché ero abbastanza convinto non ci fosse nessuno e volevo godermi uno degli hobby che solo la guerra poteva conferirmi in modo pseudo legale: il saccheggio.

Trovai una piccola porta scavata nel terreno e mi ritrovai in una stanza, illuminata da una misera lampada da tavolo. La presi e guardai a lungo sugli scaffali: riviste, cibo e carboni ancora un po’ ardenti per terra. Ebbene sì, carboni ancora ardenti.
Nello stesso istante sentii voci e schiamazzi seguiti da colpi di pistola all’esterno. Corsi a chiudere la porta: avevo fiducia nei miei compagni, sarebbero sopravvissuti. Non sarebbe stato lo stesso per me se mi avessero trovato nel bel mezzo della trincea. Decisi di aspettare finché non si fossero calmate le acque, ero sicuro i miei avrebbero vinto.

Sento borbottare nella stanza. Nel buio, la luce fioca della lampada, toccava a malapena la barba rossa di un uomo. Un uomo seduto per terra, più morto che vivo. Mi avvicino prendendo in mano il fucile che non avevo, lo avevo lasciato dagli altri mentre mangiavano. Avvicinandomi noto che non è un uomo, è una montagna. Due bicipiti enormi ed un petto possente spiccavano dalla luce della lanterna. La divisa era parecchio sporca di fango, tranne che per la medaglia che porta: un sergente della fazione nemica.

Teneva in mano una bottiglia, probabilmente whiskey, e giaceva per terra con la testa inclinata dalla pesantezza dell’alcol. La resa prima del nostro arrivo, ma ora c’ero solo io e i miei pugni contro la roccia dura. Fuori ancora gli spari. E pure il mio coinquilino ha cominciato a notarli, aprendo gli occhi.

Non potevo starmene a guardare, dovevo agire, benché nella stanza non ci fossero armi da nessuna parte. Tranne una, nel mio taschino. Non era una donna ma eravamo per certi in un luogo appartato.

In quel momento sperai in un veleno o in un virus perché glielo iniettai tutto, 5 dosi di fila, sperando quanto meno in un qualche effetto letale da overdose.

L’uomo cercò di fermarmi, ma i suoi riflessi erano ancora appesantiti dalla stanchezza di una notte insonne.

Arretrai, l’uomo aveva preso a muoversi, ad alzarsi, e mi venne incontro, barcollando ad ogni passo. La sua faccia era piena di graffi e la sua barba rossa folta probabilmente ne nascondeva altri. I suoi occhi indagavano il mio volto e, quando si accorse che non avevo proprio una divisa simile alla sua, la sua faccia si fece cupa. Urlò e caricò verso di me.

Non sono un esperto domatore di tori, ma non mi ci volle molto a realizzare che dovetti spostarmi all’ultimo per evitarlo. Colpì il muro di terra con la testa e cadde per terra, probabilmente morto.

Rimase così per un minuto buono, poi si mosse ancora. Feci per nascondermi ma caddi per terra, vicino a lui. Sembrava comunque abbastanza tramortito per non riuscire a raggiungermi. Mi sbagliai.

In due secondi mi trovai la sua faccia tra le gambe e, in tre, mi ritrovai la sua bocca sulle mie labbra. Tirò fuori la lingua e cominciò a leccarmi la bocca e la faccia intera. Volevo muovermi, ma i suoi 100 kg di muscoli mi bloccavano. Inoltre non mi sembrava violento, solo eccitato. Ecco cos’era la siringa: un afrodisiaco, un potente afrodisiaco. Tutto tornava, a meno che la botta in testa non lo avesse fatto impazzire.

Mi mise di nuovo le sue labbra sulle mie, cercando di baciarmi. Lo respinsi, ma mi mise una mano attorno al collo, stringendo, e lo accettai. Ci baciammo per venti minuti buoni e non potevo fare a meno, altrimenti mi avrebbe soffocato all’istante.

In quei venti minuti di scambio di fluidi, anch’io fui vittima dell’afrodisiaco, perché mi ritrovai con il cazzo duro come una pietra e una voglia matta di filarglielo nel culo. Questa montagna meritava di essere una troia, per tutti i miei concittadini che aveva ucciso.

L’uomo capì il suo ruolo e mi ritrovai con la sua bocca avvolta attorno al mio cazzo, duro e pulsante. Non aveva esperienza nei bocchini, ma la scena era assurda: i suoi occhi guardavano me, ma erano persi. Vedevo solo una vittima del piacere, un piacere senza ragione, solo istinto. Prese a succhiare avidamente e la sua saliva ricopriva interamente il mio cazzo e pure le palle.

Mentre mi spompava senza freno, notai una piccola scatolina in metallo vicino al braccio, qualcosa uscita dalla tasca dell’uomo. La aprii e dentro c’erano la foto di una donna e di una bambina. Sullo sfondo, l’uomo si stava soffocando sul mio cazzo ed emetteva suoni di piacere, guardando il mio cazzo come un’opera d’arte, per poi ricominciare su e giù, palle, sputo e ancora su e giù, gustando ogni centimetro.

Sentii una vampata di calore avvolgermi, l’afrodisiaco mi aveva reso la mente un po’ nebbiosa e mi ritrovai a strappare l’uniforme dell’uomo a morsi: lo volevo scopare fortissimo, volevo che diventasse la mia puttana e così anche tutti i suoi alleati. Presi il suo culo e lo misi a novanta sul tavolo.

L’uomo in tutto questo era completamente andato, i suoi occhi non rispondevano e la sua bocca era un infinito colare di saliva, bloccata in un perenne stato di piacere.

Gli strappai via la camicia e annusai la sua peluria rossa, il suo profumo di uomo. Aveva pure una bozza di addominale, ma il suo petto era definito e spiccato.
Lo girai e lo misi a novanta, strappai i pantaloni e cominciai a leccargli il culo e le palle. I suoi odori mi inebriavano e mi rendevano il cazzo ancora più turgido e grosso, stavo per esplodere.

L’uomo gemeva forte e parlava in una lingua sconosciuta, ma chiedeva il mio aiuto, chiedeva di essere scopato senza pietà.

Gli infilai il cazzo nel culo, ed entrò tutto in una botta. L’uomo era talmente eccitato che non faceva resistenza. Emise un urlo gutturale di piacere che mi fece rabbrividire. Cominciai a pompare prepotentemente, senza freni. Il mio cazzo era talmente lubrificato dalla sua saliva che usciva ed entrava senza problemi.

L’uomo gemeva a non finire, ad ogni colpo, e mi guardava con un sorriso estatico, con la bava dalla bocca e con gli occhi che ringraziavano.

Il suo culo era caldo e stretto, avvolgeva il mio cazzo in un calore familiare, decisi di aumentare velocità.
Presi l’uomo per i capelli e gli feci inarcare la schiena e gli sussurrai all’orecchio “ora sei la mia puttana, fottuto assassino” e lui girò la sua faccia verso la mia, gemendo ad ogni mio colpo.

La mia mente si annebbiò e mi ritrovai seduto a terra con l’uomo che si scopava da solo col mio cazzo. Il suo culo entrava ed usciva da solo, la sua grossa schiena sudata era inarcata e portava ad una testa rivolta verso l’alto.

Stava impazzendo, come lo ero io, ma lui aveva la dose 5 volte più forte. Ero già venuto, ma il mio cazzo era ancora in tiro, anche se ormai il piacere che sentivo era ridotto, probabilmente perché l’effetto dell’afrodisiaco si era attenuato.

Forse sborrando l’effetto diminuiva. Decisi allora di prendere il suo cazzo e segarlo fino a quando non sarebbe venuto anche lui.
Prendendo il suo cazzo con le mani, notai che era già pieno di sperma, completamente.
Inoltre aveva un cazzo enorme, e due mani erano giuste per segarlo.

Presi a pomparlo e, due secondi dopo, venne, un getto che gli arrivò in faccia. Un lungo urlo di piacere rimbombò in tutta la stanza e l’uomo si buttò per terra di lato, con la faccia completamente cosparsa di sperma.

Per coincidenza, la sua faccia cadde di fianco alla foto della moglie e della figlia.

Mi pulii con quello che c’era lì nella stanza ed uscii, sicuro che ormai i miei sarebbero arrivati alla cena, dimenticandomi completamente di quello che era successo prima.

Inutile dire che girato l’angolo trovai i miei completamente nudi a succhiare i cazzi dei nemici. Uno addirittura si stava scopando da solo il cazzo di un nemico, mentre l’altro lo guardava esterrefatto. Le loro facce erano invase dal piacere e i loro corpi sembravano muoversi da soli.

All’improvviso sentii una spina sul collo, poi un liquido iniziò a scorrermi in vena e sentii subito un prurito enorme dentro al culo e dentro il cazzo. Qualcuno mi aveva iniettato l’afrodisiaco e ora sono fottuto.

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