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Racconti Erotici Etero

Giovanna

By 8 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Giovanna spinse via il giornale ed incrociò le gambe nella posizione del loto.

– Auff! Questo giornale è illeggibile. Perché non lo pieghi come si deve? –

Giancarlo disfece il nodo alla cravatta e ricominciò ad annodarla.

– Mi rifiuto di trattare con cura quel fogliaccio. –

Giovanna riportò il piede fuori del letto, posandolo per terra in una breve illusione di fresco, poi si distese coprendosi col lenzuolo.

– Se non ti piace, perché lo leggi? –

– Mi frega assai della cronaca di Roma o Milano. Dov’è la giacca? –

Giovanna buttò via il lenzuolo e si alzò, raccolse la giacca da terra e raggiunse Giancarlo allo specchio. Gli annodò la cravatta.

– Come fai a reggere tutti questi abiti con questo caldo. Allenta la cravatta, sbottona il collo, respira! –

– Respiro benissimo anche così, grazie. Tu, piuttosto: come fai a restare senza vestiti. Io mi sentirei a disagio. –

Giovanna si osservò allo specchio mentre Giancarlo piegava il giornale alla meno peggio e lo infilava in tasca.

– Sembro la moglie di Frankenstein. –

Giancarlo le prese il viso tra le mani e la baciò.

– Non dovresti truccarti quando prevedi del sesso. Devo scappare, ciao. –

Lasciò la camera fischiando. Giovanna era rimasta in piedi, le spalle alla porta.

– Non lo prevedevo il sesso, stronzo. –

Mormorò mentre si chiudeva la porta d’ingresso.Sedette sulla sponda del letto, evitando di guardare lo specchio, sentendosi all’improvviso fiacca. Il sudore che colava dalla fronte si mescolò con le lacrime che presero a scendere copiose.

Pianse in silenzio per alcuni minuti, schiantata dall’imprevista svolta presa dal loro rapporto. Trovò la voce per maledirsi e maledire la sua stupida frase sul trucco; pronunciata, forse, per stimolare una qualche tenera banalità sul suo volto radioso o altre fesserie simili; maledisse gli uomini e la loro mancanza di sensibilità; maledisse se stessa ancora una volta per quel suo modo di fare che li spingeva a crederla una che cercava solo del sesso facile. Asciugandosi le lacrime con le mani ebbe un moto di stizza: colpa mia? neanche per idea; lei non faceva nulla di diverso dalle altre, erano gli uomini ad essere tutti stronzi.

Si alzò bruscamente. Ricacciò indietro le ultime lacrime e andò in bagno. Qui aprì i rubinetti della vasca e si struccò con cura mentre questa si riempiva. Terminò in tempo per chiuderli. Vi entrò rabbiosa e cominciò a passarsi la spugna con energia per tutto il corpo, soprattutto su quelle zone su cui Giancarlo amava indugiare – non aveva neanche una gran fantasia, il porco! -. Solo quando sentì di averne cancellato ogni traccia, rallentò i gesti e si concesse immagini dei momenti piacevoli passati con Giancarlo. Durò poco, però. La delusione ancora bruciava e quel nome, sia pure associato ad immagini piacevoli, ne attizzava il fuoco. Dopo un breve attimo di rabbia, riprese la sequela di improperi all’indirizzo degli uomini, anzi: dei maschi, ma senza rabbia, godendo del movimento lento e continuo della spugna sul corpo.

L’acqua era diventata fredda quando lasciò la vasca; lei, invece, più calda che mai. Quella miscela di imprecazioni e languore aveva cancellato tutto: delusione rabbia rancore’

Piacevolmente stupita dalla bizzarra conclusione del bagno restò incerta sul da fare per qualche istante, poi, dopo un’allegra scrollata di spalle, decise che, prima d’ogni cosa,

Doveva svuotare la vasca e, per farlo, sedette sul bordo. Il brivido che la percorse acuì il suo stato e il gorgogliare dell’acqua che lasciava la vasca sostituì un frenetico accavallarsi di immagini al languore meravigliato.

Si asciugò con cura, indugiando più del consueto sulle zone erogene, provando ciò che, ragazzina, provava nella stessa circostanza. Cercò di uscire da quello stato, dicendosi che, con tutto quel armeggiare, sembrava una pornodiva nelle scene d’apertura di un filmetto per ragazzini e dedicandosi esclusivamente alla ricerca del brano musicale che meglio avrebbe accompagnato i titoli di testa che sarebbero scorsi ai lati della sua immagine. L’idea che gli uomini potessero eccitarsi al vedere il suo corpo nudo affiancato dal nome del datore luci, la divertì al punto che dovette ridere, cosa che aveva di evitare sin dall’inizio, ben sapendo come una risata potesse cancellare ogni situazione erotica. Esaurita la risata notò con sollievo che nulla era cambiato.

Doveva asciugarsi i capelli e vestirsi se non voleva che una lunga serie di starnuti riuscissero dove aveva fallito la risata. Raggiunse lo specchio, ma questo era appannato e così, badando a non dedicare troppa attenzione ad un gesto così prosaico, lo disappannò con l’asciugacapelli; il gesto, però, non sciupò attimi preziosi, anzi: nel passarlo dallo specchio ai capelli fu investita dai mille watt d’aria calda che, oltre tutto, causarono un brivido alla schiena. Tutto in quel bagno sembrava congiurare nel trasformarla in una belva affamata di sesso. Belva affamata di sesso? Dove diavolo aveva mai potuto pescare una simile

definizione? Ridendo per la dabbenaggine, asciugò i capelli e lasciò la stanza da bagno.

In camera da letto si accorse di aver sudato, forse per l’asciugacapelli e l’eccitazione, ma non ne era a disagio, anzi, in piedi davanti allo specchio dell’armadio, raccolse con l’indice una ne raccolse una goccia da un capezzolo e la portò alle labbra. Era questo che eccitava gli uomini: pelle nuda sudata. Si osservò con scrupolo.

– No, non un granché. –

Mormorò dopo essersi seduta sulla sponda del letto e portata le mani ai capelli per evidenziare il seno.

Non era una bellezza, questo lo sapeva; né aveva fascino o una conversazione brillante, ma i suoi uomini li aveva ugualmente, anche se parlavano troppo e di solito a sproposito. Pensò che quello era il momento ideale per un bel pianto silenzioso.

– Già fatto, peccato. –

Batté le mani e si alzò. Era ancora eccitata, non doveva sprecare il momento. Da un cassetto prese gli slip e, dall’armadio, un abito leggero; posò il tutto sul letto e andò a prendere le scarpe, che lasciò ai piedi del letto. Restò un attimo perplessa chiedendosi se fosse il caso di calzarle: gli uomini sbavavano per le donne nude con le scarpe, ma a lei proprio non piaceva. Sedette e infilò lo slip carezzandosi le gambe; si osservò e, lenta, lo tolse. Ragazzina, qualche coetanea le disse di averlo fatto con lo spazzolino, e, quasi quasi, ci avrebbe provato’ ma, no, non doveva sprecarsi. Indossò l’abito e, in piedi, infilò lo slip. Calzò le scarpe e si osservò.

Decisamente meglio. La giusta luce evidenziava le trasparenze e, camminando, l’abito avrebbe mostrato le gambe. Unico cruccio le scarpe: un tacco più alto le avrebbe conferito il giusto movimento ondulatorio, ma lei i tacchi alti li odiava.

Scartato il trucco, riempì la borsetta e, dopo un ultimo sguardo allo specchio, uscì con passo deciso.

Non prese l’ascensore, godendo dello strofinio dello slip e dell’abito sulla pelle ad ogni gradino e rammaricandosi di non poter vedere lo spettacolo, o che non ci fosse un uomo a goderselo.

Mentre scendeva, fu colta dall’idea che, se ciò da cui lei traeva piacere era ciò che gli uomini ammiravano nelle donne, in lei ci fosse qualcosa di sbagliato. Il non riuscire a smentire quel idea la indispose parecchio, ma, temendo che l’eccitazione sbollisse, la accantonò e riprese la discesa.

Una volta in strada, si voltò più volte per cercare l’auto, pur sapendo perfettamente dove fosse parcheggiata, finché non ebbe collezionato un numero sufficiente di occhiate maschili.

Entrare in auto e sistemare l’abito non fu così semplice come al solito: dovette mostrare generose porzioni di gambe e, una volta chiuso lo sportello, concedersi un paio di incursioni con le dita per attenuare il caos che le si agitava dentro.

Finalmente partì. Non era una granché come autista e il traffico le era decisamente ostile, comunque riuscì ad infilarsi nel flusso di auto che dirigevano verso il centro. Purtroppo, una volta inserita nel flusso, e liberata la mente dalle manovre, si accorse che quello sforzo le era stato fatale: non era più eccitata.

Le imprecazioni le sgorgarono veloci e corpose, accompagnate da vigorose manate sul volante. Tutto quel tempo sprecato! Avesse almeno usato lo spazzolino in camera, o le dita in auto’ Nulla.

Si sforzò di ritrovare la calma per esaminare meglio la questione. Si era eccitata senza volerlo; aveva alimentato e accresciuto quello stato con gesti e pensieri portandolo ad un grado mai raggiunto prima; salvo una piccola incursione in auto, nulla di volontario aveva compiuto per soddisfare la richiesta di sesso’ Non ne veniva fuori. L’eccitazione era sbollita in un soffio solo al suo concentrarsi nella guida. Poteva ricrearla? Difficile e, comunque, non certo a quei valori. Provò a recitare la filastrocca di Porci con le ali, ma non la ricordava tutta, e, comunque, non funzionava nemmeno nel libro.

Il flusso di auto perse regolarità: erano dalle parti del centro e si era aperta la caccia al parcheggio con tutto il rituale fatto di brusche frenate, frenetici gesti, grande spreco di bestemmie e corale di clacson.

Non aveva certo testa per quelle manovre e così, soffocando le ultime imprecazioni, infilò l’auto in un passo carrabile e scese avviandosi rapida verso il centro. Ma quando va male, va male tutta e, dopo pochi passi, si trovò invischiata nel magma della folla che avanzava lenta ed incostante con bruschi stop alle vetrine o per chiacchierare; incertezze sulla direzione da prendere; posa per fotografie ed altre fesserie simili.

Avrebbe urlato, tanta era la rabbia che la pervadeva, tale la frustrazione per quella giornata cominciata così bene e scivolata poi in quel magma fracassone e noioso che non aveva occhi per apprezzare un bel didietro ondeggiante ed un paio di seni, sia pure di dimensioni non proprio generose, ma comunque in mostra. Perché era uscita? In fondo, la delusione provocata dalle parole di Giancarlo si poteva considerare come il prezzo da pagare per aver goduto delle sue prestazioni (perché, quando non parlava, Giancarlo non era certo da disprezzare, anzi…); far montare l’eccitazione e soddisfarla da se stessa, poi, avrebbe costituito una risposta alla superficialità di Giancarlo più adeguata del rivolgersi a qualcun altro, anzi: sarebbe stato un vero e proprio schiaffo all’intera categoria maschile.

Ma uscire era uscita, e l’eccitazione non l’aveva soddisfatta, anzi: l’aveva lasciata sbollire.

Il magma l’aveva portata all’ingresso della piazza principale, in occasione del festival dominata dal palco su cui si sarebbe svolto il concerto d’apertura.Qui, dove lo spazio non mancava, si mise da parte, per prendere fiato e per coprire con lo sguardo la fauna che, come tutti gli anni, popolava la piazza.

Un sacco di uomini, e di tutte le età. Ma seri, rigidi; coinvolti nel solito, estenuante bla-bla degli iniziati alla grande arte: saxtrombonipianobatteriabassochitarraorchestraband- quartetquintettrio e formazioniincisionidiscografiainstudioeliveinediticoverversionstandard e behardcoolhotdixyfusion; i giovani, poi, quelli sempre in comitive, oppure sempre lì a smontare e montare uno strumento e suonarlo e parlarne, parlarne, parlarne.

Un festival del cinema o della canzone, ecco quel che ci voleva! Gente allegra, con gli occhi spalancati e la testa sgombra; pronta a riconoscere il divo e la diva in occhiali scuri e occhiaie coperte dal trucco; pronta ad apprezzare le curve di una passante incrociata alla ricerca del divo e della diva.

Cedette al caldo. Arrancò fino al primo bar con tavoli all’aperto e ordinò una menta. Mentre l’aspettava si ripeteva che, dopo averla bevuta, sarebbe stata peggio, e guardava in giro senza troppa speranza. Accese una sigaretta.

Valutò la concorrenza e dovette compiere uno sforzo non da poco per mollare tutto e tornare a casa. Le ragazze c’erano, e non erano poche, contrariamente agli altri anni. I tempi cambiavano e, con essi, i gusti musicali. Inoltre erano ben equipaggiate: zainetti, short, T-shirt’ e nulla sotto, così, il sudore era loro alleato. Si sentì patetica con le sue gambe accavallate ad arte, la schiena arcuata, il mento sul pugno. Cosa poteva il suo misero corpo sia pure ben confezionato, contro quei glutei costruiti in palestra, le schiene diritte ed i seni sodi? Quello, comunque, era il meno. A porla fuori competizione era il linguaggio in comune: quel bla-bla tra iniziati da cui lei era esclusa, non ostante gli anni passati a vivere la grande manifestazione. Alcune, addirittura, smontavano e montavano e suonavano gli stessi strumenti.

La menta giunse propizia, con essa il fresco e l’ondata di sudore seguente che le restituì tutto il disagio che l’aveva spinta ad ordinarla.

Ormai decisa a finire la menta e tornare a casa per immergersi nella vasca sciabordante acqua e restarci sino alla notte, lasciò vagare lo sguardo distratta, tanto per non fissare il bicchiere. Notò tre giovani che fotografavano il palco e i palazzi e, ignorando la vocina che le intimava di mollare tutto e tornare a casa, puntò quello fra i tre che poteva definirsi senz’altro bello. Dovette mordersi le labbra, quando questi inquadrò il balcone sopra la sua testa mettendolo a fuoco, regolando il diaframma e facendo scattare l’otturatore .Pregò affinché prendesse un’altra foto, dandole il tempo di escogitare un modo per attrarne l’attenzione, e per poco non scagliava via il bicchiere quando questi, ignorando tutte le altre meraviglie architettoniche della piazza, inquadrò proprio lei mettendola a fuoco, regolando il diaframma e facendo scattare l’otturatore proprio mentre lei, non riuscendo a frenare l’esultanza, si portava le mani alle orecchie, aprendole a ventaglio, e tirava fuori la lingua in una smorfia infantile.

Risero entrambi.

Lei sollevò il bicchiere e il giovane, dopo una rapida occhiata agli amici, la raggiunse. Sedette sorridendo e disse qualche cosa in una lingua che sembrava tedesco. Giovanna, per nascondere la propria esultanza, sorseggiò ancora un po’ di menta e chiamò il cameriere.

– Menta? –

Chiese indicando il bicchiere. Questi fece cenno di sì.

Fatta l’ordinazione, prese le sigarette e ne offrì, lui scosse la testa e, mentre lei ne accendeva una, si portò l’indice alla tempia sollevando il pollice.

– Lo so: fumare è da stupidi, ma, al momento, non mi sento granché intelligente. –

La fissava curioso e lei alzò le spalle, impotente a spiegarsi. Lui fece una smorfia e lei sorrise. Non era una brutta situazione: avrebbe evitato spiacevoli conseguenze.

Fu portata la menta e lui la sorseggiò con evidente soddisfazione.

– Caldo, eh? –

Aveva accompagnato la domanda con un inequivocabile sventolio della mano al volto, lui assentì e si guardò intorno, posò il bicchiere e prese una foto del palazzo che gli stava di fronte.

– Are you student? –

Il suo inglese non era un granché, ma lui comprese. – Yes. Architectural student. –

– Do you like jazz? –

– Yes, very much. You too? –

– Nothing at all. –

Si pentì subito di quella risposta. Era come dichiarare di essere in piazza in cerca d’uomini; e poi, non era affatto sicura di come l’avrebbe presa: erano così permalosi quei fanatici!

– Impossibile. –

L’affermazione era stata fatta con una espressione talmente seria, stile gentiluomo inglese holliwoodiano, da cancellarle ogni timore. Risero entrambi e, nel farlo, le cadde la sigaretta; lui applaudì con forza al suo disappunto, ma si immobilizzò ad una sua occhiata feroce, temendo di essere andato decisamente oltre; non appena ebbe smesso lei gli ringhiò e lui, sollevato, riprese a ridere e così lei.

La risata si spense lentamente; i due bevvero per superare l’imbarazzo del silenzio. Lei provò a prendere una sigaretta, ma lui le afferrò il polso e scosse la testa, lei trascinò un “O.K.” e le ripose. Silenzio. Lui prese un’altra foto mentre lei pensava al modo di portarlo a casa e buttarlo sul letto, o dove avrebbe più desiderato. Ci stava bene lì, seduta in piazza a chiacchierare in quell’inglese stentato, mentre le altre le invidiavano il compagno e forse pettegolavano sui loro rapporti, non voleva che tutto finisse in fretta. D’altra parte: era uscita per cercare del sesso senza complicazioni (e ancora quella era la sua intenzione), e sentiva che, a restare ancora lì a conoscersi, era il modo migliore per crearle le tanto detestate complicazioni. Inoltre, ed era questo un pensiero che lentamente stava prendendo il posto dell’altro, quel tipo era un salutista accanito ed a lei cominciava a seccare quella sua fissa sulle sigarette: non doveva mica sposarla, cosa gli importava se si stava ammazzando?

Più ci pensava, più crescevano i sospetti sulla sua virilità; non che fosse tra quelli che consideravano la cura del corpo un affare da gay, però’

– Come on, walk. –

Si era alzata decisa, facendo traballare il tavolo e stupendo il giovane, che la fissò interdetto per qualche istante, poi, imitando il suo “o.k.” trascinato, si alzò e la prese per il braccio.

Lo guidò per il centro storico indicandogli palazzi e monumenti e facendosi riprendere accanto ad essi nelle pose più idiote. Risero moltissimo e camminarono anche di più.

Finalmente ebbero appetito e Giovanna giudicò che quello fosse il momento che aveva atteso: lo guidò all’auto e, con quella, al suo appartamento. Non senza essere prima passata da una farmacia.

In ascensore non si parlarono, limitandosi a far vagare gli sguardi come tra vecchi condomini.

Aperta la porta, si scostò e, con un cerimonioso inchino, lo fece passare e lui, chiusa la porta, la ricambiò con un inchino orientale. Risero. Prima che l’atmosfera sfumasse, indicò il divano.

– Sit down. I go in the kitchen. –

Lui lasciò macchina e zaino e la seguì in cucina, dove lei si chiedeva che pasta preparare. Il giovane risolse i suoi dubbi afferrando un pacco di spaghetti. Assumendo un’aria afflitta, si rassegnò ad insegnargli come preparare gli spaghetti col pomodoro.

Mangiarono in cucina. Lei alternando forchettate e risate, lui ingaggiando attaccando selvaggiamente gli spaghetti che si difendevano schizzandolo di sugo.

Pur ridendo e mangiando, non trascurava di osservarne il gioco dei muscoli sotto la T-shirt e lo sguardo acceso che risaltava sul viso contratto: se riusciva a tanto con dei semplici spaghetti’

L’appetito le era passato: voleva solo saltargli addosso, strappargli la T-shirt e montarlo lì, su quella sedia’ Ma si contenne: certe cose riuscivano solo nei film, nella realtà si inciampava rovesciando la pasta e ci si bloccava con la lampo.

Comunque, doveva agire e, non fidandosi del proprio inglese, decise di farlo con il corpo, che, si sa, parla dovunque la stessa lingua.

– Wait. I teach you. –

Si alzò lentamente, obbligandosi a non saltare sul tavolo, e gli si sedette sulle gambe. Trattenendo la risata che l’espressione del suo viso e l’idea di ciò che stava per fare le suscitavano, si scoprì il seno, afferrò uno spaghetto e ve lo posò. Lui lo prese carezzandola leggero con le labbra. Piacere fisico e sollievo per la pessima figura evitata si unirono nel suo sospiro.

Lui le sfilò lo slip e la pilotò sul tavolo, dove le sollevò l’abito .Lo fermò.

– Not here. Please. –

Non era un’eroina porno, lei, e quella era la sua cucina, non un set cinematografico.

***

Un braccio sugli occhi, a proteggerli dal sole pomeridiano, Giovanna fumava sul letto. La stanza era rovente, l’aria irrespirabile e il lenzuolo, come il suo corpo, zuppo di sudore.

Era davvero felice, e quella sigaretta rappresentava la ciliegina sulla torta. Ne godeva il fumo con lente, profonde boccate e lasciava che uscisse dalle narici senza forzarlo.

– Ah! shower is the best invention! –

Si stese al suo fianco profumato di doccia schiuma.

– Yea, after sex and cigarettes. –

Liberò gli occhi e, sistematasi sul fianco, li fissò in quelli di lui che la stavano rimproverando. Gli carezzò il viso ed il braccio, ma lo sguardo non si addolcì. Trascinò il solito “o.k.” e spense la sigaretta, lui sorrise.

– Please, go away. –

Il sorriso si spense.

– Leave me alone, now. –

Si alzò e lasciò la camera. Giovanna sperò che non facesse storie, che non le combinasse qualche guaio. Ritornò dopo qualche minuto, vestito. Le porse il rollino: le foto di quella mattina.

Lei gli chiuse la mano e la spinse con dolcezza.

– Don’t forget me. –

Tornò supina e coprì gli occhi col braccio per proteggerli dal sole pomeridiano. Solo quando ebbe udito la porta chiudersi si alzò per prendere le sigarette.

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