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Orgia

Ero una finta ingenua di paese e sono diventata …

By 31 Gennaio 2016Dicembre 16th, 2019No Comments

Mi chiamo Luciana, vengo da un paesino di provincia a meno di mezz’ora di treno dal capoluogo di provincia, ho potuto frequentare l’istituto per ragionieri e prendere un diploma che può sempre tornare comodo soprattutto in una zona dove il lavoro scarseggia e spesso i caporali reclutano le ragazzine di quattordici anni per lavoro a nero.
Da diplomata decisi di non andare all’università, che del resto non era neppure vicina. Decisi di cercare lavoro che trovai in città presso un professionista dove apro lo studio la mattina, effettuo conteggi, preparo gli atti che poi il titolare firma, riordino scartoffie; il tutto per undici ore al giorno.
La paga è di oltre mille Euro al mese in nero, ma a 20 anni quello è un sogno per ogni ragazza. Questo mi consentiva di avere di una piccola indipendenza economica pur restando in famiglia.
In realtà la vita di paese mi piaceva molto poco; nel paese non succedeva mai nulla e il passatempo di giovani e vecchi, sia adulti che ragazzi, era frequentare il bar e fare chiacchiere e spettegolare su tutti. I discorsi erano monotoni del genere: che auto s’era comprato questo, quello che s’è rifatto casa, hai visto il vestito di ‘quella’ riferendolo al guadagno del marito deducendo che ‘sicuramente deve avere un altro uomo’.
In poche parole: l’ambiente mi annoiava.
D’estate ebbi la fortuna di ritrovare una compagna di classe che si era diplomata con me e che era andata a Roma a studiare Economia e Commercio. Abitava in un appartamento di una parente anziana che le aveva dato l’alloggio a basso costo. Inoltre la mia amica mi disse di aver trovato lavoro a Roma come impiegata in un’azienda multinazionale per gestire le pratiche amministrative.
Lo stipendio era buono: per lavorare quattro ore al giorno mille Euro netti al mese e contributi versati regolarmente.
Lei mi propose di andare a Roma per lavorare nella stessa azienda.
“Splendido!” esclamai “ma cosa ti fa pensare che assumano proprio me? Chissà quante altre ragazze ci saranno prima di me!”.
“Si lavora parecchio con il computer perché molte procedure sono automatizzate” mi rispose la mia ‘amica Carla “e la caporeparto vuole gente giovane. In più tu hai già esperienza di lavoro, il voto di diploma non è male e ti sei diplomata bene”
“Già! Mille Euro me lo darebbero qui per dieci ore al giorno… ed in più a Roma c’è da pagare l’affitto di casa!”
“Vieni ad abitare da me. Io pago una cifra ridicola a questa mia lontana zia, se poi facciamo a metà stiamo alla grande”
Per farla breve Carla mi convinse ed alla metà di luglio andai a Roma.
Nella sede della società Carla mi presentò la coordinatrice del lavoro di circa trenta anni ed il responsabile del personale, anche lui giovane sui trentacinque anni.
Con entrambe ebbi un colloquio ed il loro parere fu favorevole per l’assunzione e dal mese successivo successivo sarei stata una dipendente dell’azienda.
Così qualche giorno prima dell’inizio del mio periodo lavorativo salutai tutti i parenti e andai a Roma. Mi accompagnava la mia amica.
Arrivammo a destinazione nel tardo pomeriggio.
L’appartamento lo avevo già visto ed era bello.
L’aria di città era diversa e finalmente respiravo aria nuova e diversa.
A dire il vero in paese non ero una delle ragazze “chiacchierate”, come ad esempio un’altra ex compagna di scuola che arrotondava le sue entrate lavorando nelle varie discoteche estive della zona.
Sulla mia amica Carla si spettegolava per essere andata via dal paese e poi presentarsi alle feste ogni volta  con abiti vistosi e sempre ingioiellata. Forse lo sarei diventata anch’io se fossi andata via dal paese.
Comunque nel decidere l’accettazione dell’offerta di lavoro avevo già deciso che di tutto ciò me ne sarei altamente fregata esattamente così come a suo tempo fece la mia amica.
Mia madre mi disse di fare attenzione ai ragazzi di città che vedendo una ragazza come me ingenua se ne sarebbero approfittati.
Non sapeva che non ero più vergine da quando avevo sedici anni e mezzo e che avevo avuto qualche avventuretta soprattutto al mare con i figli di quelli che emigrarono a Roma o a Milano che in estate tornano a far vacanza in paese.
Ma in paese andando a messa fino a quattordici – quindici anni mi ero data una fama di brava ragazza e quindi una patina di perbenismo che non in fondo mi appartiene. Non che sia una ninfomane ma avevo avuto le mie storie. In paese non mi andava di parlarne e soprattutto non mi andava di avere storie con ragazzi del luogo perché non volevo essere il trofeo di qualcuno.

Il lavoro a Roma non era affatto male: potevo scegliere, mese per mese, se lavorare dalle nove all’una oppure dalle tre alle sette di sera.
La ragioniera coordinatrice era molto esigente ma sapeva anche riconoscere i meriti dei suoi collaboratori.
In quell’occasione conoscemmo l’amministratrice della società, una signora giovane sulla quarantina che aveva varie proprietà immobiliari avute in eredità dal marito, figlio di un facoltoso costruttore morto a trent’anni. Lei abitava al piano attico di un elegante palazzo della periferia nord di Roma dal quale si vedeva tutta la città. La signora come persona era affabile anche se poi sul lavoro non risparmiava niente a nessuno.
La signora aveva invitato i suoi collaboratori alla festa dell’ultimo dell’anno a casa sua.
Avendo saputo che saremmo rimaste a Roma, invitò anche me e la mia amica.
“Perché no?” ci dicemmo con Carla. Era l’occasione di conoscere un po’ di gente e farsi nuovi amici.
La sera del 31 dicembre andammo alla festa che si teneva in un attico immenso su due livelli da cui si vedevano i tetti di Roma.
Durante la serata conoscemmo persone di un po’ tutti i tipi, tutta gente con grossi conti in banca. Un efficiente cameriere provvedeva a servire gli ospiti e c’era anche un cuoco.
La padrona di casa ci disse che li aveva conosciuti un paio d’anni prima in un villaggio turistico del Kenya e, soddisfatta della loro efficienza, li aveva assunti come domestici in Italia. Assolutamente rispettosi, ubbidivano in silenzio e senza far domande a qualsiasi richiesta.
Qualche nostra collega ci disse, sottovoce e ammiccando “Chissà se ubbidiscono a proprio TUTTE le richieste…” ma lasciai cadere l’illazione perché in fondo non erano affari miei.
Il nome della padrona di casa era Marisia. Volle sapere qualcosa di più su di me così chiese alla mia caporeparto chi fossi, come me la cavavo e così via. Chiacchierò pure un po’ con me per sapere da dove venissi, com’erano stati i miei studi e altre cose del genere.
Avendo visto che, seppur solo da quattro mesi in ditta, mi ero data da fare e avevo una certa dimestichezza con la contabilità, mi prese in disparte e mi disse: “Senti, vuoi arrotondare un po’ il tuo stipendio?”
Vedendo l’espressione del mio volto si mise a ridere e mi disse: “Cos’hai capito? Ho quattro palazzi qui vicino, compreso questo e il mio vecchio amministratore è andato in pensione mi serve qualcuno che lo sostituisca. Tu sei giovane, capace, lavori solo mezza giornata e non frequenti l’università, quindi avresti ti vorresti interessare a questo lavoro?”
“Volentieri, ma lei è sicura che io ne sia capace?”
“…. e non darmi del lei, chiamami Marisia”
“Va bene, ma di preciso che cosa dovrei fare?”
“Semplice: tieni la contabilità dei miei palazzi, riscuoti e amministri l’affitto degli inquilini, che peraltro lo versano in banca, usi il mio ufficio, qui al piano di sopra. Tre mattine alla settimana per parlare con i fornitori. In ufficio c’è fax, telefono e tutto quello che ti pare. Se una volta tanto telefoni a casa tua non è un guaio”
A convincermi definitivamente furono i 1500 Euro netti al mese che Marisia mi offriva.
Accettai al volo l’offerta per provare ma la mia vita dopo quattro mesi era cambiata in meglio.
Arrivata da poco a Roma portavo in tasca ogni mese uno stipendione di alcune migliaia di Euro.
Marisia mi dette le chiavi dell’ufficio che aveva un ingresso indipendente, ma poteva essere raggiunto anche internamente da casa sua attraverso una scala che portava anche in una zona notte. Avevo a disposizione anche il bagno della zona ospiti.

Fu così che ai primi di giugno, avendo lavorato il sabato precedente alla contabilità non rimandabile, scambiai lo straordinario per una giornata libera. Fu così che a metà settimana andai al mare con una collega, invidiate da Carla, costretta a lavorare.
Al ritorno nel pomeriggio, sudata e con la sabbia sulla pelle, mi feci lasciare direttamente sotto casa di Marisia.
Suonai, per scrupolo: ma non rispose nessuno, quindi entrai con le chiavi. Andai su nel bagno degli ospiti e mi denudai, poi mi misi sotto il getto d’acqua della doccia. Ero sola in casa e non pensai a rivestirmi quindi restai con l’accappatoio, accesi una sigaretta e iniziai a visionare le fatture dei fornitori.
Erano già le sei e mezzo ed ero ancora in accappatoio. Accesi l’ennesima sigaretta della serie e scesi in cucina a piedi nudi a bere qualcosa perché avevo sete. Qualcosa attirò la mia attenzione, perché udii alcune voci venire dal salone. Pensai alla televisione dimenticata accesa. Mi affacciai al salone ancora con il bicchiere in mano ma la televisione era spenta e tutto era tranquillo.
Tornai in cucina ma sentivo ancora voci ed ero sicura che tra quelle ci fosse quella di Marisia.
Le porte di casa erano aperte ed ero sicurissima che in casa non fosse entrato nessuno, così seguii le voci finché non capii da dove venivano: c’era una porta semiaperta, nascosta da un grande specchio. Avevo sempre notato lo specchio nel salone, ma non avrei mai immaginato che nascondesse una stanza. Inoltre mi era chiaro perché non avessi sentito la porta. Sul pianerottolo ci sono due porte contrapposte e io pensavo che, avendo Marisia realizzato un appartamento solo, l’altra porta fosse lì solo per estetica e alle spalle fosse murata. Invece non era così: l’altra porta era un altro ingresso.
Capivo bene Marisia: pensai che lì tenesse oggetti preziosi e documenti riservati. Forse non era neppure il caso di farle capire che avevo scoperto qualcosa che, tutto sommato, non mi riguardava sapere. Ciò nonostante la curiosità mi prese e passai attraverso la porta nascosta.

Mi trovai in un ambiente buio leggermente illuminato dalla luce dalla porta di fronte lasciata leggermente accostata ma quello che mi incuriosì fu che, appoggiando l’orecchio alla parete, non sentivo solamente la voce di Marisia ma anche voci maschili.
Il mio pensiero fu quello di una riunione di lavoro.
Poiché la curiosità è prettamente femmina, guardai nello spiraglio che mi permetteva di vedere solo parzialmente la stanza.
Vidi qualcosa che mi incantò e mi incuriosì non poco: altroché riunione di lavoro!
La stanza che vedevo aveva pareti imbottite e moquette in modo che fosse insonorizzata, vedevo un letto king size senza testata messo al centro ed un lettino ginecologico e su quest’ultimo, completamente nuda e con i piedi alti poggiati sulle staffe c’era Marisia con le gambe completamente divaricate.
Aveva soltanto un gonnellino a perizoma senza intimo e una collana da schiava ad una caviglia. Alla sua destra, in piedi, c’era il cameriere al quale Marisia stava facendo un pompino che neppure le più brave attrici porno avrebbero saputo fare. Il cazzo del cameriere aveva una lunghezza normale ma era di quella larghezza non avevo mai visto.
Osservavo che Marisia faticava a tenerlo in bocca, ciononostante lo assaporava con gusto.
Alla sua sinistra c’era il cuoco che aveva dimensioni del cazzo altrettanto notevoli in larghezza. Il cuoco stava introducendo nella figa di Marisia un grosso vibratore; lo inseriva e lo ruotava lentamente per allargargliela. La figa era completamente depilata.
Ora era tutto chiaro: i due inservienti non erano solo efficienti nelle faccende di casa, ma dovevano soddisfarla nel lettone.
Conoscevo Marisia come persona autoritaria ed anche generosa con chi se lo meritasse, ma in questa situazione era in stato di totale soggezione perché lasciava che fossero i suoi due domestici a disporre di lei.
Restando nell’ombra in silenzio vidi che il cameriere venne in bocca a Marisia che non riuscii a ingoiare tutta la sborra che le colò sul mento e sulle tette. Il cameriere per questo le disse che allora doveva essere punita e la fece mettere a pecorina.
Il cuoco da un lato e il cameriere dall’altro, le bloccarono le caviglie sulle staffe del lettino e i polsi ai bordi del letto con delle cinghie. Dopo aver bloccato ogni movimento di Marisia, che si faceva legare con piacere, osservai il cuoco andare verso una rastrelliera attaccata alla parete di fondo della stanza su cui si trovavano tutti i tipi di giocattoli per il sesso. Prese un grosso vibratore doppio, più grande di quello usato prima, per metterlo contemporaneamente nella figa e nel buco del culo di Marisia, poi lo accese alla massima velocità.
Si mise vicino alla bocca di Marisia. Era evidente che la donna doveva succhiare tutta la sborra senza farla cadere e non credo che le dispiacesse essere punita.
Questa volta fu brava: anche il cuoco le riempì la bocca senza difficoltà.
Sentivo i mugolii di piacere che le provocava il vibratore che le stava squassando il culo e le stava provocando uno sbrodolamento della figa ormai rossa e gonfia, ma da troia navigata quale stava dimostrando di essere, si sottometteva a tutto ciò che i due le facevano.
Mi chiesi se la parte di Marisia fosse di schiava o padrona. Contava poco il saperlo perché lei godeva instancabilmente.
Visto che aveva ingoiato tutta la sborra, il cameriere decise che Marisia poteva essere premiata. Tenendola sempre legata al lettino tolse il vibratore e lo sostituì con la punta della sua grossa nerchia nel buco del culo ancora un po’ aperto mettendolo dentro senza troppi complimenti.
A ciò corrispose un urlo di Marisia più di piacere che di dolore, tant’è vero che, sempre urlando, ritmava le stantuffate del negro nel suo sfintere gridando “Dai! Spingi! Ora! Spaccami! Aprimi! Aaahhhhh!”, e così via.
Siccome la figa era vuota ma ancora aperta e bagnata, il cuoco pensò bene, senza ricorrere al vibratore, di scoparla con la mano.
Non ebbe certo bisogno di farsi strada; le mise prima con un dito, poi ne mise dentro due fino a mettere le cinque dita a punta ed infilarle delicatamente facendo scivolare dentro la mano fino al polso.
Non avevo mai visto e ne pensato che una mano entrasse in una figa così facilmente.
Mosse poi il braccio molto piano in avanti e indietro usando la mano libera per accarezzarle il clito.
Per far si che libidine fosse al massimo, il cameriere, chino sulla sua femmina da monta, le gridava cose porche alle quali lei rispondeva sempre più eccitata.
Evidentemente Marisia amava essere schiava e donna-oggetto in mano a loro forse per godere della loro inventiva o forse perché a letto amava farsi comandare.
Fu così che sentii il cameriere urlare: “Lo senti il cazzo?”
Aumentando il ritmo, con colpi che facevano ballare il lettino e le scardinavano le chiappe: “Ora lo senti, troia?”
“Sii, mi piace quando mi chiami così”
“Ti sto aprendo il culo come piace a te”
“Siii, fatti sentire, voglio che mi vieni nel culo”.
“Adesso no”
“Invece sì, riempimi, sto venendo”
Marisia non fece in tempo a finire di parlare che urlò per l’orgasmo provocatogli dalla mano in figa. Quasi contemporaneamente il negro estrasse il suo cazzo per riversare, urlando, un fiotto di sborra bollente dentro il culo ben allargato. Di sborra ne uscì un po’.  
Durante le chiavate, Marisia invitava il suo stallone a sprofondarsi nel suo sfintere e a svuotarsi dentro di lei.
Guardavo incantata dalla situazione e dal rapporto sessuale a cui mai prima di quel momento avevo assistito. Ammetto che avevo sognato di poter assistere ad un accoppiamento ma con due maschi non l’avevo immaginato. L’adrenalina mi faceva battere il cuore e sudare. La voglia di farmi un ditalino era tanta. Ciò che vedevo era qualcosa di magico.
Marisia sembrava una ninfomane e trovava piacere nel farsi ridurre a oggetto da due stalloni che la comandavano a bacchetta e la punivano esattamente come lei, invece, faceva con loro fuori da quella stanza.
Certo è che ora cosa si nascondeva nella camera segreta: Questa era la motivazione delle due porte ed anche la verità della mia principale grandissima troia ed affamata di sesso tanto da esserne schiava.

Ma non era finita.
Dopo averla slegata, il cuoco, che voleva la sua razione di culo, si sdraiò sul lettino dove poco prima c’era Marisia, col il cazzo dritto come un palo della luce.
Marisia salì sul lettino sopra al cuoco e, aiutata dall’altro uomo che la teneva in equilibrio, iniziò a calarsi sopra la nerchia. A quel punto il cuoco la afferrò per i fianchi e iniziò ad esplorarle l’intestino con la punta del suo cazzo.
Allo stesso tempo si offriva bella spalancata al cameriere, il quale, essendo già venuto e privo di sborra fresca, non trovò niente di meglio che chiavarla anche lui con la mano, proprio come aveva fatto prima il suo amico durante la monta.
Un bel trattamento, non c’è che dire. Chissà quante volte a settimana vi si sottoponeva.
Anche questa volta urla e frasi da porca sottolinearono l’orgasmo quasi contemporaneo del cameriere e di Marisia.
A me stessa dissi: Belle chiavate e sesso alla grande, ma ormai devono aver finito. Lo deducevo dal fatto che i maschi erano venuti ed anche Marisia più di una volta.
Invece sbagliavo. Infatti Marisia scesa dal lettino, con i due ancora un poco mosci, si sdraiò di fianco sul grande letto al centro della stanza, e tenendosi sollevata una coscia per offrire figa e culo spalancati, disse: “Non mi volete più? Non sono più la vostra troia da spaccare in due a colpi di cazzo?”
Era una sfida a cui i due maschi non si sottrassero. Sdraiandosi uno davanti e l’altro dietro, la impalarono insieme facendola sentire come la farcitura di un sandwich.
“Così si fa!” urlò la donna che si preparava a ricevere un fiume di sborra. Dopo pochi minuti di scopata ritmata con gemiti, grugniti e frasi porche da parte dei maschi al sentire le quali Marisia si eccitava, lei fu riempita di sborra.
L’orgia finì con la sborrata quasi contemporanea che lasciò i due esausti e lei estasiata.
Un urlo animalesco di Marisia segnalò il suo orgasmo.
I tre vennero verso la porta dietro cui mi trovavo e decisi anche io di allontanarmi per non essere scoperta. Mi vergognavo di fare la guardona e non mi volevo far trovare eccitata a guardarli.
La mia figa sbrodolava abbondantemente. Mi ero toccata ma l’orgasmo non l’avevo avuto.
I miei movimenti furono maldestri perché inciampai nella moquette perdendo l’equilibrio.
Per non cadere mi appoggiai alla porta che era solo accostata e questa si aprì all’interno della stanza

 

 

Il primo pensiero fu “Cazzo! sono rovinata!”
Pensavo a alla mia nudità che era un evidente segno di voglia ed alla mia figa che emanava tutto ciò che emetteva quando ero in calore, i capezzoli che mi toccavo appena pochi secondi prima era durie dritti.
Pensai anche ai soldi che ogni mese la donna mi dava e che mi ero bruciata per una stupidata.
Marisia mi guardava minacciosamente “E così si spia! si fa la guardona vero?”
“Veramente” dissi iocon fare maldestro “sono qui per sbaglio. Sono venuta a lavorare direttamente dal mare, mi sono fatta una doccia, ho sentito rumore e…”
“Zitta!” dandomi uno schiaffo.
“Cos’hai visto?”
“Credo di aver visto tutto”
“Tutto cosa?”
“Ho visto tutto quello che ti sei fatta fare prima che ti facessi legare e….”
“E..?”
“E….” dissi io, senza il coraggio di dire il verbo.
“…E scopare, la finisco io la frase”
“Ma non l’ho fatto apposta, lo sapevi che sarei venuta a lavorare…”
“Saresti venuta a lavorare? E quando ? Già, è vero! Pggi in ufficio non c’eri. Ora mi dici che sei stata al mare. Stamattina non vedendoti pensavo stessi male. Ma perché non me l’hai detto subito? Ti saresti risparmiata lo schiaffo. Scusami. Del resto non potevi sapere di questo nascondiglio né del mio… diciamo, piccolo hobby riguardo al quale conto sulla tua discrezione”.
Annuii. “Non sei arrabbiata con me, allora, Marisia?”
“E perché mai?”
Mi mise una mano sulla spalla e mi tirò in disparte.
“Sì, sulle prime mi sono incazzata, sai, parliamoci chiaro, mi hai vista fare certe cose per le quali, se si sanno in giro non mi potrei più far vedere in società, anche se ci sono certi ipocriti, porci e stronzi che conosco io, che, altroché queste cose: droga, gay, trans, sado-maso, sexy shop… ci potrei fare un dossier. Io sono più discreta. Sono abituata a comandare, anche loro due”, disse indicando i domestici, “ma nella vita privata sono schiava del sesso. Lo amo al punto da farmi umiliare e dimentico ogni dignità quando sono in mano ad un uomo. Voglio che mi possieda totalmente e che mi comandi. Ho potuto realizzare questo sogno con loro. Lo sanno bene: fuori di qui sono la loro padrona ed esigo rispetto, come pure al lavoro. Qui dentro sono nelle loro mani”.
“Ci vuole equilibrio, credo, perché la cosa non prenda la mano”, dissi io.
“E infatti i patti sono chiari: nessuno dei due si sogni di voler approfittare della situazione fuori di qui perché il mio avvocato ha i loro permessi di soggiorno. Li rimando a casa in 24 ore. Ma spero che non si renda mai necessario. Mi sento così porca ad essere la loro schiava… a proposito, tu che spiavi, non hai provato nulla?”
“Ma…io?”, dissi.
“Certo, tu. Mica mi dirai che sei di legno…”.
“No, un po’ di batticuore, ma per l’ansia, ma..”
“Ho capito, ti hanno insegnato che eccitarsi è da cattive ragazze. Ehh! la vita di paese vi rovina..”
Nel dire queste ultime parole prese i lembi dell’accappatoio e li aprì. Mi mostrai completamente nuda ma non ebbi vergogna o pudore.
 “Dio come sei bella… sei un fiore. Avessi la tua età…”
“Per la verità”, dissi confusa, “anche tu sei bella e devo dire che… che… “
“…che a quarant’anni scopo ancora bene, vero? Ma a vent’anni si scopa peggio che a quaranta: si impara con l’esperienza. Solo che a quaranta siamo considerate quasi pronte per la rottamazione e senza neppure il contributo. Vorrei avere il corpo tuo e la mia esperienza. Fatti accarezzare”.
Ero eccitata e senza barrire psicologiche. La lasciai fare provando meno vergogna di quella che avrei avuto se mi avesse toccato un maschio.
Le mani di una donna mi avevano già toccato ed esplorato perché avevo scelto una donna per ginecologo.
Quando Marisia mi toccò le labbra della fica le sentì gonfie e umide. Si bagnò le dita e me le mise sotto il naso: “Lo senti? Sei bagnata”
“Potrebbero essere i tuoi umori..” le risposi dicendo una evidente ingenua bugia in un estremo tentativo di autodifesa.
“Sentiti da sola”
Mi prese la mano e accompagnò due dita in mezzo alle grandi labbra. Erano gonfie e umide, c’era poco da fare era evidente. Non era l’ansia.
“Ti è piaciuto, non negarlo anche a te stessa….”
“Non so che dire….”
“Vieni qui, non avere paura. Non sei vergine, vero? Non mi sembri sprovveduta fino a questo punto”
Le dissi che non lo ero e le raccontai della prima volta e delle altre a seguire. Non mi ero neppure accorta che, chiacchierando, mi aveva fatto sfilare l’accappatoio, mi aveva fatto sedere sul bordo del lettino e ne aveva sollevato lo schienale per potermi appoggiare con le spalle.
Marisia mi disse: “Tu hai una gran voglia, lascia che te lo dica”.
Subito dopo avvicinò le sue labbra alle mie e ci scambiammo le lingue mentre con una mano andò ad carezzarmi prima le tette poi la pancia, fino a giù il pube.
Dolcemente mi fece sollevare le gambe e mi fece mettere i piedi nudi sulle staffe.
Ero esposta a lei e le offrivo la mia figa. Non reggevo più e mi abbandonavo lentamente a lei.
Mi allargò le gambe e adesso poteva carezzarmi il clitoride iniziando un ditalino per soddisfare la mia voglia di fare sesso.
Durante tutto questo periodo i due maschi ci osservavano. Si vede che dovevano essere eccitati, perché allo spettacolo di me completamente spalancata erano duri entrambi.
Marisia vide che li guardavo, e lei, voltandosi e guardando i loro cazzi, disse: “Ragazzi, andiamoci piano, che questa non è roba che sta nei patti”
. “E perché?” dissi io, eccitata dal ditalino “in fondo, ormai siamo più che amiche…”
“E va bene, sei maggiorenne e vaccinata. Ma questi sono stalloni da Gran Premio, ti avverto”
“A me ne basta uno, voglio quello”, dissi, spavalda, indicando il cameriere. Poi dissi a Marisia nell’orecchio “Quando ti scopava mentre eri legata ti stava facendo impazzire”
“Già, qualche volta me lo sono portato qui da solo…”
“Però l’altro me lo posso assaggiare come antipasto, in fondo è cuoco…”
Lei, continuando a carezzarmi nel suo lento ditalino, fece un cenno ai due.
Il cuoco mi mise subito il cazzo in bocca. Quant’è grosso, pensai. Più di come l’ho visto….
Marisia disse al cameriere: “Prendi il lubrificante. Questa non è mica aperta come me”
Il cameriere andò al bancone a prendere un grosso tubetto di lubrificante.
“Lubrificante?” dissi io
“Certo, hai detto che non sei più vergine?”
“Sì, ma..”
“E allora è inutile insistere lì, per la tua bella fighetta c’è tempo. E poi troppi peli. Hai visto come eccita di più e come è bella una figa liscia?”
Non chiesi altro.
Il cuoco diede il lubrificante a Marisia che lo spalmò sulle mani e intorno al mio buchetto.
“Non ti preoccupare, amore, adesso ti farò provare qualcosa di bello”
Così dicendo, mi mise l’indice nello sfintre e iniziò a farsi strada.
Nessuno era mai passato di lì.
Marisia sapeva che doveva andare piano, quindi passò un po’ di tempo prima di mettere un altro dito dentro. Per sicurezza mi spalmò altro lubrificante nel culo e mi infilò dentro tre dita ruotandole delicatamente per aprirmi senza traumi.
Tutto questo avveniva mentre continuavo il pompino al cuoco che prima o poi mi sarebbe venuto dentro la bocca.
Come avrei fronteggiato quel mare di sborra? Marisia era un’esperta troia e sapeva come comportarsi in queste situazioni ma questa era la mia prima avventura del genere.
Non ebbi tempo di farmi altre domande perché Marisia sfilò le dita e, guardandomi il culo, disse: “Credo di averti preparata bene”
Fece avvicinare il cuoco a cui interruppi il pompino e spalmò anche il suo cazzo con una buona dose di lubrificante, poi mi disse: “Stai tranquilla, cara, te lo infilo io”
Mi rimise due dita nel buco divaricandomi lo sfintere, poi le ritrasse e accompagnò il grosso cazzo nera nel mio orifizio anale.
Si fece strada dentro me lentamente, anche se non poté evitare di farmi un po’ male.
Il mio respiro aumentò ma Marisia mi invitò a rilassarmi riprendendo a massaggiarmi il clitoride. Man mano che l’eccitazione saliva mi aprivo sempre di più e desideravo essere presa da uno dei maschi.
Quando il mio sfintere fu completamente rilassato sentii tutto il cazzo entrarmi dentro.
Era bello e non avevo sofferto.
si voltò verso i due suoi amanti disse “guardate come sta godendo la troietta, è una porca in calore e merita di essere scopata e sbattuta come una puttana. Si tra poco sarà la mia puttana, le darò tanto di quel cazzo che non ne chiederà per una settimana e ne rimarrà schiava”
Stavo con le gambe alzate e mi dimenavo mentre Marisia con il dito mi sgrillettava e  gemevo come una porca
Marisia rivolta a me disse “di al cuoco che sei troia. Dillo! digli che vuoi essere sbattuta come una puttana”
Ed io senza esitazione dissi “sii sono una troia e voglio che mi sbatti, voglio il tuo cazzo”…
Mentre dicevo questo lei mise la testa tra le mie cosce e cominciò a leccarle la figa come un affamata
A questo punto i miei gemiti divennero dei gridolini mentre mi contorcevo dal piacere
Venni quasi gridando, stringendo la testa di lei tra le mie cosce quasi soffocandola.
Lei si liberò dalla presa e mi disse “sei una puttana”.
Vedendomi e sentendomi godere in quel modo, il cuoco fu come preso da un raptus
Ora ero tutta aperta e lui con quel grosso cazzo che puntava pronto a sbattermi, feci appena in tempo per dire “non ti azzardare nemmeno a pensarlo se non ti proteggi”
Lui mi disse “te la voglio sfondare a pelle”
Nel frattempo vedevo la mano di Marisia che da sotto la pancia si accarezzava la figa, era tutta aperta.
Il cuoco preso il cazzo in mano e cominciò a sbatterlo sulle mie natiche.
Mi attaccai a lui quasi a supplicare quel cazzo e lui mi disse “che sei porca, mmmmm che troia……vuoi essere scopata vero? Dimmelo che vuoi il mio cazzo, me lo devi chiedere”
A mezza voce dissi “siiiiii lo voglio dammi il tuo cazzo lo voglio tutto, scopami”.
Lui sempre con il cazzo in mano punta la cappella sullo sfintere struscianodola dal basso verso l’alto ed entrando per qualche centimetro.
Da uno specchio sul soffitto si vedeva la cappella lucida e bagnata dagli umori della figa.
Marisia si voltò  verso il cameriere dicendo “che bello vedere quanta voglia hai del cazzo di questo maschio, vieni a vedere quanto vuole essere scopata la troia”
Il cuoco era ben dentro di me e mi diceva “mmmmmmm che gran vacca, prendilo mmmmmmm eccolo puttana è tutto tuo, ti sbatto come una troia”
A quel punto vidi il suo cazzo scomparire dentro il mio intestino fino alle palle e cominciò a scoparmi con tale forza che saltavo letteralmente, gridando e gemendo.
Mi teneva stretta per i fianchi e spingeva come una porco. Sentivo il rumore del suo bacino contro il culo.
Riuscivo appena vedere il suo cazzo che entrava ed usciva.
Voltandosi verso Marisia disse “guardala quanto è troia…..mmmmmm è una puttana….è una zoccola nata per stare a letto e prendere cazzi”
E poi verso di me “siiiii! ti sbatto tutta, troia….che cazzo di puttana che sei…mmmmmmm….lo senti il mia cazzo eh?…..troia…..porcona”.
Il cuoco continuava a chiavarmi con movimenti ritmici: guardando in basso e vidi il suo arnese nero e turgido, con tutte le vene gonfie, stantuffare più dolcemente, ancorché senza esitazioni, nel mio sfintere ormai dilatato a sufficienza. Il piccolo dolore iniziale ormai aveva lasciato il posto al piacere.
Dominata dai quei due grossi cazzi, m’immaginavo come si sentisse Marisia ad abbandonarsi completamente ad essi. Siccome il cuoco aveva avuto ordine di non essere irruento, la scopata durò una quindicina di minuti buoni. Anche Marisia mi sditalinava con calma, senza fretta, perché potessi godermi l’orgasmo, che arrivò poco dopo.
 Come se si fossero messi d’accordo, i due vennero quasi contemporaneamente. Come previsto, non potei far fronte al fiotto di sborra che il cameriere mi riversò in bocca e quindi lasciai che il suo sperma mi imbrattasse le tette e la pancia.
Sentii, invece, la sborra espulsa dal cuoco nel mio buco. Lui uscì da me e continuò ad espellere il suo caldo succo sulla mia fica.
Oramai ero ricoperta ma non ci facevo nemmeno caso perché stavo venendo per effetto del ditalino. Ero eccitata per essere stata al centro dell’attenzione dei tre.
Sentivo la sborra scendermi giù dal retto e uscire dal mio culo ormai sverginato.
Venni fragorosamente, con un urlo, poi mi lasciai cadere sullo schienale come tramortita e rimasi in quella posizione per far passare le contrazioni che mi attraversavano tutto il corpo.
Tolsi i piedi dalle staffe e scesi dal lettino: “Credo che dovrò rifarmi la doccia”, dissi a Marisia, facendo per uscire dalla stanza e dirigermi al piano di sopra.

“E’ lì dietro”, disse lei. “Cosa?” dissi, confusa ed ancora stordita
“La doccia, no?”.
Mi guardai intorno li nella stanza. Non ricordavo più niente e mi volevo ambientare. Rimasi stupita, il locale era attrezzato bene. C’erano il letto a due piazze molto grande e quello per ispezioni ginecologiche. Il bancone era provvisto di tutto: vibratori elettrici, cazzi finti, divaricatori ospedalieri, una borsa con catetere per clisteri, anche se non immaginavo a cosa servisse.
Vista la meticolosità di Marisia non avrei dovuto stupirmi, quindi, che ci fosse anche la doccia, ma ero ancora troppo frastornata per rendermi conto di cose così ovvie.
La doccia mi aiutò a riprendere il filo dei miei ragionamenti.
Uscendo, vidi persino un frigorifero che indicai a Marisia, che nel frattempo si era rivestita.
“Ma qui c’è un kit di sopravvivenza…”, le dissi.
“Quello è per i week-end, non si sa mai…”.
“Come, i week-end? “
Sì, qualche volta se non ho impegni per il fine settimana si sa quando si inizia e mai quando si finisce. Qualche settimana fa abbiamo iniziato il sabato prima di mezzogiorno e abbiamo finito la domenica sera, senza sosta… almeno io. Mi hanno scopato in tutte le posizioni possibili fino a sera; poi, prima di andarsene a cena, mi hanno legata al lettino, come hai visto prima e mi hanno messo quel clistere lì, vedi”, e me lo indicò, “nel culo. Hanno usato la borsa grossa, un litro d’acqua calda. Sapessi che bello sentirsi gonfia. Sembra di essere incinta ma la goduria è maggiore. A loro non gli è bastato farmi svuotare nel cesso: mi hanno rimesso a pecora e lo hanno rifatto due volte, finché non ho scaricato nel cesso solo acqua pulita. Volevano avermi con le budella pulite. A loro faceva schifo avere il cazzo sporco dopo l’inculata. Devo confessarti che per me era una goduria ogni volta che mi riempivano. Poi hanno detto che andavano a dormire. Mi hanno messo uno speculum in culo, l’altro nella fica e li hanno divaricati al massimo. Sono rimasta spalancata non so quanto tempo; di sicuro almeno due ore. Al risveglio hanno preso due banane dal frigo e mi hanno ritappato i buchi; dovevo riscaldarle perché secondo loro erano troppo fredde. Mezz’ora dopo se le sono mangiate. Poi doppia razione di cazzo fino a pranzo, dopo il quale, e fino a sera, sono stata inculata con tutti quegli strumenti che hai visto. Il lunedì non mi sono neppure potuta sedere per quanto male avevo al culo”
“Da non credersi…”
“Già. Incredibile. Da allora cerco di tenermi libera, per quanto possibile, i fine settimana”, disse, poi, maliziosa
“Certo, ci sono domeniche in cui devo viaggiare per incontrare gli altri colleghi, ma i fine settimana liberi ormai li dedico completamente a me. Anzi! sei libera questo week-end?”
Mentendo dissi di no. Avevo ancora paura, nonostante la travolgente esperienza che avevo appena vissuto.
Non parlai con nessuno di quello che vidi e sentii.
Quella domenica andai a pranzo in un ristorante fuori Roma con Carla e altre sue amiche ma non potei fare a meno di pensare che in quei momenti, Marisia veniva umiliata, sodomizzata, sottoposta a tutte le perversioni nella sua stanza insonorizzata.
Mi sorpresi eccitata e sudavo freddo. “Luciana, cos’hai?” mi disse una delle amiche.
“Fa caldo” dissi mentendo “Si suda troppo…”
Andai in bagno e vidi una grande macchia nelle mie mutandine. Mentre mi lavavo le mani mi guardavo nello specchio. Sudavo ancora ed ero bianca in faccia.
Non resistevo alla voglia di sditalinarmi e lascia andare la mano giù sul clitoride.
Mi sedetti sul bordo del WC e allargai le gambe.
Ero fradicia.
Mi feci scivolare due dita della mano destra dentro la figa mentre il pollice titillava bene il bottoncino ormai rosso.
Pensavo con piacere ai supplizi a cui si sottometteva Marisia e immaginai me stessa lì, immobilizzata e alla mercé dei miei padroni.
Non sentii neppure Carla che bussava alla porta: “Luciana stai bene? Rispondi, non scherzare!”.
“Sto bene sì, scema, mai stata così bene”
Venni in silenzio, col respiro mozzato e la tensione dovuta alla libidine si allentò.
Mi sciacquai il viso, mi asciugai e aprii la porta del bagno
“E’ tutto a posto. Avevo solo bisogno di una rinfrescata” Lo dissi decisa e disinvolta e la mia amica si tranquillizzò.
Il resto della giornata passò bene e non pensai più a Marisia.
Quella settimana sarei dovuta andare giovedì a casa sua, ma lei era a Milano e non sapeva a che ora sarebbe tornata.
Giovedì pomeriggio andai e controllai altri documenti.
Liquidai alcuni inquilini che si lamentavano di alcune spese straordinarie e, prima di andare, passai al piano di sotto.
Stranamente la porta della stanza nascosta era aperta.
Marisia mi salutò.
“Ma non eri a Milano?” dissi
“Lo ero, in effetti”
Aveva fatto prima del solito ed era rientrata a casa prima di me.
Senza neppure disfare la valigia, si era spogliata, buttata sotto la doccia e messa nuda a letto.
Era venuta a salutarmi con indosso una vestaglia che lasciava nulla all’immaginazione ma per me tanto non c’era nulla da immaginare avendola vista all’opera.
Non so perché, ma provavo come una forma di innamoramento per lei o forse di sudditanza. Forse era la persona che mi avrebbe introdotto a tutte le più immaginabili perversioni e il mio sentimento era di gratitudine.
“Sei sola” constatai
“Sì, oggi è giovedì e i domestici sono liberi fino a domattina. Del resto non mi aspettavano neppure loro”
Guardandola fui capace solo di dire “Sei bellissima”
“E tu sei bella e giovane” mi rispose esattamente come la settimana prima.
Presi il coraggio a due mani.
“Sai, l’altra domenica avevo un impegno con Carla e le sue amiche”
“Lo so, non ti giustificare. Non devi, non ti ho obbligato a fare nulla e non devi sentire in pericolo il tuo posto di lavoro perché hai paura di non avermi accontentata. Ti ho capita, sai? E’ difficile conoscere il proprio capo sotto un aspetto come quello che hai conosciuto tu. Ho le mie manie, i miei, diciamo vizietti, e i miei gusti come tutti, ma non sono di quei porci che li mischiano con il lavoro. Dunque, fuori dal lavoro parliamoci da donne e non da capo e subordinata”
“Volevo dire solo che sabato e domenica prossima sarei libera, e forse…”. Non finii la frase.
Marisia mi prese per mano e mi portò nella stanza segreta.
Mi indicò il lettino. Sotto al bordo aveva messo un catino e a fianco c’era un tavolino con tutto l’occorrente per radere.
“Lo so”, mi disse, “che saresti stata libera. Domenica eri ancora troppo spaventata. Dopo avere usato la stanza per il fine settimana – da venerdì sera a domenica sera: mi hanno sfondata a dovere – ho preparato il lettino. Ti aspettavo.”
“E non l’hai più usata?”
“No, si userà sabato prossimo e ora so che saremo in quattro. Lì c’è l’abbigliamento anche per te”
Quale abbigliamento, pensai voltandomi e vidi, appesi alla spalliera di una sedia, un perizoma e una cavigliera con perle di legno.
“Ce l’avevi anche tu. A cosa serve?”
“A loro non piace la donna completamente nuda. Nella loro tribù la donna attende il suo uomo nella capanna abbigliata così. La cavigliera è prima di tutto un abito mentale. Devi imparare ad abbigliarti come la loro schiava per essere la loro schiava. E poi non mi dispiace. Quando giro per casa da sola certe volte mi metto così, e li aspetto”
Pensavo alla depilazione “Devo farmi depilare?”
“Non ora. Domenica mattina i domestici devono sbrigare le faccende, fino alle 11. Quindi tu vieni alle nove e mezza. Ti farò la doccia io personalmente così ti darò alcuni consigli. Poi ti vesti col perizoma e il bracciale. Ti depilerò e ti farai trovare pronta sul lettino. Ma prima dovrò aprirti un poco con il vibratore e lo speculum perché potresti avere problemi. Comunque sei l’ospite d’onore e l’ouverture toccherà a te. Poi non dirmi che non ti voglio bene e non ti ho avvertita” disse ridendo.
Il venerdì passò liscio, come pure il sabato, giorno in cui andai a fare compere con Carla. Quella notte non avevo sonno e non riuscivo a dormire tanto che dovetti prendere un tranquillante. A non dormire ci avrei pensato l’indomani sera.
Domenica mattina mi presentai alle nove e mezza a casa di Marisia. Mi aprì lei: mi apparve una stupenda bruna completamente nuda col perizoma e il bracciale alla caviglia. Appena svegliata s’era fatta la doccia e abbigliata così.
Presto sarei stata come lei… “Entra amore e benvenuta per il primo di una lunga serie di meravigliosi week-end.”
“Lunga serie?”
“Certo, cara. Lo sai che a luglio e ad agosto non avrai le ferie, vero? Sei l’ultima arrivata in ufficio e mi servi… non solo lì”
Stranamente non mi sarebbe dispiaciuto fare le ferie a settembre, se luglio ed agosto dovevo passarli con Marisia.
Mi spogliai, aiutata da lei. Mi preparai alla doccia e ad un’estate di fuoco, al termine della quale sarei diventata un’altra donna. Uscimmo dalla doccia e andammo in stanza.
Seduta sul lettino sollevai le gambe per mettere i piedi sui supporti. Mi lasciavo mettere il bracciale alla caviglia.
“Benvenuta in paradiso”, mi disse Marisia.
Ero completamente offerta a lasciandomi insaponare i peli della figa mentre le nostre lingue si intrecciarono in un lungo bacio.
Era solo l’anteprima di quei bei due giorni che avrei passato con loro.
Ero diventata troia senza volerlo e mi piaceva non poco

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