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La Caduta. Atto Quarto. Della decisione di Septimo, dell’elezione di Serena Prima a Comes Imperatoris e di ciò che seguì.

By 16 Novembre 2020No Comments

Septimo Nero ascoltò il rapporto. Non era confortante né piacevole.
Altre due legioni avevano disertato. Una terza si era ammutinata nella provincia di Gricea ed aveva portato allo scontro con una legione lealista. A dispetto della vittoria e del massacro dei rivoltosi, ciò aveva sottratto ulteriori forze ai suoi seguaci.
L’Imperator rimase impassibile mentre il suo consigliere, Glauco Severinio, lo aggiornava in merito alla situazione mantenendo un tono quanto più impersonale e spassionato possibile.
In realtà, Septimo lo vedeva, quell’uomo aveva paura. Un timore atroce di essere dalla parte del perdente. E quel che era peggio era che quanto stava accadendo sembrava confermarlo.
La lettera di sua sorella, giunta insieme alla testa di un assassino da lui inviato per ucciderla era stata uno schiaffo al suo orgoglio, ma Aristarda non si era fermata lì. Aveva diffuso le voci di quanto era accaduto nel palazzo imperiale l’infausta notte in cui il sacro fuoco si era spento.
Ora, tutto l’Impero sapeva di ciò che aveva fatto.
Che lui l’avesse prontamente e saldamente negato non cambiava le cose. L’ombra del sospetto, e talvolta l’assoluta fede nella sua colpevolezza, aveva spinto in molti a disertare il suo servizio. Molti altri, tra coloro che erano rimasti, erano divenuti impudenti, se non apertamente ostili ad alcuni suoi ordini.
Glauco, il consigliere che ora stava leggendo, era uno di quegli individui servili. Non aveva dato credito alle voci, era leale ed assolutamente deciso a servirlo. Septimo avrebbe voluto avere più persone come lui attorno a sé. Purtroppo, così non era.
I sacerdoti non osavano guardarlo in viso durante i riti, alcuni (come il venerato e anziano Olianus Pius) gli avevano persino pronosticato sventura e strage, rovina e morte.
Quanto ai senatori, già indisponenti e arroganti, erano divenuti ancor più insopportabili.
Septimo Nero aveva già dimostrato la propria tempra, mandando in esilio Sicrasius Varsio e facendone giustiziare la moglie dopo che questa aveva protestato vistosamente contro di lui nel foro della capitale. Ma questi atti, lungi dal rendere i suoi nemici più prudenti, o meno inclini a contrastarlo apertamente, avevano invece esasperato gli animi.
La sommossa civile a Medilanius era finita nel sangue, l’intera cittadinanza decimata su ordine del legato imperiale Flavio Valentio. I cittadini avevano imparato a stare al loro posto.
Ma gli echi di tale decisione, avallata dallo stesso Imperator, avevano procurato altri problemi.
Le proteste si erano dissipate ma le diserzioni erano aumentate. Septimo aveva cercato di riconquistare il favore dei soldati e dei cittadini con donazioni ed esenzioni fiscali e quello degli Dei con sacrifici espiatori.
In entrambi i casi, gli esiti erano stati inconcludenti: molti suoi dissidenti se n’erano comunque andati e, sebbene fosse riuscito ad impedire una massiccia diserzione di interi eserciti, aveva comunque perso diversi uomini e anche alcune fortificazioni.
Non tutti i disertori si erano apertamente schierati con Aristarda. In diversi avevano scelto di trincerarsi e combattere contro le sue forze, proclamando che sarebbe dovuto essere il Senato a decidere. Altri avevano accettato di supportare altri candidati minori al titolo di Imperator.
Septimo sorrise senza reale gioia al pensiero che se sua sorella aveva desiderato sollevare l’Impero contro di lui svelando la verità affinché tutti si schierassero al suo fianco, alla fine aveva fallito. Ma il danno restava.
La sua immagine era screditata, e gli Dei stessi parevano avergli voltato le spalle: altre due sconfitte a opera di sua sorella gli avevano sottratto la catena montuosa Pirenaicea.
Aristarda avanzava, implacabile. Tutta l’Hiberia si era sollevata con lei, e anche la Ferancia Pirenaica aveva ormai deciso di schierarsi al fianco della sorella maggiore di Septimo.
Il suo Legato e Comandante Supremo, Proximo Lario, aveva conseguito un’ennesima vittoria a Renneus, appena sul confine tra la regione dei Monti Pirenei e la Ferancia lealista.
E ora, si preparava a invadere il resto della provincia.
Septimo bevve pensoso un sorso dal calice. Dalla sua aveva ancora la Ferancia, l’intera Italica, l’Elvectia, la Perusia e le Insule Britaniche.

Restava da vedere se l’Eprius, l’Antolica e altre province apparentemente ancora fedeli avrebbero rispettato il loro vincolo al trono di Roma.
In sé, ragionava l’Imperator, la situazione non era eccessivamente grave: l’Impero non era sotto attacco da parte di terze parti esterne, i nemici interni erano (con l’eccezione di Aristarda) impegnati a darsi battaglia gli uni gli altri. Sua sorella Aristarda invece aveva l’obiettivo specifico, imperativo e assoluto di abbatterlo. Gliel’aveva reso ben chiaro.
Septimo osservò di sbieco la lettera. Le parole vergate in una calligrafia decisa ma talmente dura da squarciare la pergamena su cui erano state scritte, recavano tutto l’odio che sua sorella doveva aver provato per lui dopo aver appreso della sua trasgressione.
Congedò Glauco con un ordine secco e raggiunse la pergamena, rileggendola.

 

Fratello.
Questa lettera avrebbe dovuto essere una lettera di pace, una mediazione, un tentativo di lenire la sofferenza del popolo che noi stiamo loro infliggendo con questa nostra contesa.
Avrebbe dovuto essere così. Avrebbe dovuto.
Ma un messo, un fedele seguace di Socrax, che tu hai fatto giustiziare (e solo per questo meriteresti la morte)!, mi ha invero rivelato di ciò che hai fatto. L’orrore e la rabbia sono tanti e tali che non ne parlerò. Non serve.
Hai dissacrato l’Impero, Septimo. Gli Dei ci hanno voltato le spalle, disgustati dal tuo agire depravato, dalla tua scellerata lussuria. Anche se il nostro Impero venisse fagocitato dal Caos, anche se il retaggio di Licanes dovesse svanire da queste terre sventurate, mai potrei contemplare anche solo l’idea della più fievole tregua, figurarsi pensare a un’alleanza.
Non sei un mio pari, sei la vergogna dell’Impero e della nostra famiglia. Non sei mio fratello.
Sei un nemico, con cui io sono in guerra, e la nostra guerra si concluderà in un solo modo.
Con la tua morte, o con la mia.

 

Seguiva la firma. Nient’altro. Quella lettera era odio puro. Un odio giustificato, così sicuramente pensava sua sorella. Septimo sospirò. Aveva pensato più volte di scriverle ma a che sarebbe servito? I deboli parlano, i forti agiscono. Da che mondo e mondo era sempre stato così. Appallottolò la lettera. Pensò di gettarla nel braciere ma si trattenne.
Nessuna tregua, nessuna pace. Nessun’espiazione. Septimo ponderò come agire. Cosa fare.
Decise: l’indomani avrebbe convocato una riunione con i Legati ancora fedeli ed eventuali alleati. Fece diramare l’avviso a tutti i possibili interessati.
Dopodiché si chiuse nelle sue camere. Bevve moderatamente. Cenò. Ripensò al passato.
Aristarda lo odiava. Eppure c’era stato un tempo in cui avevano studiato sotto lo stesso Socrax, precettore eccellente. Un tempo in cui la intesa era forte. Alla cerimonia per la maggiore età di lui, fu Aristarda a reggere il cerum veritas e ad annodargli la cinta in vita come voleva la tradizione. E quando lei ebbe a svolgere il proprio servizio religioso, fu sempre lui a farle visita nella serenità del suo eremo. Parlavano, all’epoca.
In realtà, Septimo sapeva che, pur non potendo riaverla al suo fianco come sorella, non poteva che sentire la mancanza di una simile complicità. Era quello a fare male.

Gli altri fratelli e sorelle, illegittimi figli nati dai rapporti di suo padre con amanti ignote, non gli erano cari in alcun modo, erano poco più che estranei.  Dursillia Exima Nera, lei gli era stata ben cara. Ma solo per saziare la sua lussuria. Ed era stata un banchetto eccelso.

Ma ora, le conseguenze della sua azione riverberavano lungo tutto l’Impero.

Aristarda era orgogliosa, determinata, persino retta nel suo agire. Septimo sorrise senza gioia.
Era anche bella. Le sue spie gli avevano portato numerose immagini. L’Imperatrix in esilio era una donna conturbante, di una bellezza che sprigionava sensualità. Ma Septimo Nero ormai sapeva, al di là di ogni dubbio, che piuttosto che giacere con lui, sua sorella si sarebbe strappata il cuore a mani nude. Era troppo risoluta per cedere. E l’ammirava per questo.

Cercò di dormire, per poter essere lucido e ritemprato l’indomani.

 

La notte non era stata foriera di buon sonno o di consigli. Septimo Nero si svegliò con un senso di stordimento quasi pari a quello con cui si era coricato.

I sogni non erano stati piacevoli. Aristarda, poi Dursillia, poi ancora Arisatrda… Le due donne si erano mescolate come in un delirio erotico. Aristarda posseduta da lui nelle sale del palazzo, Durisillia a guidare la rivolta contro di lui. Septimo si massaggiò le tempie.
Andò al Balineum a lavarsi con l’aiuto di due ancelle.
-Mio signore?-, chiese il servitore, Asiatico.
-Sto bene. Porta la colazione.-, disse lui con tono calmo ma deciso. Asiatico obbedì.
Mangiando il pane e bevendo il succo di frutti dolceamari, Septimo cercò di fare mente locale.
Se solo avesse trovato il modo di spostare l’equilibrio dalla sua parte!
Aristarda aveva meno uomini, ma la situazione stava cambiando. Se fosse riuscita a garantirsi una testa di ponte in Ferancia… Septimo preferì non considerare la questione.
Il conflitto sarebbe divenuto una guerra logorante, destinata a fagocitare le risorse dell’Impero in una voragine che avrebbe potuto condurre Roma al declino e alla caduta.
È colpa tua! Tua e basta! Hai offeso gli Dei!
Il pensiero durò solo un istante, ma Septimo notò che aveva i pugni serrati spasmodicamente, tanto da aver fatto sbiancare le nocche. No! Non era colpa sua! Si rifiutava di accettarlo!
E si rifiutava di credere che ciò lo avrebbe reso il fautore della fine dell’Impero!
Non sarebbe stato lui a trascinare Roma nell’abisso!

-Mio signore?-, chiese Asiatico. La voce dello schiavo scosse Septimo Nero da quei pensieri.
Si accorse che aveva stretto il pane sino a stritolarlo.
-Dannazione.-, sibilò l’Imperator.
-Gliene porto un altro?-, chiese Asiatico. Septimo scosse il capo. Non aveva più fame.
-Ho finito, Asiatico.- disse con tono sufficiente.
-Sì, signore.-, disse lo schiavo chinando il capo.

Tornò alle sue camere e si vestì. Indossò la corazza e cinse il gladio cerimoniale.
In Roma non era permesso ai ministri civili e imperiali di brandire armi affilate. Il gladio era un pezzo di metallurgia esemplare, adornato di fregi sublimi e con una foggia superba, ma non aveva filo alcuno. Era mera rappresentazione. Andava bene.
-Signore? La guardia è pronta.-, disse Viriato. Viriato Maltiaco era a capo della Guardia Palatina da diversi anni. Era un guerriero anziano e decisamente esperto. A sessant’anni era ancora in grado di battere in combattimento giovani di trenta estati.
-Grazie, Viariato.-, disse Septimo. Viriato era un puro. Non aveva dato credito alle voci, non aveva tradito. Avrebbe potuto, ma non l’aveva fatto. Di lui, Septimo Nero si fidava ben volentieri. Era sempre stato al suo fianco, impassibile, inflessibile e laconico come ci si aspettava da un veterano del suo calibro. Uscì dalle proprie stanze lasciando che la guardia si serrasse attorno a lui.

 

La sala dello Strategium era un capolavoro d’ingenieria. Gradevole a vedersi ma senza che le decorazioni e i fregi impedissero agli astanti di presenziare alla riunione, o interferissero con le strumentazioni olografiche e i macchinari ivi presenti.
Oltre a Septimo c’erano il Generale Antus Vasio, al comando delle due Legioni Italiche, il Proconsole Librutio Quinto, Governatore della Ferancia Cisalpina e Transalpina, i Prefetti Vannio Sartonio e Amsio Calus, responsabili delle flotte difensive interne e svariati altri strateghi e generali. Molti erano presenti solo grazie a trasmettitori olografici.
-Mio signore, la Governatrice di Eprius, Lina Dosmedea è presente.-, disse una voce di donna proveniente da uno dei trasmettitori. La figura era di una donna bionda, piacente a dispetto dei cinquant’anni di età. Septimo le rivolse un cenno del capo e un sorriso.
L’Eprius non aveva ceduto. Ed era una buona notizia: sebbene piccolo, il regno ospitava numerose miniere ed era cruciale per l’economia dell’Impero, oltre che per l’industria.
-l’Antolica?-, chiese l’Imperator. I presenti si guardarono, non senza timore o apprensione.
-Nessun contatto, per ora.-, si risolse a dire una donna. Era abbigliata da generale.
-Tu chi sei?-, chiese Septimo. La donna chinò il capo, crollando in ginocchio, una mano sul pomo del gladium rudris in legno che simboleggiava il suo rango.
-Generale Serena Prima della gens Prima. I miei avi combatterono con tuo padre e tuo nonno.-.

La presentazione fu accolta dal silenzio. Septimo sorrise, benevolmente.
-Alzati, Serena Prima. Non s’addice ai figli di nobili eroi di star in ginocchio.-, disse.
-Voi siete l’Imperator. Inginocchiarmi a voi è dovere e privilegio, per me.-, replicò lei.
-Allora, l’Imperator ti ordina di alzarti e di non umiliarti. Prendo atto della tua obbedienza.-, disse Septimo. Si rivolse ai presenti che trattenevano il fiato. La risposta di Serena non era ribelle ma avrebbe potuto essere trattata come tale. Di fatto, altri avevano subito l’ira di Septimo per ben meno. Improvvisamente, l’Imperator rise. Rise di gusto.
-Quanto vorrei avere altri uomini come te!-, esclamò alla volta della donna. Si rivolse agli altri.
-Conosco Serena Prima solo da pochi secondi, ma ha già ben dimostrato più obbedienza, virtù e disciplina di molti dei presenti.-, proclamò. Nessuno ebbe nulla da ridire.
-Quali legioni sono sotto il tuo comando?-, chiese poi Septimo.
-Le Legioni Elevetia Prima e Ultima attendono i tuoi ordini, mio signore.-, rispose Prima.
-E sia! Allora anche le Legioni di Mediolanus e di Baria si aggiungeranno alle tue.-, disse Septimo. Serena annuì. De facto, un generale non poteva comandare quattro legioni.
E l’Imperator ne era ben conscio. Quindi, con un sorriso, parlò.

-Nomino Serena Prima Comandante Supremo e Comes Imperatoris! Inchinatevi!-, esclamò.
Nella sala passò un brusio, che si spense nel silenzio. Poi, uno a uno, gli uomini presenti si inchinarono.
Rimasero in piedi solo Serena e Septimo. Osservandola bene, l’uomo notò che aveva commesso un errore di valutazione: la giovane era della sua età. Il viso era armonioso, ma gli occhi erano quelli di chi già aveva visto la guerra e la morte. Gli occhi, scuri, neri come abissi infernali, facevano da contraltare a una bocca rossa, forse ritoccata con trucco ma certamente sensuale. A completare l’insieme erano i capelli, castani e l’incarnato. La carnagione della giovane era color rosato, chiara quasi come alabastro, ma non eccessivamente.
-Alzatevi.-, ordinò l’Imperator, -E che inizi dunque la riunione.-.
Erano presenti i governatori di Ferancia, Insulae Britaniche, Eprius, Perusia ed Elvectia.
-Dobbiamo assumere che chi non è presente tra noi ora, abbia deciso di essere contro di noi.-, iniziò Septimo con tono calmo, -E faremo sì che essi assaggino la nostra ira. La nostra supremazia è così voluta dagli Dei. Non badate alle voci diffuse da quella codarda traditrice di mia sorella Aristarda, né alle insinuazioni degli altri pretendenti al trono! L’Impero è solido. Resisterà alla Guerra Civile che ora lo sta inghiottendo per uscirne riforgiato e più forte e prospero di quanto sia mai stato!-, esclamò.
-Siamo con te, Septimo!-, esclamò qualcuno. Il coro di assensi crebbe, unanime. Septimo sorrise. Che Aristarda radunasse pure i suoi! Li avrebbe sconfitti tutti, sul campo di battaglia.

-Imperator… La Numisia è persa. Abbiamo avuto un breve rapporto dai nostri uomini…-, disse Amsio Calus, -I miei uomini parlano di un’arma che non dovrebbe esistere. Qualcosa che ha sterminato sia le forze traditrici di Actio Rubro che i ribelli di Sixto.-.
-Gli Dei sono con noi! Nessun falso pretendente potrà impadronirsi impunemente dell’Impero!-, esclamò Septimo con un sorriso di gioia feroce.
-Sicuramente mio signore. Nondimeno, dobbiamo usare prudenza. Feral sta preparando le sue truppe. Sappiamo che le tribù dell’esterno potrebbero attaccare nuovamente. Il Proconsole Etenio Linus, delle Insulae ha denunciato il ritorno di razziatori e pirati.-, osservò uno degli strateghi avvolto nella toga militaris.

-E noi risponderemo! Appena sgominata mia sorella Aristarda potremo ridirigere le nostre forze contro Feral e gli altri pretendenti, oltre che punire l’arrogante tracotanza dei predoni barbari.-, decretò Septimo. Il silenzio calò sulla sala.

-Quindi, signori, la mia domanda è la seguente. Come possiamo ridurre mia sorella all’impotenza?-, chiese l’Imperator. Vi fu silenzio di nuovo.
-Imperator…-, iniziò uno degli strateghi, un vecchio brizzolato dall’aria fragile, -Le forze di Aristarda aumentano di giorno in giorno. Ieri notte, una coorte della Quinta Legione si è ammutinata… Le menzogne sul tuo conto hanno attecchito sin troppo bene nei cuori di molti. Io ritengo che sia opportuno riconsiderare la domanda.-, lo stratega parve guardarsi attorno, cercare supporto che non si palesò. Tutti evitarono il suo sguardo.
-E come vorresti riconsiderarla?-, chiese Septimo. Sapeva già come sarebbe finita, lo vedeva.
-Aristarda Nera è una donna… intransigente.-, rispose l’uomo, -Dobbiamo darle qualcosa…-.
-Non hai capito, Lucilio?-, chiese Serena Prima con un sorriso derisorio, -Aristarda non si fermerà. Poteva farlo. Poteva chiedere la pace, ha avuto molto tempo per farlo. Non l’ha fatto. E ora ha messo in giro questa voce che la costringe a continuare il conflitto sino alle estreme conseguenze.-.
Septimo sorrise. Serena aveva compreso subito e senza bisogno di aiuti la situazione.
-La mia scelta è stata saggia, Serena. Invero, tu sei la risposta alle mie suppliche.-, disse.
Avanzò fendendo la sala e fece un cenno all’operatore dello strategium. La mappa olografica della provincia della Ferancia Pirenaica apparve, magnificata e ingrandita.
-Tu cosa faresti per fermare il nostro nemico?-, chiese.

-Mio signore, con tutto il dovuto rispetto… Io non credo che Serena Prima possa rispondere.-, disse Quinto, -Non è mai stata al fronte contro le forze di Aristarda. Non ha l’esperienza. Non intendo offendere ma questa è la verità.-.
Septimo Nero dovette trattenersi dallo scagliarsi sul governatore.
-Dunque tu cosa faresti?-, chiese Serena Prima voltandosi verso l’uomo.
-Io?-, chiese il Proconsole Librutio Quint. Si raddrizzò, impettito e fiero come un gallo da combattimento nell’arena, -Io passerei alla difesa. Facendo terra bruciata priveremo Aristarda e i suoi del loro sostentamento. Colpiremo con rapidi gruppi d’incursione il nemico, magari avvelenando le loro scorte di viveri e attenderemo che si sfianchino per poi colpirli come un maglio quando saranno in difficoltà. Poi passeremo alla controffensiva.-.

Soddisfatto di sé, osservo con gli occhi grigi e acquosi i presenti, con vago orgoglio.
-Un piano banale.-, replicò Antus. Il generale si avvicinò alla mappa, -Il terreno non permette grandi azioni di guerriglia, se non nei monti, che sono già in mano nemica. Inoltre rischieremmo di danneggiare sostanzialmente la produzione dell’Impero in molteplici settori. In più noi non dovremmo mai ridurci ad apparire codardi. Io dico di affrontarli su un terreno di nostra scelta. Tendere loro una trappola, usando una città, magari delle risorse come esca. E annientarli.-. Evidenziò una zona con un cenno.
-Il Porto di Brixiate è perfetto per questo scopo. Ci permetterà inoltre di chiamare eventuali rinforzi dalle Isole e di approvvigionarci. Poi, quando le forze traditrici saranno sfiancate e stanche, contrattaccheremo in forze, ricacciandoli ben oltre i Pirenei. Oppure potremo aggirare la forza nemica nel territorio fuori Brixiate e annientarla per poi far avanzare le nostre forze sull’Hibernia e riprendercela.-, disse.
Molti annuirono a questo piano. Solo Septimo e Serena rimasero in silenzio.
-Siamo tutti d’accordo?-, chiese Antus, il viso squadrato deciso e serio.
-No.-, rispose Serena Prima con ferma pacatezza, -Il tuo piano ha punti di forza, ma richiede di perdere terreno e troppo tempo. Tempo che noi non abbiamo. Aristarda diventa più forte, e noi più deboli, a ogni giorno che passa. Dobbiamo agire senza indugio. Riprendere l’iniziativa.-, la giovane si avvicinò alla mappa a sua volta. Diminuì lo zoom, evidenziando la regione, richiese i dati delle posizioni nemiche e di quelle dei lealisti.

-Sappiamo che il comandante in capo di Aristarda è un Legato. Proximo Lario.-, esordì la giovane. Sull’ologramma si materializzò un’immagine del viso di Proximo.
-Uomo integerrimo, ligio alle tradizioni di Licanes, un vero romano. Incorruttibile.-, continuò Serena Prima. Non c’era un minimo accenno di sarcasmo nel suo tono.
Qualcuno bofonchiò qualcosa d’incomprensibile ma la neopromossa comandante non ci badò, continuando invece il suo discorso senza perdersi d’animo.
-Sembri quasi apprezzarlo.-, disse uno dei generali presenti. Serena sorrise, senza quasi guardarlo. L’accusa insita in quella frase non parve toccarla minimamente.
-Lo apprezzo. Ho studiato la sua vita e le sue tattiche. Di tutti i generali di Aristarda Nera, è sicuramente e di gran lunga il migliore. Ha avuto una carriera folgorante, che gli ha permesso di ottenere il rango di Legato anzitempo.-, disse, -Gli altri generali di Aristarda sono incapaci, deboli o discretamente abili, ma Proximo… lui è brillante. Prima della guerra civile prese con sé una centuria e, in sprezzo degli ordini, attaccò una forza nemica numericamente superiore. La distrusse annientandone le riserve di cibo e acqua. È divenuto Legato grazie a quella vittoria.-, continuò la giovane.
-Non sapevamo di questi suoi esordi…-, disse uno stratega. Era una donna sui cinquant’anni, bionda e piacente malgrado il viso sgraziato e poco elegante.
-Infatti. Io invece ne ho saputo. Ho studiato Proximo perché lui, come avrete capito, è la chiave di volta dello scontro con Aristarda Nera. Rimosso lui, i traditori perderanno un capo, un generale abilissimo e subiranno un colpo al morale devastante.-, concluse Serena.
-Il loro morale è inattaccabile: sono convinti di essere nel giusto.-, osservò Calus.
-Già. Ma la loro convinzione verrà meno se non saranno più in grado di vincere scontri.-, ragionò Ennius, un generale di prima nomina fedelissimo a Septimo Nero.
-Esattamente.-, confermò Serena Prima con un sorriso.
-E come prevedi di eliminare Proximo Lario?-, chiese Septimo.
-Sicuramente sarà ben protetto. La Guardia al servizio di Aristarda lo proteggerà certamente come protegge lei, e sono più che in grado di abbattere uno o più assassini.-, disse Serena.
-Quindi cosa proponi?-, chiese uno degli strateghi, facendosi portavoce della domanda dell’intera assemblea. La giovane si voltò a guardare la mappa, evidenziando un settore.

-La vostra idea di tendere una trappola non è da buttare. Ma una trappola richiede tempo, e come ho detto il tempo ci è avverso, quindi dovremo usare un’esca. Una che nessuno, neppure Proximo Lario, potrà ignorare.-, disse.
-E che esca vorresti usare?-, chiese Septimo Nero, ormai evidentemente focalizzato.
Come lui, l’intera assemblea pendeva, volente o nolente, dalle labbra di Serena Prima.
-La più semplice e la più ovvia, mio signore.-, disse Serena, -Voi stesso.-.
Il silenzio s’infranse. Come una cascata di cristalli scagliati da altezze immense contro pavimenti marmorei, il fragore delle risposte simultanee di ogni singolo membro della riunione presente in quella stanza fu assoluto, e impedì un effettiva risposta da parte di chiunque. La cacofonia andò avanti per minuti interi, Serena Prima lasciò che accadesse, con calma. Septimo infine esortò tutti al silenzio e alla calma.
-Spiegati, Serena.-, disse.
-Mio signore, voi siete il bersaglio dell’odio di vostra sorella. Non si fermerebbe davanti a nulla pur di annientarvi.-, spiegò lei, -E ordinerà a Proximo di fare lo stesso.-.
-È follia! L’Imperator non può correre un rischio simile. Sarebbe una catastrofe se perisse!-, esclamò Ennius. –Il fato dell’intero Impero ne sarebbe compromesso.-, concordò Calus.
-Non è possibile. Non è possibile e lo sapete bene.-, disse Antus, -È una pazzia. Un azzardo.-.

Septimo pareva ponderare le risposte. In realtà, l’analisi risultava quasi superflua. Quasi.
-Se ho ben capito il piano, dovrei fare visita alle forze al fronte e fare sì che Aristarda lo sappia.-, disse.
-Sì.-, rispose Serena, -E dovrete farlo restando fuori dalla sua portata ma spingendo Proximo ad agire. Non occorre che rimaniate sino a battaglia iniziata, ma dovrete fare da esca.-.
-Esporresti così l’Imperator?! Sei avventata e folle!-, esclamò uno stratega di mezz’età coi capelli stopposi e un pizzetto curato all’antica maniera di Licanes.
-Non si vince senza correre rischi. Ogni scontro è una scommessa col fato. Se non accetti rischi, le tue vittorie non potranno mai essere totali. Talvolta occorre rischiare. È necessario, per la salvezza dell’Impero.-, replicò Serena, -Inoltre, questo è un rischio contenuto e calcolato. Predisporremo una trappola che permetta all’Imperator di uscire indenne da qualunque possibile scenario e da ogni sua variazione. -.

-Anche così, come possiamo essere certi che Aristarda non invierà assassini? Come possiamo non tenere conto che sia disposta a venire meno ai codici d’onore pur di assicurarsi il trono?-, chiese Ennius.
-Non accadrà.-, rispose Serena, -Ritengo che, se non l’ha fatto finora, non lo farà. Vincere in un modo simile sarebbe un’onta. Vuole una vittoria nobile, pulita come fu quella di Janus contro Re Gunkal-. La citazione del Mito era conosciuta, e in molti rifletterono su quelle parole.
-Imperator… ti scongiuro, non farlo. Sarebbe un rischio eccessivo…-, sussurrò Antus.
-Ha ragione. Non importa quanto sia pianificata la battaglia: il nostro Imperator non può rischiare. Se morisse… se cadesse Aristarda avrebbe comunque vinto! Non ha neppure un erede!-, il tono di Lina Dosmedea era quasi isterico. Per contro, la fredda calma di Serena Prima, neonominata Comes Imperatoris era persino inquietante.
Septimo la guardò. Era una donna di ferro, una giovane con l’acciaio nell’animo e il ghiaccio nelle vene, aveva fegato. Aveva appena sfidato ogni singola persona là dentro a contraddirla, e aveva saputo rispondere a tutti loro senza ricorrere a trucchi di retorica o a insulti.
-Credo sia l’Imperator a dover avere l’ultima parola, non credete?-, chiese la giovane.
Septimo Nero sorrise. Ponderò nuovamente la situazione, più per darsi un tono che per reale necessità o esitazione sentita. In realtà aveva già deciso.
Aristarda era l’unico vero nemico presente, gli altri erano poco più che seccature.
Ma sua sorella… si era già rivelata ben capace di anticipare le sue mosse. A dispetto della disparità iniziale di forze, aveva saputo difendersi e persino tenerlo in scacco.
La trappola proposta da Serena Prima era rischiosa, ma era anche il modo più rapido per concludere lo stallo con Aristarda, o quantomeno, per costringerla a fermare la sua avanzata.
In ogni caso, con Proximo morto, forse sua sorella avrebbe retrocesso, forse si sarebbe persino fermata, forse avrebbe addirittura dubitato. Ma con la morte di Proximo, sicuramente i lealisti avrebbero perso il loro generale più valido, oltre al danno morale di una simile morte.
-Accetto il piano di Serena.-, disse.
Le proteste tacquero. La maggior parte dei presenti tenne gli occhi bassi a terra, altri guardavano il vuoto, incapaci di replicare pur volendolo. Solo Serena Prima sorrideva.
-Grazie, mio signore.-, disse con un inchino profondo.

 

La riunione proseguì spedita, nonostante i dettagli del piano furono oggetto di svariati dibattiti. Infine si decise per il luogo, il giorno e le modalità del piano, inclusi piani d’emergenza e di ripiego. Si calcolarono le perdite e le risorse da investire in quella trappola.
Septimo poté dirsi soddisfatto. Fuori era pomeriggio inoltrato. Nessuno dei presenti aveva mangiato, preferendo proseguire indefessamente nella stesura del piano.
-La riunione è terminata. Ritengo che ora ci sia solo da agire.-, decretò l’Imperator.
Uno ad uno, i presenti lasciarono la sala. Uno ad uno, i trasmettitori olografici si spensero.
-Mio signore.-, Serena Prima fece un ulteriore inchino.
-Tu no, Serena. Sarebbe mio piacere averti come ospite a palazzo.-, sorrise Septimo.
-Mio signore… mi onorate immensamente… ma i miei uomini…-, farfugliò lei, evidentemente colpita da quell’offerta improvvisa. Lui alzò una mano, zittendola.
-I tuoi uomini tollereranno la tua assenza. Ritengo sia ingiusto da parte dell’Imperator non concedere al suo nuovo Comandante in Capo di beneficiare della sua ospitalità.-, disse.
-Mio signore, permettete una domanda?-, chiese Serena dopo qualche istante.
-Naturalmente.-, disse lui con un sorriso accomodante.
-Se io fossi stata un uomo, mi avreste fatto la medesima offerta?-, chiese.
La domanda colse Septimo in contropiede. Si era aspettato tutto, fuorché un interrogativo così diretto e così privo di finezze da contrastare fortemente con l’idea che si era fatto di Serena.
-Beh… Sì.-, ammise lui. Era vero a metà: avrebbe comunque invitato un Comandante uomo a palazzo, ma non per le medesime finalità. Serena Prima annuì, apparentemente soddisfatta.
-È mio dovere informarvi che sono intollerante alle Bericee.-, disse la giovane.
-Deduco che accetti l’invito.-, disse Septimo prendendo mentalmente nota dell’intolleranza della giovane alle bacche dolci che crescevano spontanee in quasi tutta l’area dell’Italica.
-Naturalmente, mio signore. Accetto con piacere.-, rispose lei.

 

Naturalmente, gli altri strateghi e comandanti non furono così lieti del risultato della riunione.
-Septimo sta rischiando. Molto.-, esordì Antus.
-Sono d’accordo.-, ammise Amsio Calus. Si versò un calice di vino.
-Quella ragazza ha ammaliato l’Imperator… E lui è stato così folle da darle retta. Cos’accadrà se Proximo Lario non muore, o peggio, se la trappola fallisce?-, chiese la stratega bionda, Runa.

Runa non era romana, era figlia di barbari della Perusia, romanizzati solo una generazione prima, eppure aveva assorbito i costumi di Roma in modo quasi perfetto.

-Appunto. Questa trappola può costarci tutto.-, disse Antus, -La domanda è: cosa facciamo?-.

Il silenzio calò sul terzetto. C’erano solo loro nella stanza fiocamente illuminata. Il tavolo e un’anfora ormai piena solo a metà di vino speziato erano i soli oggetti presenti. Nessuna sedia. Solo un tavolo circolare e loro tre. A esprimere il loro dissenso.
-Septimo Nero è l’Imperator. Ha potere di vita e di morte su tutti noi. Abbiamo accettato di servirlo… Ma se fosse davvero folle come dicono? Io non ho creduto alle menzogne di Aristarda, ma alcune decisioni dell’Imperator mi avevano già dato da pensare. Quest’idea è geniale e rischiosa e se dovesse concludersi in una disfatta… Potremmo concretamente perdere la guerra. E sappiamo tutti cos’accadrebbe. Aristarda, o chiunque altri prenderà il potere, non sarà tanto indulgente da lasciarci vivere.-, disse Calus.

-Cosa stai suggerendo?-, chiese Runa.

Calus aggiustò la sua postura, fissando i suoi interlocutori.
-Lo potete immaginare. Septimo è fuori controllo. Io mi domando… se le voci fossero vere? Se realmente avesse lordato una Vestale della Dea? Se davvero l’avesse fatto?-, chiese.
-Non importa: è l’Imperator. È a lui che va la nostra lealtà.-, disse Antus.
-La nostra lealtà va al trono. Ma il trono è ora in possesso di un folle. Avrete saputo delle esecuzioni, no? Ha fatto uccidere Gicarius, sommo poeta e asceta come gli antichi monaci Zen-Shura, solo perché le sue poesie erano contrarie al suo gusto. Ha fatto uccidere Socrax!-, la voce di Calus ridiscese a un bisbiglio, -Non è più adatto a governare, e lo sapete. Ha svalutato la moneta imperiale due volte, ha posticipato il pagamento di numerosi lavoranti, ha fatto uccidere chi non la pensava come lui, senza pietà né esitazione.-, osservò nuovamente la donna e l’uomo presenti nella stanza, infervorato ma palesemente a disagio nel ruolo dell’oratore, ruolo che non aveva mai ricoperto né sentito suo.
-L’Impero merita di meglio. Merita un leader che non sia guidato da basse voglie, ma dalla volontà di portare la luce di Licanes a tutti i popoli.-, concluse.
-E credi di essere tu questo ipotetico condottiero?-, chiese Runa, fissandolo.
-No. Ma so che non è Septimo.-, rispose Amsio Calus. La bionda sorseggiò il vino, in silenzio.
-Sono d’accordo. Rimuovendo Septimo rimarrebbe comunque Aristarda Nera, o anche altri, in grado di rivendicare il Trono per sé.-, disse Antus. Il milite poggiò il calice sul tavolo.
-La domanda è, uno di questi pretendenti potrebbe essere adatto?-, chiese Runa.

-Probabile. Sicuramente si dimostrerà clemente se gli consegneremo il trono!-, rispose Calus.
-Vi rendete conto che questo è tradimento, vero?-, chiese Antus, -Se verremo scoperti ci sarà la pena capitale per noi, senza possibilità di grazia e con noi verranno probabilmente giustiziati anche i nostri familiari e congiunti.-.
-Ne vale la pena.-, replicò Runa, -L’Impero necessita che si agisca e che si agisca ora.-.

-Credo che siamo tutti d’accordo su questo punto.-, sottolineò Calus.
Nessuno ebbe nulla da ridire.

 

Septimo aveva visto, e posseduto, molte donne nella sua vita.
Molte erano donne di splendida bellezza ma di poco carattere o scarso intelletto.
Altre invece erano profonde e capaci, crudeli, tenaci, ingegnose e spietate, donne di qualità a dispetto di eventuali pecche in merito alla mera apparenza o ad altri difetti minori.
Potevano essere remissive e pudiche, oppure maliziose e talvolta tanto fameliche nei loro appetiti quanto gli uomini stessi.
A dispetto di tutta la sua esperienza con le donne, doveva ammetterlo: non ne aveva mai incontrata nessuna simile a Serena Prima. Quella giovane pareva completamente differente.
Quando fece il suo ingresso nella sala da pranzo dell’Imperator già preparata per quella cena, Serena indossava una toga di ottimo taglio, dal colore scuro, che avvalorava la naturale avvenenza della giovane. Le braccia scoperte erano avvolte da tatuaggi che Septimo non riuscì a osservare a lungo, la sua attenzione calamitata dal viso della donna.
-Mia cara… sei stupenda.-, mormorò. Lo pensava davvero, non era un vuoto complimento volto a garantirgli un’apertura. Serena Prima sorrise.
-Sono certa che lo avete detto a molte donne.-, replicò. Fece un inchino alla presenza dell’Imperator e si erse in piedi quando egli la guidò sino ai triclini.
-Molte invero non ne erano meritevoli. Tu sei ben diversa.-, rispose Septimo.
-Suppongo sia vero. Probabilmente vi sorprende l’idea che io sia generale, o il fatto che il mio atteggiamento sia tanto cangiante. Tanto rispettosa in compagnia d’altri quanto… audace nel privato.-, disse lei. L’uomo sorrise suo malgrado.
-Mentirei se dicessi che non sei donna affascinante, e non parlo del solo aspetto fisico.-, ammise, -Hai dimostrato coraggio, disciplina e un notevole acume strategico.-.
Accomodandosi sul triclino a lei riservato, Serena Prima annuì, la capigliatura composta in uno chignon tenuto fermo da uno spillone.
-Quanti elogi.-, mormorò, -Sono così grandi i miei meriti presso di voi?-, chiese.
Septimo aprì la bocca, la richiuse e la riaprì. Si ricompose.
-Sì. Molti dei miei altri consiglieri hanno timore di me, mi temono a tal punto da non osare esprimere il loro pensiero, neppure quando la situazione lo richiederebbe.-.
-Mentre io no?-, chiese lei. Septimo le fece un gesto, indicando il tablinum ricolmo di cibarie. Un invito che non necessitò di parole.
Rapidamente, usando le posate, Serena si servì di una buona dose di filetto di pescedemone affumicato. Septimo la guardò mangiare. Era aggraziata persino in quello.
-No.-, disse lui. Asiatico versò il vino a entrambi e si eclissò. Una giovane serva con un’arpa fece per mettersi a suonare ma l’Imperator la congedò con un gesto.
-Tu hai osato proporre un piano che nessuno di loro avrebbe mai anche solo pensato di presentare alla mia attenzione. Solo in questo hai dimostrato ben più coraggio di tutti loro.-, continuò. Piluccò con le mani la focaccia cotta secondo i metodi antichi, portandosela alla bocca insieme a della salsa speziata che faceva da condimento.

-Io sono fedele all’Impero, loro a sé stessi e alla loro comodità.-, rispose Serena. Nei suoi occhi c’era ora una luce rabbiosa. Era chiaramente insofferente agli arrivisti di cui era composta gran parte dei sostenitori di Septimo. Bevve un sorso dal calice e prese dell’altro pesce dai vassoi. Un servo portò via i piatti vuoti. Un’ancella portò altro vino in una caraffa decorata.
-All’Impero?-, chiese lui, -Non all’Imperator?-. Serena sorrise, senza alcun timore.
-All’Impero personificato in voi, mio signore. Il trono è vacuo orpello, scranno senza valore se privato di un capo in grado di sedervi.-, spiegò la giovane.

I lineamenti di Septimo si rilassarono. Proruppe in una risata.
-L’Impero è fortunato a poter beneficiare di servitori come te!-, esclamò alzando il calice.
-Io mi sento fortunata a poter servire l’Impero!-, rispose lei alzando il proprio. Brindarono.
Svuotarono i calici in una singola sorsata, come in uso per suggellare i brindisi e i patti.
Gli occhi di Serena Prima ora brillavano di una luce diversa, lieta.
-Imperator, se mi è concesso chiedere…-, iniziò lei.
-Serena, ti prego di darmi del “tu”. Te ne sei guadagnata il diritto.-, la interruppe lui.
-Come… desideri.-, riuscì a correggersi lei. Si fermò, apparentemente esitante.
-Ebbene?-, chiese l’Imperator. Distolse gli occhi dalla giovane per recuperare con le posate un boccone di calamaro dalla pentola rovente in cui maceravano.
-Tu hai realmente commesso ciò di cui tua sorella ti accusa?-, chiese.
Septimo sospirò. Si sentì improvvisamente vecchio e stanco. Il fuoco che aveva arso nel suo petto era improvvisamente divenuto una fioca brace.
-Perché me lo chiedi?-, chiese.
-Mio signore. La risposta non cambierà nulla. Io servo te. E servo l’Impero. Non servo altri padroni.-, rispose Serena Prima. Posò la forchetta accanto a sé.
-Dunque perché?-, chiese Septimo.
-Voglio sapere. Voglio la verità. Se poi vorrai la mia vita in pagamento per tale audacia dovrai solo dirlo, Septimo, e io sarò lieta di morire per mia stessa mano. O per mano di chi riterrai opportuno. Ma esigo la verità.-, disse. Septimo sospirò.
-Hai mai provato un desiderio bruciante? Una smania tanto forte, tanto intensa da annebbiare i sensi e offuscare il pensiero? Hai mai sentito un desiderio simile, o Generale?-, chiese.
Serena lo fissava, immobile. Solo allora, l’Imperator si concesse di osservarne i tatuaggi.
Erano particolari, forse persino non risalenti alle tradizioni di Licanes. Riprese a parlare.
-Il mio desiderio era quello. E gli Dei lo sobillarono, mettendo al mio fianco non una ma due donne di ammaliante bellezza.-, si alzò dal triclino. Recuperò la lettera accartocciata.
La porse a Serena.
–Leggi. Leggi tu stessa, affinché tu possa comprendere quanto il Fato mi ha tolto!-, disse.
Per un buon cinque minuti non vi fu altro suono se non il crepitio dei bracieri. Poi la giovane alzò gli occhi.
-Sono io un mostro, Serena Prima?-, chiese Septimo Nero, -Sono io il Male?-.
-Sei un uomo, Imperator. Lo sei come lo furono i tuoi avi, di carne e sangue plasmati. È nell’umana natura peccare. E i monaci Zen-Shura insegnarono  tempo fa che dovremmo andare oltre il dualismo insito nel peccato e nella virtù.-, rispose Serena. Appallottolò la lettera e la gettò nel braciere. La guardarono bruciare.
-Aristarda non sbaglia: il mio comportamento è stato… riprovevole.-, disse piano Septimo.
-Sì. Ma ormai non puoi semplicemente far finta che nulla sia accaduto. Accetta il fatto. E distruggi i nemici dell’Impero. Solo così potrai espiare il tuo peccato. Solo vincendo gli Dei ti perdoneranno. Quello, oppure vai verso la morte consapevole di non aver lasciato nulla d’intentato.-, replicò Serena. Lui sollevò lo sguardo.
-Parli come una sacerdotessa.-, disse.
-Mia madre. Fu cacciata dal Tempio di Anistofiane quando fu ingravidata da mio padre.-, sussurrò la giovane, -Non sei il solo ad aver peccato.-.
-Come possono gli Dei perdonare?-, domandò Septimo.
-Perdoneranno. Non possono fare altro.-, rispose Serena Prima.
-Sei una donna sorprendente, Serena. Avrei tanto voluto averti conosciuto prima. Magari, la storia sarebbe stata diversa, ora.-, mormorò Septimo.
-Ecco qualcosa che sicuramente non dici a tutte.-, replicò lei. Sorrise. Bevve. Sorrisero.
-Ma ecco anche qualcosa che non può essere, tanto varrebbe desiderare le ali.-, disse lui.
-Esatto. Alza lo sguardo verso la verità ultima.-, disse Serena. Septimo la fissò, assolutamente e totalmente catturato. Sentiva la bocca secca. Bevve dell’altro vino. La giovane si portò alla bocca della carne di agnello cotta secondo i costumi dei Cimanei.
–Quale verità?-, chiese lui.
-La sola e unica. I morti conoscono la morte, i vivi conoscono la vita. Per chi è morto, o ciò che è stato, nulla di ciò che è ha importanza. Così dev’essere per te. Scuotiti di dosso il passato.
Tu sei l’Imperator. E trionferai perché questo è il mandato del cielo. Un regnante regna o muore. Non può essere altrimenti.-, disse Serena mentre piluccava delle verdure speziate da una scodella. Lui annuì. Si accorse che la conversazione iniziava a sfuggirgli.
-La trappola che hai preparato… per Proximo…-, iniziò.
-È pronta. Abbiamo considerato ogni eventualità. Finanche la più improbabile.-, disse lei. Si pulì la bocca con il tovagliolo e posò il piatto vuoto davanti a sé.
-Immagino vi sia stato del dissenso.-, disse Septimo. Il servo rientrò, portò via i piatti e uscì.
-Sì. Ma non temere: la mia nomina è stata un segnale chiaro. L’opposizione è stata breve.-, rispose Serena. Il servo rientrò. Portò dentro delle altre prelibatezze: falco gigante ripieno di prugnae, formaggio e olive, condimenti, piatti salati e dolci. Una miriade di cibi.
-Bene. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è avere nemici in seno. Dopo la trappola ci occuperemo anche di queste larve così ansiose di alimentarsi.-, disse Septimo.
-Immagino non siano i primi.-, disse Serena con un sorriso. L’Imperator annuì sorridendo.
-No. E non saranno neanche gli ultimi.-, rispose.

 

Il Senatore anziano Vonabrius sospirò, piacevolmente rilassato. Quel giovane schiavo era sempre capace di compiacerlo oltremisura con i suoi servizietti orali. Sentì qualcuno bussare alla porta. Una, due, tre volte. Chiunque fosse era molto deciso. Sentì i passi del suo schiavo.
-Dannazione! Astinus, vai a vedere chi è!-, esclamò rigirandosi nel letto e forzandosi ad alzarsi.
-Mio signore, è il Generale Antus.-, disse lo schiavo. Trovò il padrone già in piedi e sorprendentemente reattivo, intento a vestirsi.
-Fallo entrare! E porta da bere!-, ordinò il vegliardo. Scese le scale e sorrise.
-Amico mio! Sono certo che hai buone ragioni per disturbarmi a quest’ora…-, esordì senza curarsi di celare il suo turbamento.
-Ottime ragioni.-, rispose Antus mentre avanzava, -E spero tu sia pronto a sentirle.-.
Vonabrius sospirò. Non si sarebbe rimesso a letto tanto presto, evidentemente.

Ascoltò ciò che Antus aveva da dire. Poi rimase immobile, pensieroso.
E infine, un sorriso si fece strada sui suoi lineamenti screpolati dall’età.
-Septimo ha fatto un errore a concedere tanto a quella giovane. Avrà a che pentirsene.-, disse.
-Quindi sei d’accordo con me.-, dedusse il milite.
-Sì. L’Impero in mano a un folle è un Impero condannato.-, ammise Vonabrius.
-Bene. Ci troveremo tra due giorni a casa di Runa. Darà una festa per la nascita di suo nipote.-, gli comunicò Antus. Il vecchio annuì. Odiava quegli eventi mondani, non aveva più l’età per simili ritrovi che iniziavano al pomeriggio e finivano spesso e volentieri la mattina del giorno dopo. Ma in quel caso avrebbe fatto un’eccezione.

Il banchetto giungeva al termine. Septimo ingollò un ultimo boccone di pesce ai ferri e osservò Serena Prima terminare una scodella di zuppa vegetale speziata e riporla sul tablinum.
-Tutto di tuo gradimento? Possiamo ordinare dell’altro. I migliori cuochi dell’Impero attendono solo una mia parola.-, chiese l’Imperator.
-No, ti ringrazio. Era tutto veramente ottimo. La cucina militare non è male ma è tremendamente insipida ed essenziale. Quella civile… specialmente se di alta classe, è molto più variata. Ci ricorda anche per cosa combattiamo, no?-, domandò la giovane con un sorriso.
-È vero. La civiltà del nostro Impero si dimostra anche attraverso questo.-, concordò lui.
Ancora non riusciva a inquadrare pienamente Serena Prima. Era sicuramente una donna diversa da ogni altra, ma pareva persino priva di soggezione nei suoi confronti.
Passò in silenzio qualche istante mentre decideva cosa dire e come.
-Serena, ti disturba se ti chiedo di parlarmi della tua famiglia?-, chiese infine.
-Assolutamente no. Mia madre, come ho già detto fu serva degli Dei, il cui unico peccato fu innamorarsi e cedere al desiderio. Mio padre fu un glorioso combattente, fiero servitore dell’Imperator che fu tuo padre. Egli servì nella Quinta Legione Vaxalliana. Fu sempre lui a metter piede per primo nell’insediamento dei Barbari del Glacerus. Tenne la breccia insieme a cinque compagni e fu l’unico a sopravvivere sino a fine giornata, a battaglia vinta.-, rispose la giovane con un sorriso, -Mio padre fu ferito ma, a guarigione avvenuta gli fu conferita la Crux Imperatoris.-. Septimo annuì, rispettoso. Suo padre, Antonio Nero, l’aveva fatta istituire come massima decorazione militare per il valore sul campo.
-Tuo padre fu un prode e vedo che sua figlia pare altrettanto audace e pronta a dimostrare il suo valore.-, commentò con un sorriso. A un suo cenno, una serva portò un’anfora di vino. Il vino in questione aveva un basso tenore alcolico,  l’Imperator sapeva bene che ubriacarsi non era un bene, l’aveva imparato da suo padre e da Socrax.
-Mio signore, ciò che desidero è fare la mia parte per l’Impero.-, si schernì lei.
-Se soltanto avessi altri generali come te. Ma non desidero invero lamentare tale inadeguatezza ora, rovinerebbe la serata.-, a un battito delle mani dell’uomo, entrò un servo.
Portava una scacchiera, pedine e dadi.
-Vorresti tu giocare a Gamon, Serena?-, chiese Septimo.
-Sarebbe un piacere, Imperator. Tuttavia le mie capacità in tale gioco non sono sicuramente all’altezza delle tue.-, rispose lei. Lui sorrise: la sua maestria nel gioco del Gamon era nota in tutto l’Impero e si vociferava (a ragione) che da piccolo, all’età di soli dieci anni, fosse in grado di sconfiggere maestri e veterani del gioco molto più anziani ed esperti di lui.
Non era solo fortuna, sebbene anche quella facesse grandemente la sua parte.
Un caso eccelso era stato quello di Paulo Lucio Quatrio, che scommise sua moglie contro Septimo, il quale scommise invece sua sorella Drusa. La sorella, all’epoca ben più giovane di quanto fosse stato idoneo, non ne seppe mai nulla anche perché Paulo Lucio Quatrio perse al termine di una partita decisamente combattuta.
La moglie di Quatrio, Teresina Drumilla Quatria, passò i successivi due giorni con il primogenito di Antonio Nero, senza che il padre ne fosse informato. Un figlio di Septimo Nero (o presunto tale) nacque da quella unione. Morì di malattia a tre anni. Paulo e sua moglie morirono per cause naturali qualche anno più tardi. Septimo ne aveva pianto la morte, lamentando la fine di due persone a lui molto care.

-Neri o bianchi?-, chiese Septimo.
-Prendo i bianchi.-, rispose Serena Prima, -Posta?-, domandò. Era uso giocare puntando una posta, simbolica o meno. Septimo finse di riflettere.
-Lascio decidere a te.-, disse. Lei annuì.
-La posta sarà una moneta del valore di 5 axis.-, decretò infine la giovane senza alcuna esitazione. L’Imperator pensò che era una posta puramente simbolica: la moneta da 5 axis era la più bassa a livello di valore valutario. Già prima della guerra civile si era seriamente pensato di eliminarla. Aveva un valore ormai quasi più simbolico che altro.
Ed era già stata svalutata, al punto tale che oramai nessuno la accettava quasi più.
-Accetto.-, disse sedendosi. Aprì il tabellone, sistemarono le pedine sulle colonne di partenza e presero i bussolotti con i dadi, tirando per chi iniziasse.

 

Amsio Calus era un uomo paziente e circospetto. Si avvicinò al Tempio della Dea Madre con calma. Le guardie lo riconobbero. Era un fervido credente e non era insolito che si recasse a pregare per una grazia. Ma, da quando il fuoco sacro si era spento, nessuno aveva più visto l’ammiraglio recarsi là. Tuttavia, forse era solo stato impegnato. Le guardie lo fecero passare.

Amsio entrò nel vestibolo del Tempio. L’edificio, di pianta rettangolare era composto dal Vestibolo, dal Templum vero e proprio e dalla Camera del Fuoco Sacro.
Inoltre c’erano gli alloggi per le sacerdotesse e per le guardie, tutte rigorosamente donne.
Da quando il fuoco si era spento, nel Tempio era piombato un silenzio opprimente, ammantato di disperata volontà di espiazione, di colpa mai redenta, di dannazione.
Calus osservò i fregi e i bassorilievi dell’Impero. Guardò le leggende della nascita dell’universo, ammirò per un breve istante l’elenco apparentemente infinito di sacerdotesse della Dea che erano vissute ed erano morte tra quelle mura, nomi vergati su carta pergamena fabbricata secondo metodi ancestrali. Mormorò una supplica alla Dea, pregando nel suo cuore che la divinità potesse ascoltarlo, almeno ascoltarlo, se non assolverlo per ciò che stava per fare. Inginocchiato nel vestibolo, il freddo pavimento in marmo contro le ginocchia, chino con i palmi delle mani appoggiati al pavimento e il capo teso verso terra, pregava.
Ma solo il silenzio rispose. Un silenzio che lo avvolse, nullificando la sua pretesa vana.
-Dei…-, sussurrò, supplice, -Vi prego…-.
-Nessun dio risponderà, Calus.-, rispose una voce di donna. L’uomo si alzò, senza fretta.
-Eria.-, disse a mo’ di saluto. La donna annuì, giovane e atletica, avvolta in vesti nere, vesti da lutto, da espiazione, -Le divinità potranno essere irraggiungibili ma gli uomini rimangono mortali e come tali bisognosi di guida.-, disse l’uomo.
-Non è guida che riceveremmo dagli Dei. Essi sono ormai lontani dall’Impero.-, rispose lei.
-Si sa qualcosa della reliquia che Socrax diede a quel suo studente?-, chiese lui.
-Il Coltello della Fondatrice. La prima vera arma dei Cimanei, e l’ultima reliquia del nostro passato. Ora è lontana dalla nostra presenza.-, rispose la donna, avvolta nel cappuccio e nel manto che ne dissimulava viso e forma.
-Quella lama è uno dei tre simboli dell’Impero. Il Bracciale di Janus fu perso durante il sacco di Roma da parte di Septimo e l’Arma della Vacuità fu fusa ben prima, dai primi Imperator, in dimenticanza del suo significato. I pugnali di Maghera invece sono tornati in Kelreas con la loro proprietaria.-, disse l’uomo.
-Sì. Quella reliquia è tutto ciò che rimane di noi, del nostro passato. Un uomo che possa vantarne la proprietà sarebbe certamente avvantaggiato nell’accattivarsi il potere sull’Impero. Senato  o no, i simboli sono importanti.-, concordò la donna.
-Eppure, se intendiamo realmente ritrovarla dovremo attraversare il fronte, cercare quel discepolo di Socrax presso Aristarda Nera. E come farlo se non permettendole di prendere Roma?-, domandò Calus. Misurò a passi lenti la parete est del Vestibolo.
-Roma… L’Impero… Parli come se tutto questo avesse chissà quale rilevanza.-, replicò la donna, -Tutto questo è già prossimo a svanire. Rimuovere Septimo non farà che rallentare la caduta.-. Calus lottò contro la rabbia, il timore e il senso di oppressione al petto.
-E riportare il Coltello della Fondatrice?-, chiese, -Potrebbe… salvare Roma?-.
-Potrebbe.-, ammise la donna.
-Eria… Tu devi… Devi aiutarci!-, supplicò lui.
-Io vi aiuterò, Amsio.-, disse lei. Le mani guantate, o forse no, raggiunsero il cappuccio, tirarono indietro. Calus la guardò in viso. Trattenne un mormorio, ma sentì su di sé quegli occhi, vide quel volto e capì, intuì che quella donna era ben oltre, ben al di là di qualunque possibile minaccia o supplica.
-Eria…-, sussurrò. Lei si avvicinò. Un passo, due.
-Ti fa schifo? Ti disgusta?-, chiese lei.
-N… No… Non mi disgusta.-, sussurrò lui. Lei sorrise. Il ceffone che lo centrò quasi lo sbatté contro la parete. Amsio sentì il viso sanguinare.
-Bugiardo.-, disse lei senza alcun tono particolare, -Ti spaventa. Sei raccapricciato. L’odore della tua paura è come un dolciastro lordume.-.
-Ma… come hai potuto?-, chiese lui.
-Andare avanti è facile. È tutto ciò che si può fare. Tutto ciò che voglio.-, mormorò la donna.
Afferrò il viso dell’uomo e avvicinò il proprio baciandolo. Amsio Calus sentì un bruciore, un fuoco gelido e poi rovente. Desiderava quella… donna? Sì e no. Era… inspiegabile.
Lei si staccò. Sorrise.
-Anni. Anni e anni passati qui… in contemplazione. E ora la fiamma è svanita.-, disse.
-Arderà mai di nuovo?-, chiese Calus.
-Questo…-, mormorò la giovane, -Lo sanno solo gli Dei.-.
-Cosa vuoi? Cosa vuoi da me?-, sussurrò lui. La mano di lei scese lungo il petto, sino al ventre.
-Nulla di ciò che credi. E null’altro.-, replicò lei. Il tocco che sfiorò il suo membro attraverso la stoffa era caldo e freddo, il tocco dell’impossibile.
-Io… tu… Il coltello…-, mormorò Calus. Si sentì un idiota balbuziente. Si sforzò di riprendersi.
-Il Coltello dev’essere recuperato. E io sono la sola che possa farlo. Tu devi sbarazzarti di Septimo Nero.-, disse Eria, -È questo e solo questo che dobbiamo fare.-.
-Sì…-, sussurrò lui. Lei sorrise di nuovo. I denti parevano diversi.
-È passato molto tempo dalla tua ultima visita. E ora sei tornato solo per chiedermi questo?-.
-Io… Septimo è fuori controllo, ma ha ancora abbastanza potere da essere quasi inattaccabile. Voglio, chiedo il tuo consiglio.-, disse Calus. Fissò negli occhi Eria, consapevole che stava fissando qualcosa che non sarebbe riuscito a fissare a lungo. Il silenzio si protrasse poi…
-Più forte del Re è il vino, più del vino, una donna. Ma su tutti, trionfa la verità.-, disse la donna.
Il suo fiato sapeva di spezie ignote cresciute su isole mai mappate. Lo baciò di nuovo.
Lui non seppe, davvero non seppe rispondere al bacio. Sentiva l’eccitazione montare.
Lei si tolse di nuovo, voltandosi e dandogli la schiena.
-Eria…-, sibilò lui.
-Hai la tua risposta. Ora vattene. Non tornare qui. Domani non mi troverai.-, rispose lei.
-Ma… come?-, chiese lui, incapace di articolare altre parole.
-Capirai.-, rispose Eria mentre scivolava tra le ombre che avvolgevano il Vestibolo.

 

Serena sorrise al vedere un doppio sei. Iniziò a muovere con spietata rapidità le pedine.
Septimo osservò la situazione. La giovane afferrò il dado del raddoppio.
-Alziamo la posta?-, chiese. Lui le sorrise. Non era messo male. Per nulla. Poteva farlo.
Aveva potuto controbilanciare quel colpo di fortuna parte della giovane con un paio di mosse strategiche che ne avevano limitato l’utilità.
-Volentieri. Cosa proponi?-, chiese. Sperava che la giovane non avrebbe semplicemente raddoppiato la posta secondo l’usuale metodo di duplicare quanto già scommesso.
-Se vinci tu potrai chiedermi ciò che vuoi. Se vinco io potrò fare lo stesso.-, disse lei.
Septimo sospirò, ponderando la proposta. Poteva, potenzialmente, perdere l’Impero, se avesse perso. Fissò Serena Prima con un sorriso.
-Immagino non sia sbagliato chiederti se punti all’Impero, vero?-, chiese lui.
-Non è ciò che voglio.-, ammise lei. Septimo sospirò di sollievo tra sé e sé.
-E allora cosa vuoi?-, chiese. Lei scosse il capo, facendo un cenno di diniego con un dito con aria giocosa. Lui s’imbronciò in modo visibilmente teatrale.
-No no, Imperator. Accetti o rifiuti?-, chiese, -Pensavo che un giocatore del tuo calibro osasse.-.
-Sempre.-, rispose lui, punto sul vivo, -Accetto.-.
Lei sorrise.

 

Amsio Calus arrivò a casa e trovò sua moglie Missinia, bionda e ancora procace nonostante l’età incalzante, ad aspettarlo alzata. Non parlarono finché non furono in camera da letto.
-Dove sei stato?-, chiese. Lui la guardò, senza alcuna preoccupazione.
-Ho dovuto discutere di alcuni affari. Mi scuso.-, disse.
-Ti scusi… Io vengo sempre lasciata da parte.-, replicò lei, decisamente contrariata.
-Ora però sono qui…-, disse lui. L’eccitazione c’era ancora. E ora non aveva davanti che una donna, normale e bella come poche altre. Si avvicinò.
-Ora sono stanca.-, disse lei, -È tardi.-.
-Non ci credo.-, rispose lui, lapidario. Le strinse una natica. Lei gli tirò un ceffone.
-Maledetto porco!-, strepitò. Lui la baciò Lei gli morse il labbro. Lui la afferrò. Le strappò la veste con brutalità, catapultandola sul letto.
-Maledetto… maledetto…-, sussurrò lei con sempre meno disprezzo e sempre più foga.
-Bastardo…-, sibilò con gli occhi semi-chiusi mentre lui si denudava e la palpava, implacabile.
-Il tuo bastardo, stronza.-, rispose lui. Si piazzò tra le cosce di lei e le affondò dentro.
-Porco!-, ringhiò lei, -Vieni a fottermi!-, esclamò avvinghiandolo con le gambe per tenerlo dentro di sé. Lui la baciò. Mai aveva fatto sesso con tanta foga, con tale brama.
Doveva tornare alla prima notte di nozze per riuscire a ricordare un entusiasmo simile.
-Ci puoi giurare!-, rispose lui con un ghigno. La notte sarebbe stata lunga.

 

La partita era finita. Septimo osservò la tavola da gioco con aria impassibile mantenuta per mero orgoglio mentre Serena portava le sue ultime pedine fuori dalla zona di gioco, siglando la sua vittoria. Sorrise all’Imperator. Si alzarono in piedi e risistemarono il tabellone.
-Beh, posso dire che è stata un’ottima partita.-, disse Septimo. Era una frase di facciata, in realtà non riusciva a capacitarsi di quanto gli ultimi tiri gli fossero andati male.
-La sfortuna capita. E io sono certa che avresti vinto, se si fosse intromessa la malasorte.-, rispose la giovane. L’Imperator avvertì un fremito di rabbia, di stizza coglierlo.
Quella pietosa affermazione era fuori luogo, sebbene veritiera. Avrebbe preferito mille volte che la giovane non si fosse prodotta in una simile patetica esibizione di pena.
-A volte si vince, altre si perde. La posta è stata stabilita.-, minimizzò lui, -Dimmi cosa desideri e sarà tuo.-. Mantenere quella facciata d’impassibilità era un’impresa.
-Una domanda, Imperator.-, disse lei.
-È questo ciò che desideri?-, domandò lui di rimando. Serena Prima scosse il capo.
-No. Ma è ciò che definirà ciò che voglio.-, sorrise lei.
-Chiedi pure.-, rispose lui. Non aveva nulla, più nulla da nascondere.
-Vuoi fare sesso con me?-, la domanda spiazzò completamente Septimo. L’uomo non riuscì a evitare di mostrare il suo stupore.
-Io… Sì. Ammetto che sei stupenda, e diversa dalle troppe donne prive di personalità che ho incontrato…-, ammise dopo qualche secondo di puro e semplice sbalordimento.
Ancora una volta Serena lo aveva sorpreso. Ma ora? Se ne sarebbe andata?
Probabile. Septimo ponderò il fatto. La giovane non sembrava avvezza a scendere a compromessi e l’Imperator aveva molti difetti ma non quello di non saper giudicare con precisione le persone. Sì: Serena non l’avrebbe assecondato nel suo desiderio, di quello era certo, sicuro come poche altre cose.

-Immagino che tuttavia il mio desiderio rimarrà insoddisfatto, vero?-, chiese Septimo, decidendosi a parlare, -Insomma, non ho alcun modo di convincerti a giacere con me, se non imponendotelo e non intendo farlo.-.
-Molto onorevole da parte tua, Imperator. Ma la tua preoccupazione è vana.-, Serena Prima si avvicinò, di un passo e poi un altro. Profumava di un profumo diverso da ogni altro.
-Non hai alcun bisogno di convincermi o forzarmi. Non sono una moglie fedele o un recalcitrante matrona.-, i loro visi erano a contatto. Il fiato di lei sapeva di frutta.

Il bacio fu lento, ma solo inizialmente. La lingua di Serena sgusciò fulminea tra le labbra di Septimo. L’Imperator sentì il desiderio montare, come un’onda anomala, cancellare il resto, sopprimere dubbi e domande. Lasciò che il bacio continuasse a lungo, il più possibile.
Serena pareva lieta di continuare quello scambio. La sua lingua giocava con quella di Septimo. Le sue labbra si sfioravano con le sue. Morse appena il labbro inferiore dell’Imperator.
Quando si staccarono, lei sorrise. Gli occhi le luccicavano.
-Vieni.-, disse. Afferrò per il polso l’uomo, guidandolo sino a uno dei triclini. Lo fece sdraiare dopo averlo denudato. Septimo si accorse di non riuscire a scuotersi dal languido torpore. Era come se le parti si fossero invertite: come se Serena Prima fosse il maschio e lui la femmina…
La giovane si era intanto denudata. Il suo corpo era tonico e muscoloso, privo di cicatrici e drappeggiato di bizzarri tatuaggi. S’intrecciavano su petto, braccia, gambe e schiena, motivi tribali apparentemente privi di significato, oppure caratteri di lingue ignote recanti benedizioni di divinità ormai dimenticate?
-I tuoi tatuaggi…-, iniziò Septimo.
-Un eredità.-, rispose lei con un sorriso. Accarezzò il membro dell’Imperator, poi si sedette sul suo viso, imponendogli la sua vulva rasata contro la bocca.
-Lecca ora. Leccami come se fossi la coppa degli Dei contenente l’ambrosia dell’Immortalità!-, lo incitò. Septimo non osò protestare. Prese a leccare, facendo del proprio meglio. Lo faceva spesso ma non aveva mai subito una simile situazione. Era soggiogato.
Serena gemette, dando a capire che il trattamento cui era soggetta non era sgradito, anzi.
-Continua… Onora la mia vulva.-, mormorò lei. Aveva intanto preso a toccarsi i capezzoli, stringendoli piano e accarezzandosi i seni, -Leccala per bene.-.
E Septimo lo fece, eccome. Mise a frutto anni di esperienza e ogni singola lezione appresa tra i guanciali e le cosce di cento e più donne. Il suo membro intanto era ignorato, eretto ma assolutamente privo di attenzioni. Serena non aveva fatto un cenno per toccarlo o per prenderlo.
-Oh… sì!!! Lo sento… Che bello!-, la giovane si contorse a occhi socchiusi, una danza ritmica, dettata da una musica che solo lei poteva udire. Si tolse.
-Scommetto che ora vorresti farmi tua, vero?-, chiese. Septimo, ancora sdraiato e il viso bagnato degli umori di lei, sorrise.
-Beh… sì…-, ammise. Lei sorrise a sua volta. Afferrò il pene. Strinse alla base.
-Ecco la posta della partita: tu oggi non mi possederai.-, disse. Strinse nuovamente.
Il piacere divenne dolore. Septimo strinse i denti.
-Tua sorella è un nemico e noi la distruggeremo. Ma io non sono come le altre. Lo hai capito.-, disse Serena Prima. Masturbò piano il membro dell’Imperator. Lui parve rilassarsi, pur comprendendo che ormai il sesso era solo il contorno di un atto di più grande importanza.
-Io non ti darò questa soddisfazione, Imperator. Per te conquisterò le terre dei tuoi rivali, distruggerò i tuoi nemici, pianterò le insegne degli eredi di Licanes sino ai confini della Terra e oltre, ma la mia vulva, la mia rosa di Peira, quella non l’avrai mai. E se tenterai di violarmi…-, la mano afferrò i testicoli e strizzò con forza. Septimo emise un miagolio. Si agitò cercando di divincolarsi e fallendo, soffrendo atrocemente, giacque vinto, -…Ti ucciderò.-, concluse Serena.
Riprese la toga, rivestendosi rapidamente. Uscì senza degnare Septimo di un altro sguardo.

L’Imperator rimase fermo per un lunghissimo istante, poi, chiamò Althenia.
La giovane serva giunse e, vedendo il suo signore nello stato in cui era, comprese la sua mansione. S’inginocchiò, rapidamente portando all’orgasmo il regnante di Roma.
Intanto però, la mente di Septimo era altrove, ben altrove.
Serena era sicuramente una donna formidabile ma, dopo la morte di Aristarda e la fine di tutta la guerra civile, l’Imperator si fece il punto d’onore di ridefinire i ruoli e la sua superiorità nel loro rapporto. Avrebbe seguito il piano di Serena e annientato sua sorella. Avrebbe giocato a fare il sottomesso per ancora qualche tempo. Poi, con l’Impero unito, si sarebbe vendicato.

 

Serena Prima ritornò alla sua abitazione, scortata dalla guardia dell’Imperator come da lui disposto. Si sorprese di trovare la donna ammantata sul divano.
-Sono passati molti anni…-, sussurrò. La donna annuì, il viso nascosto dal cappuccio nero.
-Sì. Molti. E tu hai fatto tutto ciò che dovevi fare. La tua è stata un’ascesa folgorante, figliola.-, rispose lei. Serena sorrise.
-Tutto merito tuo. Mi hai insegnato molto bene. E io ho cercato di apprendere al meglio.-, si schernì la giovane. Prese una caraffa d’acqua e versò, per lei e per la sua ospite.
-Grazie.-, disse questa. Si tolse il cappuccio. Il viso fece capolino. Bevve svuotando il bicchiere.
-Non sei invecchiata di un giorno.-, notò Serena.
-No. Purtroppo questo è ciò che sono. La maledizione che porto.-, ammise lei.
-Fu tanto grave il tuo peccato?-, domandò la giovane. Bevve piano l’acqua, cercando di calmare il cuore ancora accelerato, ben conscia che una parola di troppo avrebbe significato morte.
-Agli Dei soltanto è dato dire ciò, Serena. A me è dato vivere con ciò che essi hanno disposto. Ormai lo so.-, rispose la misteriosa viandante.
-Eria… È quello il tuo vero nome?-, chiese Serena. Lei le sorrise.
-Anche se fosse? Ha davvero importanza?-, domandò in tutta risposta. Le due donne si fissarono per un breve istante. Fu la generalessa a distogliere lo sguardo per prima.
-Septimo ha tentato di sedurti. E deduco che tu l’hai umiliato.-, disse la donna.
-Come tu hai detto, mia maestra.-, rispose Serena.
-Amabile. Ti ha fatto godere, almeno?-, chiese lei.
-Lui no. Era goffo. Incapace di far godere una donna se questa non lo teme o non lo venera. Troppo abituato a essere temuto e blandito. Ma quello sguardo. La consapevolezza di avere davanti qualcuna che non può comandare o piegare…-, Serena provò un brivido di puro piacere al solo ricordo. La mano della donna le accarezzò appena la coscia.
-Immagino. Gli uomini non sono poi così diversi. Tutti vogliono la stessa cosa. E vedendosela negata, tutti reagiscono allo stesso modo.-, sussurrò la visitatrice. Sfiorò l’interno coscia di Serena, arrivando alla vulva da sopra i tessuti. Sentì l’umidore e il calore di un’intimità che ancora chiedeva, esigeva soddisfazione.
-Rimarrai, questa notte?-, chiese Serena Prima. Fissò il viso della donna senza soggezione. Ne ricavò un sorriso. Un sorriso lieto, vero.
-No. Ma spero, quando tornerò vittoriosa, e Septimo Nero e tutti questi patetici pretendenti saranno storia e ossa calcificate, che tu mi aspetterai con altrettanto contegno.-, disse.
Le labbra delle due donne si cercarono, si sfiorarono, si assaporarono.
-Fino alla fine dei giorni…-, mormorò Serena con una voce che non riconobbe come sua.
-Allora fai la tua parte. Conosci il piano. Noi abbiamo il nostro ruolo. Se io fallirò, tu dovrai subentrare.-, disse la donna. Sfiorò ancora l’intimità della giovane.
-Fallire tu? Non esiste!-, protestò lei, lottando contro il languore che chiamava impellente.
-Prendo le mie precauzioni, figliola. E ora…-, il dito prese sfiorare la vagina di Serena con tale rapidità e perizia da portarla all’orgasmo. La giovane avrebbe urlato se l’altra non l’avesse baciata. Le loro lingue si cercarono, intrecciarono. La donna si sollevò in piedi. Serena si sentiva fiacca, le articolazioni molli come ovatta bagnata. Sorrise, appagata.
-Conserva queste sensazioni, sorella. Saranno il tuo viatico per il futuro.-, mormorò la donna.
-L’Impero è condannato, vero?-, domandò Serena.
-Sì.-, disse semplicemente la donna, -Tu dovrai accompagnarlo alla rovina. Poi mi raggiungerai. E lo ricostruiremo dalle rovine. Nel nome delle sue figlie e dei suoi figli obliati.-.
-Come vuoi, mia signora… Mia maestra…-, Serena scivolò lungo il divano, sino a terra. Abbracciò le caviglie della viandante, le mani che andavano ad accarezzare, a pretendere.
La donna sorrise, clemente. Allontanò piano ma con fermezza la giovane.
-Come vuoi. Sempre!-, esclamò Serena Prima. Con un ultimo cenno, la donna ammantata uscì.

Scritti recuperati da più fonti, anonimi, non datati.
Lavoro di ricostruzione da parte del Monaco Surtes, completato nel dodicesimo anno dalla Caduta dell’Impero di Roma

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