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Racconti 69Racconti EroticiTrio

Cavatappi

By 3 Marzo 2017Aprile 22nd, 2020No Comments

Ciascuno di voi avrà tonnellate di opinioni e di esperienze circa i rapporti con gli ex. Chi pensa sia giusto chiudere totalmente e non sentirsi più, chi preferisce condividere qualche saltuaria conversazione, chi invece crede che ci possa essere ancora sesso e passione sebbene manchi tutto il resto. E poi ci sono quelli che ancora ne sono segretamente innamorati o quantomeno attratti, stregati ma decidono di ignorare la cosa e continuare la propria vita, abituandosi pian piano a quel fardello, accettandolo ed inglobandolo fin nelle spire del proprio DNA. Ma che succede se il fato ci conficca un cavatappi e tenta di strapparlo fuori?

Erano ormai due anni che stavo con Veronica: da pochi mesi avevamo scelto di affrontare la convivenza, anche se il passaggio fu una questione piuttosto formale perché già da prima almeno quattro o cinque notti a settimana le passavamo insieme, nel mio o nel suo letto. Il sesso per noi era gioco e complicità: ci concedevamo lunghe sessioni d’amore nelle più svariate posizioni, maneggiando i giocattoli più piccanti o intenti a recitare chissà quale ruolo. Adoravo vederla entrare dalla porta di camera con una birra ghiacciata in mano, cinta solo di un grembiulino da cameriera, godersi un sorso di bionda e, con la bocca ancora piena, chinarsi sul pisello e iniziare a masturbarlo con le labbra, rendendolo preda del gelido scoppio delle bollicine che urtavano frenetiche contro l’asta e la cappella. Perdevo il controllo, abbandonavo i sensi a lei, ero in suo completo potere e solo un languido bacio riusciva a riportarmi alla realtà. Ciò che accadeva dopo, che fosse lei ad impalarsi umida e prepotente su di me dando vita ad una prodigiosa cavalcata o che io mi girassi e la possedessi in un’animalesca pecora o che invece preferissi esplorare con la lingua ogni millimetro della sua vulva, era ogni volta qualcosa di nuovo, di non prestabilito, determinato solo dalle emozioni di quell’istante. A lei piaceva da impazzire essere baciata, massaggiata e leccata in ogni centimetro quadrato del corpo. Per allietarla partivo da teneri baci dietro le orecchie, scorrevo lungo il collo, elegante e affusolato, mordevo i seni, torturavo l’ombelico, poi ripartivo dai piedi, dito per dito, coccolavo le caviglie e poi salivo lento fino alle sue intimità. Iniziavo a penetrarle l’ano con la lingua, ne gustavo ogni grinza, ogni curva, poi continuavo con le dita mentre le mie labbra si dedicavano alla sua succosa vagina. Adorava quando le infilavo un fazzoletto di seta nel culo: lo conservava lì finché, a cavalcioni sopra di me e prossima all’orgasmo, glielo sfilavo di colpo, regalandole un brivido improvviso e tanto intenso da farla svenire sul mio petto. E poi ci piaceva scherzare su di noi, parlare di sesso e di chi ci saremmo scopati tra i nostri amici, vip o anche solo passanti e dei turbini di passione che ci saremmo concessi, prescindendo dalla loro natura sessuale. E questo fantasticare ci legava ancora di più, regalandoci una complicità che prima d’ora non ero stato in grado neppure d’immaginare.

Quel sabato pomeriggio decidemmo di andarci a bere un caff&egrave in centro. Da bravo compagno cedevo alle sue repentine fermate davanti ad ogni vetrina, costretto sovente a dover esprimere commenti su vestiti ed accessori che stuzzicavano la sua attenzione.

Si fermò davanti ad un bellissimo decolté tacco dodici. Non m’interessava molto e la mia curiosità preferiva scrutare i passanti, quando accanto a noi si palesò un’inattesa presenza: da sotto una frangetta sportiva due occhioni verdi si piazzarono sui miei e dopo un infinito istante di stupore mi sentii chiamare. Era lei. L’avrei riconosciuta tra mille. Sabrina, la mia ex che più d’ogni altra avessi amato. Prima che potessi rispondere al saluto mi passarono davanti innumerevoli scene dei cinque anni che avevamo trascorso fidanzati e poi il dialogo di dodici anni fa dove mi diceva che per far carriera la sua banca l’avrebbe trasferita al nord e mi salutava per amor del futuro.

‘Ehi, Sabrina!’ esclamai ‘che’che piacere rivederti! Saranno più di diec’anni! Ma che ci fai da queste parti?’ ‘Sono molto contenta anch’io’non speravo tu fossi ancora in città! Sono stata assegnata come direttrice di una filiale qui vicino! Sono tornata!’ La presentai a Veronica ma, nonostante la nostra simbiotica complicità, evitai di qualificarla, evitai di dirle chi fosse per me. Le due scambiarono qualche battuta, un concorde commento sulle scarpe e qualche cordiale sorriso. Il mio imbarazzo era immenso: non riuscivo a gestire il cocktail emotivo che quell’incontro aveva shakerato nel mio bicchiere. Stupore, timidezza, impaccio, forse ancora attrazione. In preda al panico feci di tutto per tagliare corto e riuscii a congedarmi con solo un ‘ci si becca in giro!’.

Rientrati in casa, Veronica mi mise all’angolo: aveva notato tutto. Ogni grammo del mio imbarazzo. Me ne domandò ragione e fui costretto a dirle chi fosse, tentando timidamente di cambiare discorso per sfuggire a quell’interrogatorio. ‘Ti piace ancora, eh?!’ mi chiese diretta. ‘Macché…dopo dodici anni cosa vuoi che m’importi” tentai di dissimulare. ‘Però te la faresti, e di gusto! Te lo leggo negli occhi’ ‘Dai, Veronica, smetti’&egrave una vecchia amica. E non &egrave certo più la Sabrina che conoscevo un tempo.’ Tentavo ancora di chiudere. ‘Però non &egrave male’ha classe, &egrave una donna di potere, sembra simpatica e ha pure ottimi gusti in fatto di abbigliamento! Io me la farei eccome!’ concluse Veronica sghignazzando. La chiudemmo lì, cennammo e facemmo l’amore con gusto, anche se, non posso negarlo, una porzione di mente era tutta proiettata verso Sabrina.

Sentii girare la chiave nella serratura, poi il tonfo sordo di un borsone da palestra che viene lasciato cadere a terra accompagnato dal ‘Sono a casa!’ argentino di Veronica. Corse a baciarmi, distraendomi dalla tv. ‘Com’&egrave andata?’ chiesi più per abitudine che per interesse. ‘Bene tesoro! Non crederai mai chi ho trovato al corso di difesa personale’!’ La fissai interrogativo. Continuò ‘Sabrina! Dopo l’allenamento abbiamo fatto una bella chiacchierata’&egrave proprio simpatica. Ci siamo scambiate i numeri ed in settimana andremo a farci un aperitivo’ Mi sentii congelare. Un cavatappi stava lentamente avvitando le spire nei meandri della mia memoria intento a cercare qualcosa di sepolto e abbandonato. ‘Bene!’ riuscii a rispondere, spiazzato, incredulo. Che avrei dovuto fare? Il mio vecchio ed il mio nuovo amore cercavano un sodalizio? Una convergenza? Che c’era sotto? Veronica voleva distruggerla? O piuttosto farsela amica perché mi stesse alla larga? Non riuscivo a capire, tanto che la mia ragione fu incatenata da un vortice di nebbia e seghe mentali.

L’unica reazione che potei gestire fu seguire Veronica sotto la doccia. In silenzio le insaponai il seno, la schiena, le cosce, poi presi il doccino e lo puntai rivolto verso l’alto contro le sue grandi labbra. I lunghi baci sul collo erano una perfetta giustificazione del mio silenzio. La sciacquai sotto un caldo getto, la feci girare contro la parete, le cinsi le spalle, le affondai un morso delicato ma passionale sulla cervicale, come un leone che brama la sua leonessa. Il membro prese vigore, le vene pulsavano frenetiche sotto quella pioggia. Mi feci strada con la mano, le aprii le gambe, congiunsi il mio addome ai sui lombi e lì la presi. Affondavo frenetico l’asta dentro di lei, l’acqua lubrificava la penetrazione ma allo stesso tempo lavava via i caldi umori che sgorgavano da quella sorgente di piacere creando un lieve distacco, uno spiraglio che a tratti cedeva posto all’idea di Sabrina. I gemiti coprivano il fragore degli zampilli sui nostri corpi. La mano sinistra si riempì dei suoi seni: a tratti li stringeva, li massaggiava, torturava i capezzoli. La destra scese fin sul basso ventre per tormentare inesorabile il caldo clitoride. L’ansimare di Veronica si fece più vigoroso, più potente. Aumentai il ritmo, la strinsi più forte a me, la mente si annebbiò fino a sentir sgorgare uno, due, tre schizzi del mio seme dentro di lei in esemplare sincronia con il suo orgasmo, in perfetto accordo con la magistrale intesa maturata in questo tempo. Forse il ricordo della mia ex era effimero, superficiale e non aveva minato nulla del nostro rapporto’forse.

Continua’
Per le donzelle arrivò la sera dell’aperitivo. Decisi di raggiungere gli amici alla sala biliardi per distrarmi con una bella partita all’italiana. La serata scivolò serena e gli unici pensieri sulla via del ritorno furono rivolti al tavolo verde e ai discorsi goliardici dei miei vecchi compari. Rientrai in casa e trovai Veronica già in pigiama sotto le coperte. La salutai con un bacio: neppure il dentifricio riusciva a coprire del tutto i fumi dell’alcol che aveva trangugiato. Si mise a raccontarmi l’allegra serata senz’altro enfatizzata dalle numerose consumazioni. Poi mi mostrò un selfie di lei e Sabrina intente nell’aggredire un bel tequila sunrise, uno dei tanti a detta sua. Sfoggiavano un sorriso da ragazzine, uno sguardo colmo dell’eccitazione e allo stesso tempo della timidezza tipiche delle liceali, quasi avessero riavvolto il tempo di una quindicina d’anni. Entrai in bagno prima di coricarmi. Ma a rompere la routine c’era un qualcosa di assai diverso: le mutande quasi non riuscivano a contenere il turgore del mio amichetto. Quella foto e quei racconti avevano smosso in me una profonda eccitazione. Feci colare una goccia di saliva sulla cappella, afferrai l’asta in mano ed iniziai un lento su e giù, chiusi gli occhi, accelerai e la sega divenne sempre più vigorosa finché, pochi minuti dopo, non esplosi in un fiotto di piacere. Raccolsi il bianco nettare nel palmo della mano e lo portai alle labbra per poi ripulirmi con una profonda leccata fissando in mente quell’immagine di Sabrina. Terminai le mie abluzioni, tornai in camera e mi stesi accanto a Veronica già cullata da Morfeo con la complicità di Bacco. Rilassato e scarico spensi la luce.

I giorni passavano regolari e le due continuavano a condividere la fatica degli allenamenti e qualche bicchiere di vino, come fossero ottime amiche. All’inizio la storia mi lasciava perplesso e preoccupato ma poi mi abituai all’idea della loro frequentazione che pareva essere molto più semplice di come la mia malizia l’aveva dipinta. Era dal nostro incontro in centro che non la vedevo e le sue notizie filtrate dalla mia donna la facevano sentire ancora distante almeno quanto lo fosse stata in questi ultimi anni. Ma del resto, come affermava un noto politico italiano, a pensar male si fa peccato ma ci s’indovina sempre.

Intento a risolvere l’ennesima pratica d’ufficio fui distratto dalla vibrazione del mio cellulare. ‘Tesoro, stasera l’allenamento &egrave saltato: Sabrina viene a provare un paio di mosse a casa e poi ci facciamo una pasta’ti conto per cena?’ Chiese retorica Veronica. Acconsentii, anche se dentro di me qualcosa si smosse: come avrei reagito nel rivederla? Come avrei sostenuto la conversazione? Sentii la schiena irrigidirsi, il cuore accelerare. Iniziai a provare disagio e paura anche se non sapevo bene quale fosse la ragione.

Presi fiato, girai la chiave nella toppa e ‘sono a casa!’ esclamai deciso. Mi affacciai in sala e la scena che mi si palesò davanti mi lasciò inerme, incredulo: Sabrina era a cavalcioni su Veronica, i loro volti a pochi centimetri di distanza, le mani che reggevano i polsi dell’altra, il fiato corto, nell’atto di simulare un’aggressione. Alla mia vista si alzarono di scatto, come se le avessi sorprese a rubare la marmellata. Sabrina mi venne incontro, accaldata e rossa in volto, vestita di leggins e top che esaltavano ogni sua curva. Mi tese la mano ‘non ti bacio…guarda in che condizioni” ‘io invece approfitto’ sussurrò Veronica infilandomi la lingua in bocca. Deglutii. ‘Scusate se ho interrotto i vostri esercizi’vado a farmi una doccia!’ ‘Non temere, abbiamo quasi finito’proviamo ancora qualche minuto poi andiamo a lavarci anche noi!’ risposero all’unisono.

Rinfrescato entrai in camera per mettermi in tenuta da casa: jeans e polo sarebbero andati benissimo. Le sentii entrare in bagno insieme mentre sghignazzavano ironizzando sulle reciproche performance di combattimento. Poi lo scroscio della doccia coprì ogni segno d’ilarità. Era cosa comune che due donne entrassero alla toilette insieme per cui non badai alla cosa, ma il pensiero si proiettò sulla silhouette atletica di Sabrina e il mio corpo rispose con una vistosa erezione. Dovetti pensare al lavoro per tenerla a bada.

Mi avviai in corridoio alla volta della cucina. La scena che mi trovai difronte fu quanto di più inaspettato potessi ammirare. La porta del bagno si spalancò e i corpi nudi delle due donne uscirono avvinghiati tra loro, le loro bocche rapite l’una dall’altra, le loro mani intente ad esplorare l’una le forme dell’altra. Rimasi in silenzio ad osservarle, basito, incredulo, con la bocca spalancata. Si voltarono verso di me, puntarono quei quattro occhi divertiti sulla mia comica espressione. Il cavatappi era completamente affondato nelle mie viscere e attendeva solo d’essere estratto con violenza, pronto a far riaffiorare quel malloppo sepolto là sotto dodici anni prima.

Ed ecco che il primo strattone arrivò proprio dalla mia Veronica: ‘Che fai, non ti unisci a noi?!’ chiese incredibilmente maliziosa. Neppure il tempo di serrare la mascella quando ecco che giunse lo strappo decisivo, dalla voce di Sabrina, porca e ammaliatrice: ‘Mica ti farai pregare?! Non siamo neppure più sudate”

Mi mossi lentamente e mi avvicinai. Con le braccia ancora stese lungo il corpo mi protesi a baciare Veronica. Mi assecondò, poi mi afferrò la nuca e ruotò la testa verso Sabrina: ‘dov’&egrave finita la tua ospitalità?!’. La lingua s’avvolse selvaggia su quella della mia ex, la saliva dell’uno colava nella bocca dell’altra. Portai le mani sulle loro teste e lasciai che tutte e tre le nostre lingue si concedessero un round di vigoroso combattimento. Sentii il cazzo premere indomito contro la patta: voleva uscire, voleva donarsi a quelle splendide muse dell’amore.

Senza rendermene conto mi ritrovai ai piedi del letto: mi sfilai gli indumenti mentre mi gustavo lo spettacolo dei loro corpi contorcersi sopra le coperte. Senza chiedere permesso mi feci spazio in mezzo a loro, mi voltai supino. La bocca fu di Veronica mentre la mano di Sabrina iniziò a scivolare su e giù lungo il mio amichetto. Mi stava regalando una fantastica sega, come mai era stata capace di offrirmi. Per un istante temetti: non volevo venire subito e rovinare l’atmosfera, ma ero troppo preso per riuscire a frenare le mie pulsioni. Sabrina portò le sue terga sopra di me offrendosi per un goloso sessantanove. Veronica a tratti scendeva per aiutarla a soddisfare il pisello e a tratti saliva per condividere con me il nettare di quella dolce vagina. La mia ex sollevò il busto, la mia donna s’impalò. Mentre leccavo una e possedevo l’altra, le mie amanti si scambiavano un intenso bacio e si divertivano torturandosi i seni. Mi alzai e presi Sabrina alla missionaria mentre Veronica con le mani si dedicava ad esplorare i nostri buchetti. Simmetricamente prima uno, poi due, quindi tre dita entravano ed uscivano dai nostri orifizi. Mi sfilai e presi Veronica da dietro in un’intensa pecorina. Si chinò e la sua lingua decise di sollazzare la passera dell’amica. Il piacere cresceva, nessuno poteva distinguere dove finissero le mie e dove iniziassero le membra delle due concubine. Ci scambiammo e ci alternammo in posizioni che la nebbia dell’estasi m’impediva persino di realizzare. Poi infilzai Sabrina, le presi quel dolce culetto che tanto amavo e che mai aveva voluto concedermi. All’eros sentii sommarsi un altro piacere misto tra gusto del proibito e goduria della rivincita. La stesi mentre penetravo il suo intestino con la mia asta, alternandola e roteandola. Davanti Veronica supina a gambe larghe offriva il suo sesso alla lingua e alle mani di Sabrina mentre incrociava il suo sguardo col mio. Non so descrivere né come né quando, tanto la ragione era avvolta dai nostri corpi e dai nostri fluidi, ma sentii come una violenta scossa correre lungo la schiena e venni copioso dentro di lei udendo un triplice unisono rantolo di piacere. Eravamo venuti.

Ci stendemmo a quietare i nostri affanni, fissando il soffitto della stanza.

Il cavatappi del fato ormai era fuori dalle mie viscere e il fardello aveva lasciato spazio ad un’invasione di pura passione.

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