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Dalle otto alle otto per ventiquattr’ore

By 22 Aprile 2016Aprile 2nd, 2021One Comment

Capitolo 1: Incipit
Il tiepido sole di primavera s’insinua tra le fessure delle tapparelle, rivelando in penombra la stanza intorno a me e illuminando il quadrante della sveglia alla mia sinistra, quanto basta per scoprire che ho ancora pochi minuti. Pochi istanti prima che il nostro magico universo deflagri in una miriade di frammenti destinati a tramutarsi in ricordi al contempo dolci e amari. Pochi attimi per sperare di saziarmi di te. Attimi preziosi, da catturare e fissare nella mente, immagini confuse, sensazioni dalla forza prorompente.
Stringo il tuo corpo nudo e inerme. La tua pelle di seta si fonde con la mia e il nostro calore ci circonda, intrappolato dalla leggera trapunta che cela ai miei occhi le tue forme sinuose e seducenti.
Il tuo respiro, profondo e regolare, mi impone di non strapparti ancora al mondo dei sogni. Il mio, invece, ben più corto e rapido, tradisce uno stato d’animo del tutto diverso. I tuoi morbidi seni e i tuoi capezzoli prominenti premuti contro il mio fianco, la leggera peluria del tuo sesso aderente alla mia coscia, la tua gamba destra avvinta alla mia, il contatto con la tua carne, la stessa che poche ore fa ho assaporato in ogni centimetro, la stessa che ho divorato con ardore, la stessa che ho baciato, morso, leccato, mentre suggevo avidamente ogni goccia del viscoso piacere sgorgante dalla tua intimità, quella stessa carne che ho violato con inevitabile brutalità, non può lasciarmi indifferente. Non può non donarmi un brivido, un senso di calore al basso ventre, un fremito che porta il mio membro a guadagnare consistenza, almeno in parte.
Ti scosto delicatamente i capelli dal viso per bearmi delle linee rilassate del tuo volto. La tua guancia sul mio torace è quasi una piuma. Sfioro l’altra, seguendone i contorni fino al mento. Disegno le tue labbra con le dita, lasciando che il tuo respiro le accarezzi. Ripenso all’effetto della tua bocca su di me, ripenso ai tuoi baci umidi e lascivi, ripenso alla tua bocca che prende possesso della mia, per poi fare lo stesso col resto del mio corpo. Ripenso alla tua lingua voluttuosa sul mio sesso, umettarlo e percorrerlo fino a renderlo turgido, imponente, pronto per riempirti, dilatarti, strapparti gemiti e sospiri, grida di piacere e di dolore mentre il tuo corpo, offerto e usato, si arrendeva al mio volere.
Le palpebre serrate nascondono il tuo sguardo ai miei occhi. Quello sguardo ardente, tentatore, peccaminoso. Quello sguardo che quasi t’incendia quando lo incroci. Lo ricordo ancora riflesso nello specchio mentre, tirandoti per i capelli, ti costringevo a guardare il tuo corpo prono sottomesso a me, il tuo viso teso e in apnea intanto che affondavo deciso tra i tuoi glutei sodi e arrossati. Lo ricordo ancora fisso nel mio, con un sorriso a illuminarti il volto e l’imbarazzo a colorarti le gote mentre sfilavi fra strade e occhi stranieri con abiti che coprivano meno di quanto mostrassero. Lo ricordo incontrare lo sguardo dei passanti, di uomini sconosciuti che ti osservavano con tanta intensità da sentire i loro pensieri indecenti correrti lungo la pelle fino ad insinuarsi tra le tue gambe; di ragazzini dall’espressione incredula e allibita che avrebbero sfruttato in solitudine il tuo ricordo per placare la loro voglia, stringendo e stimolando i loro membri tesi fino a impregnarsi la mano del loro stesso seme, immaginando quel fluido salato spandersi sul tuo viso e sul tuo corpo; lo sguardo severo delle donne, impegnate a disprezzarti solo per scacciare dalla mente l’invidia e il rimpianto dovuti al non essere te. Lo ricordo bene il tuo sguardo in quei frangenti, uno sguardo carico d’eccitazione e imbarazzo, voglia e timore, ricordo la tua mano stringere la mia per trovare il coraggio di andare avanti, continuare quella sfilata con la grazia d’una principessa e l’aspetto d’una troia.
M’inebrio del tuo odore mentre continui a dormire serena e indifesa tra le mie braccia. Un delicato odore di donna, di pulito, di freschezza. Non posso non tornare con la mente alla tua pelle coperta dal mio seme. All’aroma acre e pungente che il frutto della mia eccitazione ti aveva lasciato addosso. Lo stesso col quale ti ho costretta a mostrarti al mondo. Era troppa la mia voglia di lasciarti sporca di me, e troppa la perversione insita nel tuo essere per negarmi questo piacere. Guardarti indossare i pantaloni mentre rivoli bianchi ti colavano lungo le cosce, uscire in strada sapendo la tua bocca impastata dei miei densi umori, baciarti e attirare a me il tuo corpo pregno dei miei e dei tuoi succhi mischiati insieme è stata una sensazione potente, indescrivibile, catartica.
Magari è questo a renderti così speciale ai miei occhi. Tutti hanno delle fantasie, voglie che bramano realizzare. Ed è già raro trovare con chi condividerle. E’ già raro avere qualcuno col quale poter essere sé stessi fino in fondo, mostrarsi senza remore né censure. Eppure, con te non è soltanto questo. Non sei semplicemente lo sfogo dei miei desideri più indicibili e osceni. Ne sei la fonte, la musa, la forza creatrice e ispiratrice. E’ su di te che si plasmano le mie voglie, è in base a te che si formano, prendono vita, iniziano ad urlare nella mia mente, tanto forte da rendere impossibile ignorarle. Le stesse voglie che avrei dovuto soddisfare nelle ultime ventiquattro ore. Queste ventiquattro ore da vivere in un altro mondo, nel nostro mondo. Queste ventiquattro ore di assoluta libertà che volgono al termine e che non hanno saziato affatto la mia voglia di te. Così come non l’hanno fatto questi ultimi minuti. Non sono sazio. Forse non lo sarei mai.
Ma il tempo scorre implacabile, e il nostro finirà tra pochi secondi soltanto. Quanto basta per ritrarre il braccio che ti cingeva le spalle e la mano che ti accarezzava il viso, adagiarti sul cuscino e rimboccarti le coperte, prima di sfiorare le tue labbra con le mie un’ultima volta e fare che il mio e il tuo tornino ad essere due corpi distinti attratti da una forza irresistibile.

Capitolo 2: Dalle 8 alle 9
L’abito che indossi accarezza il tuo corpo come una sapiente, leggera pennellata su una tela intonsa. La tua pelle si scorge attraverso le pieghe del leggero tessuto, richiamando il mio sguardo e accendendo la voglia di appropriarmene, di sentirne l’odore, la consistenza, di accarezzarla per constatare se è setosa come appare, stringerla per sentirti fremere.
Mi avvicino a te mentre discendi i pochi scalini che dal treno ti conducono alla banchina. Quando alzi lo sguardo e incontri il mio mi sorridi appena. Schiudi le labbra per parlare, ma il mio dito indice corre a premere sulla tua bocca per impedirtelo. Abbiamo un patto, e intendo fartelo rispettare. Baci il mio dito, umettandolo, mentre mi fissi dritto negli occhi. Lo lascio scorrere lentamente su di te, dal mento lungo il collo, fino alla clavicola. Il mio sguardo segue lo stesso percorso sino a posarsi nell’incavo tra i tuoi seni, complice l’ardita scollatura che li lascia intuire morbidi e candidi.
La mia mano risale ad accarezzare il tuo viso, la guancia, si sposta sulla nuca per finire a cingerti le spalle. Ed è così che ci ritroviamo a camminare per lasciare la stazione, abbracciati, senza una parola. Con solo lo sfregamento delle ruote del trolley sull’asfalto a rompere il nostro silenzio complice.
Lungo il tragitto fino all’auto un tiepido sole primaverile illumina il tuo volto all’apparenza angelico, sul quale spicca uno sguardo dal quale traspare la tua vera natura. Dopo averti fatta accomodare sul sedile del passeggero e aver riposto la valigia nel bagagliaio, mi siedo al tuo fianco. Lascio scorrere una mano sulla tua coscia sinistra prima di impugnare la leva del cambio. Sorpresa mi osservi mentre avverti il mio tocco su di te, e il cotone azzurro risalire lungo le gambe dischiuse. Mi interrompo solo quando sento il tuo calore investire le mie dita e scorgo la tua bocca aperta cercare dell’aria che inizia a sembrare rarefatta. Avvio il motore e, dopo una breve retromarcia, inserisco la prima per immettermi in carreggiata. E’ a seguito di questa manovra che afferro la tua mano. Inerme, incerta, quasi tremante. La poso sulla mia gamba, per un po’ ne accarezzo rassicurante il dorso. Inserisco la seconda, poi con le dita sfioro il tuo braccio procurandoti un brivido. Solo allora ti riscuoti e inizi a muoverti, risalendo verso la mia intimità. Scalo ancora di marcia, in seguito accarezzo col dorso delle dita la tua guancia. Inclini appena il capo per mantenere quel contatto, intanto che le tue di dita arrivano a sfiorare l’evidente rigonfiamento dei miei jeans.
La fitta ragnatela di vie cittadine comincia a diradarsi per lasciare il posto a lunghe, desertiche strade di periferia quando la tua piccola mano riesce finalmente a liberare dalla costrizione del tessuto la mia imponente erezione. Guardi alternativamente me e il mio membro, cingendolo con delicatezza. Lasci scorrere con studiata lentezza la pelle che lo circonda, non mancando di giocare con un glande rosso e pieno.
Intanto, l’altra tua mano scompare per un istante tra le tue cosce. Scostate le mutandine, un dito raccoglie gocce del tuo nettare. Lo porti davanti al mio viso affinché possa annusarlo e, ridendo come una bimba impertinente, lo depositi sulle mie labbra per permettermi di assaporarlo. Un primo, fugace assaggio del tuo sapore.
Dopodiché sei tu a saggiare il mio. Afferri il mio membro con entrambe la mani e ti dedichi a leccarne la punta. Poi la baci con devozione, senza smettere di usare le mani per massaggiare quell’asta resa turgida dalle tue attenzioni. Con la lingua ne percorri tutta la lunghezza, ogni vena in rilievo, ogni centimetro di pelle. Quando spalanchi la bocca per riempirla della mia carne mi doni una scossa di piacere. Il tuo accogliente calore mi eccita più di quanto non lo fossi già. Abbasso al minimo il volume della radio per godere del suono bagnato e osceno delle tue labbra che sfregano lungo la mia virilità, già pregna della tua saliva.
Intanto che l’auto procede a velocità sostenuta lungo una lingua d’asfalto circondata dal nulla, con la mano destra torno ad insinuarmi tra le tue cosce. Stavolta in maniera più rude, decisa. Mentre quasi soffochi tentando di imboccare il più possibile il mio membro ormai nel pieno del suo vigore, ti allargo le gambe con forza per cercare il tuo sesso bollente, aperto, voglioso di un contatto. Il tuo intimo bianco non ferma la mia corsa, che termina tra le tue labbra. Le percorro forzando appena l’apertura e soffermandomi su un clitoride gonfio e sensibile. Lo stringo tra le dita, lo tiro, lo premo con l’indice imponendo lievi movimenti circolari. I tuoi gemiti risuonano nell’abitacolo, attutiti dalla mia presenza dentro di te.
Rallento, scalo di marcia e imbocco un’uscita della statale. Terminata la rampa, afferro i tuoi capelli strappandoti via da me. Un sospiro di disapprovazione segue un sonoro schiocco. I tuoi occhi fissi nei miei. Le tue labbra mostrano un rossetto sbavato e rivoli della tua saliva imperlano la tua pelle sino al mento.
‘Può bastare, per ora’, ti dico, rivolgendoti la parola per la prima volta.
‘Opinabile’, mi rispondi, mentre il respiro accelerato ti gonfia il petto.
Accosto, ti attiro a me per cercare le tue labbra. Le sfioro, ma tu sei lesta a stringere tra i denti il mio labbro inferiore strappandomi un gemito di dolore. Ti tiro i capelli per farti desistere.
‘Questa me la pagherai’, sussurro.
‘Non vedo l’ora’, replichi con un ghigno.
‘Disposta a tutto…’.
‘Credo di avertelo dimostrato donandoti la mia bocca senza neppure un saluto’.
‘Sei stata brava’, ti dico riprendendo ad accarezzarti il volto.
Mi sorridi.
‘Ma sei venuta meno ad una richiesta. Bisogna rimediare’, concludo, prima di serrare la mia mano attorno alla tua nuca e attirarti per un lungo bacio al quale, stavolta, non puoi e non vuoi sottrarti. Mi afferri il capo con le mani per impedirmi di allontanarmi intanto che, avvinghiati in un parcheggio con ancora i nostri sessi esposti, ci scambiamo morsi e saliva, impegnando le nostre lingue in una danza frenetica.

Capitolo 3: Dalle 9 alle 10
‘Non potevo non indossarle – mi dici, staccandoti da me e accarezzando ammiccante il tessuto delle mutandine – in stazione mi ha accompagnata mio fratello, e questo vestito col quale volevi partissi… così corto, leggero… avrei potuto farmi scoprire da lui o da altra gente. Il paese è piccolo…’.
Ti afferro il volto con una mano, poi scendo con un tocco delicato fino a sostituire alle mie le tue dita. ‘E non vuoi che i tuoi vicini scoprano la troia che si nasconde dietro questo visetto d’angelo’, incalzo, sfregando il ruvido cotone bianco sulla tua vulva completamente esposta.
Sospiri, gettando il capo all’indietro. ‘No…’.
‘Non ti piace mostrarti, provocare, eccitare. Lasciarti guardare, sentire addosso occhi estranei, indagatori, occhi di gente che vorrebbe spogliarti, sfogare senza ritegno la voglia che hai fatto montare in loro’, continuo, seguitando a far scorrere le mie dita lungo il tuo sesso umido.
‘Mostrare la figa nuda e bagnata mentre i loro cazzi scoppiano nei pantaloni per colpa tua’, insisto, penetrandoti con la punta del dito medio.
Il tuo respiro inizia farsi pesante. Gemiti sottili sfuggono dalle tue labbra, mentre il tuo odore si spande nell’abitacolo.
Infilo con esasperante lentezza un dito dentro di te. Sprofonda senza difficoltà tra le tue pareti bollenti, ricoprendosi di liquido viscoso che non vedo l’ora di poter bere con calma, dalla fonte. Lo tiro fuori e spalmo quelle gocce di piacere sulle tue labbra, per poi tornare a baciarti suggendole con avidità dal tuo viso.
‘Andiamo a far colazione ora’, ti sussurro indicando un piccolo bar poco distante.
Mi guardi stralunata mentre esco dall’auto, e ti reggi a fatica sulle gambe tremolanti quando ti apro la portiera e ti porgo una mano a mo’ di sostegno.
Camminando mano nella mano osservo i tuoi occhi lucidi, accesi di desiderio, le tue gote infiammate, il tuo corpo scosso da un respiro che fatica a regolarizzarsi.
‘Sei bella, dannatamente bella’, ti dico, sinceramente ammaliato dalla tua indiscutibile avvenenza.
‘Grazie’, rispondi con un filo di voce. Poi ti avvicini e mi guardi fisso, porgendomi ancora le tue labbra, che non disdegno di sfiorare nuovamente.
Percorse alcune decine di metri, entriamo nel locale incollati. Mi stacco da te solo per cercare un tavolino al quale accomodarci. La saletta è vuota, eccetto per il barista intento ad asciugare bicchieri e posate: un ragazzo poco più giovane di noi, mediamente alto, mediamente magro, mediamente… nella media. Un ragazzo comune, ancora inconsapevole dello spettacolo al quale assisterà a breve, del regalo che il destino gli ha riservato in quello che era probabilmente iniziato come uno dei tanti turni di lavoro che si susseguono indistinti uno via l’altro, ma che non sarebbe rimasto tale troppo a lungo. Cordiale, ci rivolge un sorriso al quale rispondiamo di rimando.
Sposto la sedia per farti accomodare, poi ti accarezzo il viso per invitarti a guardarmi, in piedi dietro di te. Mi chino per baciarti ancora, senza smettere di sfiorare la tua pelle. Mentre le nostre lingue si cercano, la mia mano sinistra scorre sul tuo collo fino al tessuto che ti fascia il seno. Mi insinuo sotto di esso, avvertendo con i polpastrelli la morbidezza della tua carne. Scosto la coppa del reggiseno per raggiungere l’areola. Così facendo, la punta del mio indice incontra il tuo capezzolo già turgido. Lo stringo tra le dita per strapparti un sussulto, poi ritraggo la mano e smetto senza preavviso di esplorare la tua bocca. Come se nulla fosse mi siedo accanto a te, incrociando per un attimo lo sguardo del barman, che subito lo distoglie imbarazzato.
Alzo una mano per richiamare la sua attenzione, intanto che con l’altra ti accarezzo una coscia. Quando si avvicina per prendere le ordinazioni cerca di far finta di nulla, pur senza riuscire a celare il suo turbamento. E anche tu eviti di guardarlo negli occhi, rivolgendo la tua attenzione alle suppellettili di quell’angusta ma curata caffetteria della periferia cittadina, alla varietà di bottiglie in esposizione, ai calici brillanti sul bancone, ai ripiani in vetro e marmo privi di anche un solo granello di polvere.
I saccottini si dimostrano fragranti e gustosi, annaffiati da un cappuccino caldo e dolce al punto giusto, arricchito da una crema spumosa che non si può resistere dal raccogliere col cucchiaino. La conversazione non è meno piacevole. Per svariati minuti parliamo del viaggio che hai affrontato, di come hai impegnato le ore in treno, di come sei persino riuscita a dormire per un po’, prima che uno dei tuoi vicini di posto cominciasse a russare con l’intensità e la sguaiatezza del motore di un trattore. Chiacchieriamo, ridiamo, non perdendo occasione per sfiorarci di tanto in tanto.
‘E’ arrivato il momento della tua penitenza’, dico al termine di quel pasto fugace, tornando d’un tratto serio.
‘Cosa vuoi che faccia?’, mi chiedi, più incuriosita che preoccupata.
‘Vai in bagno a togliere le mutandine’.
‘Facile’, replichi sicura.
‘Poi vieni a consegnarmele’, aggiungo.
Mi osservi interdetta per un istante, dopodiché, senza inutili obiezioni, ti allontani ancheggiando sensualmente. Appena la tua figura scompare dietro la porta della toilette, posta in un angolo della sala, mi alzo per pagare il conto. Ripongo il resto e lo scontrino nel portafogli e resto in attesa nei pressi del bagno.
Riappari pochi secondi più tardi, stringendo in mano quel feticcio intriso dei tuoi succhi. Me lo porgi frettolosamente guardandoti intorno con circospezione, quasi stessi commerciando in una qualche sostanza illegale. Guardo te, poi quello straccetto bianco. Me lo porto al naso per respirare a fondo il tuo odore. Intenso, pungente, eccitante. Come te.
Torno a guardarti. Sei palesemente in imbarazzo, con la fretta di lasciare quel luogo che ti si legge evidente in faccia.
‘Ho già pagato – ti dico – potremmo anche andare…’.
Tiri un sospiro di sollievo, ma il sorriso che lo segue ti muore sul volto quando ti restituisco gli slip lasciandoti intuire il mio desiderio. ‘Tuttavia, è buona abitudine lasciare una mancia…’.
Mi guardi interdetta. ‘Dimmi che ho capito male’, replichi, stringendo il tuo indumento intimo tra le mani gelide.

Capitolo 4: Dalle 10 alle 11
‘Hai capito benissimo’.
‘Ma…’.
‘Cosa?’.
‘E’ troppo…’.
Ti poso una mano sulla parte bassa della schiena, sfiorando la curva del tuo sedere. ‘Troppo…?’.
‘Con te non ho problemi a… ad essere me stessa… a lasciarmi andare… ma con uno sconosciuto…’.
‘Uno sconosciuto che non vedrai mai più. Guardami – ti invito, scendendo a carezzare le tue natiche piene e rotonde – lui è solo una comparsa. Questo gioco è solamente nostro. Tu sei soltanto mia, almeno per queste ventiquattr’ore. E disposta a tutto, come avevi promesso. Non vorrai già tirarti indietro, vero?’.
Mi guardi timorosa. Stringi in mano quel feticcio bianco come se potesse darti il coraggio necessario e, a passo lento, ti dirigi verso il commesso.
Celi a stento il tremolio nella tua voce, e mascheri col più provocante dei tuoi sguardi uno stato d’animo tutt’altro che assertivo. Ma è una messinscena alla quale chi non ti conosce come me può anche credere. Lo fissi come fosse la tua preda destinata e allunghi il braccio verso di lui.
‘Questo è per la tua cortesia’, gli dici ostentando una sicurezza da seduttrice, senza distogliere i tuoi occhi dai suoi.
Lasci quel tessuto umido tra le sue mani e, prima ancora che possa rendersi conto di cosa si tratti, muovi rapidamente verso di me trascinandomi fuori dalla sala che ci ha ospitati nell’ultima mezz’ora.
Mi godo l’espressione stupefatta del ragazzo mentre varco la porta d’ingresso, e posso solo immaginare quali pensieri quel gesto potrà risvegliare in lui non appena prenderà piena coscienza di quanto avvenuto.
Sposto lo sguardo su di te, rossa in viso e scossa dall’adrenalina appari entusiasta e vitale mentre mi investi con un fiume di parole.
‘Oh mio dio, cosa ho fatto! Ma ti rendi conto? Cosa penserà di me! Cosa andrà a raccontare in giro!’, dici ridendo istericamente.
‘O cosa farà con le tue mutandine, piuttosto…’.
Ti blocchi di colpo, mentre si fa largo in te un pensiero che non avevi ancora elaborato. ‘Credi che…’.
‘Che le avvolgerà attorno al suo cazzo, divenuto duro per colpa tua? Che lo segherà fino a inzupparle del suo sperma immaginando di riversarlo nella tua bocca? Che godrà sognando di scoparti nel cesso o sul bancone del bar? Che verrà abbondantemente, e magari più volte, pensando alla cliente troia di stamattina? Mi auguro proprio di si’.
Deglutisci, e mi guardi quasi annaspando per l’ansia e l’eccitazione al pensiero che un completo estraneo possa godere stringendo tra le mani una tua appendice inanimata, godere grazie a quell’indumento intriso dei tuoi umori e del tuo odore di femmina.
Afferro una tua mano per attirarti a me. Quando siamo talmente vicini da poter sentire sul mio viso il tuo respiro caldo, ti spingo contro il muro alle tue spalle. Ti accarezzo, sistemandoti una ciocca di capelli dietro l’orecchio e accostando il mio volto al tuo. Ti cingo il collo con una mano per immobilizzarti e ti parlo sfiorandoti le labbra. ‘Oggi dovrai sentirti una vera puttana. Superare i tuoi limiti. Far rizzare il cazzo di ogni maschio che incontrerai. Sarai eccessiva, oscena, porca. Voglio leggere la lussuria e il desiderio di te negli occhi di chiunque incontreremo. Questa città dovrà essere piena di uomini che si segheranno avendo le loro menti invase dal pensiero di te, mentre io ti avrò nuda tra le mie braccia pronta a farti riempire ogni buco. Per ventiquattr’ore non sarai nient’altro che una puttana, la mia puttana’.
Non ti dò il tempo di ribattere che mi avvento sulla tua bocca schiusa. La mia lingua la invade cercando la tua, avvinghiandosi ad essa, in un bacio bagnato di saliva e bollente di desiderio. Non mi fermi mentre avverti la mia mano risalire lungo la tua coscia, portando con sé il tessuto della gonna. Il mio membro preme turgido contro il tuo pube, e i tuoi seni quasi esplodono compressi contro il mio torace. Ti lascio andare solo quando entrambi siamo senza fiato, con le labbra tumide e gli occhi accesi di voglia reciproca.
‘Andiamo a casa tua’, mi dici ansante.
‘Non ancora’, ti rispondo riprendendo fiato a mia volta.
‘Portami in un hotel, in un bosco, in un qualsiasi altro maledetto posto, andiamo dove ti pare… ma scopami, ti prego… non ne posso più, non resisto, ho troppa voglia’.
Rido di gusto a quelle parole, sotto il tuo sguardo rabbioso. ‘Oh, piccola, non se ne parla. Sei ben lontana dal non poterne più. E a me non basta che tu abbia semplicemente voglia di essere scopata. Tu ne hai sempre voglia, mia piccola troia. Oggi dovrai essere sfinita dal desiderio prima di sentirmi dentro di te’, ti sussurro, risalendo con le dita a cercare il tuo sesso caldo, gonfio e umido per le gocce che scivolano lungo la fessura fino a infrangersi sulle mie dita.
‘Non hai idea di quanto ti odi in questo momento, razza di bastardo’, ringhi mentre avverto le tue gambe allargarsi e le tue ginocchia cedere al mio tocco.
Allento la morsa sul tuo collo e con le dita cerco e stringo il tuo labbro inferiore. ‘Mi piace questa grinta. Conservala per questa notte’, ti dico prima di darti un morso che ti strappa un lieve rantolo.
‘Almeno uno dei due rischia di non arrivarci a stanotte’, replichi dandomi un forte pizzico sul braccio.
Rido ancora. ‘Vieni, andiamo’, ti dico poi, cercando per l’ennesima volta la tua mano.
‘Dove?’, chiedi lasciandoti guidare lungo il marciapiede.
‘Con questa bella giornata, il minimo che possa fare è portarti a vedere il mare di qui’.
‘Ma a te non piace il mare’.
‘Io adoro il mare. E’ la gente che ci va in massa a non piacermi. Ma questo periodo dell’anno dovrebbe essere propizio per chi detesta il caos’.
‘Il solito misantropo del cazzo’, mi dici prendendomi in giro.
‘Sempre. E fiero di esserlo’, rispondo scherzosamente battendomi un pugno sul petto e facendoti montare in auto.
Mentre ci lasciamo alle spalle case e cemento, la tua voce accompagna quella di Donna Summer sparata a tutto volume dagli altoparlanti dell’autoradio.

Capitolo 5: Dalle 11 alle 12
Ti osservo cantare a squarciagola, incurante delle parole o dell’intonazione. Distratta dall’ammirare il panorama, ci metti svariati secondi a notare i miei occhi su di te e la mia espressione divertita rivolta alla bambina giocosa che sei diventata nel corso di questo breve tragitto.
‘Cosa c’è?’, mi chiedi sorridente.
‘Ti guardo’.
‘Si, questo l’ho notato. Ma perché?’.
‘Perché mi piace guardarti. Sei sempre bella. Ma così spensierata lo sei ancora di più’.
Un timido rossore ti colora le guance e mi spinge a pensare a quanto sia affascinante la tua personalità, le mille sfaccettature che la compongono. Solo pochi minuti orsono hai porto le tue mutandine ad un estraneo guardandolo dritto negli occhi, poco prima hai lasciato che le mie mani esplorassero le pieghe più intime del tuo corpo mentre la tua bocca assaggiava la mia virilità. Eppure, ora riesci ad imbarazzarti per un complimento innocente.
Ti accarezzo il volto mentre ti sporgi per stamparmi sulle labbra l’ennesimo bacio di questa lunga mattinata insieme. Indugi, intanto che i miei occhi restano fissi sulla strada. Dalla bocca, al lobo dell’orecchio destro, al collo, sento le tue labbra scorrere piacevolmente sulla mia pelle seguite dal tuo fiato caldo. Una delle tue mani si occupa, invece, delle spalle e del torace, alternando tocchi lievi ad altri più decisi.
Sospiro.
‘Che fai?’, ti dico dopo aver catturato l’aria attorno a me con un respiro profondo.
‘Mi vendico’, replichi con voce suadente e sorriso birichino.
La tua mano destra scende a massaggiare il membro turgido attraverso la stoffa dei pantaloni mentre mi mordicchi il collo e le spalle.
‘Se questo è il tuo modo di farlo… dovrei dartene più spesso di motivi per vendicarti’, ribatto sornione.
Slacci la cintura e sbottoni i jeans, poi la tua mano si fa strada fino all’asta, impugnandola dopo averla liberata. Mentre svetta davanti a te la sfiori lentamente con la punta delle dita, scorrendo più volte dal glande sino alla base.
Quando tenti di abbassare i pantaloni, sollevo il bacino per concederti più ampi margini di manovra. Percorrendo a velocità contenuta l’imbocco della litoranea posso abbassare la guardia e smettere di preoccuparmi del traffico ormai inesistente, della strada ora rettilinea o dell’eventualità che qualcuno noti ciò che sta avvenendo nell’abitacolo. E concentrarmi sulle piacevoli sensazioni donatemi dalle tue mani.
Stimoli il mio pene stringendolo e scorrendo piano su e giù, scoprendone completamente la punta gonfia. Di tanto in tanto ti fermi, strofinando l’asta dura e ruvida per via delle vene in rilievo lungo di essa. Arrivi ad afferrare lo scroto, valutandone la consistenza, la pienezza.
‘Qui qualcuno è bello carico’, sussurri, massaggiando con delicatezza il mio punto più sensibile.
‘Non ti sto certo torturando per niente’, dico con un leggero affanno.
‘Quindi questo è il mio premio? Tutto per me?’, incalzi improvvisando un tono innocente ben poco credibile considerate le circostanze.
‘Tutto. Per dissetarti… per lasciarti il mio odore addosso e il mio sapore in gola’, continuo mentre riprendi una lenta, estenuante masturbazione.
‘Ti eccita, vero?’, chiedi retorica.
Non rispondo, ma la mia bocca si apre per inspirare quanta più aria possibile.
‘Ti eccita immaginare il mio corpo impiastricciato, la mia bocca impastata del tuo seme. Immaginarmi nuda a farmi venire addosso’.
‘Da morire’.
‘Sei un maledetto porco’, accusi aumentando il ritmo col quale la tua mano stimola il mio membro.
‘E questo ti piace’, affermo con voce spezzata.
‘Si. Mi piace. Mi eccita. Non sai quanto. Sapere di essere la musa che ispira le tue perversioni… la tua troia…’, continui chinandoti tra le mie gambe.
‘Hai un cazzo meraviglioso’, riprendi poco dopo facendomi avvertire il tuo alito investire la mia pelle.
Resto in silenzio per lasciare che sia tu a dirigere il gioco in questi frangenti.
‘Non vedo l’ora di sentirlo dentro di me’, continui. La tua lingua accarezza i testicoli, poi risali baciando la mia carne dura eretta davanti al tuo viso. Un contatto lieve ma piacevole, umido per il fatto che di tanto in tanto bagni le tue labbra facendovi scorrere sopra la lingua. Le schiudi appena, imboccando solo pochi centimetri di quello scettro al quale ti stai dedicando con estrema perizia.
‘Com’è grosso… largo… – dici in tono provocante – non riuscirei a tenerlo tutto in bocca… potresti… potresti farmi male quando mi scoperai… potrei urlare dal dolore se sarai troppo irruento…’.
‘Sei una stronza. Una grandissima stronza’, ti apostrofo avvertendo la gola secca.
Il ritmo imposto dalla tua mano è sostenuto, il mio membro sempre più teso. Solo quando una goccia umetta la punta del glande rallenti per non farmi esplodere. La raccogli con un bacio, assaporandola a occhi chiusi.
‘Che buon sapore’, dici sollevando il volto e guardandomi fisso negli occhi.
Nel mentre, noto la tua mano sinistra scomparire tra le tue cosce. I gemiti e i sospiri che prendi ad emettere subito dopo rendono evidente l’attività che sta impegnando le tue dita. ‘Dovresti sentire quanto sono bagnata. Proprio come piace a te. Tutta da leccare…’.
‘Oh, lo farò… eccome se lo farò’.
‘Lo so’, mi dici continuando a guardarmi e a masturbare entrambi, gemendo mentre tieni i nostri sessi sull’orlo di un orgasmo che ci stiamo negando ormai da ore.
Accosto pochi secondi dopo sul ciglio della strada.
‘Perché ti fermi?’, chiedi sospirando e perseverando nella tua opera.
‘Siamo arrivati’, rispondo portando la mia mano tra le tue gambe, sopra la tua. La strappo via, costringendoti ad un gemito di disappunto. Sollevi le dita davanti alla faccia, guardandole lucide. Poi rivolgi lo sguardo a me, infilandotele in bocca e ripulendole dai tuoi umori.
‘Ho anch’io un buon sapore’, mi dici maliziosa.
Ti sorrido aprendo lo sportello e scendendo dal veicolo. Faccio il giro per aprire il tuo e, nel mentre, mi guardo intorno. Il rumore delle onde che s’infrangono sul bagnasciuga è l’unico suono proveniente dalla spiaggia deserta; poche auto sfrecciano di tanto in tanto a elevata velocità; nessun passante per le strade; l’unica attività commerciale è un chiosco, chiuso. Nulla sembra volerci disturbare in questo paradiso fatto di sole e mare.

Capitolo 6: Dalle 12 alle 13
Ruoti il tuo corpo verso destra per smontare dall’auto, ma ti fermo quando hai il busto ancora nell’abitacolo e le gambe penzoloni. Ti guardo negli occhi mentre mi inginocchio davanti a te. Le mie mani prendono a scorrere lungo le tue gambe nude, facendo risalire il vestito fino alle cosce. Ti accarezzo ancora per arrivare alle caviglie, sfilandoti la scarpa sinistra e baciandoti delicatamente la pianta del piede, sino a lambirne le dita. Le mie labbra si spostano verso l’interno, sfiorando prima il polpaccio e poi il ginocchio. Mi interrompo nel punto in cui la tua pelle inizia a divenire più calda e il tuo odore a risultare percepibile. Il tuo sesso, a pochi centimetri dal mio viso, mi appare invitante, le sue labbra gonfie e umide reclamano cure e attenzioni. Ma mi allontano da esso per dedicarmi all’altro piede, all’altra caviglia, all’altro polpaccio, all’altro ginocchio. Assaporo la tua pelle morbida, setosa, calda. La percorro, ora con le labbra, ora con un tocco delicato inferto dalla punta della lingua. Fremi mentre mi dedico alle tue cosce. Ti costringo a divaricarle; un piede contro il telaio dello sportello, l’altro abbandonato a mezz’aria fuori dalla vettura. E il tuo bacino che scivola inesorabilmente sul sedile, verso di me, verso la mia bocca affamata.
Le mie dita incontrano per prime le tue grandi labbra. Le percorro con l’indice mentre ti bacio le cosce, fino all’inguine. Sospiri quando una falange si fa strada dentro di te. Un antro bollente e fradicio ghermisce la punta del mio dito. Ma gli sfuggo, per risalire con nuova, esasperante lentezza a tormentare quel bottoncino turgido che è diventato il tuo clitoride. Lo stringo fra due dita, torcendolo tanto da strapparti un gridolino. Poi, con il polpastrello del pollice lo premo e lo muovo, imponendo un ritmo circolare. La mia lingua, intanto, si appropria della tua intimità, suggendo i succhi che ormai sgorgano copiosi tra le tue gambe. Quando la mia bocca aderisce alle tue labbra e la mia lingua ti penetra in profondità, i tuoi sospiri si tramutano in gemiti di godimento. Più rudemente massaggio il tuo clitoride, più aumenta la tua eccitazione, dissetandomi con abbondanti rivoli del tuo nettare.
Tenti di stringere le gambe, ma con la mano libera riesco agevolmente a tenerle divaricate, a lasciarti esposta e impotente, in balia della mia fame delle tue carni. Mi fermo solo per un istante, quando ti lasci andare sdraiandoti sui sedili e avverto le tue mani cingermi la nuca per attrarmi ancora di più a te.
‘Via quelle mani – sussurro, con la bocca impastata del tuo piacere – non costringermi a legarti. Non ancora, almeno’.
Rispondi con un lamento rauco e porti le braccia in alto prendendo a strisciare e contorcerti, sdraiata supina e bloccata nella mia morsa dalla cintola in giù, con la parte inferiore dell’abito ormai arrotolata in vita e la mia mano e la mia bocca a frugare senza riguardo tra le tue cosce spalancate.
La mia lingua continua a mimare un amplesso, come fosse un piccolo membro guizzante dentro di te. Il mio pollice non smette un istante di torturare quel clitoride ormai gonfio, duro, sensibile. La presa della mia mano destra sulla tua coscia si fa più salda, incurante di lasciare un’impronta rosso vivo sulla tua pelle di porcellana. Passano alcuni minuti prima che inizi a sentirti rigida, con la testa riversa all’indietro e ti veda ansimare a pieni polmoni con la bocca spalancata, alternando lamenti a respiri affannati.
Solo allora interrompo la mia azione. Un istante prima che l’orgasmo possa esplodere dentro di te.
Tremi mentre afferro le tue braccia e ti tiro su. Ti avvinghi a me e ti abbandoni mentre, quasi a peso morto, ti tiro fuori dall’auto. Le mie labbra sporche di te vanno a cercare le tue mentre sei in piedi stretta tra la carrozzeria e il mio corpo, col mio pene eretto premuto contro il tuo ventre. Dopo essermi appropriato della tua bocca ancora in debito d’ossigeno, il mio sguardo corre su di te. Accaldata, arrossata, ansimante, con lo sguardo languido rivolto all’infinito e le labbra tumide a testimoniare la tua eccitazione viva, pulsante. Ti guardo ammirato, stravolta e bellissima. Poi ti scosto dal viso i capelli scarmigliati, tornando a perdermi nell’oceano oscuro dei tuoi occhi.
‘Non le reggo ventiquattro ore così. Ci resto secca prima’, mi dici in un sussurro mentre un accenno di sorriso ti disegna delle graziose rughette ai lati della bocca.
‘Sapevi a cosa andassi incontro’, replico in tono complice.
‘Certo, ma sarebbero potute essere solo parole’.
‘No no – insisto – quali parole, sono proprio porco come dico di essere’.
‘E anche più stronzo di quanto mi aspettassi’, ringhi.
‘Te l’ho sempre detto che sei troppo pessimista’.
‘Perché diavolo ti sei fermato…’, mi dici accarezzandomi.
‘Perché non voglio ancora che tu goda, ovvio’.
Espiri rumorosamente, spazientita. ‘Hai una vaga idea di quanto tu mi stia sul cazzo in questo momento?’.
‘Certo… e non vedo l’ora di guardarti godere per vedere questa rabbia venir fuori’, ribatto per poi afferrare tra i denti il tuo labbro inferiore.
‘Te l’ho già detto che sei un grandissimo bastardo?’, concludi prima di permettere alla mia lingua di cercare la tua e arrenderti a un nuovo, umido bacio.
‘Ora che facciamo?’, mi chiedi qualche secondo dopo.
‘Be’, è quasi ora di pranzo. Io ne approfitterei’.
Senza allontanarti da me, allunghi il collo per guardarti intorno. ‘Dovremo andare da qualche altra parte allora, qui non c’è nulla’.
‘Scherzi? E quello cosa credi che sia?’, ti chiedo indicando il chiosco a poche centinaia di metri da noi che, intanto, aveva sollevato le sue saracinesche azzurre.
‘Una pescheria, ha i banchetti fuori’, rispondi dubbiosa.
‘Non solo. Appartiene ad una famiglia di pescatori. Oltre ad essere una pescheria d’asporto, funziona anche come una sorta di tavola calda nella quale cucinano il pescato del giorno. Un po’ spartano, ma più fresco e genuino di così…’.
‘Ma a te non piace il pesce’, affermi.
‘Non molto… ma a te si. Andiamo?’, replico ammiccante.

Capitolo 7: Dalle 13 alle 14
Tutto è talmente caratteristico da sembrare il set di un film. O, almeno, questo è quanto mi comunica il tuo sguardo ammirato e divertito una volta giunti a destinazione. Le onde del mare s’infrangono docili sul bagnasciuga a poche decine di metri da noi provocando un gradevole scroscio, l’unico suono che si avverte nella zona. Appena più in alto, su di un’ampia duna quasi al livello della strada, rivolta in direzione della carreggiata spicca la pescheria, un piccolo prefabbricato circondato da vasche in metallo piene d’acqua colme di mitili, crostacei e pesci d’ogni genere e dimensione.
‘Bottino ricco oggi’, constati mentre ci avviciniamo alla struttura.
‘Probabilmente è il nostro giorno fortunato’, replico in tono allegro.
Ad accoglierci, un altro tassello atto a rendere quel quadro tanto pittoresco quasi surreale nella sua perfezione: l’unica persona presente è un donnone di mezza età alto e robusto, dal viso rubicondo e dall’aspetto energico. Appare cordiale e affabile mentre ci chiede cosa desideriamo. E, dopo aver asciugato le mani sfregandole contro il grembiule bianco che indossa su di un ampio vestito a fiori, imbastisce una pratica area ristoro in pochi istanti quando le rispondiamo che vorremmo mangiare qualcosa sul posto. Monta i piedi di uno dei tavoli in resina colorata accatastati in un angolo, sfila due sedie dello stesso materiale da una pila accanto ad essi per poi imbandire una tavola con tovagliette e tovaglioli di carta, bicchieri e posate di plastica e una bottiglia d’acqua fresca effervescente. In men che non si dica ci è dato accomodarci all’unico tavolo di quell’improvvisata trattoria.
Le ordinazioni vengono prese con altrettanta celerità da quella che si presenta come colei che gestisce quel locale, moglie e madre dei pescatori che ogni notte escono in barca per garantirci le prelibatezze che si appresta a farci assaggiare. Dopodiché si allontana, per cominciare ad armeggiare ai fornelli. Ogni tanto ci lancia uno sguardo fugace, sorridendo compiaciuta dalle effusioni che ci scambiamo seduti l’uno di fronte all’altra. Chiacchieriamo amabilmente del più e del meno intanto che le nostre dita corrono ad intrecciarsi e le nostre mani a stringersi, mentre i nostri occhi faticano a staccarsi da quelli dell’altro.
Eppure, la poca distanza tra noi mi sembra già troppa. Non passano che alcuni minuti prima che sposti la mia sedia sul lato del tavolo adiacente al tuo.
‘Guarda che non scappo mica’, dici ridendo.
‘Perché rischiare?’, ribatto.
Mi schiocchi un bacio sulle labbra prima che, lascivo, scivoli sul tuo collo per sentire di nuovo il sapore e l’odore della tua pelle, causandoti un brivido che ti fa sussultare quasi impercettibilmente. Proprio in quel momento, però, il donnone arriva con due piatti fumanti di risotto ai frutti di mare.
‘Ecco a voi!’, esclama posandoli sulla tavola con un sorriso materno e una grazia insospettabile.
Ringraziamo e ci tuffiamo in quel piatto abbondante, profumato e saporito, gustandolo fino a vuotarlo completamente nel giro di pochi minuti. Le seppie arrosto, l’insalata di polpo e la frittura mista di gamberi e calamari non sono da meno, come anche le grosse e fragranti fette di pane di grano cotto a legna e il vino bianco che accompagnano il nostro pasto. A concludere la più che soddisfacente esperienza, un fresco sorbetto al limone rigorosamente artigianale. E, a dare al tutto un retrogusto piccante, i baci che non disdegniamo di scambiarci fra una portata e l’altra, allenando le nostre lingue e facendole danzare in un abbraccio carico di promesse e voglie ben lungi dall’essere sopite.
Dopo aver pagato il conto, commisurato alla qualità del cibo e alla piacevolezza del servizio, ci alziamo per allontanarci. Non prima che il donnone si complimenti con una coppia che, a suo dire, le ricorda lei e il suo compagno di vita da giovani, quando il fuoco della passione ardeva imperioso durante i loro incontri e l’intesa traspariva evidente dai loro come dai nostri occhi.
Riprendiamo a camminare mano nella mano in direzione del mare, e poi virando per seguirne il perimetro.
‘Chissà…’, esordisci rompendo il silenzio caduto nel corso della passeggiata.
‘Cosa?’, chiedo incuriosito.
Sospiri, come a lasciar intendere un dilemma di portata quasi filosofica. ‘Se il marito della signora è un pervertito come te’, replichi.
Scoppio a ridere prima di rispondere. ‘Ma come t’è venuto in mente?’.
‘L’ha detto lei – fingi di giustificarti – visto che aria sognante mentre ne parlava? Quei due avran fatto cose che noi umani non possiamo neppure immaginare, te lo dico io’.
‘Be’, ci tornerò quando sarai ripartita e ti farò sapere di cos’è capace…’.
‘Buongustaio’, mi punzecchi pizzicandomi il braccio.
Restiamo di nuovo in silenzio per un po’. Il tuo sguardo si sposta spesso da me al panorama, e ogni tanto chiudi gli occhi ascoltando il rumore delle onde, respirando a fondo l’aroma del mare, lasciando che il calore del sole investa la tua pelle, nutrendoti con ognuno dei tuoi sensi delle meraviglie riservateci da quell’oasi di pace.
‘Aspettami qui’, ti dico a un tratto.
‘Dove vai?’, chiedi posando i tuoi occhi ancora su di me.
‘Prendo una cosa dall’auto, arrivo subito’, replico sfiorandoti le labbra e lasciando la tua mano.
Raggiungo di corsa la vettura, frugando per alcuni secondi nel bagagliaio. Trovato ciò che cercavo, torno verso di te. Senza fretta, mi godo la tua bellezza già da lontano. Sei voltata verso il mare, con naturalezza porti la braccia dietro la nuca per sollevarti i capelli. Il vestito risale ancor di più lungo le tue gambe nude, scoprendo parte delle tue cosce tornite. C’è una grazia, una sensualità in te, qualcosa di inspiegabile che trapela da ogni tuo minimo gesto, che ti rende irresistibile ai miei occhi. Non riesco a distogliere lo sguardo da te mentre mi avvicino. E, per fortuna, non ti rendi conto che ti sono alle spalle. Con i tuoi capelli scostati dalle tue mani, la tua nuca e il tuo collo divengono facile preda delle mie labbra, la tua vita delle mie mani, e un tuo profondo respiro un chiaro invito a continuare ad esplorare la tua pelle di velluto.

Capitolo 8: Dalle 14 alle 15
Mi stacco da te soltanto il tempo necessario per farti accomodare sul telo recuperato dal bagagliaio. Ti siedi, e io dietro di te, circondandoti con le mie gambe che vanno ad incrociarsi alle tue. Adagi la schiena contro il mio torace e tieni le mani composte in grembo. Le mie, invece, finiscono ancora sul tuo corpo. Quella sinistra a cingerti in vita, quella destra a scostarti i capelli a un lato. Reclini il capo all’indietro e mi guardi per un istante. Sorridi.
‘E’ uno dei giorni più strani della mia vita’, dici per poi voltarti nuovamente a fissare il mare di fronte a noi.
‘Aspetta a stupirti, sono passate solo sei ore. Me ne hai promesse ben di più’, replico sfiorando con le dita le linee del tuo viso.
Ridi di gusto a quelle parole. ‘Parole interessanti e inquietanti allo stesso tempo! In realtà intendevo per la situazione in sé. Immaginavo non ci saremmo risparmiati, ma non mi aspettavo che non ci fosse nessun imbarazzo o incertezza. Insomma, prima di stamattina non ci eravamo mai visti. Eppure…’.
Resto in silenzio, in attesa che i tuoi pensieri apparentemente confusi riescano ad acquisire un nesso logico e tramutarsi in parole. Intanto ti accarezzo le braccia e i fianchi, lentamente e delicatamente.
‘Non lo so, non c’è stato alcun convenevole, nessun tipo di rodaggio. E’ stato come se ci conoscessimo da sempre’.
‘E questo non va bene?’, chiedo seguendo con l’indice il contorno del tuo seno.
‘Al contrario – rispondi con un leggero affanno – anche se un po’ mi spaventa’.
Ti sfioro con le labbra la nuca e il collo mentre pronunci le ultime parole. ‘Se così non fosse, non avremmo organizzato questa giornata. Non credi?’.
Sospiri godendoti i miei baci. ‘Forse no’, biascichi.
‘Io me l’aspettavo’, insisto mentre il mio tocco si fa più audace. La mia mano sinistra fa risalire il tuo vestito fino a lasciarti scoperte le cosce, l’indice della mano destra segue la clavicola sino ad insinuarsi nell’incavo tra i seni, oltre la scollatura.
‘Ah, si?’, annaspi immobile.
Avverto la morbidezza di quelle collinette di carne sotto i polpastrelli, ne percorro il perimetro lungo lo sterno, scostando la stoffa in modo tale da ampliare ulteriormente il già generoso scollo all’americana del tuo abito. ‘Sapevo che la tua indole, il tuo corpo, il tuo sguardo mi avrebbero fatto impazzire. E’ così dal primo giorno, non poteva essere altrimenti avendoti qui davanti a me. E tu…’.
I miei occhi indugiano sulle coppe dei tuoi seni, ormai scoperti fin quasi alle areole e preda delle mie mani. Sospiri più rumorosamente mentre continuo a parlare. ‘Tu non avresti attraversato il Paese e non ti saresti donata così completamente se, da qualche parte dentro di te, non fossi stata convinta che ne valesse la pena’.
Deglutisci rumorosamente e schiudi le labbra, ma dalla tua bocca escono solo ansimi mentre mi lasci giocare col tuo corpo. Tiro il cotone fino a liberare il seno destro. Lo stringo in una mano, dopodiché le mie dita vanno a cercare il tuo capezzolo prominente e duro come un chiodo. Lo strizzo per strapparti un gemito, che non trattieni abbandonando la testa all’indietro sulla mia spalla. L’altra mano, intanto, risale lungo il tuo interno coscia. Docile, apri le gambe per permettermi di arrivare al tuo sesso nudo. Trovo caldo e umido il tuo inguine, e fradicia e bollente la mia meta ultima. Gioco col tuo clitoride, e mi diverto a spalmare i succhi del tuo piacere sulla leggera peluria che contorna il tuo pube. Ti penetro lentamente prima con una e poi con due dita. Tanta è la tua voglia che scivolo facilmente dentro di te, impregnandomi dei tuoi abbondanti umori. Al contempo, muovi convulsamente il bacino e provi a stringere le cosce attorno alla mia mano per bloccarmi e sentirti piena.
‘Apri le gambe, troia’, ti sussurro all’orecchio.
Gemi ad occhi chiusi, combattuta tra il seguire le mie indicazioni e abbandonarti ai dettami del tuo corpo. Ti mordo alla base del collo, per strapparti un gridolino e farti tornare in te quel tanto che basta per ascoltarmi. ‘Apri le gambe, ti ho detto. Da brava’.
Mi guardi con rabbia e lussuria mentre esegui, puntando i talloni nella sabbia e arrendendoti a quella masturbazione cadenzata intanto che faccio sgusciare fuori dal tuo abito pure il seno sinistro. Quando anche l’anulare prova a farsi strada dentro di te, comincio a sentirti stretta. I tuoi gemiti si trasformano in versi gutturali di piacere e dolore mentre forzo la tua apertura. D’istinto, scivoli fin quasi a sdraiarti con la testa sul mio petto per poter divaricare ulteriormente le gambe e permettermi un più ampio spazio di manovra. Disegno piccoli cerchi, sprofondando centimetro dopo centimetro nel tuo antro bagnato.
Quando tre delle mie dita sono per intero dentro di te, ti guardo a bocca spalancata cercare di catturare quanta più aria possibile. Lascio che ti abitui a quelle dimensioni, poi prendo ad entrare e uscire dal tuo sesso, ancora con estrema lentezza. Solo qualche passaggio, e sei tu stessa a spronarmi, a chiedermi con voce spezzata di andare più a fondo, più veloce, mentre accompagni i miei gesti con secchi movimenti di bacino.
Ancora una volta, mi fermo prima che tu raggiunga il punto di non ritorno, prima che tu possa sfogare tutto quanto accumulato in queste ore.
Mi fissi con gli occhi lucidi, implorante, senza dire una sola parola.
‘Era solo un allenamento… non è con queste che voglio riempirti’, ti dico smettendo di masturbarti a ponendo le mie dita striate di rivoli biancastri davanti al tuo volto.
Prima che possa chiedertelo le baci, le lecchi, le fai scomparire nella tua bocca come si trattasse del mio membro. ‘E io non è solo da loro che voglio farmi scopare… non è solo loro che voglio leccare… ti supplico’.
‘Andiamo’, ti dico dopo averti attratta a me per gustare i tuoi umori direttamente dalla tua bocca.
‘Dove?’.
‘A casa. Sei stata brava’.
‘Solo brava? Io non sono brava, sono indimenticabile’, precisi sottovoce.

Capitolo 9: Dalle 15 alle 16
‘Indimenticabile?’, dico giunti a ridosso dell’auto, mentre poggi la schiena alla fiancata.
‘Considerato il percorso che ci ha portati qui… puoi darmi torto?’, chiedi arricciando i peli del mio petto che s’intravedono dallo scollo della polo.
‘No. In effetti non potrei’, confermo senza ricorrere per una volta alla mia consueta ironia.
Il tragitto per il rientro in città scorre piacevolmente tra chiacchiere, carezze e baci fugaci. Arrivati al mio appartamento posteggio la vettura e ti guido verso il palazzo. Chiamo l’ascensore e, nell’attesa che la cabina arrivi al pianterreno, mi pongo dietro di te abbracciandoti e baciandoti il collo e le guance. Quando le porte si aprono, la mia e la tua lingua sono già intrecciate, i nostri corpi attaccati e le mie mani impegnate ad esplorare nuovamente i tuoi splendidi seni.
Ti spingo all’interno, e non posso trattenermi dallo scostare ancora una volta il tessuto che cela ai miei occhi quelle rotondità paradisiache. Nude, le impasto a piene mani, non mancando di lasciar scivolare tra le dita i capezzoli per poi stringerli vigorosamente.
Non ti sottrai quando le mie dita scendono lungo i tuoi fianchi, per afferrare il lembo inferiore del vestito e sfilartelo dalla testa, lasciandoti completamente nuda davanti a me. Osservo la tua immagine riflessa allo specchio intanto che le porte dietro di noi si spalancano seguite dal suono del campanello atto a segnalare l’arrivo al piano.
‘Sei stupenda – ti sussurro all’orecchio – perfetta’, continuo disegnando col dorso delle dita le linee morbide del tuo petto, della tua vita, del tuo bacino.
Arretro di un passo attirandoti poi nuovamente a me in modo da coprire il sensore di movimento e impedire la chiusura delle porte della cabina.
‘Qualcuno può vederci’, dici con voce suadente.
‘Siamo all’ultimo piano. E l’unico altro appartamento su questo pianerottolo è vuoto. Nessuno potrà vederti… purtroppo’, replico continuando ad accarezzarti.
‘Purtroppo?’, chiedi con voce rotta dall’emozione.
‘Guardati – dico indicando lo specchio con un cenno del capo – sei bellissima, sensuale, incantevole, e la voglia che traspare dai tuoi occhi ti rende irresistibile. Chiunque sarebbe fortunato ad ammirarti anche solo per un istante in queste condizioni’.
Sospiri, chiudendo gli occhi per un momento.
‘Ma solo io avrò questa fortuna’, concludo prima di afferrarti dai fianchi, trascinarti fuori dalla cabina e sbatterti contro il pannello della porta blindata del mio appartamento. Ti blocco le mani in alto con le mie, e cerco ancora la tua bocca, famelico. Non passa molto prima che intrecci le tue gambe attorno al mio bacino. Riesco a percepire il fuoco che arde tra le tue cosce finanche attraverso il tessuto dei jeans. Libero le tue mani, che corrono ad afferrare il mio volto per attrarmi ancora di più a te. Con un braccio ti sostengo dal sedere, con la mano libera riesco non senza difficoltà ad estrarre le chiavi dalla tasca. Le inserisco nella toppa e faccio scattare la serratura mentre tu continui a baciarmi con foga e a muovere convulsamente il bacino per stimolare il tuo sesso contro la stoffa dei pantaloni in corrispondenza della mia erezione.
Senza mollare la presa, trascino il trolley in casa e richiudo la porta spingendola con la pianta del piede. In braccio, ti porto direttamente in camera da letto, adagiandoti sulla trapunta che riveste un comodo materasso a due piazze. Ti stacchi da me solo per un attimo, quanto basta per sfilarmi con veemenza la maglia, poi ti avvinghi nuovamente al mio corpo e riprendi a divorare la mia bocca. Passano solo pochi secondi prima che avverta le tue mani armeggiare con i miei pantaloni. Slacci la cintura in men che non si dica, mentre la fretta ti porta a incontrare difficoltà ben maggiore con i bottoni. Ti aiuto in quest’ultima impresa, abbassando oltre ai jeans anche l’ultimo indumento che impediva ai nostri corpi di restare completamente nudi.
Il contatto col tuo corpo morbido e caldo è inebriante. Avverto distintamente i tuoi capezzoli turgidi premere contro il mio torace, una chiara testimonianza del tuo stato di eccitazione. Come, a dare atto della tua voglia, è il tuo sesso bollente e pregno di umori. Le tue labbra schiuse sembrano quasi abbracciare la mia asta dura, il movimento del tuo bacino fa l’effetto di una masturbazione frenetica, e i tuoi umori investono copiosi la mia carne e i peli pubici di entrambi.
Puntellandomi con le mani, mi sollevo sopra di te. Afferro i tuoi polsi e li blocco ancora una volta sopra la tua testa, con una sola mano. Con l’altra ti accarezzo il volto.
‘Non pensare di lasciarmi ancora così’, dici con voce roca e in tono minaccioso.
La mano che ti accarezzava ti cinge il collo, per tenerti il capo premuto sul materasso.
‘Altrimenti?’, ti sfido.
Provi a dimenarti, ma il tuo corpo è bloccato sotto il peso del mio, le tue braccia non riescono a liberarsi dalla mia presa e persino alla testa è impedito qualsiasi movimento. Non ti arrendi subito, continui a lottare per diversi secondi, ma le tue mosse si fanno via via meno convinte. Sorrido quando ti lasci finalmente sopraffare con uno sbuffo spazientito. Ti libero le mani, e mi rendo conto troppo tardi dell’errore nel quale sono incappato. Mi dai un leggero spintone, che mi porta a spostare il peso del mio corpo su una sola gamba. E’ allora che artigli ad essa la tua, facendomi perdere l’equilibrio e dando fondo a tutte le tue energie per ribaltarmi con un rapido movimento delle braccia.
Ti guardo con un’espressione di stupore, sdraiato di schiena sul materasso. Con un sorriso trionfale, sali a cavalcioni su di me. I tuoi occhi, le tue labbra, i tuoi seni sono una visione che mi lascia senza fiato, le labbra della tua vagina premute contro il mio glande non fanno che alimentare la mia voglia.
‘Visto cosa succede a sottovalutarmi?’.
‘Ma non vale, ti eri arresa’.
‘Non mi pare di averlo detto’, replichi serafica.
Platealmente sconfitto, depongo le armi. ‘Comunque potrei liberarmi facilmente’.
‘Se volessi farlo… ma non vuoi’.
‘No, non voglio’.

Capitolo 10: Dalle 16 alle 17
Scivoli sul mio corpo, lenta e sinuosa. Fingi di baciarmi ma, appena le nostre labbra si sfiorano, pieghi le tue in un sorriso birichino e le allontani dalle mie, impedendomi di assaggiarle nuovamente. Vuoi essere tu a gustare me, stavolta. Mi baci il collo, le spalle. Inaspettatamente, un tuo morso sul mio deltoide destro mi fa fremere dal dolore. Ridi per la mia reazione mentre, senza smettere di fissarmi negli occhi, prosegui il tuo percorso sul mio torace, sull’addome. Le tue mani vanno a stringere e divaricare le mie cosce intanto che avvicini il volto al mio membro turgido. Le tue unghie premono sulla mia carne, tanto da lasciarmene il segno. Ti inumidisci le labbra e baci il glande gonfio ed esposto. Procedi allo stesso modo, a ritmo cadenzato, verso la base dell’asta nodosa, fino ad incontrare il mio scroto. Lo accarezzi con voluttuosi colpi di lingua, per poi succhiare delicatamente prima l’uno e poi l’altro testicolo. Riesci a fare tutto senza distogliere il tuo sguardo dal mio neppure per un istante, senza perderti l’eccitazione che traspare dai miei occhi e senza privarmi della voglia che trapela dai tuoi. Torni a dedicare le tue attenzioni alla punta del mio sesso, lasciando colare su di essa un rivolo di saliva prima di prendere ad imboccarlo. Stimoli il prepuzio con la lingua, poi continui fin quando non avverti il mio glande arrivarti sino in gola. Dopodiché è un lento dentro e fuori, un mimare al rallentatore l’amplesso che attendi di consumare di lì a poco. Solo quando il mio membro è bagnato, lucido, solo quando la tua saliva arriva ad impregnare finanche i peli del mio pube, decidi di tornare a cavalcioni su di me. Impugni la base dell’asta, avvolgendo lo scroto pieno con la tua mano calda e, senza fretta, ti cali su di me lasciandoti penetrare centimetro dopo centimetro, nel corso di pochi istanti che paiono infiniti. A bocca spalancata, e senza emettere alcun suono, sembra quasi mancarti il fiato mentre il tuo corpo si appropria della mia erezione.
Una volta che sei totalmente invasa dalla mia virilità, le mie mani vanno a impastare i tuoi seni, e le tue a stringere la pelle e i peli del mio torace. Sento le tue pareti bollenti aderire al mio membro, stritolarlo, contrarsi e rilassarsi quasi come a volerlo risucchiare ancor più dentro di te. Ma sei già piena, e i tuoi sospiri, i tuoi gemiti quasi lamentosi ne sono un’eccitante conferma.
Passa qualche secondo, poi fai leva sul materasso per sollevarti appena, per far sgusciare via da te una buona metà del mio sesso. Solo per un istante, prima di lasciarti cadere ancora su di esso e penetrarti nuovamente e completamente. Le mie mani, nel frattempo, non smettono di esplorare lo splendido corpo nudo che si muove sul mio. Dai seni al collo, per raggiungere la schiena e ridiscendere a stringere i tuoi glutei morbidi e tesi. Terminando infine la loro corsa sulle tue cosce piene. Le afferro saldamente, rivolgendoti un ghigno. Mi guardi interdetta, non rendendoti subito conto di cosa voglia significare quell’espressione. Te ne accorgi solo alcuni istanti più tardi, quando la mia presa ti impedisce di ripetere la tua manovra. Di sollevarti e impalarti per l’ennesima volta.
‘Ma… cosa…’, mi dici quasi annaspando.
‘Riprovaci’, ribatto.
Non riesci a sollevarti, ma muovi il bacino all’indietro per tentare di liberarti. Così facendo, il mio membro quasi scava dentro di te, allargandoti ulteriormente e strappandoti un lieve grido di piacere.
Serro più forte la presa sulle tue gambe, muovendo in alto il bacino per aderire a te. Ti mordi le labbra e rotei gli occhi a seguito di quella mossa, poi stringi la trapunta fra i pugni e li punti sul materasso ai lati del mio volto, acconsentendo tacitamente a quanto ti ho imposto. Non tenti più di sollevarti, ma lasci che resti tutto dentro di te. Inizi, però, a muovere convulsamente i fianchi, un po’ in circolo, un po’ avanti e indietro. Non posso fare a meno di tornare a stringere le tue meravigliose forme, il tuo sedere, il tuo seno, mentre continui a strisciare furiosamente sulla mia asta per riempirti, allargarti il più possibile.
‘Basta così’, ti dico interrompendo i tuoi versi rochi e i tuoi movimenti quasi rabbiosi. Ti cingo la vita con le mani, sollevandoti di peso e lasciandoti ricadere supina sul letto.
‘Ancora… ancora… ti prego, ci sono quasi…’, ripeti in debito d’ossigeno.
Mi volto verso di te. Premo con l’indice sulle tue labbra carnose, poi, col dorso della mano, prendo a scendere lungo il collo e lo sterno, disegnando idealmente dei cerchi attorno ai tuoi seni e continuando fino a incontrare la tua peluria scura. A gambe larghe non ti opponi al mio tocco, lasciando che le mie dita si impregnino dei tuoi succhi mentre ti massaggiano labbra e clitoride.
‘Dovresti proprio prepararti per uscire’, dico sforzandomi di imprimere un tono di normalità alla frase, un tono del tutto avulso dal contesto nel quale ci troviamo.
‘Dovresti… proprio… andartene a fanculo…’, biascichi alternando profondi sospiri alle tue parole.
Rido, senza smettere di accarezzarti. ‘Ne varrà la pena’, ti rassicuro con aria sincera.
‘Lo spero per te’, rispondi secca prima di scostare la mia mano con un gesto stizzito e sederti sul bordo del letto a due piazze.
‘Vedrai’, replico ricevendo di rimando un’occhiata tagliente.
Frughi per un po’ nella valigia, estraendo infine la maglia nera e il pantalone bianco che ti avevo chiesto di portare a seguito delle svariate foto che mi mandasti con indosso i capi più intriganti del tuo guardaroba.
‘Questa dovrò indossarla prima di truccarmi’, mi dici sollevando in aria la casacca.
Aspetti un mio cenno d’assenso prima di infilarla, celando in parte ai miei occhi le linee del tuo seno, sebbene, alla luce, la trasparenza di un tessuto così sottile renda ben visibili la forma delle coppe e i capezzoli ancora turgidi. Poi ti volti per muovere verso il bagno, regalandomi la vista del tuo sedere nudo mentre ancheggi nel corridoio.

Capitolo 11: Dalle 17 alle 18
Mi godo per un po’ il movimento delle tue natiche piene, delle tue cosce tornite, dei tuoi piedi nudi, l’ondeggiare dei tuoi ricci corvini e la tua andatura sensuale. Fin quando non scompari alla mia vista dietro la porta del bagno.
Aspetto qualche istante, poi recupero i tuoi pantaloni puliti e ti raggiungo, ancora completamente nudo.
Mi poggio allo stipite della porta, guardandoti a pochi passi da me, rivolta verso lo specchio posto sopra il lavabo. Con gesti che per te sono pura consuetudine, ma a me permettono di ammirare la grazia che riesci ad emanare persino durante questi semplici atti quotidiani, raccogli la tua montagna di capelli fermandola con un elastico in una lunga coda.
In quell’istante ti volti a guardarmi. Irritata, eccitata, complice. ‘Cosa c’è?’, domandi.
‘Lo sai…’.
Ti sfugge un sorriso malizioso. ‘Assolutamente no…’.
‘Non lo sai… o vuoi sentirtelo dire?’.
‘Non può mica piacere solo a te…’.
Annuisco. ‘Quest’acconciatura scatena in me pensieri ben poco casti’, affermo.
Il tuo sorriso si tramuta in risata. ‘C’è qualcosa di me che non lo fa?’, chiedi ammiccante.
Alzo gli occhi fingendo di riflettere. ‘Forse… no, direi proprio di no!’, ammetto qualche secondo più tardi.
Con aria concentrata stringi l’eye-liner tra le dita, disegnando attorno ai tuoi occhi una riga nera che fa apparire ancor più grandi quelle due gemme scure incastonate nel tuo volto. Mi avvicino a te intanto che, con un minuscolo pennello, pettini le tue lunghe ciglia.
Ti arrivo alle spalle subito dopo, avvicinando la mia bocca al tuo orecchio. ‘Niente rossetto’, sussurro.
‘Ah, no?’.
‘Perderesti tempo’.
‘Perché mai?’.
Faccio aderire il mio corpo al tuo, accarezzandoti una guancia. Guardo per un momento l’immagine che lo specchio rimanda di noi. La tua testa arriva a stento a sfiorarmi il mento. Il tuo corpo, piccolo sebbene dalle forme esplosive, sembra ancor più fragile e minuto al mio cospetto. ‘Perché le tue labbra sono perfette così – replico sfiorandole con le dita – e, in ogni caso, non durerebbe molto’, concludo prima di sollevarti il volto col dorso delle mano e invadere la tua bocca con la mia lingua. D’istinto, spingi all’indietro il bacino, facendo aderire le tue natiche al mio sesso.
‘Sei venuto per continuare a tormentarmi?’, ansimi.
‘Anche. Ma ti ho portato questi’, rispondo sollevando i pantaloni.
‘Da indossare senza nulla sotto, immagino’.
‘Mi conosci davvero bene…’.
‘Questa era facile – replichi divertita – sai che il bianco è trasparente, molto trasparente, vero?’.
‘Naturalmente’.
‘E sai anche che si noterà chiaramente l’assenza delle mutandine’.
‘L’idea è quella’.
‘Chiunque mi guarderà il culo saprà che c’è solo questo cotone leggero a coprirlo. Nient’altro’, insisti muovendoti per stimolare il mio membro ben adagiato tra i tuoi glutei.
‘Ed è un problema?’.
Resti in silenzio per un momento, fissandomi dritto negli occhi. ‘Affatto. Sottolineavo la cosa perché mi piace sentirti duro… proprio come ora’.
La mia mano sinistra ti scivola lungo i fianchi, fino alle cosce. ‘Alza il piede’, impongo. Esegui, così da permettermi di infilare una gamba del pantalone. ‘Ora l’altro’, ti dico poi. Lascio la stoffa e, dalle caviglie, la mia mano risale lungo il tuo interno cosce, fino ad arrivare al tuo sesso. Ancora caldo, ancora bagnato. Fremi quando con due dita divarico le labbra per infilarne un terzo, impregnandolo di quei succhi abbondanti e deliziosi.
Con l’altra mano m’insinuo sotto la maglia, afferrando e stringendo i tuoi grossi seni.
Ti masturbo per un po’, quanto basta per sentire i tuoi umori colare dal mio dito sino alle nocche, poi ti libero da quel supplizio per impugnare il mio membro di nuovo completamente eretto. Divarichi le gambe e inarchi la schiena nel momento in cui percepisci il mio glande sfiorare le tue labbra, e gemi sommessamente un istante più tardi, nell’avvertire di nuovo la mia asta riempirti completamente.
Resto per un attimo dentro di te, poi esco lentamente, fino al prepuzio. Una frazione di secondo, e t’invado ancora. Ti mordi il labbro inferiore. Alla spinta successiva cedi, lasciandoti sfuggire un grido e irrigidendo le gambe. ‘Più forte… più veloce…’, implori con un filo di voce.
Stavolta non ti privo di un orgasmo che brami da ore, che scalpita dentro di te, che vive sul filo da questa mattina. Con una mano a strizzarti il seno e l’altra serrata sui fianchi, aumento a ogni affondo il ritmo di quell’amplesso, mentre ti abbandoni al piacere chinata e in avanti e reggendoti con le mani al bordo del lavandino. Vieni poco dopo, liberando il tuo piacere tra grugniti e urla. Rallento in quell’istante, godendomi allo specchio la tua espressione, gli occhi chiusi, la bocca carnosa spalancata, la pelle candida tinta da vampate di calore. Poi, mentre sei ancora in affanno per la carenza d’ossigeno, ricomincio al ritmo di prima. Mugoli, gemi e ansimi intanto che il mio sesso si fa largo nel tuo, riempiendo la stanza dei nostri odori, dei nostri versi, dello sciacquettio dei tuoi succhi mentre vado alla ricerca del mio piacere tornando a far crescere il tuo. Arriviamo insieme pochi minuti dopo. Sento il mio membro pulsare, e lo pianto in profondità dentro di te. Stremata, ti lasci riempire da fiotti del mio seme, reggendoti a stento sulle gambe tremanti.
Non appena perdo consistenza mi sfilo da te e, in un attimo, ti sollevo e abbottono i pantaloni. Con i gomiti sulla ceramica e la testa tra le mani ti volti a guardarmi, confusa.
‘Così non rischiamo di perderne neppure una goccia. Ti voglio bagnata dei tuoi umori e impiastricciata dei miei. Anzi, qualche goccia c’è ancora…’.
Lascio la frase in sospeso, allontanandomi di un passo da te per poi posarti una mano sul capo.
Diligente, in silenzio e senza smettere di guardarmi ti accovacci dinanzi a me, apprestandoti a ripulire il mio membro con la tua lingua e la tua bocca. Nel farlo, sei costretta a divaricare le gambe, quanto basta perché rivoli del mio sperma colino fuori dal tuo sesso, bagnandoti le cosce e il sottile, quasi trasparente, tessuto di quel pantalone d’un bianco immacolato.

Capitolo 12: Dalle 18 alle 19
Ti rialzi e mi baci con la bocca impastata dei nostri sapori prima di riportarmi in camera e sederti sul letto, per guardarmi mentre mi vesto a mia volta.
Intimo, jeans, maglia, scarpe e, in pochi minuti, sono pronto per andare. Divertito nel vederti camminare incerta prima in casa e poi sul pianerottolo.
‘Mi hai allagata, cazzo’, imprechi pizzicandomi il braccio con veemenza, intanto che cammini strofinando le gambe per tentare di asciugarti.
‘Così peggiori solo la situazione’, ti dico ghignando.
‘Non posso fare altrimenti, qualcuno non ha voluto che mi ripulissi!’.
‘Privandomi del piacere di lasciarti piena di me? Scherzi?’.
‘Porco pervertito’, dici entrando in ascensore.
‘Esatto. Per fortuna non ti piaccio solo per questo motivo’, sibilo abbracciandoti da tergo.
‘Hai la faccia come il culo, lo sai?’.
‘Anche tu – replico, staccandomi e squadrandoti da capo a piedi – decisamente interessanti entrambe le zone’.
Ridi. ‘Cretino!’.
Resti un momento in silenzio guardandoti allo specchio, mentre l’ascensore ha quasi terminato la sua corsa. ‘Pensi sia eccessivo andare in giro così? Si vede tutto’.
‘Con le luci al neon sparate dritte addosso è ovvio – ti rassicuro indicando le lampade poste sul soffitto – ma fuori saremo in penombra. Si vedrà abbastanza… non tutto’.
Le porte si aprono ed esco dalla cabina lasciandoti per un attimo interdetta a contemplare la tua figura. La maglia è talmente leggera da sembrare un velo, che nulla cela dei tuoi grossi capezzoli e lascia persino intuire la pelle più scura delle areole. Il pantalone ha un’evidente chiazza bagnata in corrispondenza del cavallo, ma valuti che si veda poco o nulla camminando normalmente. Ti decidi a raggiungermi nell’androne qualche secondo più tardi. ‘Dove andiamo?’, mi chiedi.
‘A fare un giro in centro’, rispondo prendendoti la mano.
‘In centro…’, ripeti.
‘Si si. Dove ci sarà tanta gente che ci incontrerà o ci camminerà accanto’, incalzo provocatoriamente.
‘Ti diverti, vero?’, domandi mimando un’espressione corrucciata.
‘Ancora no. Fra qualche minuto, spero’.
E, in effetti, non avrei potuto chiedere di meglio. Con le strade affollate come non mi capitava di vederle da un po’, ci mascheriamo piuttosto bene tra i passanti. Ma, se visti da lontano non sembriamo che una delle tante, anonime coppie intente a passeggiare per le vie della città, chi incrocia il nostro cammino a distanza più ravvicinata non può non notare le particolarità che ci caratterizzano. O meglio, che caratterizzano te.
Diversi uomini, soli o in compagnia, non provano nemmeno a staccare gli occhi dal tuo seno mentre gli passiamo accanto illuminati dalle luci delle insegne e delle vetrine. Alcuni, con la giusta luce e dalla corretta prospettiva, riescono probabilmente a scorgere quei dettagli che tu stessa avevi notato poco prima in ascensore. Un gruppo di ragazzini su una panchina ti adocchia già a qualche metro di distanza, seguendo con lo sguardo il tuo incedere e ruotando la testa con bocche spalancate e sguardi ebeti a chiara testimonianza di quanto tu riesca ad attrarre individui di qualsiasi età, da quelli ben più adulti di noi a ragazzini con la metà dei tuoi anni.
Ti vedo camminare ignara di tutto quanto accade, guardando un punto indefinito davanti a te, imbarazzata e agitata.
‘Allora? Come va?’, domando per scuoterti dal tuo stato di trance.
‘E’… non… non lo so… strano…’, balbetti.
‘Dicesti che è una tua fantasia quella di mostrarti, no?’.
‘Si… e mi piace. Dio, se mi piace. Ma è imbarazzante da morire’.
‘E perché? Tutta questa gente non sa chi tu sia, e non ti vedrà mai più. Ma porterà con sé il ricordo del tuo magnifico corpo – dico, chinandomi appena per sfiorarti la bocca con un bacio – di queste labbra carnose, immaginandole stringere il loro cazzo – continuo, avvicinandomi al tuo orecchio destro e mordendone appena il lobo – sai quanti di loro ce l’avranno duro a causa tua, in questo momento?’, concludo baciandoti il collo fino a sentirti sospirare.
‘Ma tu… sei la quintessenza della gelosia, come può eccitarti questa cosa?’, chiedi in un attimo di lucidità.
‘Non mi eccita questo, infatti. Mi eccita sapere eccitata te. E, se soddisfare la tua indole esibizionista serve allo scopo, perché non lasciarsi andare’.
‘Non ti dà fastidio?’, continui incuriosita.
Replico sollevando le spalle. ‘Che m’importa, che guardino pure. Loro, al massimo potranno chiudersi in bagno più tardi a farsi una sega pensando a te. Soltanto io ti avrò per davvero, stanotte’.
‘Pensi sul serio che sia così attraente?’, domandi fissando i tuoi grandi occhi nei miei.
Non faccio neppure in tempo a rispondere, che a pochi passi da noi scorgiamo bisticciare una coppia di mezza età. La moglie tira via il suo braccio da quello del marito, dandogli uno scappellotto quasi fosse la madre esasperata di un adolescente ribelle piuttosto che la morigerata consorte di un uomo adulto. ‘Ma che cazzo…’, si ribella lui. ‘Così impari a fissare in quel modo la prima zoccola che vedi per strada, stronzo!’, la sentiamo inveire a denti stretti.
‘Ecco la tua risposta’, ti dico ridendo e distogliendo lo sguardo da quella scena.
‘Mi sa che abbiamo rovinato la serata a quel poveretto’, incalzi allegra.
‘E non solo a lui – replico strizzandoti l’occhio – goditi il tuo momento’.
Finalmente più tranquilla e disinvolta, riprendi a camminare guardando me e, di tanto in tanto, le facce sorprese e incuriosite che incrociamo lungo il percorso. Anche il tuo passo si fa più sicuro, conferendoti un’aria assertiva che non fa che aumentare il tuo fascino.
‘Ti fidi di me?’, mi chiedi improvvisamente dopo alcuni minuti.
‘Certo. Completamente. Perché?’.
‘Mi serviva saperlo’.
‘Non capisco’, ribatto guardandoti dubbioso.
‘C’è uno che non mi toglie gli occhi di dosso da un po”, dici indicando con un lieve cenno della testa un biondino poco distante.
‘Fosse l’unico…’.
‘Ma no, intendevo che credo ci stia proprio seguendo’.
‘Uhm. E quindi?’.
‘Dovresti allontanarti per qualche istante’.
Resto in silenzio per lasciarti continuare.
‘Merita proprio che qualcuno demolisca quell’aria strafottente e quell’aspetto da damerino’, concludi fermandoti a un lato della piazza nella quale eravamo appena giunti.

Capitolo 13: Dalle 19 alle 20
Ti sporgi per darmi un casto bacio su una guancia e, mentre sono ancora interdetto e confuso dalle tue parole, aggiungi: ‘resta a portata d’orecchio’.
Senza opporre obiezioni, faccio come mi hai detto. Seguo l’intero perimetro della piazza fino a ritrovarmi a pochi metri dalla posizione precedente, sebbene dalla prospettiva opposta.
Il biondino non ha perso tempo e ti ha già raggiunta. Voltato verso di te, mi dà le spalle. Tu, invece, mi lanci un’occhiata fugace mentre mi scorgi passare e nascondermi appena dietro l’angolo. Non posso vedervi, se non sporgendomi e rivelando la mia presenza, ma riesco a percepire abbastanza distintamente il vostro dialogo, nonostante il chiacchiericcio indistinto dei passanti e il rumore incessante del traffico.
‘Sei uno che non fa troppi giri di parole’, affermi con aria di sufficienza.
‘Be’, tu sei sola, io anche. Perché dovremmo perdere tempo’.
‘Magari perché non ero da sola quando mi hai messo gli occhi addosso. La butto lì, eh’.
‘Non mi è sembrato importante’.
‘Ah, no?’.
‘Per niente. Guardando te, e guardando lui… siete su due pianeti diversi, è evidente’.
‘Mentre io e te saremmo degni di abitare lo stesso pianeta, suppongo’. Il tuo tono lascia presagire una certa irritazione. Allungo il collo per osservarti di sfuggita, e anche la posa, mani sui fianchi, non sembra troppo rassicurante. Tuttavia, il tuo interlocutore pare non cogliere quei segnali di manifesta ostilità. Conoscendoti, sorrido immaginando il seguito.
‘Certo. Sono più bello di lui, più curato di lui e, da come si veste o cammina, più elegante di lui’.
‘Caspita, ti piaci proprio tanto. Dovresti farti clonare e scoparti da solo, sai? Che poi sarebbe anche l’unico modo che avresti per infilare il tuo stuzzicadenti da qualche parte. Se aspetti che qualcuna la dia a uno patetico come te… campa cavallo’.
Ti si avvicina, dandoti un buffetto su una guancia come fossi una ragazzina ingenua. Non muovi un muscolo, limitandoti a fulminarlo con lo sguardo. ‘Se non fossi insoddisfatta, non andresti in giro vestita così. Lasciati andare e non te ne pentirai’.
‘Non ci sono più le mezze stagioni’, dici annoiata.
‘Che c’entra?’.
‘Ah, non era una gara di frasi fatte? Scusa, ho frainteso. Vabbè, tanto mi avresti stracciata, sei troppo bravo’.
Non posso vedere la sua espressione, ma le sue parole lasciano intendere una voglia pressoché nulla di demordere. ‘Dico sul serio. Si vede che sei una passionale’.
‘Oh, si, altroché se lo sono…’, replichi mutando improvvisamente e radicalmente il tuo tono.
‘Una che vuole attirare l’attenzione per manifestare la sua voglia’, incalza lui, soddisfatto dall’aver trovato terreno fertile con un approccio così diretto.
‘In effetti, non hai idea di quanta ne abbia’, confermi.
Nonostante mi sia ritirato da pochi istanti, a quelle parole mi sporgo nuovamente per osservarti. I tuoi occhi sono fissi nei suoi, e le tue labbra piegate in un sorriso enigmatico e quasi impercettibile. Un brivido mi percorre la schiena. Per la prima volta, non capisco dove tu voglia andare a parare.
‘Se mi dessi un’opportunità, saprei come placarla’, continua il damerino.
‘Si?’.
‘Certo, ti farei eccitare e godere come non ti è mai capitato nella vita’.
La voglia di uscire allo scoperto e spaccargli la faccia inizia ad essere forte, ma mi trattengo aspettando le tue prossime mosse. Hai accennato alla fiducia prima e, considerate le circostanze, decido di accordartela, nonostante avverta una forte morsa allo stomaco.
‘Eccitata lo sono da stamattina… non ci sarebbe da lavorarci poi molto’.
‘E te ne vai in giro così? Tutta bagnata e vogliosa?’.
‘Bagnata… allagata sarebbe il termine più corretto’.
‘Dovremmo proprio andare da qualche parte a verificarlo’, propone.
Inizio ad averne abbastanza, e a sentirmi assalito da rabbia crescente nei confronti di entrambi. Eppure, fatico a credere che un approccio così banale possa davvero aver fatto colpo su qualcuna cerebrale come te. Le risposte che non riesco a trovare, però, si manifestano solo pochi istanti più tardi, quando inizio a subdorare le tue intenzioni.
‘Come vorresti verificarlo, assaggiandomi?’.
‘Perché no, sarebbe un buon inizio’, dice avvicinandosi a te fino ad arrestarsi a un passo.
‘E’ vero. Dovresti proprio bermi… sentire gli odori e i sapori che ho tra le cosce’.
‘Lo sapevo che eri una gran troia – ti apostrofa – mi piacerebbe da morire’.
‘Anche a me – dici voluttuosa – l’idea di spalmarti su quel faccino insignificante la sborra con la quale il mio uomo mi ha riempita poco fa, mi darebbe proprio una gran bella soddisfazione’.
Non replica per alcuni secondi, e mi spiace solo perdermi la sua espressione una volta realizzato il senso di quelle parole.
Sei ancora tu, poco dopo, a continuare a parlare. ‘Ok, basta così. Puoi venire fuori, questo idiota mi ha stufata, andiamo’.
Senza proferire verbo, gli passo accanto e lascio che tu ti stringa a me. Uno sguardo veloce al ragazzo impietrito di fronte a noi prima di riprendere a camminare e, nel mentre, le tue ultime parole rivolte a lui: “oh, tanto per essere chiari. Sono una grandissima troia, su questo hai ragione. Ma sono la sua troia, soltanto sua”.
‘Che hai?’, mi dici qualche minuto più tardi.
‘E’ che… per un attimo ho creduto…’.
‘Ah, bene. Perché volevo proprio ci cascassi’, dici ridendo.
‘E per quale cazzo di motivo? Mi hai fatto prendere un colpo, stronza!’.
Fai spallucce prima di rispondere. ‘Volevo farti arrabbiare. Mi piace quando sei geloso. Potrai sempre punirmi più tardi a casa…’, concludi strizzando l’occhio.
Ti attiro a me, mordendoti il labbro inferiore fino a strapparti un gemito di dolore prima di incollarmi alla tua bocca per lasciarti senza fiato, stritolarti la lingua e dissetarmi con la tua saliva.
Continuiamo a camminare attraverso strade, vetrine, tavolini all’aperto, nonché uomini, ragazzi e persino donne che non disdegnano di bearsi della vista del tuo corpo appena celato.
‘Tanto per essere chiari…’, dici d’improvviso.
‘Cosa?’.
‘Non sei stato il primo né l’unico. Ma sarai l’ultimo. Sono qui solo per te, ricordalo sempre’.
Incapace di replicare e col respiro mozzato, ti stringo ancora più forte senza smettere di passeggiare.

Capitolo 14: Dalle 20 alle 21
‘Lo so’, rispondo con un filo di voce dopo svariati secondi di silenzio.
Quando faccio per continuare ti sporgi verso di me, sollevandoti sulla punta dei piedi e premendomi l’indice sulla bocca. ‘Ehi. No. Non oggi. Non di nuovo. Godiamoci questa giornata e basta’.
Sospiro, non resistendo alla tentazione di piegare le labbra per baciare il tuo polpastrello.
‘Me lo prometti? Ti prego’, insisti.
Distolgo gli occhi dai tuoi guardandomi intorno come un naufrago alla ricerca di un appiglio, poi torno a fissare l’infinito nel tuo sguardo. Annuisco in modo quasi impercettibile, con una fatica tale che ho l’impressione possa segnarmi il volto.
‘Grazie’, sussurri sfoderando un sorriso malinconico.
Con la mano sinistra ti accarezzo la guancia, scosto i tuoi lunghi capelli fin dietro le orecchie e quasi riesco a racchiudere la tua testa nel mio palmo. Ti sollevi ancora, occhi sempre fissi nei miei, e mi sfiori le labbra con le tue. Non ti permetto di allontanarti, stringendoti la nuca e costringendoti a restare incollata a me. Tu fai lo stesso intanto che le nostre bocche smettono di sfiorarsi e si aprono per cercarsi ancora di più. Come una piccola scintilla dalla quale divampa all’istante un incendio inestinguibile, il nostro bacio diventa sin da subito feroce, bagnato, un’oscena battaglia di lingue.
Ti sollevo di peso prendendo a camminare alla cieca, svoltando l’angolo con le tue braccia avvinghiate al mio collo e una delle mie a sorreggerti cingendo le tue natiche. Ti metto a sedere sulla sporgenza ricavata dal muro perimetrale di uno dei mille palazzi del centro e risalgo con la mano lungo il tuo corpo sino al viso. Quel piccolo ovale dai grandi occhi sembra quasi scomparire avvolto tra le mie mani. Nel momento in cui il tuo corpo va a cercare il mio, aderendovi, riprendo a martoriare le tue labbra piene e tumide. Avverto il tuo bacino muoversi e il frutto tra le tue cosce cercare sollievo approfittando della mia eccitazione ormai più che evidente.
Siamo come in una bolla, con centinaia di persone che ci sfrecciano accanto a pochi metri lungo il corso principale e nessuno che faccia caso alle nostre figure accese di passione nella penombra d’una traversa qualsiasi.
Cerco il tuo seno, lo trovo, lo stringo, insinuandomi sotto la maglia e godendo della tua nuda carne a contatto con la mia. Mi nutro di te, del tuo respiro, del tuo sapore, del tuo corpo. Ora più che mai, ora che posso guardarti, toccarti, averti, mi rendo conto di quanto tu sia la passione, la vita, l’amore, un’oasi di totale appagamento nell’arido deserto delle emozioni. Vorrei che questo momento, unico, perfetto, durasse per sempre. E leggo nel tuo sguardo languido lo stesso desiderio. Ma non è così, non potrà esserlo. Possiamo solo suggerne ogni goccia, coglierne ogni aspetto e sfumatura, viverlo a pieno affinché resti indelebile nelle nostre menti. I tuoi sospiri paiono quasi assordanti alle mie orecchie e rendono il caos cittadino niente più che un appena percepibile brusio di fondo.
‘Ti voglio, cazzo, ti voglio ancora’, ansimi sfregando con veemenza il tuo sesso contro il mio.
‘Abbiamo tutta la notte’, sussurro senza staccarmi dalle tue labbra.
Deglutisci tra i sospiri, afferrando con forza i miei capelli con entrambe le mani, per mettermi a tacere e richiamarmi nuovamente a te.
‘Mangiamo qualcosa – dico appena allenti la tua morsa – poi ti porto a casa e, fino a domattina, potrai anche dimenticare di aver portato dei vestiti’.
‘Sei sicuro che ne abbia portati per la notte?’, ghigni.
Col palmo della mano ad accarezzarti la guancia sinistra, allungo il pollice per passarlo sulle tue labbra da mordere. ‘Mi auguro proprio di no’.
‘Allora credo che resterai soddisfatto’, replichi con un sorriso birichino.
Ti prendo la mano e mi allontano di un passo, per permetterti di saltare giù dalla sporgenza in muratura sulla quale sedevi. Ti guardo fisso intanto che volti all’indietro la testa e, per pulire il pantalone da eventuali residui di intonaco, percuoti debolmente la stoffa all’altezza dei glutei.
‘Che c’è?’, mi chiedi sorridendo appena ti rendi conto dei miei occhi su di te.
Mi avvicino ancora, afferrando e stringendo con la mano libera la tua natica destra. ‘Avrei preferito pulirti io’, dico sornione prima di mollare la presa per rifilarti, nello stesso punto, uno schiaffo tanto forte da farti sobbalzare.
‘Ehi!’, squittisci.
‘Cosa c’è? Non ti piace?’, chiedo a un soffio dalle tue labbra.
‘No’, rispondi senza smettere di sorridere.
‘Ah, no? Davvero?’, incalzo stando al gioco.
Scuoti il capo, accompagnando il movimento con un secco mugolio. E scoppi in una risata quando mi sporgo per tentare invano di bloccare tra i denti il tuo labbro inferiore.
‘Magari riprendiamo il discorso più tardi a casa…’, stuzzichi.
‘Oh, si, questo è poco ma sicuro’, concludo mimando un’espressione di sfida.
‘Dove mi porti?’, domandi mentre, mano nella mano, ci immettiamo in un fiume di gambe e volti sconosciuti.
‘Sai cos’è una puccia?’, ti chiedo.
Mi guardi perplessa, incerta sulla risposta da dare.
‘In sostanza – riprendo – è un grosso panino tondo fatto con un impasto simile a quello della pizza. E farcito con qualsiasi cosa ti venga in mente’.
‘Sembra… interessante – rifletti ad alta voce – si, decisamente interessante. E puccia sia!’, concludi soddisfatta.
A causa della calca, impieghiamo svariati minuti per attraversare quel che resta del centro cittadino e raggiungere il lungomare. Grazie al cielo terso, la luna quasi piena si riflette sull’acqua, e i palazzi dalle finestre illuminate sembrano assistere come muti spettatori a quell’incredibile spettacolo offerto dalla natura.
Percorriamo senza fretta gli ultimi metri che ci separano dalla meta: uno dei pub più rinomati della zona per la qualità della sua cucina che, per nostra fortuna, quella sera non sembra particolarmente gremito. Superiamo i pochi avventori intenti a chiacchierare davanti alla porta e attraversiamo la soglia, individuando subito un tavolo libero abbastanza in disparte per non essere disturbati dal viavai di clienti e personale. Pochi secondi dopo esserci accomodati, una sorridente cameriera, menu alla mano, si dirige verso di noi.

Capitolo 15: Dalle 21 alle 22
La cameriera ci saluta con cortesia, posando i menu al centro del tavolo in legno scuro e guardandomi a lungo prima di tornare in cucina.
‘Chi è?’, chiedi in tono freddo, osservando l’esile figura vestita di nero allontanarsi ancheggiando leggermente e scomparire dietro le porte in stile saloon che separano gli ambienti del locale.
‘Cosa vuoi che ne sappia? Non vengo qui da una vita’.
‘Mi sembrava ti guardasse in modo troppo insistente per essere una sconosciuta’.
‘Si, anche a me. Ma proprio non la ricordo. Davvero’.
Annuisci, intanto che la biondina con i capelli legati in una coda di cavallo torna verso la panca alla quale siamo seduti armata di tovagliette e tovaglioli di carta, posate d’acciaio e bicchieri di vetro. ‘Quando siete pronti per ordinare potete chiamarmi’, dice in tono affabile guardando quasi esclusivamente me.
‘Io la sgozzo quella gallina’, ringhi appena si allontana nuovamente.
Il tuo tono mi strappa una risata. ‘Ma dai’.
‘Ma dai un cazzo, cos’ha da guardare?’.
‘Che vuoi farci – ironizzo – sono i rischi di accompagnarsi ad uno stallone come me. I miei feromoni si spandono nell’aere senza controllo e le giovani pulzelle non possono fare a meno di crollare inermi e indifese ai miei piedi’.
Mi guardi torva, poi una risata sfugge dalla tua bocca. ”ste cazzate fanno parte di un repertorio, o le inventi sul momento?’.
Sollevo la testa come per darmi un tono. ‘Per chi mi hai preso? Non diciamo baggianate. Questa è pura improvvisazione, baby’.
‘Chi me l’ha fatta fare…’, sospiri prima di afferrare uno dei menu e iniziare a scorrerlo.
Io faccio lo stesso, ma la tua voce mi interrompe già durante la lettura della prima pagina. ‘Uccelletti? Cos’è, mangiate colibrì da queste parti?’, chiedi attonita.
Rido di gusto. ‘Ma no! Sono scamorzine avvolte nella pancetta e cotte in forno quel tanto che basta a farle filare. Se vuoi provare la vera puccia tradizionale, ti consiglio di metterceli’.
‘E sia! Se non volessi darmi un contegno, starei già sbavando al solo pensiero’, dici chiudendo il menu e riponendolo al centro del tavolo.
‘Questa tua frase mi fa venire in mente qualcosa di ben poco consono ad un luogo pubblico’, replico facendo lo stesso e rivolgendo alla cameriera un cenno con la mano.
‘Non l’ho detto con quell’intenzione!’.
‘Può darsi – dico, sporgendomi verso il tuo orecchio e abbassando il tono della voce – ma ora ho in mente solo il tuo mento gocciolante di saliva e il mio cazzo piantato nella tua gola’.
Hai ancora il respiro mozzato quando la biondina arriva al nostro cospetto. ‘Avete scelto?’, chiede candidamente con un palmare in una mano e un pennino resistivo nell’altra.
Sorrido per il tuo lieve imbarazzo e ordino per entrambi lo stesso tipo di panino, qualche snack fritto che so essere di tuo gradimento e due bibite. La cameriera, diligente, segna tutto, poi riprende a guardarmi ancora una volta. ‘Non ti ricordi di me, vero?’.
‘Dovrei?’, replico confuso.
‘Toglimi questa divisa e immaginami con un grembiule e un cappello bianchi’.
Rifletto per un istante, poi un’immagine riaffiora dalla mia memoria. ‘Ah! Ma certo! Ehm…’, tentenno non ricordando il nome.
‘Floriana’, riprendi.
‘Si, giusto. Scusa, con i nomi e le fisionomie sono una frana. Ecco perché non ti vedevo più in salumeria!’.
‘Già. Quel contratto è scaduto. Lavoro qui da quasi un anno, ormai’.
‘Mi sembra che te la cavi bene’.
‘Si, dai, è un bell’ambiente. E poi, ho anche ritrovato il mio cliente preferito! Torno fra un po’ con la vostra ordinazione’.
‘Fai pure con calma, baldracca’, sibili tra i denti quando la ragazza è abbastanza distante da non poter udire le tue parole, dopo che, per l’intera conversazione, non hai distolto lo sguardo da lei.
‘Dio, quanto mi ecciti quando sei incazzata’.
‘Quindi, se la trascinassi in bagno per i capelli e la riempissi di botte non ti disturberebbe?’.
‘Dipende… prima o dopo che ci porta le pucce?’.
‘Dopo. Ho una fame…’.
‘Allora accomodati pure’.
Ridiamo insieme. ‘Comunque, seriamente, non hai di che preoccuparti. E’ un po’ ochetta, ma è innocua’.
‘Ma si, figurati se mi spaventa quella mazza di scopa slavata. Solo che tu sei roba mia’, dici avvicinandoti al mio viso con i tuoi occhi fissi nei miei. Mi sporgo per baciarti, ma ti allontani prima che le nostre labbra si sfiorino.
‘No – sussurri con un sorriso malizioso – ora si fa come dico io’.
Le decine di minuti seguenti trascorrono rapide e piacevoli, gustando del buon cibo e con tue piccole provocazioni e carezze che non fanno che eccitarmi e aumentare la mia voglia di te, già naturalmente non lontana dai livelli di guardia. Quando ci alziamo per dirigerci alla cassa, non puoi non notare la mia erezione premere contro il tessuto dei jeans. La sfiori con una mano e mi guardi fiera. ‘Tutto questo da vestita… pensa tra un po’…’, dici languida.
Mentre Floriana prepara la fattura con la testa chinata sul bancone, ti avvicini a me fino a che i nostri corpi non aderiscono. Alzi gli occhi per guardarmi, e passi seducente la lingua sulle labbra. Non resisto oltre. Senza curarmi di quanto abbiamo intorno, ti serro la nuca e ti attiro a me per divorarti le labbra, facendomi largo con la lingua tra i tuoi denti per stritolare la tua. Per qualche decina di secondi che sembrano un’eternità, restiamo in apnea l’uno ad annegare nel respiro e nella saliva dell’altra. Ci stacchiamo solo una volta che siamo entrambi in grave debito d’ossigeno. Ansante e superba, ti rivolgi alla cameriera che, intanto, ha ottemperato al suo compito e ci osserva sorpresa. ‘Scusa, ma il tuo cliente preferito bacia da dio’, le dici. Basita, la ragazza mi porge il conto. Pago e salutiamo, come se nulla fosse.
Voltati verso l’uscita, mi rivolgi un sorriso trionfale e mi prendi la mano, per districarci fra tavoli e clienti come fossimo un inscindibile tutt’uno.
Dopo qualche istante siamo di nuovo all’aperto, pronti a navigare in un mare d’asfalto sotto un rigoglioso giardino di stelle.

Capitolo 16: Dalle 22 alle 23
‘Tanto per essere chiari, quella smorfiosa non rientra tra le papabili’, mi dici con voce pacata.
‘Papabili di cosa?’, replico confuso.
‘Tra quelle che potrai scoparti quando sarò andata via. Che continui a sognarselo il tuo cazzo’, sentenzi includendo nel tuo sguardo una città ormai immersa nel buio.
Rido di gusto alle tue parole, e riesco a ribattere solo dopo qualche secondo. ‘Non c’è pericolo’.
‘Bene’, concludi assertiva.
‘Peccato però…’, ti stuzzico.
Senza proferire verbo, mi guardi con un’aria incuriosita e irosa al tempo stesso. Fingendo indifferenza e continuando a camminare, ti lascio macinare pensieri su pensieri per qualche istante. ‘Peccato per te, voglio dire’, aggiungo poi per distoglierti da essi.
‘Che intendi?’.
Mi fermo e ti attiro a me senza lasciarti la mano. Sfioro le tue labbra prima di rispondere. ‘Mi piace quando sei così… gelosa… possessiva… passionale… ma, per prestare attenzione a Floriana, ti sei persa delle scene davvero esilaranti’.
‘Cioè?’.
Faccio un passo indietro, squadrandoti da capo a piedi per permetterti di capire da sola dove voglio andare a parare. Inizialmente resti interdetta, ma, quando anche tu lasci scorrere lo sguardo sul tuo corpo, il lampo della consapevolezza squarcia i tuoi pensieri.
‘Vuoi dire che lì dentro…’.
‘Già’.
‘Tutto tutto?’.
‘Gran parte’.
‘E… chi se n’è accorto?’.
‘Credo tutti tranne te – replico ridendo – magari anche Floriana, il che spiegherebbe perché guardava solo me’.
‘Certo… prima fa la troia, poi s’imbarazza. Povera stella’.
Ti cingo nuovamente, costringendoti, col peso del mio corpo, ad adagiare la schiena al tronco di un grosso albero. Avvicino le mie labbra alle tue, tanto da far danzare avviluppati i nostri respiri. ‘C’era una sola donna lì dentro degna di essere definita troia, per come lo intendo io’, sussurro.
‘E come lo intendi?’, chiedi nel medesimo tono di voce.
‘Qualcuna che non ha disdegnato di ostentare la sua bellezza e la sua sensualità. Di ammaliare con lo sguardo. Di mostrare il suo corpo praticamente nudo facendo rizzare il cazzo a ciascuno dei presenti. Qualcuna che si è fatta divorare in piedi davanti a tutti. Che ha riempito l’intero locale di una carica erotica tanto densa da risultare quasi percepibile al tatto. Che è stata per un’ora fulcro dei desideri di ogni uomo presente, e che continuerà ad esserlo a lungo nella solitudine delle loro case e sotto le coperte con le loro mogli. Qualcuna talmente disinibita, porca, oscena da aver catalizzato l’attenzione su di sé, e da averlo fatto con la massima naturalezza, senza neppure rendersene conto. Qualcuna come te’.
‘Una troia’, aggiungi cercando di trarmi in inganno.
‘La mia troia’, ti correggo prima di nutrirmi ancora del sapore della tua pelle e di sentire il tuo fiato caldo invadermi la bocca nel corso dell’ennesimo, vorace bacio di questa giornata. Una giornata che speravo non finisse mai, ma che continua a scivolarmi via dalle mani come sabbia finissima.
‘Mi son persa delle scene divertenti, quindi?’, chiedi dopo aver ripreso fiato e camminato per qualche minuto in silenzio mano nella mano.
‘Già. Non hai visto un ragazzo al tavolo accanto al nostro: ha usato il menu come una sorta di paravento per non far notare alla compagna la sua incapacità di smettere di fissarti. Pensavo che gli occhi gli sarebbero rotolati fuori dalle orbite prima o poi!’.
‘Un cartone animato’, dici ridendo.
‘Più o meno. E quel gruppo di sfigati al tavolo vicino alle cucine?’.
‘Quale, quello talmente coperto di birre che non si vedeva neppure il legno?’.
‘Si si, esattamente. Ti avranno detto di tutto, parlottando tra loro’.
‘Ma se ne ho incrociato uno uscendo dal bagno. E’ arrossito, ha abbassato lo sguardo, a momenti rischiava di avere un infarto!’.
‘Per questo li ho definiti sfigati. Classico branco di apparenti lupi che, presi singolarmente, non sanno neanche allacciarsi le scarpe’.
Ti fermi di colpo, inconsapevolmente, in uno dei punti più belli del lungomare cittadino, una sorta di ampia terrazza panoramica a strapiombo sul mare. Da dietro, lascio aderire il mio corpo al tuo facendo scivolare le mie braccia attorno alla tua vita. Porti le tue mani sulle mie e ti volti per accarezzare le mie labbra con le tue prima di rivolgerti ancora alla distesa nera davanti a noi, illuminata solo dalla luna che, vanitosa, continua a specchiarvisi.
‘Questo è l’est, giusto?’.
‘Si, il tuo amato Oriente è da quella parte’.
‘Comincerò da lì’.
‘Ci avrei scommesso’, dico in un misto di rassegnazione e amarezza.
‘Devo’, asserisci fissando per l’ennesima volta i tuoi occhi nei miei.
Vorrei negare la tua affermazione, elencarti ogni dannato motivo per il quale no, non dovresti. Ogni motivo per il quale rompere questo stupido patto e far si che alle prime ventiquattr’ore ne seguano altre, e poi altre ancora, finché non saranno le circostanze e il destino a strapparti via da me. Ma ormai so che nulla potrà convincerti, e che le mie parole potrebbero solo incrinare questa magia, quest’aura di eternità che ci avvolge e ci culla sin dalle luci del mattino. Contro ogni fibra del mio corpo e del mio essere, scelgo di tacere. Di riprendere in silenzio a passeggiare, facendo in modo che siano i miei occhi e le mie mani a rendere palese lo strazio che mi coglie al solo pensiero di doverti lasciar andare al termine di questa notte.
Ci lasciamo alle spalle alberi, panchine, chioschi e una grande fontana zampillante che cattura la tua attenzione e che anch’io mi fermo a guardare, ammirato come ogni volta che ci passo davanti.
‘D’estate è l’unico posto appena fresco in tutto il centro. C’è da fare la fila anche solo per avvicinarsi’.
‘Ci credo! Che bella…’.
‘Già’.
Arriviamo fino al portone di casa mia in quella che sembra una città fantasma, con solo il rombo del motore di qualche auto in lontananza a ricordarci che al mondo non ci siamo solo noi. Una volta nell’androne, muoviamo verso l’ascensore per tornare al mio appartamento. Per qualche ora, quello che sarà il nostro mondo, un luogo e un tempo nei quali esistiamo soltanto io e te.

Capitolo 17: Dalle 23 alle 00
Già in ascensore le mie mani s’insinuano prepotenti sotto i tuoi vestiti, esplorando il tuo corpo schiacciato impotente contro una parete della cabina. Arrivati al piano, hai il pantalone sbottonato e la maglia arricciata sotto le ascelle, coi tuoi seni preda delle mie mani e i tuoi capezzoli delle mie labbra e dei miei denti.
Ti trascino fuori da quello spazio ristretto e ti spingo in casa appena aperta la porta. Il resto è un fruscio di vestiti, i tuoi, costretti ad abbandonare il tuo corpo incandescente di voglia per incontrare il freddo pavimento del corridoio. Ti lasci spogliare senza opporre resistenza, godendo di ogni contatto con le mie mani e la mia bocca. E fai lo stesso con me solo quando ti imprigiono fra la mia mole e la porta del bagno. Convulsamente, sbottoni i miei jeans e li tiri in basso assieme all’intimo, permettendo al mio membro eretto di troneggiare nudo davanti ai tuoi occhi. Lo impugni con entrambe le mani massaggiandolo vigorosamente e lasciando a me l’onere di liberarmi della maglietta, l’ultima barriera prima che le reciproche nudità si palesino davanti ai nostri occhi.
Di tua iniziativa, ti accovacci sul pavimento continuando a stringere quel palo turgido. Golosa, ne lecchi il glande, lo imbocchi, poi liberi l’asta dalla tua presa per lasciartela scivolare sino in gola. Quando ne hai assaporato appena una porzione, ti afferro per i capelli interrompendo la tua opera. Interdetta, alzi lo sguardo per cercare il mio.
‘Devi guardarmi negli occhi, lo sai’, ti intimo.
Sospiri di voglia e frustrazione, desiderio che molli la presa per lasciarti libera di gustare fino in fondo la mia virilità. Ma non decidi tu come e quando. Sei in mio potere stanotte. Lo sai bene, lo vuoi. E, ora, le mie mire sono ben altre. Ti sollevo in piedi di forza e ti spingo in bagno, fin dentro l’ampio box doccia. Rido quando apro l’acqua e un getto freddo ti investe in pieno, facendoti sussultare e sfuggire un grido sorpreso.
Mi bagno le mani, raccolgo tra di esse noci di docciaschiuma e ti insapono con cura. Il collo, la schiena, le braccia, il ventre. Senza tralasciare le zone più intime del tuo fantastico corpo. Soppeso i tuoi seni, lascio scorrere le mie mani lungo i tuoi fianchi, mi inginocchio per cospargere i tuoi piedi di siero profumato. Lascio che sfiori con essi il mio pene prima di poggiarli nuovamente per terra. E risalgo tra le tue cosce sino a quel caldo, morbido frutto pregno di acqua, umori e di residui del mio sperma ormai secco. Gioco con le labbra, ti penetro delicatamente con un dito. Ti masturbo lentamente guardandoti sospirare ad occhi chiusi e gambe larghe. La tua arrendevolezza è adrenalina pura per me.
Mi rialzo, ti faccio voltare e riprendo possesso del tuo corpo per risciacquarti. L’acqua scorre su di te lavando via il sapone, mentre il mio membro preme tra le tua natiche e le mie mani prendono liberamente possesso della tua carne.
‘Voglio il tuo culo – ti sussurro mentre tieni la testa reclinata tra il mio torace e la mia spalla sinistra – riempire di me il tuo meraviglioso culo’. Intingo l’indice nel docciaschiuma subito dopo aver pronunciato quelle parole, prima di costringerti a chinarti in avanti, mani contro il muro. Lubrifico attentamente la tua rosellina. Senza troppe difficoltà, spingo dentro una falange, poi l’intero dito. Gemi quando anche il medio si fa largo dentro di te, allargando appena le tue pareti. Ti penetro con estrema calma, muovo le dita abbastanza lentamente da farti rilassare. Col polpastrello dell’anulare forzo lievemente la tua cavità, più per testare le tue reazioni che per reale voglia di allargarti ulteriormente con esso. E’ col mio membro che voglio farlo. Estraggo le dita nel momento esatto in cui avvicino il mio glande gonfio. Tengo le tue natiche divaricate intanto che inizio a scivolare nella tua remota intimità. Alterni ansimi e gemiti quando mi faccio largo in te. L’ingresso è stretto, faticoso, laborioso. Ma non demordo, e continuo a spingere piano, a un ritmo regolare. Un po’ alla volta cedi e, centimetro dopo centimetro, diventa sempre più facile prendere possesso di quell’antro angusto. Quando i nostri bacini s’incontrano, sembri quasi in trance. Resto immobile, completamente piantato in te, a bearmi dei tuoi mugolii, del tuo muovere lentamente il capo lasciando ondeggiare i tuoi lunghi capelli, del disagio reso palese dallo spostare il continuamente il peso del tuo corpo. Ti cingo il collo e ti attiro a me. ‘Ti tengo io. Voglio che ti tocchi, troia. Voglio sentire la tua figa allagata mentre ti scopo il culo’. E’ un verso cantilentante a farmi capire che hai compreso le mie istruzioni. Vedo la tua mano scivolare tra le tue cosce e il tuo braccio cominciare a muoversi massaggiando con vigore le labbra e il clitoride. Serro una mia mano attorno alla tua vita, lasciando l’altra libera di correre dal tuo viso al tuo seno imponente. Ed è allora che inizio a muovermi. Prima restando ben piantato in te, e lavorando di bacino per allargarti ulteriormente, poi iniziando un lento dentro e fuori. Lento solo all’inizio, però. Poi, un ritmo sempre crescente ti spezza il fiato ad ogni affondo. Urli quando lo sfregamento della mia asta grossa e ruvida si fa forsennato. Di dolore, di piacere, di voglia accumulata e non ancora sfogata. Ti sento godere appena prima di me, abbandonarti tra le mie braccia mentre assesto le ultime, poderose spinte. Quando capisco di essere al limite, l’ultimo affondo è violento, brutale. Spingo il mio membro pulsante il più a fondo possibile e ti inondo del mio seme tra i tuoi versi animaleschi.
Stremata, ti lasci insaponare e risciacquare ancora, prima di avvolgerti in un bozzolo di candida, morbida spugna e trascinarti incerta fino al letto, lasciandoti cadere sul materasso. Una volta preso posto accanto a te, strisci fino ad avvinghiarti a me con braccia e gambe, posando la testa sul mio petto e guardandomi per permettermi di perdermi ancora nei tuoi occhi.

Capitolo 18: Dalle 00 alla 1
Restiamo uniti a parlare per minuti che sembrano ore. Mi perdo nel profondo dei tuoi occhi e nel bagliore dei tuoi sorrisi, mi lascio cullare dal suono della tua voce e accarezzare dal tuo respiro leggero, mi inebrio del profumo della tua pelle e del calore del tuo corpo stretto al mio. Di tanto in tanto, posi le tue labbra sulle mie, per poi continuare a chiedere e raccontare di me, di te, di un noi finalmente reale anche se prossimo ad una fine imminente, calcolata, inevitabile, eppure dolorosa come una lama arroventata affondata nella carne viva.
Mentre ti carezzo il capo, la tua mano, curiosa e leggera, scorre sul mio viso, sulle mie spalle, sul mio torace. Impertinente, si sposta sotto l’accappatoio, prima allentandolo, poi aprendolo del tutto. Dall’addome, scendi ad impugnare il mio membro rilassato. Ci giochi, come anche con la delicata sacca sotto di esso. Con il palmo e le dita, ti occupi quasi distrattamente della mia intimità. Mi guardi con aria divertita quando, parlando, tentenno, o quando il tono della mia voce muta al variare dell’intensità del tuo massaggio.
‘Qualcuno non vuol proprio saperne di dormire’, dici ammiccante avvertendo la mia asta guadagnare dimensioni e consistenza tra le tue grinfie.
‘Difficile, se non viene lasciato in pace’.
‘Vuoi che smetta?’, chiedi mostrando un delizioso broncio da mordere.
‘Non pensarci nemmeno’.
‘Per fortuna… mi piace troppo che sia sempre pronto…’.
‘Merito tuo, che sai come prenderlo, come prendermi’.
‘C’è anche chi fa cilecca… ma non mi sembra il tuo caso’.
Mi sfugge una risata sincera a quelle parole. ‘Insomma’, aggiungo.
Mimi un’espressione di stupore. ‘Ma dai? Hai toppato?’, mi chiedi.
‘Certo, e mica una sola volta! Ma ridevo perché mi è tornata in mente la prima’.
‘Racconta’, dici dopo esserti unita alla mia risata, senza smettere di stuzzicare il mio membro ormai del tutto eretto.
Comincio in tono enfatico. ‘Uscivo con questa ragazza, Erika, te l’avrò nominata un migliaio di volte’.
‘Si’, replichi alzando gli occhi al cielo e fingendo risentimento.
‘Che stupida – ti apostrofo, prima di stampare il mio sorriso sulle tue labbra – immagina la scena: ci frequentavamo da poche settimane. Una sera, io avevo casa libera per cui organizzammo una cena da me. Cena più veloce che a un fast-food, non è che volessimo perdere troppo tempo con gli alibi. Durante i preparativi e il pasto, baci, palpeggiamenti e tutto il resto. Subito dopo, dritti in camera. Mi spoglia in un lampo…’.
‘Non ci voglio credere. Anche in quel caso hai lasciato fare tutto a lei?’.
‘Te l’ho detto che ero un idiota’.
‘Si, ok, ma…’.
‘Totalmente rincoglionito’, preciso interrompendoti.
Ridi alle mie parole.
‘Insomma, mi sfila prima la maglia, poi tutto il resto. E con la bocca…’.
‘Capito’, annuisci serafica.
‘Insomma, fatto sta che il soldatino, nonostante un’esecuzione davvero magistrale dell’inno nazionale, non voleva saperne di mettersi sull’attenti’.
‘Oh. E poi?’.
‘E poi, niente, dopo qualche tentativo a vuoto abbiamo invertito le parti’.
‘Be’, dai, sarà stata contenta lo stesso’, mi dici tirando verso il basso la pelle della mia asta e disegnando piccoli cerchi sul glande.
‘Oh, si, molto. Alla fine ne abbiamo riso, anche se quella sensazione di clamorosa figura di merda non mi si è staccata di dosso per un bel po’. Quella volta scoprii quanto l’ansia da prestazione possa giocare brutti scherzi. Ma c’è stata una cosa peggiore’.
‘Pure?’.
‘Eh, si. Perché, dopo averlo suonato io l’inno nazionale, e dopo esserci rivestiti, siam rimasti per un po’ abbracciati sul letto’.
‘Bello’.
‘Mica tanto. Il signorino si è svegliato solo in quel momento!’.
‘Ah, quindi poi…’.
‘Macché, si era fatto tardi e casa stava per ripopolarsi. Così dovetti riaccompagnarla’.
‘E com’è finita?’.
Ridi ancora di gusto quando sollevo la mano sinistra ruotandola a mezz’aria.
Dopo qualche istante torni seria, serrando la tua di mano più stretta attorno al mio membro teso. ‘Povero tesoro – dici guardandolo ed esasperando un tono affranto – dopo tanto parlar male di lui avrà bisogno di essere consolato’. Smetti di parlare e prendi a strisciare sinuosa verso il basso, fino ad accovacciarti diligente tra le mie gambe. Porti il tuo viso quasi all’altezza del materasso, insinuandoti prima con le labbra e poi con la punta della lingua a cercare il mio perineo. Risali lenta, a baciare e succhiare con delicatezza i testicoli, senza mai smettere di stimolare l’asta turgida con un movimento cadenzato. Poi, la tua lingua prende possesso di essa, percorrendola più volte in tutta la sua lunghezza fino a ricoprirla della tua saliva. Imbocchi il glande, tormentandolo sempre con quella lingua snodata e curiosa, dopodiché te lo lasci scivolare fino in gola, tentando di gustare quanto più possibile della mia carne dura e venosa.
Da irresistibile tentatrice quale sei, giochi col mio corpo inerme. E i tuoi occhi fissi nei miei non fanno che scavare a fondo nella mia anima e nella mia mente, prendendone possesso, rendendomi tuo più di quanto non sia mai stato e più di quanto potrò mai essere per chiunque altra.
Tanto lasci sprofondare in te il mio membro, che quasi ti soffochi prima di estrarlo dalla tua bocca, riprendere fiato e tentare un nuovo assalto. Non ti riesce di imboccarlo per intero. Sai che è da sempre una delle mie fantasie irrealizzate, e vorresti soddisfarla. Il tuo impegno è reso evidente dal tuo divenire paonazza, dalla saliva che prende a colarti dal mento fino a imperlare i peli del mio pube e dalle lacrime che, involontarie, cominciano a rincorrersi lungo le tue guance. “Sei bellissima – penso tra me e me – un sogno a occhi aperti”. E te lo dico dopo averti afferrata per i capelli, per fermare i tuoi movimenti quasi disperati. ‘Torna su, mia incantevole troia, voglio divorare quelle labbra di fuoco fino a consumarle’, sussurro. Al contempo emozionata e divertita, con un balzo quasi felino torni a stringerti a me, faccia a faccia, a far sì che i nostri respiri si fondano in tutt’uno appena prima delle nostre bocche e delle nostre lingue.

Capitolo 19: Dalla 1 alle 2
Ci baciamo a lungo, alternando foga e dolcezza. A tratti sembriamo volerci mangiare a vicenda, un istante più tardi le nostre labbra sfiorano come piuma quelle dell’altro. Giochiamo con le nostre lingue, disegnando con la punta i contorni delle nostre bocche affamate mentre gli occhi, fissi gli uni negli altri, si scrutano nel profondo, fino a consumare un amplesso osceno e assoluto con le nostre anime.
Quando ci stacchiamo continuo ad accarezzarti il viso e i capelli, prima di allungare un braccio verso il comodino alla mia sinistra e, dopo aver fatto scattare l’interruttore dell’abat-jour, aprire il cassetto più in alto. Mi guardi incuriosita tirar fuori un piccolo flacone marrone con un tappo a pipetta.
‘Vuoi mettermi il collirio?’.
Rido. ‘Quale collirio! Ti avevo promesso una cosa e ho preparato l’occorrente…’, dico sornione.
Strizzi gli occhi per enfatizzare una pausa di riflessione.
‘Il tuo corpo nudo. E qualche goccia di olio per massaggi alle mandorle dolci’.
‘Mh. Interessante – replichi maliziosa – peccato solo che io non sia nuda’.
‘Ma a quello si può rimediare facilmente… e in un attimo’, ti dico posando la boccetta sul materasso e ponendoti supina per poi troneggiare in ginocchio sul tuo corpo.
Slaccio la cinta del mio accappatoio e lo sfilo per restare completamente nudo davanti a te. Subito dopo faccio lo stesso col tuo. I miei occhi corrono sul tuo corpo con muta ammirazione, accarezzando forme piene e morbide e pelle liscia come seta. Ti guardo a lungo, col fiato corto ad evidenziare la mia voglia di te e il mio membro turgido al solo pensiero di averti ancora.
‘Ti sei imbambolato?’, chiedi senza trattenerti, a tua volta, dallo scrutare spudoratamente ogni piega della mia fisicità.
‘Il termine incantato credo spieghi meglio ciò che provo in questo momento’.
Sospiri felice. ‘Sei esagerato, lo sai?’.
Sorrido. ‘Ti assicuro di no. Non hai la minima idea di quanto tu sia irresistibile. Unica. Perfetta’.
Colta dall’imbarazzo, apri la bocca per parlare, ma non un suono sfugge da essa.
Estraggo la pipetta dal flacone, e lascio cadere poche gocce di olio all’altezza del tuo sterno e poi sull’addome. Le recupero col palmo delle mie mani, per poi spalmarle con cura sulla tua pelle. Risalgo lungo la clavicola per scendere dai fianchi e risalire a raggiungere la bocca dello stomaco, continuando ad accarezzarti fin quasi al pube. Per un paio di passaggi giro attorno ai tuoi seni senza lasciare che le mie mani ne prendano possesso. La terza volta, invece, mi soffermo anche su di essi, impastandoli con vigorosa dolcezza e strappandoti un fremito di desiderio mentre il mio sesso eretto preme a metà coscia sulla tua gamba destra. Le mie dita incontrano e stimolano i tuoi capezzoli già irti, per lasciarli subito dopo ancora vogliosi di un contatto quando sposto la mia attenzione su altre zone del tuo corpo.
Scivolo su di te fino ad accovacciarmi ai tuoi piccoli, delicati piedi. Cospargo di olio anche loro e li massaggio con cura, dal tallone, alla pianta, sino alle dita. Prima uno, poi l’altro, poi ancora il primo, e di nuovo il secondo. Mi soffermo a lungo sulle tue estremità, dopodiché ungo le tue gambe con altro olio profumato prima di risalire dalle caviglie alle ginocchia seguendo la direttrice segnata dagli stinchi. Il mio tocco scandisce il tuo respiro. Rilassata ed eccitata al tempo stesso, le due sensazioni si alternano e palesano rapidamente in virtù delle tue reazioni seppur appena accennate e piuttosto controllate.
Arrivato alle cosce, d’istinto divarichi appena le gambe per permettere alle mie mani d’insinuarsi decise tra di esse. Giungo fino all’inguine, poi distribuisco qualche goccia d’olio sui tuoi quadricipiti per riprendere da lì. Le tue cosce sode e tornite riempiono le mie mani, un po’ come l’odore della sostanza con la quale sto idratando il tuo corpo riempie di un lieve e gradevole aroma la nostra inespugnabile alcova di una notte. Accarezzo e sfrego la tua pelle calda, spingendomi ogni volta più vicino a lambire le tue labbra bollenti. Non le incontro, ma a volte le sfioro appena con la punta delle dita. E, ognuna di queste, godo del tuo respiro che sembra bloccarsi e del tuo cuore che pare quasi perdere un battito.
Il calore della tua pelle, in deciso aumento man mano che mi avvicino al tuo sesso, il tuo odore misto a quello dell’olio che ti ricopre, la vista del tuo ineffabile corpo e del tuo volto dai tratti dolci eppure tremendamente sensuali, il tanto agognato contatto col mio angelo dalle fattezze tentatrici di un demonio, godere di tutto questo, improvvisamente, dopo averlo desiderato tanto a lungo, mi stravolge. La voglia di averti e la paura di perderti mi assalgono in contemporanea, creando un vortice di sentimenti intensi e contrastanti che mi donano energia e ne risucchiano ogni goccia allo stesso tempo. Come essere attraversati continuamente da scariche che, però, non ti lasciano nulla della loro potenza. E, in tutto questo, mi aggrappo alla fonte di quelle scariche, alla tua pelle, al tuo corpo, a te, a ciò che in queste ore mi sta facendo sentire vivo come mai prima d’ora. A queste meravigliose, irripetibili, devastanti ventiquattro ore che volgono inesorabilmente e irrimediabilmente al termine. A queste ventiquattro ore che non stanno placando ma solo facendo rompere gli argini alla mia voglia di te, portandola a debordare e travolgere tutto come il corso di un arrestabile fiume in piena.
Faccio risalire le tue mani lungo il tuo corpo sino ad avvolgere con esse il tuo volto. Mi allungo su di te per tornare a cercare le tue labbra con le mie, le sfioro. Apri gli occhi, guardandomi in silenzio e piegando appena le labbra in un sorriso lieve eppure radioso. ‘Voltati’, ti sussurro adottando la medesima espressione.
‘Non sei stanco?’, mi chiedi lasciandomi distintamente leggere nei tuoi occhi il senso più profondo delle tue parole.
‘No. E non lo sarò neppure fra… sei ore’, replico dopo aver lanciato una rapida occhiata al quadrante della sveglia. “O fra sei mesi”, rimugino in silenzio.

Capitolo 20: Dalle 2 alle 3
Ti volti lentamente, con me ancora a cavalcioni del tuo corpo. Il mio membro sfiora dapprima le tue cosce, poi i tuoi glutei, premendo contro la tua carne. Si adagia infine tra di essi quando ti abbandoni prona sotto di me.
Muovi impercettibilmente il bacino per amplificare il contatto fra le nostre intimità. Il mio scroto spinge contro il tuo perineo, mentre il mio membro allarga appena le tue natiche sfiorando quel piccolo antro violato solo poche ore fa. La stretta del tuo fondoschiena sodo e abbondante mi eccita oltremodo. I tuoi lievi movimenti, accompagnati dai miei, stimolano il mio sesso eretto. Il calore proveniente dal tuo interno cosce mi lascia intuire quanto sia presa anche tu da queste mosse lente, da questa sottile eppure esplicita opera di seduzione, svolta quasi in autonomia dai nostri corpi bramosi l’uno dell’altro a danno delle nostre menti soggiogate e stravolte dal desiderio.
Qualche goccia d’olio sulla tua schiena anticipa il tocco delle mie mani. Massaggio le scapole, risalgo sino ai deltoidi sciogliendo i tuoi muscoli con movimenti circolari dei pollici. Mi chino appena su di te per percorrere le tue braccia fino ad avvinghiare alle mie le dita delle tue mani. Poi sciolgo quell’intreccio, seguendo il percorso inverso sino a giungere al tuo collo. Ti scosto i capelli e, sporgendomi nuovamente nella tua direzione, distribuisco leggeri baci sulla tua nuca sussurrandoti, al contempo, quanto tu sia irresistibile. Mi sollevo sulle ginocchia e continuo a massaggiarti con le mani aperte. I pollici percorrono il perimetro della colonna vertebrale, le altre dita scivolano leggere sulla tua pelle. Risalendo, ti sfioro i fianchi con la punta delle dita. Hai un sussulto quando le stesse lambiscono lateralmente i tuoi grossi seni premuti sul materasso. Abbraccio l’intera area della tua candida schiena senza soffermarmi in alcun punto preciso, vago con cura dalla nuca alle ultime vertebre lombari, sino a che la rotondità delle tue natiche rompe la precedente linearità.
Allora, passo a bearmi del contatto con la parte inferiore del tuo corpo. Mi accovaccio ancora ai tuoi piedi, ti stringo le caviglie e risalgo deciso lungo i polpacci. Seguo il percorso a ritroso più d’una volta prima di muovere dalle gambe alle cosce. E decido di provocarti portando il mio membro all’altezza dei tuoi piedi. Le tue dita incontrano i miei testicoli, mentre la mia asta turgida si adagia tra le piante delle tue estremità. Sospiri, e non riesci a fare a meno di stringerla fra di esse, saggiandone la consistenza e la ruvida superficie. Movimenti troppo articolati ti sono impediti dalla mia posizione, ma riesci comunque a sfregare appena la tua pelle contro la mia carne dura, sospirando nel sentirmi eccitato da te e per te.
Dalle tue cosce a raggiungere la tua intimità il passo è breve, e non resisto dal coprire quella distanza e giungere a sfiorare nuovamente le zone più private del tuo corpo inerme. Distribuisco sui tuoi glutei le ultime gocce di unguento e, dopo aver ancora una volta solo lambito le labbra gonfie del tuo sesso umido, a piene mani impasto quel tuo fondoschiena dall’attrattiva quasi magnetica. Divarico le natiche e, con un dito, percorro l’ingresso del tuo canale più stretto. Col polpastrello dell’indice lo forzo delicatamente, imponendo movimenti circolari per stimolarlo. Aiutato dai residui di olio, la prima falange scivola con facilità dentro di te, strappandoti un gemito sottile. Ti penetro lentamente con l’intero dito, per lasciarti vuota subito dopo. Ripeto l’operazione con esasperante lentezza, saggiando l’elasticità di quell’orifizio, simbolo per eccellenza di tabù e perversione. Quando lo sento abituarsi alla mia intrusione, mi sposto verso il basso, più per tormentarti che per darti sollievo. Fai per voltarti quando prendo a stuzzicare le tue labbra, ma l’imposizione della mia mano alla base della tua schiena te lo impedisce.
Mi sollevo per permetterti di allargare le gambe e lo fai senza che ti chieda nulla, quasi come mi leggessi nella mente. Percorro le labbra e ruoto la mano per solleticare il tuo clitoride col la punta dell’indice. Premo il dito su di esso, muovendolo ancora in circolo. Le altre dita premono contro il tuo sesso caldo e bagnato. Allungo anche il medio per poter afferrare la tua piccola appendice carnosa. Effettuo lievi torsioni e quel movimento, unito al contatto con parte delle mie unghie, ti fa emettere versi di piacere misti probabilmente ad un lieve dolore per le fitte che il mio tocco immagino ti stia donando. Non resisto all’odore dei tuoi umori che pizzicano il mio naso e al loro spandersi sulla mia mano. Gioco solo per pochi altri secondi, riempiendoti di un mio dito col medesimo ritmo cadenzato utilizzato poco prima. Poi, mi stacco per un istante e mi inginocchio per terra ai piedi del letto. Ti afferro per le caviglie e ti tiro vigorosamente verso di me. Ti sfugge un urletto sorpreso quando ti senti trascinare verso il basso, seguito da un grugnito di piacere allorché, gambe penzoloni, la mia bocca prende possesso di te senza preavviso e senza esitazioni. Ti avvinghi al mio collo e sembri quasi volermi stritolare intanto che divoro il tuo sesso stringendone il clitoride, mangiandone le labbra e lasciando che la mia lingua prima giochi con la tua pelle e poi penetri la tua carne il più a fondo possibile. Sospiri, gemi, tremi a causa della mia fame di te, del mio essere passato, in un istante, da un tocco tanto leggero da risultare a tratti impercettibile a un contatto quasi violento, deciso, istintivo. Dal mio trattarti un attimo prima con la cura riservata a una bambola delicata per poi tramutarmi in un animale voglioso della sua femmina, di sfogare su di lei i suoi istinti più bassi e primordiali. Continui a gemere, strisciando e dimenandoti sul materasso come una preda intrappolata, mentre senza ritegno mi nutro di te, dei tuoi sapori, dei tuoi odori, mentre sazio la mia fame, la mia sete, i miei bisogni gustando la tua carne e bevendo il tuo nettare da una fonte che mi inebria, incanta e stravolge.

Capitolo 21: Dalle 3 alle 4
Cerco di guardarti in volto mentre sono perso tra le tue cosce. I tuoi grossi seni ne coprono in parte la visuale, sollevandosi e abbassandosi al ritmo sempre più concitato del tuo respiro. I tuoi capezzoli, irti e prominenti, si ergono a manifesta testimonianza della tua eccitazione. Uno scorcio dei tuoi occhi serrati, delle linee tirate del tuo viso, della tua bocca spalancata alla ricerca d’aria con la quale irrorare i tuoi polmoni in debito d’ossigeno mi inducono a usare ancora più foga nel gustarti, mangiarti, sbranare il tuo sesso caldo, gonfio, zuppo di umori.
Con le mani stringi lembi delle lenzuola e con le cosce quasi stritoli il mio capo. Decido di privarti di quest’ultima facoltà. Ti afferro con forza la gamba destra divaricandola, mentre con l’avambraccio sinistro faccio la stessa cosa con l’altra gamba, lasciandoti completamente esposta e alla mia mercé. Allargo le labbra della tua vagina con le dita della mano destra e mi fiondo nuovamente tra di esse con la mia bocca. Le bacio, le mordo delicatamente, poi lascio che la mia lingua, dopo averne disegnato i contorni, scivoli ancora dentro di te. La muovo in circolo, raccogliendo direttamente alla fonte i succhi che continui a produrre in maniera copiosa. Li sento, viscosi, impastarmi la bocca e colarmi fino al mento intanto che ti penetro quanto più in profondità possibile. Poi, mi sposto appena più in alto a martoriare il tuo clitoride, mentre le mie dita riprendono a riempirti. Indice e medio scompaiono lentamente tra le tue carni, inghiottite da quel sesso bagnato il cui odore, in quella posizione, mi inonda le narici. Torturo quel piccolo bottone, inerme preda della mia bocca, con leggeri e frequenti colpi di lingua, alternando ad essi piccoli morsi che ti regalano lievi scariche di dolore e di piacere. Le mie due dita, intanto, mimano un amplesso inizialmente esasperante nella sua lentezza. Dopo pochi istanti, però, il rimo imposto dalla mia mano cambia. Di colpo, più e più volte, infilo per intero le dita nel tuo sesso dilatato, estraendole lentamente. E poi ancora, facendoti sussultare ad ogni affondo. Quando la sorpresa lascia il posto al piacere, rallento nuovamente, strappandoti gemiti carichi di voglia ed esasperazione. Ripeto i medesimi gesti, e poi ancora, prima di restare dentro di te a muovere le stesse due dita per impregnarle il più possibile dei tuoi succhi. Scavo, le ruoto, allargo le tue pareti, facendo in modo che i tuoi umori colino abbondanti fin sulle mie nocche, ed è allora che decido di giocare diversamente con il tuo corpo. L’indice resta a stimolare l’ingresso della tua vagina, il dito medio scivola in basso tra le tue natiche, forzando il tuo secondo canale. Ricoperto com’è dei tuoi fluidi, non fa fatica a penetrarti, mentre, al contempo, la stessa sorte tocca all’altro dito. Non bastano certo a farti male, o farti sentire piena, ma essere invasa ovunque, seppur da piccole appendici, ti mozza il fiato. Mi sollevo sui gomiti e poi in ginocchio, con le tue gambe che mi cingono i fianchi. In quella posizione, posso godere delle tue espressioni mentre riprendo ad affondare dentro di te. Un ritmo cadenzato si alterna ad uno più veloce. Le mie dita sfregano ora piano ora più vigorosamente contro i tuoi ingressi. Un tocco leggero e una penetrazione lenta ti fanno sospirare e sorridere senza controllo. Quando accelero, assumendo un ritmo quasi forsennato, i tuoi muscoli si tendono, avverto le tue gambe avvinghiarsi a me con forza, vedo il tuo volto tirato, odo i tuoi versi farsi ancor più sconnessi. Non smetto di stantuffare con violenza fin quasi a portarti sull’orlo dell’orgasmo mentre alterni gemiti e grugniti a piccole urla.
‘Sta’ zitta, troia. Non vorrai svegliare tutto il palazzo’, ti apostrofo senza smettere di stimolarti.
Accogli in maniera quasi rabbiosa quelle parole. I tuoi mugolii si fanno gutturali, dei lamenti che non riesci a contenere.
‘Non vorrai che tutti sappiano che razza di cagna tu sia – continuo – a godere con un dito in figa e uno in culo nel cuore della notte’.
Mi guardi per un istante, per poi non resistere dal reclinare la testa all’indietro e inarcare la schiena per agevolare i miei movimenti. Li accompagni col bacino, e sbuffi e imprechi ogni volta che, a un passo dall’estasi, fermo la mia mano negando il tuo orgasmo.
‘Cosa vuoi?’, ti chiedo quando apri gli occhi lucidi per fissarmi, affannata, sudata, paonazza, mentre le mie dita, piantate a fondo dentro di te, ti solleticano dall’interno. Solo il tuo respiro pesante rimbomba tra le quattro mura della stanza. Con un filo di voce mi implori di scoparti, ma non ti faccio neppure terminare la frase prima di riprendere a farlo, ancora una volta con le dita. E ancora una volta mi fermo quando ti guardo contorcerti, irrigidirti, cercare disperatamente di raggiungere l’acme dei sensi.
Mentre sei ormai stremata, mi stacco dal tuo sesso scivolando su di te. E’ allora che mi abbranchi divorando la mia bocca e gli umori dei quali è ricoperta. La morsa delle tue mani sulla mia testa e i tuoi denti stretti attorno alle mie labbra mi fanno quasi male, ed è in quel momento che decido di ricambiare con il medesimo, ineffabile dolore. Mi inginocchio tra le tue gambe, strofino il glande tra le tue labbra, le accarezzo, le allargo appena. Un istante dopo, ti penetro in un colpo solo, senza alcun preavviso, cercando nuovamente la tua bocca per far si che il tuo urlo si schianti sul fondo della mia gola. Prendo da subito a scoparti con veemenza, portandoti, in pochi affondi, a raggiungere un orgasmo squassante che ti svuota d’ogni energia. Rallento appena in quei pochi secondi, per bearmi della vista del tuo corpo in preda agli spasmi del piacere, del tuo viso stravolto, della tua espressione stremata e soddisfatta. Poi accelero nuovamente. Non troppo per permetterti di riprendere fiato, ma abbastanza per permettere a me di godere di te, di godere della mia troia per l’ennesima volta, quella che potrebbe essere l’ultima.

Capitolo 22: Dalle 4 alle 5
Con le tue gambe piegate sulle mie spalle, affondo completamente in te a ritmo sostenuto ma non troppo rapido, prolungando oltremodo il mio piacere e, allo stesso tempo, consentendo a te di tornare ad eccitarti per lo sfregamento dei nostri sessi. I tuoi fluidi permettono al mio membro di scivolare piuttosto agilmente dentro di te, nonostante l’arrossamento delle tue labbra lasci presupporre l’ipersensibilità della tua pelle irritata. I tuoi seni, che sobbalzano morbidi ad ogni spinta, sono troppo invitanti per lasciarli sguarniti delle mie mani. E, difatti, non esito ad afferrarli e stringerli con vigore, quasi a volerne rivendicare la proprietà, la loro appartenenza a me, l’appartenenza a me di tutto il tuo corpo, il tuo splendido corpo, abbagliante nella sua perfezione. Per qualche istante torturo quelle morbide colline rosa, quei tuoi grossi capezzoli scuri finiscono nuovamente vittime delle mie dita. Poi, le mie mani vanno a posarsi sul materasso accanto al tuo viso, per far sì che possa allungarmi su di te, schiacciare il tuo seno contro il mio torace, sentire il calore del tuo corpo mischiarsi al mio, guardare da vicino la tua espressione sfatta eppure estasiata mentre continuo a riempire il tuo sesso con colpi secchi e decisi. Mi avvicino tanto da respirare il tuo respiro, da perdermi nei tuoi occhi languidi, dallo sfiorare quelle labbra rosse e piene che non stenti a mordere tra un gemito e un sospiro. E me ne approprio per l’ennesima volta. Posando le mie di labbra su di esse. Prima sfiorandole, poi aggredendole, violando brutalmente la tua bocca con la mia lingua, sino a lasciarti senza fiato e totalmente piegata al mio volere, ai miei bisogni, ai miei desideri, alla mia inestinguibile voglia di te.
‘Sei fantastica’, ti sussurro affannato.
‘Anche tu… mi fai impazzire’, replichi con un filo di voce.
‘Non mi stancherei mai di guardarti godere. Per me e con me’, incalzo senza rallentare.
‘Non farlo – mi inciti – non smettere’.
E non smetto, infatti, beandomi di ogni sospiro, di ogni ansimo, di ogni gemito, di ogni dettaglio della tua espressione, di ogni sguardo e di ogni sorriso che mi rivolgi. Continuo per diversi minuti a possederti prima di decidere di cambiare posizione.
Esco da te e, senza neppure accennare alle mie intenzioni, ti sollevo di peso e volto prona con il capo rivolto verso i piedi del letto. Mi permetti di spostarti come una bambola di pezza, senza opporre la minima resistenza. E riprendi a sospirare quando avverti il mio membro fra le tue natiche mentre ti sono a cavalcioni. Le stringo attorno alla mia asta, mimando un lento amplesso fra quei cuscini sodi e prominenti. Giusto il tempo di riguadagnare la massima erezione con quella piacevole stimolazione, che scivolo ancora in basso tra le tue gambe, riempiendoti per l’ennesima volta della mia virilità.
Col mio membro piantato fino alla base dentro di te, ti afferro per i fianchi costringendoti gattoni prima di riprendere a stantuffare la tua vagina ormai abituatasi alla mia ingombrante presenza. I tuoi gemiti sono tanto prolungati da apparire quasi come lamenti intanto che, stremata, ti abbandoni totalmente a me, con le braccia che ti reggono a stento e la fronte premuta sulle lenzuola. Le mie mani vagano senza soluzione di continuità dai tuoi fianchi ai tuoi seni, stringendo con passione la tua pelle, lasciando su di essa i segni delle mie dita, sfregando la tua schiena, serrandoti in vita o martoriando quei seni penzolanti per i quali non manco di afferrarti quando decido di aumentare esponenzialmente il ritmo dei miei affondi. Con la mano destra su uno di essi e la sinistra a fare presa sul tuo fianco, ti invado con velocità e violenza sempre crescenti, esaltato dal respirare un’aria ormai pregna di noi, dall’udire i rumori osceni prodotti dalla mia asta che ti allarga e riempie senza sosta e dal mio scroto che impatta continuamente contro il tuo sesso aperto e gocciolante.
Quando ti sento nuovamente vicina all’orgasmo, col tuo corpo che si tende sotto i miei colpi, tiro i tuoi capelli per costringerti a guardare davanti a te. Lo specchio rimanda l’immagine di me dietro di te, del tuo viso stravolto, illuminato dall’abat-jour e dai primi, timidi raggi di sole del mattino.
‘Guardati – ringhio, aumentando ulteriormente il ritmo – guardati allo specchio, mia troia. Guarda i tuoi occhi, il tuo viso. Renditi conto del perché tutto questo mi mandi in visibilio, del motivo per il quale il tuo godere mi fermi il cuore. Sei meravigliosa, maledizione!’. E’ in quel momento che urli il tuo piacere senza alcun ritegno, irrigidendoti al punto tale da farmi sentire imprigionato dentro di te. Poi ti accasci definitivamente sul materasso, in debito d’ossigeno e senza la forza di muovere un solo muscolo. Ti volti supina e, un istante più tardi, ti sono ancora addosso, portando il mio membro eretto e fradicio dei tuoi succhi prima a carezzarti il viso, poi a trovare rifugio tra i tuoi seni. Per qualche secondo lo stimolo con essi, subito dopo il piacere pervade anche me. Esplodo in un orgasmo devastante, fiotti di sperma t’investono il viso e il collo. Con la lingua ne catturi qualcuno, gli altri li porto alla tua bocca dopo averli raccolti col mio membro in procinto di perdere consistenza.
Una volta che hai gustato ogni goccia del mio nettare, mi accascio anch’io accanto a te, col fiato corto e l’espressione stralunata. Porto il mio braccio destro attorno alle tue spalle, e non mi lasci attendere per un contatto più stretto. Strisci verso di me, cingendo il mio torace col tuo braccio. Sorridi mentre vai a cercare le mie labbra per donarmi baci teneri, dolci, delicati. La tua gamba destra si avvinghia alla mia intanto che assaggio i nostri sapori dei quali la tua bocca è impastata. Sfiniti, non smettiamo di sfiorare le nostre labbra, di tenere i nostri occhi incollati in quelli dell’altro, le nostre mani a sfiorare i nostri corpi bagnati di fatica e piacere. Ci assopiamo così, stretti come fossimo un’unica entità.

Capitolo 23: Dalle 5 alle 6
Non so per quanto tempo il sonno mi abbia ghermito, né ricordo cos’abbia sognato quando l’incoscienza, diradandosi, inizia a lasciare il posto a un confuso dormiveglia. Prima ancora di aprire gli occhi, avverto un lieve indolenzimento alle braccia, come fossero piegate in una posizione innaturale. Ma, ciò che più mi turba è un’assenza, quella del peso e del calore del tuo corpo sul mio, la mancanza di quell’abbraccio stretto e umido che mi ha portato ad assopirmi respirando e accarezzando il mio diabolico angelo.
Spalanco gli occhi e, prima ancora di rendermi conto delle condizioni nelle quali verso, mi rassicura il tuo sguardo dolce su di me. Sei piegata su un fianco e mi guardi. Un sorriso ti si dipinge sul volto quando incontri il mio di sguardo. Un sorriso sereno e al tempo stesso malizioso, quel sorriso che ormai ho imparato a conoscere e che prelude al tuo lasciarti andare, al tuo liberare la tua fantasia e le tue voglie, al tuo bramare di sfogarle su di me e con me.
Non impiego che pochi istanti a rendermi conto di quali siano queste voglie. Me ne accorgo quando tento di abbracciarti scoprendo le mie mani bloccate sopra la mia testa. Dò un piccolo strattone, e la mia espressione perplessa ti strappa una risata. Sollevo il capo per guardarmi intorno. Mi hai legato i polsi alla struttura in metallo del letto usando la cinta dell’accappatoio, e lo stesso hai fatto con le mie caviglie. Il tutto in maniera tanto delicata da non svegliarmi, da non farmi intuire nulla.
‘Così sarai costretto a fare il bravo…’, sussurri avvicinando il tuo volto al mio tanto da solleticarmi col tuo respiro.
‘Perché non dovrei farlo?’, replico.
‘Perché… – continui prendendoti il tempo necessario a scandire e lasciarmi assimilare ogni parola – potresti desiderare di avere le mani libere per mettere fine al supplizio che ti aspetta’, minacci.
Prima che possa chiedere delucidazioni, scivoli su di me dal basso. La tua bocca sfiora appena il mio sesso, poi è il resto del tuo corpo a fare la medesima cosa. Ho un sussulto nel percepire i tuoi seni strofinare la mia asta ancora eretta, e avverto un turgore crescente quando prima il tuo ventre e poi il frutto imperlato di umori che celi tra le cosce stimolano il mio membro nudo. Le tue grandi labbra si schiudono attorno alla mia asta, e la mia eccitazione, come la tua, monta rapidamente quando decidi di muovere il bacino avanti e indietro per far sì che il tuo sesso, premuto contro il mio, sfreghi vigorosamente su di esso, umettandolo degli umori che, prematuramente e senza alcuna remora, cominci a produrre quando sei ancora all’inizio del tuo gioco perverso. In ginocchio, a cavalcioni su di me, con le mani sul mio torace, gli occhi chiusi e la testa reclinata all’indietro, ti lasci andare a mugolii sommessi intanto che oscilli con sempre maggior foga.
‘E tu vorresti condurre i giochi?’, chiedo sprezzante.
Ansimando e senza diminuire il ritmo, apri gli occhi per incontrare ancora i miei. ‘Si…’, bisbigli senza alcuna convinzione.
‘Potrei indurti a impalarti da sola sul mio cazzo, anche subito. Non mi serve avere le mani libere per fartelo fare’.
‘Non… parlare…’, tenti di zittirmi.
‘Oh, si invece. Io faccio ciò che mi pare. Lo sai che sei in mio potere, troia’.
Deglutisci rumorosamente a quelle parole, e spingi ancor più il tuo bacino verso il basso, lasciando che il tuo sesso si schiuda a contatto col mio.
‘Sei già bagnata al limite dell’indecenza, e io non ho fatto nulla per provocare tutto questo’.
‘Sta’ zitto, bastardo’, imprechi ringhiando.
‘Basta la tua voglia di me a farti perdere la ragione. La voglia di afferrare il mio cazzo, mirare alla tua figa e crollare su di esso per farlo entrare fino alle palle’.
Risalendo sul mio addome, porti una mano dietro di te, tastandomi fino ad incontrare la mia asta. La impugni, turgida, e prendi a masturbarmi a un ritmo scostante. Intanto, non smetti di strofinare su me la tua intimità, lasciando strisce e rivoli dei tuoi succhi sulla mia pelle. Dallo stomaco al torace, i peli del mio petto irritano la carne già arrossata e tormentata del tuo sesso.
‘Sei… un… maledetto… stronzo…’, dici quasi piagnucolando.
‘Perché mai – ribatto dopo una risata – perché la tua mente non vuole altro che lasciarsi fottere da me? Perché il tuo corpo desidera sentirsi come un burattino tra le mie mani, piegato al mio volere? Perché le mie fantasie sono le tue, perché ti manda fuori di testa renderle reali?’.
Stringi il mio membro tanto da farmi quasi male, ma mi sforzo di mascherare il dolore che la tua presa mi provoca pur di non interrompere il tuo delirio, il tuo continuare a muoverti convulsa su di me, impregnandomi dei tuoi umori ormai abbondanti.
‘Altro che condurre i giochi… ti farai scopare anche così e come voglio io, senza neppure liberarmi. Vittima delle tue pulsioni… della tua voglia di essere mia… del…’.
Non mi lasci finire la frase, che quasi mi salti in faccia. Senza smettere di masturbarmi, ti sollevi sulle ginocchia e ti lasci cadere all’altezza del mio viso.
‘Taci e divorami, maledetto porco!’, mi intimi in tono esasperato.
Quasi mi sento soffocare mentre il tuo sesso fradicio si schianta e strofina sulla mia bocca, sul mio mento, sul mio naso, imbrattandomi di te, lasciando che i miei polmoni si riempiano del tuo odore. In maniera dissennata, bacio, mordo, succhio, lecco, senza un senso, senza un piano, sentendoti gemere ogni volta che la mia lingua affonda in te, ogni volta che le mie labbra o i miei denti incontrano il tuo clitoride gonfio. E per fortuna molli la presa sul mio membro ormai sul punto di esplodere, per lasciarti pervadere dalle sensazioni della mia bocca oscenamente affamata di te. Con le braccia afferri la spalliera mentre, tremante e piagnucolante, godi senza ritegno alcuno nel lasciarti assaporare, esplorare in ogni centimetro, in ogni piega della tua carne fremente, madida, incandescente.

Capitolo 24: Dalle 6 alle 7
Con la mia lingua guizzante dentro di te, fai fatica a reggerti alla spalliera per restare appena sollevata dal mio viso e concedermi un più ampio spazio di manovra. I piccoli colpi con la punta sul tuo clitoride turgido e gli affondi in quel caldo lago di umori ti fanno sussultare e ansimare ripetutamente. Dal canto mio, godo nell’avvertire gocce e rivoli del tuo piacere colare e spandersi sulla mia pelle e finire nella mia bocca. Godo nell’assaporarti, nel berti, nel sentire la tua carne bollente allargarsi al mio passaggio e riversare il tuo nettare sulla mia invadente, agile appendice.
Non ti parlo, non posso parlarti ora che la mia bocca è impegnata ad avvicinarti di un passo alla follia, ad accompagnarti lungo gli indecenti sentieri di un nuovo, travolgente, osceno e fradicio orgasmo. Un orgasmo che ben presto ti porta a lasciarti cadere a peso morto sul mio viso, quasi soffocandomi col tuo sesso. Contrai i muscoli mentre intravedo la tua testa e il tuo corpo agitarsi come in preda a incontrollabili spasmi. In quei momenti convulsi, cerco il tuo clitoride e lo mordo con delicata fermezza, per far sì che il piacere venga contaminato e amplificato da una punta di dolore. Getti il capo in avanti posando la fronte sull’avambraccio, poi lo fai scorrere per portare la bocca a contatto con la pelle e urlare il tuo piacere a pieni polmoni, usando quell’improvvisato bavaglio per attutirne il suono. Con gli occhi alzati a cercare il tuo volto, tento di non perdermi un solo istante del tuo nirvana. E anche tu, dopo aver goduto per l’ennesima volta in queste incredibili ventiquattr’ore, fai scorrere nuovamente l’avambraccio fin sulla fronte per cercare i miei occhi. In debito d’ossigeno, annaspi con la bocca spalancata, con la saliva che ti imperla le labbra, col tuo seno che si gonfia e si ritrae rapidamente seguendo il ritmo del tuo respiro.
Non mi dò per vinto né ti dò tregua, però. Ti sei presa il tuo piacere strappandolo letteralmente dalla mia bocca. Io, invece, ho ancora voglia di te, di godere per te e di sentirti godere per me. Riprendo a leccarti delicatamente prima ancora che il tuo respiro si sia regolarizzato. Il tuo sguardo muta rapidamente, dallo stremato sino a rappresentare una tacita supplica, una richiesta di una pausa che non ho intenzione di concederti. Seguo le labbra pregne, ed è ancora su quel clitoride sensibile, arrossato, gonfio che mi soffermo, tormentandolo fino a che il tuo sguardo, dall’implorare una tregua, non lascia trasparire rinnovata voglia, lussuria, energia. Ti vedo sollevarti sulle ginocchia e riprendere a muovere il bacino accompagnando i miei movimenti, per sentirmi meglio e più a fondo, per permettermi di invadere completamente quella caverna bollente, morbida, zuppa. E, al tempo stesso, afferri nuovamente il mio membro, lo impugni, ricominci a stimolarlo lentamente, scorrendo con la mano lungo l’asta, tirando e ritraendo la pelle che la ricopre. Lo avverto guadagnare rapidamente consistenza grazie al tuo tocco sapiente, arrivare in breve al culmine del suo turgore. Ed è allora che, in seguito a un fugace scambio di sguardi, quasi come mi leggessi nella mente, prendi a scorrere sul mio corpo senza staccare il tuo sesso dalla mia pelle. Lo sfreghi su di essa scivolando verso il basso, lasciandomi addosso il tuo odore. Una volta arrivata all’altezza del pube, col mio membro eretto contro i tuoi glutei, ti sollevi per salire a cavalcioni su di esso. La tua mano destra lo ferma alla base per tenerlo perpendicolare intanto che, con estrema, esasperante calma, ti lasci riempire del tutto dalla mia verga all’apice della sua possanza.
Muovendoti, ora in circolo ora avanti e indietro, ti lasci scavare fin nelle viscere dal mio membro eretto. Alla ricerca di un appiglio saldo che ti permetta di godere a fondo di quelle sensazioni, lasci vagare le mani dal mio torace al mio addome e sino alle tue cosce. Intanto, dalle tue labbra appena schiuse, lunghi sospiri fuoriescono per mischiarsi ai miei e rimbombare nella stanza. Quando prendi a cavalcarmi, lasciando sgusciare via da te oltre la metà della mia asta, per poi impalarti con vigore sempre crescente su di essa, rimpiango che i miei polsi siano ancora legati, rimpiango che le mie mani non possano impossessarsi di quei floridi seni che danzano davanti ai miei occhi bramosi al ritmo del nostro amplesso, al ritmo lento e agli affondi brutali che stai imponendo a quest’ultima, disperata unione che ci vede protagonisti. La cadenza lenta e studiata con la quale stai conducendo una nuova ondata di piacere ad infrangersi su entrambi i nostri corpi, lascia via via il posto a un ritmo più rapido, incalzante, serrato. Sono ormai al limite quando ti vedo distendere la schiena allungandoti verso il soffitto. Avverto il mio sesso pulsare e il tuo contrarsi quasi a concedergli un ulteriore stimolo, la spinta necessaria a svuotarmi completamente dentro di te, a donarti fino all’ultima goccia del mio seme. Nello stesso momento godi anche tu, con l’espressione sfigurata dalla stanchezza e dal piacere. Un attimo dopo, crolli su di me senza neppure sfilarti dal mio membro. I nostri polmoni sono alla spasmodica ricerca di aria che li irrori, mentre il tuo corpo nudo è adagiato sul mio e la tua testa premuta sul mio petto. Restiamo così per alcuni minuti prima che, a fatica, ti sollevi per slegarmi i polsi e rotolare pigramente supina sul materasso.
Mi volto verso di te, ti scosto delicatamente i capelli dalla faccia e ti accarezzo il viso ancora paonazzo. I tuoi occhi, dolci e stanchi, si posano sui miei. ‘Vai a fare una doccia’, sussurri dopo esserci scambiati un leggero bacio sulle labbra.
‘La farò dopo, ora voglio godermi ogni singolo istante con te’.
‘Ora. Ti prego’, dici risoluta, spiazzandomi.
Un tono che non ammette repliche mi induce a fare come dici. Sciolgo i nodi alle caviglie, raccolgo l’accappatoio dal pavimento ed esco dalla stanza dopo averti rivolto un ultimo sguardo durante il quale noto un sorriso forzato piegarti le labbra.

Capitolo 25: Dalle 7 a (quasi) le 8
Una cascata d’acqua sulla testa mi aiuta a pensare ma, al tempo stesso, lava via l’odore di te dalla mia pelle. Qualcosa che non auspicavo; speravo di poterlo custodire per sempre, assieme al tuo ricordo. Invece, scorre via rapidamente com’è accaduto al tempo in queste ultime ventiquattr’ore. Il bastardo ha corso, più di quanto abbia mai fatto.
Pochi minuti più tardi, sono di nuovo da te. Vedo la tua figura stagliarsi nel sole del mattino mentre, ancora nuda come lo sono io, osservi il mare che si estende a perdita d’occhio fuori dalla portafinestra. Volti il capo guardandomi di sottecchi intanto che mi avvicino a te. Aderisco da dietro al tuo corpo, ti scosto i capelli e ti bacio una guancia e il collo mentre le mie mani ti si posano sull’addome, presto coperte dalle tue.
‘Che ti è preso prima?’, chiedo.
‘Niente’, sussurri tornando ad ammirare l’azzurro del cielo e quello del mare che si lambiscono, a rappresentare l’uno l’argine dell’altro.
‘Mi conosci troppo bene per credere che accetti un niente come risposta’, incalzo.
Resti un momento in silenzio. ‘Fra poco più di un’ora hai la presentazione – dici poi – non potevi certo andarci in quelle condizioni. E avevo paura che non facessi in tempo a…’.
‘Smettila – ti interrompo – voglio la verità’.
Sospiri, ti volti lentamente, sfiori le mie labbra con le tue, dopodiché, prendendomi per mano, mi inviti a seguirti su quel letto che, per ore, ci ha visti donarci senza limiti l’uno all’altra. Ti sdrai, io faccio lo stesso e, di nuovo, ti accoccoli accanto a me, stretti in un abbraccio dal sapore stavolta malinconico.
‘Ero stanca. Stremata. Completamente priva di forze – confessi – non volevo mi vedessi così’.
‘Siamo andati avanti ore – provo a sdrammatizzare con meno sicurezza di quella che vorrei lasciar trapelare – hai visto com’ero ridotto io?’.
Alzi lo sguardo, i tuoi occhi lucidi si posano sui miei. ‘Andrà sempre peggio’, mi dici affranta.
Ti accarezzo i capelli lasciando che le mie dita s’intreccino alla tua folta chioma ribelle. ‘Non devi affrontarlo da sola’.
‘Devo, invece. Ci ho riflettuto a lungo, lo sai’.
‘Hai rifiutato a priori ogni cura’.
‘Per cosa? Non posso guarire, potrei solo prolungare la mia agonia – continui amareggiata – che senso avrebbe vivere qualche settimana in più senza potermi alzare dal letto, afflitta da dolori atroci? Voglio viaggiare, godere delle bellezze del mondo sino all’ultimo giorno’.
Non ti contraddico. In parte non lo condivido, ma non posso non comprendere il tuo punto di vista. ‘Potremmo passare insieme il tempo che ti rimane. Qui, o in giro per il pianeta, ovunque tu voglia, non m’importa’, dico riprendendo un discorso iniziato già più e più volte ma che non è mai riuscito a scalfire le tue posizioni.
‘Pensi che ripeterlo all’infinito possa farmi cambiare idea? Ho deciso, lo sai. Da prima di venire qui’.
‘Si, lo so. Ma non mi perdonerei di non averci provato fino all’ultimo’.
‘Vedi… – dici con un magone alla gola che ti incrina la voce – oggi mi hai donato il più bel regalo che potessi farmi’.
Ti guardo interrogativo in attesa che continui.
‘Leggerti negli occhi cosa provi per me, comunque si voglia chiamare tutto questo, vivere la tua voglia, la passione, il tuo dedicarti totalmente a me. Il tuo sguardo così eloquente… non c’era dono più bello cui potessi anelare se non quello di sentirmi viva, desiderata, unica’.
‘Si, ma…’.
Non faccio in tempo a continuare, che il tuo indice premuto sulle labbra mi fa morire in gola le parole successive.
‘Voglio portarlo con me fino alla fine. Non posso restar qui a vedere la luce nei tuoi occhi lasciare il posto alla pietà e alla compassione. Voglio portare con me il ricordo di questa fiamma che mi ha bruciata corpo e anima. Credere che la tua voglia di me, della mia mente e del mio corpo, sarà immutata anche nel momento in cui esalerò l’ultimo respiro. Tutto questo non potrebbe accadere se mi vedessi appassire, consumarmi giorno dopo giorno. Il tuo dolore non farebbe che alimentare il mio e rendere tutto ancor più straziante di quanto già non sia’.
Sento gli occhi riempirsi di lacrime, e non posso far altro che serrarli per ricacciarle indietro.
‘Non ci riesco a saperti in giro per il mondo a portare da sola questo macigno’.
‘Non sarò sola. Mio fratello verrà con me’.
‘Ma non ci sarò io. E dovrei esserci… vorrei esserci…’, dico con voce spezzata.
‘Lasciami andare, ti supplico. Non hai idea di quanto sia difficile per me. Ma sarebbe sbagliato restare come portarti con me. Non insistere oltre, te ne prego’.
‘Cosa dovrei fare? Passare i prossimi mesi a chiedermi se tu sia ancora viva? Se stia soffrendo chissà dove? Non vuoi neanche parlare, o scriverci’.
‘Non dopo le otto di stamattina. Hai visto, non ho neppure il cellulare con me. Ho già salutato tutti, amici e parenti, finché sono abbastanza in forma da poterlo fare con lucidità. Voglio che tutti mi ricordino come sono adesso, soprattutto tu. Voglio che la maschera con la quale il cancro mi vestirà sia qualcosa che resti fra me e quel maledetto. Riguardo il cosa tu possa fare… ricordi quella frase che ti piace tanto? La vita è così grande che quando sarai sul punto di morire…’.
‘…pianterai un ulivo convinto ancora di vederlo fiorire’, continuo.
‘Scrivi di noi. Scrivi di questo giorno insieme. Prenditi tutto il tempo necessario. Voglio che questo tuo racconto sia il mio germoglio. Voglio tenere a bada la malattia finché non sarà sbocciato’.
‘Resisterai?’, ti chiedo senza quasi la forza di parlare.
‘Resisterò. Ne leggerò ogni parola, te lo assicuro’.
Non riesco a replicare, stravolto dalla paura di perderti, dalla tua forza, dalla tua risolutezza. L’abisso m’inghiotte in fretta, unito al calore del tuo corpo m’induce a scivolare in un sonno profondo abitato da rimpianti feroci come mostri. Un sonno nel quale cadi contemporaneamente anche tu. Avvinti come se servisse a proteggerci a vicenda dai nostri incubi.

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