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Racconti erotici sull'Incesto

Dimmelo…

By 29 Dicembre 2018Dicembre 16th, 2019One Comment

In casa non c’era nessuno. Eravamo solo io e lui. Eravamo nella sua stanza. Il suo letto ci aveva accolti trepidanti di desiderio e lussuria.

Lui era sopra di me… dentro di me…

Mi sentivo piena di lui.

– Dimmelo… – mi chiese sottovoce.

Non avevo più voce. Feci segno di no con la testa.

E spinse il suo cazzo con forza dentro di me.

– Dimmelo… – sussurrò ancora al mio orecchio.

Feci di nuovo no con la testa. Non volevo cedere.

E di nuovo si spinse con forza dentro di me.

– Dimmelo… 

Me lo chiese altre quattro o cinque volte, ma ogni volta dicevo di no.

Era diventato un gioco. Lui mi chiedeva di supplicarlo di venirmi dentro ed io rispondevo di no. E ogni volta si spingeva in profondità, quasi facendomi male. Me lo chiedeva ogni volta che stava per venire, quasi implorandomi di accoglierlo dentro di me. Ma era quello che desideravo. Che il suo seme mi allagasse nuovamente.

Ero piena di lui. La sua essenza era scorsa dentro di me senza barriere e senza limiti. Per due giorni aveva versato nel mio corpo la sua essenza di uomo. Versato senza impedimenti e senza pensieri. Desiderato da entrambi.

Una pura e liquida essenza, colma di vita.

Io volevo un figlio da lui e lui mi disse che desiderava ancora scoparmi mentre ero incinta di suo figlio, che mi cresceva in grembo ignaro di tutto.

Dopo quello che mi parse un’eternità, venne. E io urlai il mio godimento.

Il suo seme mi inondò di nuovo, aggiungendosi a quello già presente. Domani sarei stata in ovulazione. Avevo fatto bene i conti. Questa volta ce l’avrei fatta sicuramente.

Avevo 25 anni ed era da tempo che desideravo un figlio. Il mio partner non avrebbe potuto riuscirci. Aveva fatto una scelta anni addietro (a causa di una malattia che sicuramente avrebbe trasmesso, così disse lui) e aveva fatto l’intervento. E quando lo venni a sapere, l’avevo mollato proprio perché io i figli li volevo.

Quindi mi rivolsi altrove. Mi rivolsi a lui.

Dapprima tentennò, timoroso di un possibile tradimento nei confronti della sua donna e di quello che implicitamente sarebbe stato.

Un incesto. Passibile di risvolti penali, anche.

Ma a me non importava. Io gli volevo un bene dell’anima, fin da quando ero piccolissima. Era il mio idolo, il mio modello. Lo guardavo sempre con occhi trasognanti di bambina, poi di ragazza, e poi di donna.

Erano già passati un paio di mesi dalla nostra prima volta. Ci incontravamo sempre di nascosto, in genere a casa mia, perché in casa ero sempre sola. Ma questa volta eravamo a casa sua.

Era una sensazione che aveva voluto provare. Fare l’amore nel suo letto, dove tutt’ora dormiva con la sua donna. Lei non c’era per alcuni giorni, era fuori per lavoro. E ne avevamo approfittato. Fortunata coincidenza.

Rimase dentro di me, ancora duro da maledetti. Aveva una forza ed una resistenza incredibile. Era già pronto.

Riprese a muoversi dentro di me, a volte lento, a volte rapido, a volte delicato, a volte rude.

– Girati – mi disse. – Voglio prenderti da dietro.

Mi misi carponi sul letto, mi afferrò per i fianchi, e con un unico guizzo me lo mise di nuovo dentro con forza. Mentre si muoveva dentro e fuori dalla mia fica, il suo impeto provocava dei sonori schiocchi che risuonavano oscenamente per tutta la stanza. I suoi testicoli sbattevano contro le mie gambe.

– Oh, Sara… che fica che hai… vorrei scoparti sempre…

– Sì – risposi languidamente. – Me lo hai già detto… continua… non fermarti… fammi godere…

Invece lui si fermò. Premeva con forza il suo bacino contro il mio sedere.

– Dimmelo… – mi ordinò.

Feci segno di no con la testa, lui estrasse il suo cazzo e poi me lo spinse dentro con forza.

– Dimmelo… – mi chiese ancora.

Feci di nuovo no con la testa, e ancora lui lo tolse e lo rimise dentro con forza.

– Dimmelo… 

– No! Non te lo dico! – quasi gli urlai.

Si tolse da me, mi rivoltò sul letto, mi afferrò le braccia e di nuovo si spinse dentro di me con forza, restando col busto sollevato.

Urlai di dolore. Il suo lungo cazzo aveva dilatato la cervice ed il glande mi era penetrato direttamente nell’utero. Poi venne, sparandomi la sua semenza direttamente dentro l’utero, mentre mi guardava negli occhi.

Lentamente il cazzo si sgonfiò e lui uscì da me, sdraiandosi al mio fianco.

Quando ci fummo ripresi abbastanza, riuscii a trovare la voce per parlare.

– Ti amo, papà…

Papà mi sorrise, mi diede un rapido bacio sulle labbra e si alzò.

Rimasi sdraiata ancora un po’, poi mi alzai anche io. Rovistai in un paio di cassetti e trovai quello che cercavo. Mi infilai una delle sottovesti della sua donna.

Lo raggiunsi in cucina. Era ancora nudo e stava trafficando con la macchina del caffè.

– Papà, quando torna Tina, poi vieni ancora da me, vero?

– Che domande fai, Sara! Certo che ci vengo.

– Ma tu… tu la ami Tina?

Papà ingobbì le spalle e si girò verso di me.

– A questo punto… non lo so più. Con tua madre era stato diverso. La amavo sul serio tua madre. E anche ora che sto con Tina, faccio sempre paragoni tra loro due, che tua mamma era meglio di lei in questo o in quello. Mi manca tua madre, in ogni istante della mia vita. Lei non c’è più e sento il vuoto qui – indicando il suo cuore. – Ma devo anche continuare a vivere. Tina lenisce quel dolore, qualche volta. Con Tina sopravvivo al dolore della sua assenza e lei lo sa.

Mi avvicino rapidamente a lui e mi abbraccia.

– Oh, papà… la mamma manca anche a me, tantissimo… Credi che sarebbe stata felice se avesse saputo di noi?

– Ne sarebbe stata inorridita, tesoro. Non avrebbe mai approvato una cosa del genere. Era troppo moralista, per accettarlo. Ma lei è morta e non può più saperlo. Io mi ritengo un ateo e non mi da fastidio più di tanto, ora che ci ho fatto l’abitudine. Anzi, adesso aspetto con impazienza i momenti in cui ci possiamo vedere, perché tu mi ricordi molto tua madre. Hai la sua stessa foga di accogliermi dentro di te.

Mi baciò la spalla e tornò a rivolgere le sue attenzioni alla macchina del caffè. Dopo qualche minuto mi chiese se ne volessi uno anche io. Dissi di no e mi sedetti al tavolo, aspettando che finisse di bere il suo.

Diedi lo sguardo alla sveglia. Erano le undici di una domenica mattina e due giorni dopo sarebbe rientrata la sua donna. Non mi piaceva chiamarla per nome. La consideravo un’intrusa nella nostra vita.

Avevamo ordinato il pranzo in rosticceria, quindi non dovevo sbattermi di spadellare per il pranzo.

Poi mi alzai e andai in bagno. Per scrupolo feci l’ultimo test di ovulazione che mi era rimasto ed il risultato mi confermò che lo ero.

“Ancora oggi. Mi resta solo oggi per restare incinta, questo mese” pensai. Poi mi toccai la pancia pensando a tutto lo sperma che papà mi aveva versato dentro negli ultimi due giorni. Fra tutto lo avevamo fatto almeno una dozzina di volte. Con palese appagamento per entrambi, devo dire.

 

Rimasi con lui fino al mattino dopo. Cambiai le lenzuola, cancellai ogni traccia della mia presenza nella sua camera da letto e poi me ne andai al lavoro. Ogni tanto mi soffermavo a pensare tutto quello che avevamo detto e fatto, mio padre ed io.

Le ore, i giorni, le settimane passavano lente, mentre ogni giorno aspettavo che mio padre venisse a casa mia. E quando lui era con me, il tempo passava troppo rapidamente. Ogni giorno usciva da casa mia sempre un po’ più tardi della volta precedente, quasi che anche a lui dispiacesse lasciarmi.

Erano passate due settimane: ora sarebbe stato il momento della verità. Ero rimasta incinta oppure no?

Passò un giorno, niente. Passò il secondo giorno, niente. Passò il terzo giorno e iniziai a ritenere probabile che lo fossi per davvero. Al quinto giorno passato senza che fosse arrivato il ciclo (ero sempre stata puntuale, da quel punto di vista) feci il test di gravidanza.

Attesi con apprensione i 3 minuti, e quando anche il secondo segmento si evidenziò, lasciai andare il sospiro che avevo trattenuto a lungo.

Ero finalmente incinta. Mandai la foto a papà con whatsapp con il risultato del test. Non mi richiamò, ma si presentò alla mia porta dieci minuti dopo.

Era raggiante!

– Davvero? – mi chiese ancora prima di chiudersi la porta alle spalle.

– Sì, papà, sono incinta.

– Finalmente! Cominciavo ad avere dubbi che uno dei due avesse qualche problema!

Mi venne da ridere.

Mi abbracciò e mi baciò con passione.

– Ho deciso di mollare Tina. Ti amo anche io, Sara. Vivremo insieme io, te e nostro figlio.

 

E così fu.

Tina se ne andò lo stesso giorno, arrabbiata e delusa, dopo che papà le disse che aveva messo incinta un’altra donna, senza specificare che ero io. Tina ruppe senz’altro qualche cosa, perché aveva quel vizio, quando litigavano. Sbattere a terra tutto quello che era a portata di mano.

Lasciai passare un mese, misi in vendita il mio appartamento e poi mi trasferii a casa di papà. Non era la stessa casa nella quale avevo vissuto da bambina, con lui e la mamma, perché l’aveva comprata solo un paio d’anni prima. Qui nessuno mi conosceva e per i vicini diventai la sua nuova e giovane donna.

Papà mantenne la sua promessa: mi scopò anche mentre ero incinta di suo figlio.

Anzi, i suoi figli, perché ne avemmo quattro.

 

 

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