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Gli occhi cisposi resistettero ad aprirsi. “Oh, no! Ancora…!” – la petulante funzione snooze della radio sveglia insisteva a rompere le scatole. Si stropicciò gli occhi, alzandosi a sedere sul giaciglio. Cercava inutilmente di mettere a fuoco le immagini. A tentoni cercò, con rabbia, di raggiungere il bottoncino che avrebbe posto fine a quel supplizio. Non riusciva a connettere le liquide impressioni che il cervello si rifiutava di selezionare.
 
Il cicalino continuò, imperterrito, petulante, ossessivo, irritandola come un istrice, prima che lei riuscisse a premere quel dannato pulsante. Ottenne, però, il risultato di farle aprire completamente gli occhi. Oh no! Le otto meno un quarto. Aveva appena un’ora di tempo per infilarsi nei vestiti e caracollare in ufficio. Roby se n’era andato già, quatto quatto, e chissà se aveva tentato di svegliarla.
 
Non poteva fare tardi! Aveva il briefing col suo capo alle 10 in punto e non poteva sgarrare di un minuto. Coraggio! Arcuò la schiena sul letto e con uno scatto di reni  si fiondò fuori dalle lenzuola. Mentre si precipitava verso il bagno, novello Speedy Gonzales, sfilò il pigiama, lasciandolo morbidamente sospeso a mezz’aria prima che si afflosciasse a terra. Aprì il vano doccia, infilò la cuffia. Fu allora che si accorse del “coniglietto” che la salutava dal mobile consolle dove l’aveva dimenticato la sera prima. “Cazzo! Roby se ne sarà accorto.” – non che gliene fregasse nulla, ma la irritava che si accorgesse delle sue debolezze.
 
Velocemente lo ripose nello scatolo sagomato in cui abitualmente riposava dalle fatiche a cui lo costringeva e lo chiuse nel cassetto del mobile da bagno, girando la chiave che infilò in un altro cassetto, sotto gli asciugamani riservati a lei. Che l’avesse visto il marito non gliene fregava di meno, perché conosceva le sue abitudini e si era abituato, ma le dava ai nervi se l’avesse scoperto la cameriera che sarebbe arrivata di lì a poco per le pulizie. Si sa come sono le donne di servizio! La notizia avrebbe fatto il giro del vicinato. Quelle pettegole sempre pronte a sparlare a destra e a sinistra!
 
Chissà quante di loro ne usavano e abusavano di quegli animaletti tanto servizievoli, ma saperlo da una cameriera non è al top! Aveva perduto abbastanza tempo e maledì la sua stupidaggine della sera prima. Si docciò, lustrò e levigò con vigore. Poi tirò fuori dalla cuffia da doccia i capelli e li spazzolò rapidamente. Per fortuna non erano troppo lunghi. Indossò le mutandine  a culotte di pizzo nero per contenere i fianchi e il lato B, ben in carne, il reggiseno push-up nero a bretelline, di cui non poteva fare a meno, dato il seno piccolo; quindi le calze velate autoreggenti di un nero appena visibile e la corta sottoveste. Si aggiustò le bretelline. 
 
Infilò, poi, la camicetta fucsia in georgette di seta con collo a listino chiuso da due bottoni. Si guardò le arricciature che cadevano dal taglio sartoriale della manica. Allacciò i morbidi bottoni foderati in tessuto e infilò i pantaloni del tajer  nero. Un’ultima spazzolata per ammorbidire la piega dei capelli e si infilò la giacca attillata. Salì sulle scarpe tacco dieci nere e corse a prendere la borsa. Controllò che ci fosse tutto il solito “superfluo” (non si sa mai), infilò sotto il braccio la busta pull-king portadocumenti con le scartoffie d’ufficio degli ultimi aggiornamenti. Prese le chiavi della macchina e, di corsa, indossò il morbido cappottino nero che s’era comprato ultimamente.
 
Mentre apriva la porta, la cameriera s’intrufolò nel vano d’ingresso con la chiave puntata verso la toppa che le si era dissolta davanti per l’improvviso dischiudersi dell’uscio; così che dovettero farsi di lato entrambe, lasciando lo spazio sufficiente per chi entrava e per chi usciva. 
“Buongiorno Signora…!” – la donna la salutò con la solita aria di sofferenza che le era congeniale. 
“Buongiorno Clara! Tutto bene?” – rispose gioviale Nanà, più per tirarla su che per altro. Non si fermò a sentire, in risposta, l’elenco dei i malanni che stava subendo la povera Clara e che si erano acuiti durante la notte. Aveva già aperto la portiera della macchina, inforcando gli occhiali da sole che le traballavano sul naso, come ogni donna destata all’alba, indifferente al fatto che fuori ci fosse il sole o la tempesta, prima di cadere al posto di guida, girare l’accensione e innestare la marcia, al primo ruggito del motore. E già la circonvallazione scorreva rapidamente, indirizzandola verso l’ufficio. 
 
Si arrestò nel parcheggio autorizzato agli impiegati, chiuse la macchina ed entrò nell’ascensore che la portava al decimo piano. Approfittò della sosta obbligata dal tele-trasporto per riporre gli occhiali nella borsa.
“Buongiorno Signora…!” – i saluti le fioccavano intorno.
“Buongiorno…!” – le sembrava di avere già visto quel film. 
“Ciao…!” “Ciao…!” – colleghe stronze! 
“Il capo è già arrivato.!”– le comunicò, apprensiva, Franca, la sua aiutante, andandole incontro. 
“È in anticipo oggi!” – scherzò lei – “Ha chiesto di me?” 
“Non ancora.”– ma fu interrotta dall’interfonico che chiamava dalla scrivania di Nanà. Fissarono entrambe l’apparecchio. 
“Rispondo io.” – sorrise Nanà. Franca si allontanò, sollevata, mentre lei poggiava la borsa sul tavolo e si levava il cappotto, buttandolo sulla poltroncina lì accanto.
 
“Buongiorno Gianfranco! Tutto bene? Si vengo subito con le carte.” – ormai c’era una certa familiarità anche se non mancava mai la correttezza nei loro rapporti. 
Si dette un filo di trucco color fucsia, più attenuato rispetto alla camicetta, sulle labbra, una ravviata ai capelli, una spruzzatina del suo profumo preferito, appese il cappotto all’omino dell’attaccapanni a muro, prese il portadocumenti col suo contenuto  e salutò Franca, agitando le dita della mano sinistra, con un: “Ciao. – e, arrochendo la voce – Vado dal Capo.”. La collega assentì senza guardarla, continuando a pestare, veloce, la tastiera del computer. Quando fu passata le misurò il di dietro. “Ha un bel culo, però!” – annotò l’ennesima constatazione da quando l’aveva conosciuta, prima di rimettersi al lavoro.
 
Non era l’unica, d’altronde, ad esprimere quel giudizio. Anche al Capo sembrava non essere indifferente. L’apprezzava. Apprezzava le sue doti perché era un ragazza sveglia, preparata, pronta a imparare e piena di inventiva e iniziativa. E poi… aveva un culo da sballo che glielo faceva rizzare in piedi a solo soffermarsi a guardarla. E… vestiva bene, con molto gusto. Uomini! Sempre pronti a farsi traviare da un buco femminile. Lui cercava di non venire mai coinvolto sentimentalmente. In ufficio è bene mantenere le distanze per concentrarsi sul lavoro. Era il suo motto. Sapeva che era sposata; aveva anche conosciuto il marito. Gianfranco voleva restare una persona seria, ligia al dovere e… costumata.
 
Nanà entrò nella stanza con uno smagliante sorriso: “Buongiorno! – e aggiunse – “Ho portato la relazione sull’azienda che ci ha commissionato la campagna promozionale  della pasta alimentare.” 
“Ciao Nanà! Accomodati.” rispose il Capo con un sorriso sussiegoso; era sempre così di primo mattino – “Vediamo subito…”. Cercò di non guardarla, ma l’aveva osservata benissimo mentre chiudeva la porta, girandosi di tre quarti, e aveva sentito qualcosa che s’agitava lì, in fondo alle mutande. Ma era bene farsi passare i bollori. 
 
Il briefing fu proficuo e passarono tutto all’art-director, Gianni Filograno, per la parte visuale, grafica e fotografica del progetto. 
“Sei stata stupenda!” – le confermò il Capo – “Mi raccomando segui Gianni. A volte è troppo estroso. Ora andiamo a prendere qualcosa al bar?”. Erano le dodici ed un break ci voleva. 
Chiamò all’interfonico e avvisò la segretaria: “Marisa, se mi vuoi sono al bar. Passami le comunicazioni al cellulare aziendale.”. “Va bene!”  rispose, accondiscendente, l’interpellata. 
“A proposito, Nanà viene con me.”. 
“OK!” si sentiva che aveva deglutito male; rivelava un certo indefinito risentimento verso Nanà, forse per istinto femminile, contro una potenziale concorrente.
 
Uscirono dalla porta che dava sul corridoio secondario, dove non c’erano affacci degli uffici; portava direttamente all’ascensore che usavano i dirigenti. Il Capo le mise una mano sulla spalla e la pilotò verso la direzione che lei conosceva benissimo. 
“Come va con tuo marito?”  chiese con innocente bonomia. 
“Bene. Come al solito…”  non precisò altro, con una certa indifferenza. Erano cazzi suoi. Il piccolo corridoio era isolato, quasi riservato al dirigente e Gianfranco la pilotò al vicino ascensore. Le piaceva il gesto protettivo con cui Gianfranco le poggiava la mano sulla spalla. 
 
Si sentiva tranquilla: il gesto di tenera amicizia restava tra loro e le faceva molto piacere. Non poteva, certo, sapere se qualcun altro fosse già nell’ascensore e, mentre arrivava al piano e stava per aprirsi, si sfilò dalla mano che le poggiava sulla spalla, avanzando di un passo, in modo da entrare per prima nell’ascensore, non appena si fosse aperta la porta a scomparsa. 
A quell’ora, molto probabilmente, altri sarebbero scesi al quarto piano per rifocillarsi al bar dell’azienda. Quello era l’ascensore dei capi e non le sarebbe piaciuto che gli altri scoprissero l’atteggiamento familiare del suo Capo. Lo trovava compromettente. Lui capì e fece scivolare via la mano, seguendola nel vano aperto. 
 
“Ciao Gianfranco.” – l’accolse il saluto del responsabile delle vendite e del capo della contabilità. 
“Ciao Gino. Carlo…!” – salutò lui, di rimando, mentre Nanà prestava un sorriso rispettoso al cenno di saluto che la raggiunse. Non gli era simpatico il capo dell’Ufficio vendite. Troppo farfallone, mentre quello dell’Ufficio contabilità lo conosceva solo per qualche buongiorno e buonasera scambiato per una decina di volte.
 
Gianfranco, invece, aveva molta familiarità con entrambi e cominciò a parlare con loro, scambiandosi informazioni, sfotticchiandosi con bonomia. Lei rimase, riservata, al posto suo. Sorrideva alle allusioni che facevano di tanto in tanto, ma per pura cortesia e per non essere tagliata fuori dalla conversazione. Gino, il Capo commerciale, di tanto in tanto le prendeva le misure e avrebbe voluto coinvolgerla maggiormente, ma lei restò con la guardia alta. 
Arrivati al Bar si separarono e Gianfranco la guidò a un tavolo appartato. Chiese cosa preferiva e ordinò i due caffè di prammatica. 
 
“Nanà – disse – la settimana prossima devo andare a incontrare un cliente a Saragozza, dalle parti di Barcellona. Lo conosci, è quello della campagna promozionale di macchine agricole prodotte in Spagna. Vorrei che mi accompagnassi, dato che sei stata tu a curare le ultime proposte. Ci tratterremo quattro giorni per il fine settimana. Vedi che è prevista una visita turistica di qualche ora. Non so dove. Va bene per te?”
 
“Eureka!” – pensò; stava per essere lanciata nel mondo degli affari. Non poteva certo dire di no, ma preferì tenere un po’ le carte in mano: “Devo solo parlarne a casa, ma non credo ci siano problemi. Ti faccio sapere domani con sicurezza.” e sorrise. 
“Puoi chiamarmi al cellulare stasera, così confermo il viaggio subito? Tanto io resto in ufficio fino a tardi.” – precisò lui. 
“Va benissimo. Appena ho sistemato tutto ti chiamo.” – aggiunse. Doveva dimostrarsi il più disponibile possibile senza sembrare troppo servile.
 
Tornarono in ufficio e ciascuno riprese le sue attività, in più Nanà andò a rispolverare il fascicolo della Hidalagrìcola per preparasi al viaggio. Suo marito avrebbe protestato un po’, ma null’altro. Non aveva certo timore del diniego di Roberto, anzi, non ci pensava proprio, abituata come era a gestire la vita al meglio per raggiungere i suoi scopi, qualsiasi essi fossero. In quel caso, poi, ne andava della sua carriera! Ci teneva molto ed era gelosa della sua indipendenza. Erano quasi le 15, quando vide sopraggiungere Cinzia.
 
Una grande puttana che voleva fare carriera: così la giudicavano un po’ tutti, anche se nessuno si esprimeva. D’altro canto, sospirò, quella era anche la sua aspirazione, ma quest’idea l’irritò. Che ci faceva lì, quella stronza? Salutò facendo ruotare le dita. Ladra, puttana! Di solito era addetta all’ufficio del personale. Per forza, con quel personale! Slanciata, alta sui tacchi vertiginosi, gonna moderatamente corta (e già, stava pur sempre in ufficio e doveva contenersi), perfettamente truccata (come faceva ad esserlo sempre?),  i capelli raccolti indietro in uno chignon morbido, aveva due occhi che variavano dal blu intenso al verde cupo (Cazzo! Tutte le fortune con lei). La tigre avanzava flessuosa nella foresta pluviale.
 
Quando la scorgevano il mondo zittiva. Era stata la donna delle pulizie in un’impresa esterna a contratto, prima di iniziare la scalata, e (chissà perché?) era stata assunta al Personale. O meglio, perché non bisognava avere requisiti professionali adeguati. Bastava una generica conoscenza per fare la dattilografa. E lei lo sapeva fare, e bene. Aveva imparato rapidamente a preparare schemi di orari e rilevazione delle presenze. 
 
Donna intelligente (doveva ammetterlo, purtroppo) era passata a gestire le autorizzazioni per le missione e poi tutta la trafila fino a collaborare col capo del suo Ufficio per i trasferimenti del personale da un settore all’altro, da una sede all’altra. A quel punto non poteva andare oltre per difetto di preparazione giuridica e si limitava ad operare i controlli di routine con ampiezza di discrezionalità che la faceva temere da tutti. Fino ad allora non c’era stato nessun attrito con Nanà. Solo la fama che la precedeva le creava dei pregiudizi.
 
Bussò alla porta di Gianfranco e scomparve dietro. Evidentemente quel giorno aveva i denti affilati ed era in cerca di sangue fresco. Gianfranco era un buon uomo. O meglio, un uomo buono. Sincero, corretto, generoso, preparato e pieno di inventiva. Nanà non sapeva se era stato sposato o meno, ma a lei sembrava di sì. Doveva avere avuto un’esperienza non del tutto positiva. Buoni rapporti con tutti, ma a giusta distanza. Motivava molto i suoi collaboratori e pretendeva il meglio da tutti. Iniettava in loro la giusta, rispettosa familiarità che fa di un ufficio una squadra.
 
Cazzo! Proprio ora doveva rompere le uova, quella cogliona super carrozzata. Le salì il sangue al cervello. Quella stronza non doveva intromettersi! Appena si chiuse la porta, si alzò e andò a prendere la cartellina che conteneva i piani di programmazione della Hidalagrìcola. Cinque minuti dopo bussò anche lei alla porta del Capo. 
Nina Dorotea

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