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Giulia. La quotidianità (Capitolo III)

By 25 Luglio 2020Agosto 6th, 2020No Comments

La quotidianità.

Giulia e la figliastra sono tornate a casa. Lunedì il lavoro riprende. Giulia non ha nemmeno salutato le sue amiche. È rientrata a casa ed è rimasta a vagare nella stanza tutto il giorno, passando gli occhi continuamente tra file di lavoro, sul computer. Ha avuto la necessità di avere il cervello occupato su quello per non pensare a quanto successo in spiaggia. Così per tutta la domenica. Non sa nemmeno cosa possa avere fatto la figliastra da quando son rientrate in poi. Giulia ha solamente spiluccato qualcosa nel tardo pomeriggio e di buon’ora è andata a dormire.

È lunedì. L’alba ha iniziato a filtrare pigramente attraverso le tende della stanza di Giulia. Le illumina i lineamenti fini del volto. Non ha dormito bene. Le coperte sono completamente smosse. Una gamba esce dalla copertura, mostrando la splendida forma e terminando in quei piedi piccoli, perfetti, percorsi appena da alcune vene sotto alla pelle morbida. Muove gli occhi. Si muove appena, mugolando leggermente. Si risveglia senza aprire di colpo gli occhi. Istintivamente muove la mano destra tra le cosce. È umida come se fosse venuta durante la notte, come se si fosse masturbata come una forsennata e non si fosse neanche preoccupata di pulire il lenzuolo. Ma non ricorda sia successo. Si accarezza il sesso, lentamente. Solleva la mano da sotto le coperte e inspira leggermente quel profumo. Si passa le dita sulle labbra, per un attimo. Ribalta poi pigramente le coperte ed esce dal letto, senza preoccuparsi di sistemarlo. Lo farà la donna di servizio.

Si infila in doccia e da lì riparte l’ordinaria routine.

Dopo qualche decina di minuti esce, con molto anticipo rispetto al solito, dalla stanza: addosso ha un tailleur nero, dal taglio classico. La giacca si adagia comodamente sulle forme del suo corpo, coperto ovviamente dal reggiseno che non ha questa grossa necessità, visto il seno sodo, e da una camicetta bianca, ben poco scollata, per la poca gioia di chi ci convive ogni giorno in ufficio. La gonna attillata copre le mutandine fresche di lavaggio, che già portano il profumo morbido del suo sesso appena lavato. Quella gonna evidenzia le cosce tornite quanto basta a renderla eccitante, nell’elegante semplicità che si porta addosso. Ai piedi porta due scarpe alte, dal taglio classico. Si è truccata leggermente, prima di uscire. I capelli sono raccolti in un elegante chignon sopra la nuca. Sono così esposte le sue orecchie dal taglio perfetto, morbido.

Si avvia verso la macchina e si dirige in ufficio.

Solamente a questo punto inizio a toccare la storia di Giulia.

Io sono un analista di mercato di un’azienda concorrente alla holding del marito di Giulia. Sono molto conosciuto per la mia spregiudicatezza. Sono sul campo da appena due anni ma sono già conosciuto per il fiuto in alcuni affari, che hanno portato l’azienda per cui lavoro a spiazzare quella del marito di Giulia molto spesso, di recente. A una cena in Francia ho conosciuto il marito di Giulia. È un vecchio squalo. Dalla prima occhiata alle persone capisce dove queste vogliano andare a parare. Si muoveva in quell’ambiente con il fare di chi conosce troppo bene quel che sta per succedere. Fingendo di essere a proprio agio a quelle inutili cene di lavoro. Che lui rende produttive, a scapito di altri. Mi ha parlato a lungo della sua azienda, offrendomi un posto di lavoro allettante. Ha chiesto quali siano i miei attuali benefit. Ho finto al rialzo molte cose e ovviamente lui lo ha capito, ma non ha fatto nulla per abbassare l’offerta da lui fattami. Lunedì mattina ho un appuntamento in azienda. Dovrei incontrare il direttore del personale dell’azienda di cui Giulia è direttrice. Un colloquio riservato.

Sono le 8 di mattina. Sono uscito dalla doccia da qualche minuto, mentre mi aggiro nudo per la stanza. Il mio fisico non è nulla di particolare. Sicuramente non è quello tipico del tagliatore di teste, né tantomeno di chi fa il mio mestiere. Sono alto un metro e ottanta centimetri. Peso settantotto chili. Ho fatto molti sport in vita mia, fin dalla tenera età, che mi hanno cesellato due spalle molto ampie, muscolose. Il torace ampio ne è diretta conseguenza. I muscoli del mio corpo non sono eccessivamente ingombranti o tonici. Li tengo allenati quanto basta, in palestra e a corpo libero. Di fronte allo specchio mi guardo negli occhi castani. Con il rasoio da barbiere sistemo la barba, di media lunghezza, sulle guance. Sistemo anche sulla gola. Un taglio perfetto. L’occhio tutt’altro che vispo mostra il fatto che il rasoio ormai è integrato con i movimenti della mano. Non un pelo fuori posto. Lo riposo sul lavandino. Sciacquo le guance e passo una mano tra i capelli corti. Mi vesto. 

Alle 8 ricevuto una chiamata dal marito di Giulia. Mi dice che sarà la dirigente dell’azienda a farmi il colloquio. Sto in silenzio per tutta la chiamata. Mi dice che è sua moglie. Saluto con un “ok”.

 

Giulia sta parcheggiando vicino all’ufficio. Poco dopo le 8 riceve una telefonata. È il marito. Il capo del personale ha l’influenza. Dovrà tenere un colloquio molto importante con un analista che deve rubare all’azienda avversaria. “È molto importante” è il mantra della telefonata. Il marito lo ripete all’infinito. Chiude in modo strano, senza salutare: “Dobbiamo strapparlo alla concorrenza. Non fare errori. È essenziale”. Fine della conversazione.

 

L’appuntamento è alle 9.30. Io arrivo alle 9.25 nella portineria del palazzo. Chiedo della Dottoressa ***, con cui il marito mi ha fissato un appuntamento urgente. In portineria mi guardano male. Normalmente nell’ambiente si vive con le guance ben rasate e la cravatta. Io mi presento senza cravatta, la camicia sbottonata e una barba di media lunghezza, curata, dai baffi molto spessi. Capelli molto corti, di rasatura a macchinetta, perfettamente omogenea. Attendo il permesso per salire e mi avvio.

A parte quei due particolari di mancato rispetto del “dresscode” non scritto il completo è di alta qualità, perfettamente aderente alle gambe, senza esagerazione. La giacca è ovviamente su misura, ma nonostante ciò fatica a contenere le spalle. La camicia è perfettamente stirata, bianca, intonsa. Ai piedi calzo un paio di scarpe eleganti dal taglio sportivo.

Mi avvio verso l’ufficio, ignorando la portineria del piano dell’azienda, che cerca di fermarmi. Chiedo informazioni a una ragazza che incontro sulla strada e mi avvio verso l’ufficio di Giulia.

Fuori dalla porta controllo la targa. Busso e attendo.

“Avanti”, sento provenire dall’interno la voce di una donna che risponde con un tono fermo, leggermente pigro. Probabilmente si aspetta che sia la segretaria.

Apro la porta con la mano destra. Entro senza rivolgere le spalle. Chiudo la porta con la sinistra alle mie spalle. Non faccio alcun cenno del capo o altro. “Buongiorno, Dottoressa”, dico iniziando a studiare con attenzione l’ufficio, l’aspetto della donna che ho di fronte, seduta alla scrivania.

“Beh non si usa farsi annunciare?” dice Giulia sollevando lo sguardo verso di me. “Chi è lei?”. Giulia è irrigidita, sembra indecisa se chiamare o meno la sicurezza. Mi osserva con le mani ancora ferme sui tasti del computer. 

Alla sua domanda alzo il sopracciglio sinistro e tiro un sospiro lieve, palesemente seccato. Fisso i suoi occhi neri. “Sono Francesco ***, presumo suo marito le abbia annunciato dell’incontro che dovremmo tenere oggi. Pensavo ci fosse serio interesse. Vista l’accoglienza vedo di togliere il disturbo”, dico in tono gelido, prima di voltarmi e prendere il pomello della porta nuovamente con la destra.

“Aspetti un momento”, dice Giulia togliendo le mani dal computer e rivolgendosi completamente nella mia direzione, “forse non abbiamo cominciato bene”. Prosegue con un tono più basso, allungando poi leggermente la mano destra a indicare una delle poltroncine poste di fronte alla sua scrivania. “Si accomodi”, mi dice, senza ritrarre la mano. È palesemente imbarazzata.

Rimango per un attimo con il pomello in mano, dandole le spalle. All’ultima frase mi volto e la osservo, senza accomodarmi. La fisso, studio i tuoi occhi neri, il trucco con cui li evidenzia. Studio la tua capigliatura, i capelli raccolti, le orecchie e anche lei palesemente vede che la sto studiando. Non spiaccico parola. In quello studio lento, insisto particolarmente sulle sue labbra e sulle sue orecchie, mentre studio il tuo viso.

Non mi muovo di un passo dalla porta. Semplicemente non esco e la fisso.

Giulia mi osserva. “Dobbiamo parlare”, mi dice cercando di riportare rigidità nel suo tono di voce.

La fisso a mia volta, senza mai smettere di studiarla. Al fatto che dovremmo parlare annuisco, ma non spiaccico parola. Slaccio la giacca solo ora, metto le mani in tasca e inizio a girare in tondo per l’ufficio, osservando ogni particolare. Giro in tondo rispetto al tavolo di Giulia e arrivo alle sue spalle.

Lei è imperturbabile. Rimane a fissare la posizione da cui son partito per il mio giro esplorativo: “Allora è soddisfatto dell’esame?” chiede con tono ironico, senza perdere la rigidità ritrovata, “…e non mi stia alle spalle”, dice con una sfumatura leggermente seccata.

Studio la sua sagoma, da dietro, le orecchie, esposte dalla capigliatura. 

“Penso che non sia io a dover parlare”, dico tornando nel suo spettro visivo. “È suo marito che vuole offrirmi qualcosa. Sono io che necessito un offerta. Quindi ascolto” ti dico posizionandomi comodo sulla poltroncina davanti alla tua scrivania, accavallando le gambe. 

 

Ora mi sono accomodato.

Lei non ha mai cambiato la sua posizione, con le gambe accavallate. Tiene in modo composto le mani sulla scrivania, leggermente sovrapposte: “Sì, certo. Pensavo che il lato economico fosse già stato esaminato”, dice osservandomi. “Il lavoro lo conosce, quindi…”, dice allargando le mani, “non saprei che dirle”. 

Sento bussare alle mie spalle.

“Avanti”, risponde Giulia con il medesimo tono con cui mi aveva accolto, rivolgendo uno sguardo alla porta, staccandolo dalla mia figura.

Entra una giovane ragazza, magra, dai lunghi capelli rossi, mossi, due occhi neri incastonati in un viso dalla forma squadrata, la pelle estremamente lentigginosa. I capelli le arrivano fin quasi sopra al culo, piccolo e sodo, avvolto in un tailleur che sembra fare la coppia di quello di Giulia. Il fisico slanciato di questa ragazza attira il mio sguardo, la stoffa del vestito le ricade dolcemente sui seni molto ridotti e sulle cosce tornite e sode. I tacchi che porta ai piedi, dal collo nudo, risuonano nella stanza. Sembra una modella sfuggita da una passerella, anche nel portamento. 

“Dimmi, Rita. Cosa c’è?”, le chiede con un malcelato tono infastidito, coperto da un innaturalissimo velo di gentilezza. 

Osservo quella ragazza che fa il giro della scrivania, non mi rivolge uno sguardo e si pone a fianco di Giulia, in piedi. Le fisso il culo, senza il benché minimo ritegno. La segretaria sussurra qualcosa all’orecchio di Giulia e lascia una pila di fogli sul tavolo: palesemente una proposta di contratto faxata.

La donna osserva la carta e la legge di sfuggita. Giulia ha osservato maggiormente me della segretaria. Nota tutti gli sguardi che ho rivolto a Rita. Mi osserva come se stesse osservando un porco schifoso. “Leggo che sulla componente economica e sui benefit è già stato deciso”, mi dice con un tono gelido. 

“Certamente, come può ben immaginare” ti dico sorridendo, tornando a fissare il culo di Rita, mentre esce.

Giulia è infastidita.

Non tolgo il sorriso dal mio volto, mentre torno a fissarle i profondi occhi neri. “Volevo vedere quali fossero gli altri elementi del lavoro. Lei dovrà dirigermi, sa.”. Fisso il fastidio palese nello sguardo di lei.

“Certamente, lo so”. Sbuffa.

“E io non sono abituato ad avere capi. Intende, vero?”, chiedo mentre il piede della gamba accavallata ciondola pigramente, senza togliermi dal viso quel sorriso sempre più fastidioso.

Non tolgo lo sguardo dal suo viso per un attimo.

“Dovra abituarsi, se collaboreremo”, mi risponde con un’espressione imperturbabile del viso.

“Qualcuno dovrà abituarsi, ha ragione”, dico sorridendo, mentre mi alzo e dalla tasca prendo un bigliettino da visita e lo lascio sulla scrivania, con fare sufficiente.

“Va bene, le farò sapere…”, mi dice Giulia senza rivolgere uno sguardo al bigliettino e seguendo i miei movimenti.

“Quello è il mio numero di telefono personale. Io non ho orari di lavoro. I miei metodi glieli descriverà suo marito. Per il resto chiami a quel numero. È chiaro?”

Giulia prende il biglietto e lo osserva. Il bigliettino è completamente vuoto, c’è solamente scritto nome, cognome e un numero di telefono cellulare

“Ok, come ho detto, le faro sapere”, mi risponde nuovamente con un tono di voce piatto.

Annuisco. “A presto” dico sorridendo e salutando con un cenno del capo.

“Buongiorno”, risponde Giulia.

 

Chiudo la porta alle mie spalle.

 

 

 

Passano dieci minuti e qualcuno bussa alla porta di Giulia.

“Avanti”, con il consueto tono di voce.

Entra Rita, palesemente irritata e con gli occhi neri sgranati. Chiude la porta alle sue spalle.

“Che succede?”, chiede Giulia osservandola.

“Quel tizio”, dice con la voce leggermente tremolante, “uscendo mi ha salutata… calorosamente”. Giulia la osserva assottigliando lo sguardo. “E mi ha dato una pacca sul sedere… forse… non saprei se volontariamente… o meno…” dice mentre Giulia la osserva senza espressione in viso. Dentro di sé quel termine risuona a lungo. Istintivamente cambia il verso con cui accavalla le gambe, sentendo un leggero fremito partirle dal cervello, percorrerle la schiena e raggiungere le sue di natiche, che ancora bruciano dalle sculacciate in spiaggia.

“Ne terrò conto”, dice Giulia tornando con lo sguardo al computer e congedandola in quel modo. 

Rita prende la maniglia della porta in mano. “Mi ha lasciato un biglietto da visita e mi ha scritto un indirizzo. Mi ha detto di telefonargli appena finito di lavorare. Mi avrebbe ospitata da lui”. 

“Non mi riguarda, faccia come crede”, risponde Giulia, dal volto sempre più inanimato.

“Non andrò” soffia Rita, mentre apre e chiude la porta alle sue spalle.

Giulia osserva la porta, certa che quella informazione sia già passata anche dal marito.

Gli occhi sono pieni di rabbia.

Dopo una mezz’ora, a tramonto passato, Giulia si avvia verso l’uscita.

Le suona il telefono. Un SMS da un numero che non ha in rubrica.

“Vorresti fare a cambio. Ne sono certo”.

Giulia non risponde e si avvia verso casa.

 

Lee

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