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Gli uomini di Alma – capitolo 13

By 2 Ottobre 2020Ottobre 17th, 2020No Comments
Orgia, caro Diario!
Perdetti ogni freno inibitore. Mi lanciai, pronta a offrirgli le parti sensibili più intime. Ero fuori di testa. Non mi accorsi che già stavo gemendo, mugolando e smaniando, mentre carezzavo ruvidamente con le unghie, le spalle, le anche e il culo del mio povero buon Principe, scosso dai brividi che gli procuravo. Anche lui era pronto a raggiungermi nel Walhalla del piacere. 
 
In quell’istante avvertii qualcosa di solido che si materializzava alle mie spalle, nei pressi delle crespe dell’ano. Pensai che Teo, il Principe, si stesse insinuando nel sedere, come spesso aveva fatto in passato ma…, non era possibile! Non potevo avere il “matterello” del Principe tra le mani e prenderlo, allo stesso tempo, fra le chiappe, a meno che il prodigioso “uccellone” non avesse il dono dell’ubiquità o della moltiplicazione uccellare (pardon), unicellulare. 
 
Così, dolce, delicato, servile, quasi, e allo stesso tempo turgido e teso, era quando lo toccai, arraffandolo con la mano girata dietro le mie spalle. Lo misurai per la parte che restava fuori dall’anello del mio sfintere. Era duro, umido, lubrificato e intensamente gonfio per lo sforzo di penetrarmi. 
 
Come se mi destassi da un sogno volli guardare in viso il proprietario di tanta inusitata sensibilità. La maschera del Toro, sbuffante, si rivelò, mentre  mi inculava; scalpitava, gustando saporosamente il vestibolo del mio intestino crasso. Tenerissimo era il tocco dell’albero a camma, quanto consistente la sostanza. Richiamata dai miei sogni principeschi alla “dura” realtà da affrontare, e agevolare, mi resi conto, con stupore, che ero circondata da tramestii, soffi, mugolii, accompagnati da grida di soddisfazione più che di espiazione; accompagnavano il tutto un ronfare da gatti in calore, un ansimare, un continuo, ripetuto pestare nel mortaio; lamenti e espressioni di gioia si confondevano,  esplodendo in ogni angolo del salone.
 
Provai un moto d’orgoglio al pensiero che stavano seguendo il mio esempio, attuando le pratiche a cui avevo dato il via. Avevo aperte le danze senza accorgermene. Ma il Toro aveva avuto l’ardire di mirare in  alto. Gli era saltato il ghiribizzo di prendere l’iniziativa nei miei confronti. Andava premiato! Così gli allargai l’ingresso e la sua asta scivolò rapida verso la meta agognata. 
 
Come una supposta ben oliata, scivolava lucido l’attrezzo nella condotta che portava al reciproco piacere. Lo sentivo vibrare, tronfio e teso; entrava dalla porta di servizio (e che servizio!), mentre dall’altro lato del bastione, all’ingresso monumentale, il Principe bussava, ben accetto, trovando la strada sgombra. Mi spalancai ancora di più davanti al conquistatore, glorificandolo con i miei peana. A gambe aperte godevo dei benefici proventi rivenienti dai due beccafichi che, dalle ante schiavardate al “bendidio”, banchettavano dentro il mio corpo. Provai la sensazione di torpida pienezza, così com’ero ricolma di beatitudine davanti e di dietro.
 
Sentii la necessità di sdraiarmi per stare più comoda e, quindi, li guidai, come un grappolo d’acini, sui cuscini più vicini. Lì si agitavano, verminosi, Satiro e Diavoletto, leccati dalla Capra. Diavoletto era inculata a sangue da Satiro. Capra, gran bella fica, intanto agitava vorticosamente il bastoncello di Diavoletto, o meglio di Diavoletta/Marcella, che smaniava a s’agitava, non mancando, però, di strizzare i capezzoli di Capra e approfittava. con l’altra mano per suonarle la mandola, schiaffandole il pugno nella buca. Capra arrivò a dilatare fino allo spasimo il rosone davanti.
 
Il Principe, intanto, sdraiatosi, aveva innalzato il vessillo su cui la mia lascivia andò a cozzare, conficcando la colomba, in affannosa fretta, dall’unica parte da cui ne avrebbe ricavato completo appagamento. Penetrò subito, profondamente nella guaina, dandomi la goduria di essere affettata dalla grossa scimitarra. Balzai dritta in alto, come su di un respingente, per scendere poi a velocità supersonica lungo quell’asta dura come il ferro, di seguito, mille e mille volte. Intanto, i miei occhi dilatati esploravano, ingordi di lussuria, negli angoli della sala, alla ricerca di stimoli sessuali e ricevendone le oscenità amorose più ardite che avessero mai sperato di registrare.
 
Su ammassi informi di cuscini sprimacciati si pestavano, famelici  corpi nudi, contorti dagli spasmi del delirio di possesso; cosce voluttuose si aprivano, offrendo il loro frutto maturo; seni arditi si agitavano, rimbalzando su cappelle di un rosso cardinalizio; capezzoli stirati venivano vellicati, masticati, risucchiati e rigettati; ardite, dure colonne di carne sprofondavano inghiottite da improvvisi prolungati voragini di gole profonde e di buchi, asole e anelli che potessero provocare il massimo dell’eretismo nella promiscuità assoluta. Ciascuno godeva di quel che poteva dal vicino; lo masturbava, sgualciva, mastruzzava, succhiando, soffiando, baciando, ingoiando, leccando e mordendo. 
 
Accanto all’ammasso dei morbidi pouf, sul ripiano delle colonnine in ferro stile liberty, erano disposti: anfore dispensatrici di olio lubrificante e rotoli di fazzoletti igienici profumati. Lampade a cera, a fiamma libera emanavano aromi inebrianti. Erano profuse, inoltre, confezioni di preservativi, per chi ne sentisse l’improbabile necessità. 
 
In tutta quella confusione, la testa cominciò a vorticarmi, mentre intrattenevo, da brava anfitrione, i due vesponi che brulicavano nel mio favo. Il torello s’era posizionato al contrario sulle gambe del mio Principe, in modo da prendermi alle spalle, mentre guardavo il Principe, ed usufruiva della spinta di reni che io sviluppavo per infilzarmi col suo palo. Così mi frullava l’ano, inserendomi il trapano nello sfintere, mentre cavalcavo il destriero del Principe.
 
Estrema goduria, ma anche una fatica notevole per contenerli entrambi. Mi sentivo pesante. Peggio che essere gravida! Lo sfregamento contemporaneo dei due pali mi procurava, tuttavia, una indicibile, forzata goduria. Il moto sussultorio era continuo e il gioco valeva la… candela. 
 
Intanto, in giro per la sala l’attività continuava alacremente e si moltiplicavano coiti, masturbazioni e fellatio prolungati. Gemiti, mugolii soddisfatti, sospiri di sollievo volavano nell’aria, mentre Capre, Asini, Cervi, Diavoletti e tutta la compagnia si alternava nel possesso di una potta, di un cazzo, di qualsiasi porzione di arto umano che fungesse da stimolo sessuale. Giocavano, titillavano, leccavano prima di sbranarsi, metaforicamente, l’un l’altro, l’una l’altra o l’un l’altra.
 
Inebriata dallo stimolante, estremo, intrigante spettacolo di impudenza mi lasciai trascinare da una nuova fantasia. Dovevo soddisfarla, e subito! Alzatami dal destriero che mi stava pascolando nella vulva, con sconcerto e disappunto del Principe in procinto di eiaculare, abbandonai la postazione, tradendo anche il proprietario del giunto idraulico che mi stava rovistando lo sfintere, lasciandolo di stucco. 
 
Questi, il Toro, sentendo che mi sfilavo dal supporto che mi occludeva l’ano, disorientato, non si frenò in tempo. Così provocai l’eruttazione irrefrenabile dei due vergoni che mi inondarono cosce, culo e topa. Battei le mani e le alzai, alte sul capo. La plebe si fermò, immobilizzandosi nella posizione raggiunta, e guardò  verso la Regina di Cuori pronta ad obbedire ai suoi ordini. Mi apprestai a comandare una variante del gioco.
 
Feci segno di ammucchiare i cuscini al centro della sala. Tutti si mossero per eseguire l’ordine, mentre il Satiro, ridendo, sornione, forniva il mio Principe di un frustino, un nerbo a mille frange per fustigazione. Il Principe, diligentemente, si alzò proiettando a destra e a manca la scolatura di sperma che ornava la sua “prolunga” ancora turgida, e, schizzando la massa dei dannati con il suo liquido colloso. Si dette a fustigare quei forzati del sesso a destra e a manca, senza risparmio , perché obbedissero celermente al comando.
 
Le frustate, sia pur contenute in un limite ragionevole di impatto, dovevano essere ben pesanti, perché i fustigati, al tocco,  si torcevano e acceleravano l’esecuzione dell’opera. In breve un tappeto di cuscini si accatastò ai miei piedi. Allora mi volsi al Principe e gli feci capire quel che volevo. Tutti si cosparsero il corpo utilizzando il lubrificante contenuto nei flaconi disposti sui piedistalli intorno alla sala.
 
Ciascuno spalmava sull’altro il viscido liquido, maneggiando e carezzando petti, culi e tette, gambe e piedi, fiche e cazzi. Era un brulichio di lussuriosi. Feci capire al Satiro che fornisse i dildo alle donne. Fu un fulmine nel distribuirli. Mostrai al Principe che li disponesse tutti in fila indiana sui cuscini. Ciascuno doveva innestare la propria spina nella presa di chi aveva davanti e tutti dovevano avere il viso rivolto verso l’unica massima autorità: la Regina. Il Principe comprese al volo e uno alla volta scelse chi doveva congiungersi con l’altro, alternando uomini, donne e terzo sesso. Diavoletta fu la prima, seguita dal Montone, poi dalla Capra. Di seguito gli altri. 
 
Storsi il muso per la scelta del primo elemento scelto dal Principe, ma ormai era fatta. La fila compatta si stava inanellando con fervore. Ordinai con un gesto al Principe di venirmi davanti, nella mia fica, ai piedi del trono. Mi accorsi che subito Diavoletta s’innestò nel Principe  con grande gioia: il suo culo prediletto. Non avrei voluto, ma, tant’è, restava in famiglia! Quindi infilai la vulva sul bastone in tensione del Principe e, lentamente, mi lasciai scivolare sui cuscini. Sostenni l’impatto violento di Teo, aggredito e sospinto da Diavoletta, che era sventrata dal Montone, che veniva profanato dalla Capra e così via nel movimento a catena che animò l’intera fila.
 
Era un moto continuo, sembrava di essere su di uno scafo ad otto vogatori intenti a remare con il loro sesso guidati dal loro timoniere. Solo che il senso di marcia era in avanti e quindi vogavano su di me. Sostenere l’impeto di tante persone non fu facile. Schiacciata, ero senza fiato. A un certo punto la catena, per fortuna, si sfasciò. Ci fu l’arrembaggio e ciascuno prese quel che poteva. Si afferravano ai corpi come i naufraghi che stanno per affogare si aggrappano a qualsiasi cosa li possa salvare.
 
Il Principe mi braccava, continuando l’opera di scavo, mentre Cervo, la mia amata amica, mi aggrediva alle spalle col suo fallo di silicone. Vicino, Satiro spupazzava nella bocca il bastone di Diavoletta, mentre Capra se la sbatteva da dietro. Alle spalle di Capra, Toro le sbranava l’emorroidi. Di più non vidi. Troppa eccitazione, troppo godimento, troppo di tutto. Mi girava la testa per l’eccesso di tutto; mi parve di svenire, mentre, invece, continuai non so per quanto tempo ad essere sbattuta da un numero infinito di membri, veri o posticci che fossero, in pose e attitudini fantasiose, meno immaginabili possibili. A un certo punto mi accorsi di stare leccando un seno di donna, mentre mi sentivo infilata da tutte le parti, persino sotto le ascelle.
 
Non distinguevo più nulla e non mi resi conto che le luci si erano affievolite. Ardeva solo la fiamma dell’immenso camino che sembrava ci stesse bruciando in un rogo infernale. Godevo come una pazza. Molto tempo dopo, troppo poco per quel che ora di nuovo desidero, ebbi coscienza che mi circondava una calma assoluta.  Mi resi conto che stavamo dormendo nudi, attaccati e impiastricciati nei nostri liquidi organici. Vidi il corpo di un uomo che si trascinava fuori dal gruppo inanimato e cercava di arrivare nel lato della sala dove erano stipate una quantità notevole di bottigliette di acqua.
 
Provai un’arsura tremenda e cercai di districarmi dal groviglio di corpi che mi si erano incollati addosso. (continua)
Nina Dorotea

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