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Lo Jus Primae Noctis pare che sia stato introdotto in Italia dai Longobardi.
Col passare dei secoli i barbari furono civilizzati, fondendosi con i popoli latini, ma alcune abitudini sopravvissero, passando poi alle generazioni successive.
Tra questi il rito dello jus primae noctis: Secondo il quale la novella sposa doveva giacere, la sua prima notte di nozze, con il duca o il barone del paese, dimostrando addirittura d’essere anche illibata.

Nel 700 nacquero le radici dell’erotismo moderno, inteso come mezzo per il conseguimento del puro piacere, senza implicazioni filosofiche e, soprattutto, religiose. In questo secolo nasce in Francia la figura del libertino, ovvero colui che antepone il raggiungimento del piacere a qualsiasi altro interesse: l’uomo che si serve dell’amore per assicurare il trionfo della propria fantasia a scapito della compagna, che erige il diletto a principio e che, cercando unicamente il piacere dei propri sensi e la soddisfazione della propria vanità, non concede nulla al sentimento nell’impresa della conquista amorosa.

In quel secolo di lumi la Contea di Frascalonga, una ridente regione prealpina, era governata dal Conte Ferdinando Francesco dei Frascalonga, Cavaliere del Santo sepolcro e Principe di Gerusalemme, un nobile in linea con le mode del tempo, quindi spregiudicato e libertino.

La regione era posta alle pendici delle Alpi, una vallata che aveva una superficie di appena mille chilometri quadrati, ricca di corsi d’acqua, distese di terreni fertili e colline coltivate a vigneti. Un vero paradiso terrestre.
L’enorme ricchezza del Conte Ferdinando si poteva notare anche dal grandioso maniero in cui viveva con la sua numerosa famiglia, ben tre matrimoni, prole e nipoti, il più grande dei quali aveva già trenta anni. Difeso da una guarnigione formata da trecento soldati, tutti mercenari.
La popolazione era costituita da tre mila anime, formata in buona parte da contadini, artigiani, e servi della gleba, sui quali il conte regnava come un sovrano assoluto, tramite fedeli vassalli, con un diritto di vita e di morte.

Dai suoi illustri predecessori ereditò l’usanza dello jus primae noctis. Un impegno di corte, piacevole, che lo teneva occupato un paio di volte al mese.

Era di carattere collerico, dal fisico imponente, ma molto ligio a quel sublime dovere regale, e, nonostante che a quei tempi tale abitudine barbara fosse abolita in quasi tutti i regni d’Europa, lui si ostinava a mantenerla, perché oltre ai piaceri le dava un senso di dominio assoluto sui propri sudditi.

Tuttavia, tutte le cose terrene, prima o poi, sono destinate a tramontare. Così anche quei privilegi nobiliari svanirono, dissolvendosi tragicamente a causa dell’egoismo del conte che emanò un editto scellerato osando estendere l’usanza dello Jus primae noctis anche alla nobiltà della corte,
suscitando le ire dei baroni, dei congiunti e del clero.
Tale scelta, dettata dalla cupidigia, le fu fatale perché gli fece perdere la testa, nel senso che fu decapitato. Ecco i fatti.

Si narra, infatti, che il Conte Ferdinando, ebbe una figlia. Il suo aspetto era talmente grazioso che chiunque le posasse gli occhi addosso rimaneva ammaliato.
Anche il conte Ferdinando subì il fascino di quella bellezza, bramandola come oggetto di desiderio carnale, un’attrazione innaturale per un padre.

Non c’era da stupirsi per quel sentimento insano, perché il suo animo era corrotto dalla lussuria, per cui era avvezzo ad avere tutto quello che desiderava, a prescindere da qualsiasi concezione filosofica. Quindi quell’affetto inaudito, sebbene contrastava con i dettami della morale e dall’etica, si radicò profondamente nella sua testa facendogli perdere il senno ed il senso della realtà.
Così le notti divennero insonni, perché si struggeva l’anima e il reale uccello, pensando a quella creatura divina, che gli infiammava la mente ed i sensi, solo a pensarla.

Un giorno però successe qualcosa che gli diede una possibilità. Tutto sommato era pur sempre il padrone indiscusso del suo regno, quindi il suo imperio non poteva avere limiti.

Il gran siniscalco del palazzo, quel dì, correva nei corridoi in preda alla ansia, la corsa terminò davanti alla porta dello studio privato, nel quale il conte solea rifugiarsi per tenersi lontano dalla rogne di corte, e curare la sua passione perversa, la lettura di commedie frivole dell’erotismo francese e le novelle del Decamerone, spesso in piacevole compagnia di una cortigiana.

Quel mattino, infatti, mentre il suo reale uccello subiva le dolci attenzioni dalla bocca carnose di Rosetta, una giovane cortigiana dai capelli rossi ruggine, il clima idilliaco fu interrotto da una forte bussata. La ragazza alzò il capo spaventata, aspettando un ordine del suo padrone. Il conte gli fece un gesto con la mano di allontanarsi da lui. Il vecchio nobile riordinò i vestiti e, dopo aver fatto uscire la meretrice da una porta secondaria, aprì la porta.

‘Eccellenza mi perdoni, per aver disturbare la vostra quiete!
‘Mi auguro che sia per una causa giusta!
‘Lo è mio signore!
‘Dimmi, allora, non indugiare oltre!
‘Stamani i soldati sono andati a casa del mastro carpentiere Livio Cortelli, a prendere in custodia la figlia, Elisa, novella sposa e promessa al giovane Arturo Pellecane, il figlio del maniscalco! Affinché la Signoria vostra le concedesse l’onore di cogliere la sua illibatezza!
‘Elisa! Certo! Mi auguro che sia andato bene! Avete ordinato alle serve di adornare la stanza delle rose? la mia preferita!
‘Mio signore! C’è stato un imprevisto!
‘Un imprevisto? Parla marrano!

Il Conte aveva carattere burbero. Solea minacciare i suoi sottoposti prospettando pene terribili, ma nella pratica poi si limitava a pene corporali, come le frustate, o farli rinchiudere per alcuni giorni nelle prigioni della torre, a pane e acqua.

Il Gran Siniscalco deglutì dalla paura, inspirò lento una boccata d’aria, mentre fissava timoroso il suo padrone.

‘Allora parla cialtrone! Prima che perda la pazienza!
‘Ecco mio signore! Il padre della ragazza ha opposto resistenza! I soldati per prenderla in custodia hanno dovuto ricorrere alla forza, e quindi all’uso delle armi.

Il conte era di gusti raffinati. Non tutte le ragazze del suo regno potevano accedere all’onore del suo reale uccello. Certamente non faceva discriminazioni, quelle brutte le graziava oppure le concedeva ad un suo fido servo, che fungeva da controfigura.
Elisa era una bella ragazza, avvenente, dagli attributi femminili molto sensuali e di suo gradimento.

‘Bene? Dove è la ragazza?
‘E’ stata ammazzata mio signore!
‘Morta ammazzata? Ma che diavole sta dicendo? Come? Qualcuno pagherà per questa offesa!

La notizia lo rese furioso come un vulcano, certamente non provava compassione per la morte della ragazza, ma collera dovuta alla delusione di aver perso quel prelibato bocconcino. Come si dice: era rimasto a bocca asciutta.

‘Mastro Livio Cortelli si è armato di forcone gettandosi contro il capo della scorta. L’armigero ha sfoderato la spada per difendersi. Nella lotta ha disarmato il villano, ma, nel momento in cui lo stava infilzando, la giovane si è parata davanti al padre venendo colpita a morte!
‘Per giove che imbecilli! Rinchiudeteli tutti nella Torre! Pagheranno con la vita!
‘Signore! Non è tutto!
‘Cosa altro c’è ancora!
‘La notizia del grave delitto si è diffusa in tutta la contea! la gente comune stimava il carpentiere! E anche la signorina Elisa! Così in poche ore si è radunata una folle inferocita, che ha tentato di linciare i soldati ed il responsabile dell’uccisione!
‘Cribbio anche una rivolta! Mi auguro che sia stata sedata subito con la forza!
‘Si! è stata sedata! Ma il padre del promesso sposo ha chiesto di poter conferire con lei! Come lei sa Mastro Artemio Pellecane è uomo rispettabile, saggio e suddito esemplare, e anche influente.
‘MMM certo! cosa vorrà da me? Se la ragazza è morta è anche colpa sua! Non doveva intromettersi!

Il cinismo del conte non aveva limiti.

‘Certo mio signore! In ogni modo suggerirei di ascoltarlo! Così i rumori della folla si placheranno!
‘E così sia! Fissi un incontro! Preferisco non oggi! Avrei cose urgenti da sbrigare!
‘Si Mio signore!
‘Quando esci avverti le mie guardie, digli di presidiare la porta, impedendo a chiunque, dico a chiunque, di disturbare la mia intimità per le prossime due ore!
‘Si mio signore!
‘Ora sparisci!

Appena solo. Guardò l’orologio a pendolo, con la stessa indifferenza con cui aveva appreso la tragedia della povera Elisa, si era già scrollato di dosso il dramma, come vacua polvere, sorridendo si strofinò le mani. Pensando dentro di se:

‘Bene è ora! La piccola Gertrude ha le sue abitudini rigorose, precisa come i cicli lunari, sicuramente sarà già nella stanza! E’ meglio che mi sbrighi! Non è educato far attendere la donzella!

Il conte, con gesto veloce girò l’impugnatura della spada di una vecchia armatura, facendo scattare un meccanismo che, dopo alcuni rumori meccanici, provocò l’apertura del muro in fondo al caminetto.
Davanti al suo sorriso beffardo si dischiuse un ingresso segreto. Si munì di una torcia e vi entrò lesto e sicuro. Dopo aver percorso un lungo cunicolo, attraversò un altro passaggio, infine entrò in una stanzetta attigua a quella della camera da letto della figlia Gertrude.
Salì sopra uno sgabello di legno. Afferrò il bordo di un quadro tirandolo, come l’infisso di una finestra.
Davanti al suo sguardo impaziente comparve una grossa fessura nel muro, che si apriva anche nella stanza attigua, occultata da un quadro che rappresentava Afrodite, in piedi sopra una conchiglia, trainata da quattro delfini, di cui il Conte scorgeva solo il retro della tela.
Ridacchiando, spostò di lato un lembo della stoffa, grande appena quanto una moneta di dieci ducati, subito un fascio di luce perforò il buio di quel tugurio.
Il conte Ferdinando vi poggiò l’occhio e dall’altro lato coincise con quello di Afrodite. Ora poteva scrutare ciò che stava accadendo nella stanza.

Scorse la dolce fanciulla, in piedi, al centro del locale, davanti alla tinozza in ottone. Di fianco stavano due serve impegnate a slacciarle il busto. Man mano che i vestiti erano tolti il corpo statuario di Gertrude si manifestava in tutta la sua sublime bellezza.
I lunghi capelli biondi sciolti caddero giu, arrivando con la punta a lambire i candidi glutei, poi il corsetto, la sottana, le culottes, ed infine restò nuda. Una visione paradisiaca.
Un fisico modellato con curve sinuose, esaltato divinamente nei tratti rotondi dalla luce delle lampade ad olio, che aggredì la mente del Conte.
Il nobile padre era letteralmente incantato da quella visione celestiale, che le appariva come una venere, una dea che si accingeva a calarsi nelle calde e fumanti acque del mastello.

Spiava con affanno i movimenti aggraziati della ragazza, che sembrava danzasse leggiadra, sentendo in se crescere una bramosia sconvolgente, che le provocava un’abbondante salivazione e una notevole erezione del cazzo.
Dal giorno in cui aveva esercitato il diritto dello Jus Primae Noctis ebbe tante giovani fanciulle, avvenenti, ma mai pari in bellezza a sua figlia Gertrude.

Lei era raffinata, armoniosa nei movimenti, dolce e sensuale. Non aveva uguali in tutta la contea. Quel fiore di bontà lo aveva affascinato facendogli perdere la tranquillità dell’anima.
Per tale motivo respinse i tanti pretendenti che si erano presentati per chiederla in moglie. Ma lui, possessivo e geloso, non volle mai concedere la sua mano.
La negò persino al Cardinale Gregorio, che la voleva inserire tra le novelle del suo convento di monache di clausura.
Certamente lo scopo non era per volontà divina, ma per placare le sue perverse voglie di prelato puzzolente e parassita, che soddisfaceva nel suo personale bordello di suore. Infatti, la osservava con cupidigia, immaginandola nel suo gineceo di troie.

Era in ogni caso disperato perché cosciente che primo o poi avrebbe dovuto deciderne il suo destino, anche per allontanare i sospetti circa i reali interessi che nutriva verso di lei, che non erano sicuramente casti come quelli di un padre affettuoso.
In lui si agitava il fuoco di un vulcano, di un amante, proteso verso quel giglio di sensualità, desiderata come l’aria che respirava.

In quel momento la stava fissando intensamente, mentre si accarezzava i seni prosperosi, facendosi colare l’acqua in mezzo. Seguiva quei rivoli scorrere lungo il ventre piatto, fino a perdersi in quel sublime triangolo vellutato. I glutei erano candidi e rotondi. Era impossibile resistere a quell’uragano d’emozioni.
Ogni istante era caratterizzato da una fantasia impregnata di lussuria, che guidava i movimenti frenetici della mano, mentre saldamente impugnava la verga rigida. Il gesto aumentava in modo esponenziale, gradatamente, man mano che la mente si stordiva della bellezza di quella ninfa celestiale, che si offriva generosamente al suo sguardo predatore.
Il conte, all’apice del godimento, contorse il corpo, piegandosi su se stesso, e liberando infine il suo impeto estremo; finalmente il cazzo poté esplodere in un orgasmo ormai incontenibile.
Sparse nelle mani lo sperma del desiderio incestuoso, che usciva copioso e a spruzzi.
Gertrude era diventata un’attrazione fatale ed ossessiva, che, nei suoi pensieri, si rifletteva come un eco cacofonico; un nome che solo a pronunciarlo gli accendeva i sensi, producendogli quello entusiasmo idilliaco.

Il Conte Ferdinando, si svegliò alcuni minuti dopo, in estasi, disteso a terra. La sua mente era ancora confusa e sconvolta dall’orgasmo che si era procurato poco prima, mentre spiava sua figlia nuda, intenta a farsi il bagno.
Raggiunse lo studio.

Nel momento in cui chiuse l’apertura segreta, sentì un forte brusio provenire da dietro la porta. Poi qualcuno stava già bussando in modo energico.

‘Avanti!

La porta si aprì e apparve nuovamente la faccia sconvolta del gran siniscalco di corte.

‘Signore la prego di perdonarmi!
‘Ti avevo dato un ordine! Per Giove!
‘E’ vero mio signore! Ma i fatti si sono aggravati! Il figlio del maniscalco ha minacciato di uccidersi! Una gran folla si sta radunando davanti al palazzo!
‘Che Dio lo perdoni per le sue intenzioni malsane! E io che centro?
‘Il padre insiste! La prego lo ricevi! Così le acque si calmeranno! Spero!
‘Va bene! Lo riceverò tra un’ora, nella sala del trono!

Un’ora dopo.

Il maniscalco passeggiava nervoso davanti al grosso portone di quercia, oltre il quale c’era la Sala del Trono. Era impaziente di parlare con sua Eccellenza il Conte Ferdinando.
Ad un tratto si odono alcuni scatti metallici, erano i cardini del grosso portale che si aprivano cigolando.
Mastro Artemio Pellecane si destò da quel rumore, osservando le due grossi ante di quercia parallele che si spalancano davanti al suo sguardo provato dal dolore.
Sofferente, varcò la soglia della stanza del trono scortato da due soldati armati di lancia.
Giunto a pochi metri dal seggio, su cui sedeva con aria sufficiente il Conto Ferdinando.

‘Signor Conte, i miei omaggi!

Così dicendo piegò il capo in segno di sottomissione.

‘Buongiorno Mastro Artemio Pellecane! Ho saputo della tragedia che ha colpito il vostro figliolo e me ne rammarico! Che cosa potrei fare per alleviarvi le pene?
‘Nulla purtroppo mio signore! Il passato non si può più cambiare! La tragedia rimane!

Mastro Artemio Pellecane era un uomo molto ricco. Un membro autorevole della nuova borghesia. Oltre alle officine di maniscalco era proprietario di molti appezzamenti di terreno, che la sua potente famiglia aveva ricevuto in concessione dai precedenti Conti, di cui parte del raccolto, finiva nei magazzini della Contea.

‘Ecco mio signore! Sono qui ad esprimere il mio disappunto circa l’usanza dello jus primae noctis! Ormai tanti regni lo hanno abrogato, ritenendolo giustamente usanza barbara!
‘Mastro Artemio Pellecane osate dunque contraddire le usanze del vostro sovrano?

Il carattere burbero del Conte era cosa ormai risaputa. Era anche risaputo che fosse un uomo privo di scrupoli e impregnato dai vizi della carne. Si era circondato di molte cortigiane, giovani ragazze sottratte a famiglie umili, anche con la forza.
La sua perversione veniva rappresentata anche nelle commedie improvvisate nelle osterie. Nelle quali il suo personaggio era interpretato da un attore vestito con la pelle di un caprone, a simboleggiare la lussuria e il peccato di cui si diceva fosse invasato.

‘Mio signore la supplico, è un padre ferito nell’orgoglio che le sta parlando! Sono tanti i sudditi che la pensano come me! Il gesto di Mastro Livio Cortelli sarà emulato!

Il Conte rimase insensibile davanti a quelle implorazioni, anzi reagì da vero despota che non ammetteva critiche al suo operato.

‘Guardie! A me! Tu marrano! Come hai osato offendermi così! Non ho intenzioni di aumentarti le pene di cui sei già sofferente! Per questo ti invito a lasciare subito il palazzo!
‘Signor Conte si metta nei panni dei genitori che devono subire questo trattamento primitivo!

Il conte non era uno sprovveduto, ci teneva a mantenere i privilegi del suo rango, ma non voleva neanche infierire sul maniscalco, persona importante che contribuiva attivamente ad arricchire il regno. Quindi decise di cacciarlo dalla corte con la forza.

‘Basta! Non voglio più ascoltarvi! Guardieeeeeeeeee a me! scortatelo fuori dal palazzo!

I soldati accorsi afferrarono le spalle di Mastro Artemio Pellecane, e, sollevandolo da terra, lo trascinarono con forza fuori della sala del trono.

Il conte Ferdinando rimase molto scosso dalle parole pronunciate da Mastro Artemio Pellecane. Stava seduto sul trono, meditando con il mento appoggiato su una mano. Sembrava in piena contemplazione mistica. Poi il suo sguardo muta, un sorriso beffardo comparve sulle labbra.
La sua follia maniacale aveva prodotto un pensiero inaudito, ma a lui geniale.

‘Quel Marrano! Cialtrone! Io dovrei mettermi nei panni dei genitori! Ebbene, così sia! mi ci metto! Gran Siniscalco!

Il servitore accorse trafilato:

‘Si mio signore!
‘Scriva! Io Conte Ferdinando Francesco di Frascalonga, Principe di Gerusalemme, Cavaliere del Santo Sepolcro, per il potere conferitomi da nostro Signore, dispongo che lo jus primae noctis sia esteso anche alle famiglie nobiliari della corte! Così non ci saranno discriminazioni tra i miei sudditi!

La voce del Conte vibrava come un rombo di un cannone.
Il Gran siniscalco intimorito alzò il capo, fissando il conte con espressione basita e sconvolta.

‘Ma Signore! Non esistono precedenti simili nella storia di questo regno?
‘No? Ma dimentica che i Faraoni dell’antico Egitto, per non disperdere il loro reale seme, si sposavano tra fratelli, sorelle e padri!
‘Ha pensato alle conseguenze morali? Cosa dirà il Cardinale Gregorio?
‘Il suo giudizio non mi interessa! Se dovesse interferire nel mio governo, mi comporterò come Enrico VIII d’Inghilterra! Nominandomi Capo della mia chiesa!

Il Gran Siniscalco davanti a quelle parole sacrileghe tremò terrorizzato. Il conte era impazzito non c’era alcun dubbio. Solo un folle poteva credere di sfidare il potere spirituale della Chiesa.

‘Ora sparisca dalla mia vista! Scriva immediatamente il bando e lo renda pubblico! in tutto il regno!

Il conte stava seguendo un folle piano. Solo in quel modo poteva sperare di portare la sua amata Gertrude nella Stanza delle rose, senza che qualcuno potesse opporsi.

Il Gran Siniscalco con gesti nervosi si strinse le balze del vestito, s’inchinò davanti al suo sovrano, ritirandosi sconvolto dalla sala del trono.
Il bando, come previsto, provocò reazioni estreme nella corte e nel clero.

L’ira del Vescovo, fu un vero e proprio fuoco di paglia, infatti si placò subito di fronte a generose offerte in denaro, di giovane novizie per il suo convento e derrate per tutte le consorterie del clero.

I congiunti del Conte e i nobili, fecero fronda e protestarono vivamente per quello assurdo comando, alcuni furono addirittura rinchiusi nelle torri, altri abbandonarono il regno per non subire quella vergognosa onta.
Da quel giorno nella corte e nella piccola contea iniziò a diffondersi il malumore. Il conte per applicare il proprio volere rafforzò le misure di sicurezza della sua persona ed intensificò la vigilanza del regno. Instaurò un vero e proprio stato di polizia.

La prima vittima altolocata di quello editto squinternato fu la nipote Caterina, figlia del primogenito, avuto dal primo matrimonio, che era la promessa sposa di un ufficiale delle guardie.
Il milite, riluttante, dovette ubbidire al Conte, in virtù del fatto che gli aveva giurato fedeltà assoluta, impegnandosi con onore di far rispettare le sue leggi.
Neppure il figlio riuscì a far desistere il padre Conte dal porre in essere quel gesto riprovevole che avrebbe gettato la famiglia nel ridicolo.
Fu tutto inutile. La legge, sosteneva il Conte, era ‘erga omnes’, quindi si applicava a tutti, nessuno escluso. E così fù.

La camera delle rose fu addobbata con veli di seta. L’aria fu addolcita con aromi esotici dispersi come fumo da atomizzatori, profumando la stanza e l’arredo.
La tenue luce dei candelabri si diffondeva illuminando appena il baldacchino, che appariva come un altare su cui si sarebbe consumato il gesto sacrilego.

Il conte raggiunse la stanza da un’entrata segreta. Il nobile, coperto da un lunga vestaglia di flanella, a petto nudo, nella penombra, si accostò al baldacchino.

Sul letto c’era Caterina, vestita di una sottana di seta trasparente; era agitata, aspettando con timore di immolare la sua verginità ai piaceri del nobile nonno. Teneva gli occhi chiusi temendo lo sguardo dell’avo.

Il conte appena la vide ebbe un sussulto, un attimo di perplessità.
Poi, disse a se stesso, ‘i doveri sono doveri, è un mio diritto legittimo, nipote o no, debbo assolverlo a prescindere!’

Assoltosi da quel breve senso di colpa, ritornò a fissare quel giglio di virtù, lo contemplò compiaciuto, lisciandosi i baffi, e, piacevolmente, il pizzetto canuto.
Nessun cruccio morale lo colse, cinico fino in fondo. Infatti lo sguardo divenne subito libidinoso mentre sfiorava ingordo le linee sinuose del corpo della nipote, adagiata come una rosa sul baldacchino.
La tenue stoffa di seta non impediva alla sua brama, di andare oltre, di osservare nei particolari quelle giovani membra.

Posò un ginocchio sul bordo del letto, allungò una mano, sfiorando i capezzoli scuri con la punta delle dita, che sormontavano divinamente i candidi seni, innalzati verso l’alto come colli innevati.

Fece scorrere la mano sulla seta, percependone il soffice contatto. Eccitato afferrò un lembo della sottana e lentamente iniziò a scoprire il corpo di sua nipote.

Mai avrebbe immaginato che il suo scellerato editto avrebbe messo a disposizione della sua lussuria quel candido giglio.
L’ordine l’ho aveva dato per arrivare a sua figlia Gertrude. Ma ora, stava assaporando quella piacevole sorpresa.

Le venne in mente quando era bambina e l’aveva tenuta sulle ginocchia, coccolata. Ora vederla lì, nuda, con un fine diverso, si sorprese perché non l’ebbe mai notata come una donna. Osservandola adesso con le fattezze di una femmina, la sua mente si adattò subito alla nuova situazione.
In quel momento fu la sua perversione che si stava nutrendo della presenza della nipote e no il suo cuore.

Le carezze, infatti, erano lascive, lasciando intendere intenzioni libidinose, si insinuavano nella scoscio, piegando il biondo vello e lambendo, con la punta della dita, le fenditure di quella figa immacolata e mai toccata da altro essere maschile. Cosa che gli diede una sensazione indescrivibile, perché cosciente di essere il primo a violare quella santa intimità. Il tocco leggero nella carne viva della vulva vaginale, suscitò un lieve singulto da parte di Caterina, che contrasse le labbra carnose della bocca, emettendo un gemito appena percettibile, che aleggiò nel silenzio nella stanza.

Il cazzo del Conte, stimolato da quel sublime spettacolo, s’ingrossò oltre il limite consentito dalla natura, palpitando furioso sotto la culottes di lana, e anelando quel giovane corpo.

Il nobile e canuto anziano in preda all’eccitazione, si denudò in fretta, facendo scivolare la vestaglia ai suoi piedi, poi si sfilò la culottes di lana.
Il suo tozzo corpo si manifestò nella penombra, proiettando la sua ombra minacciosa sul corpo della giovane donna.

L’uomo, fremente di sesso, salì sul baldacchino, inginocchiandosi tra le gambe spalancate di Caterina.

Il conte era di carattere impaziente ed impulsivo. In quel frangente desiderava possedere quel corpo. Nei precedenti incontri, infatti non gli era mai interessato perdere tempo nei preliminari. Soddisfacendo subito l’ansia di penetrare più volte la fanciulla di turno.

Continuava ad osservare con libidine lo scoscio di sua nipote, facendo scivolare la mano lungo l’asta, stimolando il nerbo e la sua mente.

In quel momento infernale, accadde qualcosa d’insolito, riuscì a dominarsi e vincere la tentazione di ficcarglielo dentro senza tanti riguardi.
Era molto attratto da quella nicchia profumata e fragrante come un fiore fresco, per cui gli venne la voglia di baciarlo, quindi si abbassò e ficcò la bocca in mezzo allo scoscio, penetrando con la punta della lingua quella nicchia di piacere.

Mmmmmmmmmm

La voce di Caterina si diffuse nella stanza.
L’azione del conte, stimolata da lussuria estrema, divenne subito impetuosa. Le sue mani tennero sollevate e spalancate le gambe della nipote, mentre la sua bocca raspava in ogni dove, impregnando le labbra e la barba degli umori secreti in abbondanza.

Cominciò ad apprezzare quei preliminari. Il riguardo che aveva posto nei confronti della nipote si rivelo un espediente piacevole. Era la prima volta che si era accostata ad una ragazza al fine di stimolarla ed eccitarla, evitando di soddisfare i propri istinti a senso unico.
Ma, ben presto il desiderio morboso di possedere quel fiore, iniziò a farsi strada nella sua testa, così, dopo averle sollecitata a dovere, aver morso il clitoride e inebriatosi del dolce nettare di quel pertugio virgineo, in preda all’euforia dei sensi, brandì l’asta del cazzo come un gladio minaccioso, quindi puntò la grossa cappella contro l’apertura vaginale e spinse con violenza.
Gli umori secreti in abbondanza aiutarono il grosso nerbo a sprofondare dentro quella tenera caverna, vincendo qualsiasi resistenza. Alla fine l’inguine del conte urtò contro il biondo pube della nipote, il misfatto si era consumato.

Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa

Il grido di Caterina sottolineò l’impeto di quella violenza. Le sue mani strinsero nervose il lenzuolo come se volesse lacerarlo, mentre la bocca era contorta in una smorfia di dolore.
Fino a quel momento la mente della giovane ragazza si era estraniata, ignorando con determinata volontà le sensazioni provocate dalle carezze lascive del vecchio conte.
Caterina cercò di sopportare stoicamente gli stimoli che il vecchio e nobile nonno le aveva provocato nel basso ventre.
I suoi occhi rimasero chiusi fino a quando sentì il grosso tubero farsi strada dentro di lei. Nell’istante in cui il cazzo del nonno le stava prevaricando con tracotanza quel canale inviolato, avvertì un dolore lancinante che la costrinse a guardare.
I suoi occhi strabuzzarono ed incontrarono quelli del nonno, mentre sconvolti dall’eccitazione fissavano i lineamenti del suo volto, dai tratti ancora adolescenziali.

In quel momento era inchiodata al letto dall’addome adiposo del vecchio conte, che premeva contro il suo magro ventre.

Il vecchio porco si era completamente allungato sul corpo della nipote, mentre la teneva bloccata con le mani saldamente strette sulle candide natiche, per guidare i movimenti convulsi del suo bacino.
Ansima come un vecchio caprone.

MMMmm mmmmm bella! dimmi che ti piace?

Caterina era confuse. Il dolore stava scemando lentamente lasciando il posto ad una sensazione piacevole. Quindi non sentiva più alcun fastidio al basso ventre. Anzi il cazzo del vecchio conte si era adattato bene, battendo piacevolmente dentro di lei.
Sentirlo scivolare in se, senza soluzione di continuità, le provocava delle sensazioni di vertigine. E provava anche un certo godimento. Era difficile resistere a quel tormento.
Man mano che il vecchio le incalzava la fica, si rendeva conto anche che le era difficile dominare il suo corpo, perché reagiva inconsciamente a quell’aggressione, accettando gli stimoli vaginali, senza sopprimerli.

Il conte sembrava in preda al morso di una tarantola, batteva senza tregua, con foga, scopando la figa di sua nipote con grande impeto. Alla fine.

Mmmmmmmmmmmmmmm siiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii mi piace’.

La voce sconvolta dagli orgasmi era quella di Caterina.
Infine aveva ceduto a quella piacevole tortura. Il suo corpo iniziò a partecipare al coito, vibrando e muovendosi all’unisono con quello di suo nonno. Caterina, in pieno delirio dei sensi, si aggrappò con le unghie alla schiena del vecchio conte, tirandolo verso di se.
Il Conte gradì quell’inaspettato dolore, che si confondeva in modo sublime con il piacere che stava provando.

Caterina, quindi si era arresa, vinta dall’impossibilità di resistere stoicamente a quell’uragano di sensazioni. Senza più freni inibitori si lasciò avvolgere dalle emozioni di quel rapporto incestuoso, liberando il suo corpo dal blocco psicologico e consentendogli di fremeva voglioso e di godere liberamente ogni istante di quella scopata.

‘Mia piccolaaaaaaaa rosaaaaaaaaa mmmmmm
‘Mio signoreeee hooooooooo godoooooooo

Il conte, compiaciuto della reazione di sua nipote, aumentò gli sforzi del suo ardire. Spingendo per quanto potesse in profondità, con l’intento di dominare quel giovane corpo.
Se la stava godendo alla grande la giovane ninfetta. La libidine di lei si dimostrò pari alla sua lussuria. Era una vera furia della natura e le dava euforia vederla con le gambe oscenamente spalancate ed aperte alla sua azione, che lo serrava e lo incitava a sbatterla più forte, trascinandolo in quel inferno di sensazioni.

Da giorno divennero amanti diabolici, completamente presi da quell’unione incestuosa, esaltata e resa speciale dal rapporto di sangue che li legava.

Prima che il conte scaricasse il suo seme nel ventre della nipote, la fece girare a pecorina, facendola piegare come un gattino, poi da tergo, tenendola ben salda dai fianchi, iniziò una devastante penetrazione che mandò in estasi la giovane donzella.

Mmmmmmmmmmmmm siiiiiiiiiiiii godooooooo mmmm
Piccolo diavoloooooooooo sei l’infernooooooooooo mmmmmm

Il conte concluse quella galoppata di sesso dentro il ventre della nipote, inondandolo di sperma, che avrebbe avuto conseguenze gravide nove mesi dopo.

Lasciò l’alcova a notte fonda, stanco e spossato dall’energica azione della giovane nipote, che sorprendentemente si era rivelata più spigliata e disponibile di quando avesse immaginato alla vigilia.

Caterina rimase colpita dall’ardore del vecchio nonno. Le sensazioni vissute in quella stanza le avevano inciso profondamente la mente. Cosicché nei giorni a seguire fu lei a cercarlo nuovamente, fino diventare una delle sue migliori cortigiane, la più fedele e spregiudicata.

Nella stanza delle rose passarono altre congiunte e figlie di cortigiani. Le ragazze erano tutte di buona famiglia e raffinate, grazie ad una educazione di alto livello, molto apprezzate dal Conte.

Finalmente arrivò anche il turno di Gertrude. Il piano del conte infine si stava realizzando con sua grande soddisfazione.

Il giorno in cui il figlio del Barone Perna l’ha chiese in moglie lui acconsentì subito a quella richiesta.
Tutti i membri della corte speravano che il Conte, vista il rapporto di parentela, venisse meno al suo dovere reale, declinando l’adempimento di quel assurdo editto.

Il conte, per evitare contestazioni, non si pronunciò fino a una settimana dal matrimonio.

Una mattina convocò la sua cortigiana preferita: Caterina, che nel frattempo gli aveva dato alla luce una splendida bambina.

‘Caterina! La corte mi è ostile!
‘Mio Signore! Io le sono fedele!
‘Lo so Caterina! Per questo ripongo in te la mia massima fiducia! Ho un incarico da affidarti! E so che tu sarai in grado di adempierlo secondo la mia volontà!
‘Comandi Mio Signore!
‘Stasera tu mi preparai la Stanza delle rose!
‘La Stanza delle rose? Chi è la fortunata mio signore!
‘Gertrude!

Caterina ebbe un momento di stupore. Ma si riprese subito, con un sorriso beffardo, complice delle scelleratezze del nonno.

‘Sarà fatto mio signore!
‘Ho un altro desiderio!
‘Si mio signore!
‘Questa sera dovrai esserci anche tu! Vi voglio tutte e due insieme!

Caterina sorrise.

‘Sarà fatto mio dolce signore! è anche mio desiderio condividere con voi quel sublime momento!

Il conte ricambiò il sorrise in modo ironico, fissando intensamente la sua giovane amante e nipote. Poi, si accostò, facendo scivolare le mani sotto il lungo vestito merlato.

‘Sapevo che sotto non portavi nulla!
‘E’ per il vostro piacere mio signore!
‘Certo’..

L’adagiò sul divano di velluto e come un lupo famelico iniziò a rasparle la figa con la bocca, bramoso di quel giglio, come un assetato che si stava soddisfacendo ad una fonte. Poi fu il delirio.

La notizia delle intenzioni perniciose del vegliardo si diffusero immediatamente nel palazzo. Il conte, nonostante le pressioni, rimase irremovibile nella sua decisione. I congiunti, allora, si riunirono segretamente per discutere circa la salute mentale del vecchio. Lui, informato da Caterina, li sorprese con le guardie e li fece arrestare, rinchiudendoli nella torre e nelle secrete, dimostrandosi insensibili alle loro suppliche.
Intanto un emissario stava raggiungendo Venezia, presso la corte del Doge, per informarlo dei misfatti del Conte e suo precario stato di salute, e recando al sovrano della Serenissima una richiesta di soccorso da parte dei congiunti, con i quali peraltro era anche apparentato.

Venne la sera. Il conte si presentò nella sala delle rose, impaziente come un adolescente alla sua prima esperienza.
L’aria era già stata aromatizzata da profumi e spezie orientali. Venne ricevuto dalla nipote, bella e spregiudicata, coperta solo da una vestaglia trasparente di seta. I due amanti diabolici si baciarono con passione davanti allo sguardo spaventato di Gertrude, che stava distesa sul baldacchino in attesa di sacrificare la sua bellezza alle voglie del padre e di quel satanasso delle nipote.

‘Guarda mio signore! Ecco per Voi, l’oggetto del vostro desiderio!

Il conte, accarezzando i glutei di Caterina, si leccò i baffi mentre scrutava con cupidigia il corpo di sua figlia. Nello stesso istante la perversa nipote lo stimolava segandogli lentamente il cazzo.

Il conte, impaziente, allungò subito le mani su quel bocconcino prelibato, per soddisfare un impellente desiderio di toccare quella dea di bellezza e sensualità. Gli er impossibile resistere a quell’impulso.
Le dita iniziarono a lambire delicatamente la pelle candida come la neve. I capelli vellutati, che erano sparsi sul cuscino. La bocca carnosa, rossa come un rubino. Ed il seno prosperoso, che si innalzava come due colli sormontati da due fragole cremisi.

I sensi del conte erano già infiammati e incandescenti come lava di un vulcano in piena attività.
Peraltro ampiamente stimolati da Caterina che, abbassata ai suoi piedi, con la sua stessa depravazione, stava usando la bocca per sollazzargli il grosso cazzo, facendolo scivolare in fondo alla gola.

Era diventata brava a succhiare il nobile uccello e soppesare con tocco leggero i coglioni del vecchio avo.

Il Conte ricambiava compiaciuta quelle piacevole attenzioni, accarezzandole il capo, guidandolo nei movimenti verso il suo cazzo che penetrava nella bocca di Caterina fino alla base. Po la bloccò, le accarezzo il viso, poi accostandosi al letto si distese al fianco di Gertrude.

Si butto sul quel corpo come un caprone lussurioso e voglioso di nutrire i suoi vizi. Iniziò a toccare, stringere, leccare, mordere con una violenza incredibile. Tormentando quel giovane corpo come se lo volesse sbranare.

Anche Gertrude si era completamente isolata da quel luogo. Sopportava stoicamente tutte le sollecitazioni che le provocavano quei due amanti diabolici. Soffocava i gemiti sforzando la sua volontà, per non dare alcuna soddisfazione.

Caterina, nel frattempo, si era inginocchiata tra le cosce spalancate della Zia, torturandole con la lingua le fessure della figa.
Il Conte vendendola a pecorina, le osservò il superbo lato b, quindi, ingolosito da quel panorama borioso, si spostò dietro di lei.
Poi, dopo averle lavorato a dovere il buco della fica, la penetrò con un impeto furioso, muovendosi selvaggiamente dentro di lei, in modo convulso e con poderose spinte. Gli piaceva dominarla.

Mmmmmmmmmmmmm siiiiiiiiiiiiiiiiiiiii mmmmmm
‘Piccolo diavolooooooooooooooooooo mmmmm

Il conte agiva seguendo i suoi istinti bestiali caratterizzati da un’estrema lussuria; era corrotto fino al midollo, per cui le sue azioni erano dettate solo dalla frenesia di soddisfare una libidine senza limiti, incontrollata, che le aveva ormai devastato la mente.

‘Spostati’mettiti di lato!

Caterina si distese al fianco di Gertrude osservando il suo nobile nonno che s’incuneava tra le cosce spalancate di Gertrude, voglioso di cogliere quel giglio di bontà.

La figa di Gertrude era stata lavorata da Caterina, nei particolari, tale d’averla abbondantemente inumidita di umori. Quindi era ben lubrificata e pronta ad accogliere il reale uccello.

Il conte, era in preda alla frenesia, si distese con la sua massa adiposo sul giovane corpo, adagiando il grosso pancione sul piatto ventre, quindi, impugnando il cazzo collimò la grossa cappella contro l’ingresso della vagina.
Dopo averla strusciata tra le piccole labbra, appena percepì il loro cedimento, ed il tepore attorno al grosso bulbo, diede una possente spinta in avanti, inoltrando il resto del corno dentro quella tenere carne. Fu un gesto violento.

AAAAAAAAAAAAAAAAaaa

L’urlo di Gertrude segnò l’abuso e la violenza delle sue parti intime.
Il grosso cazzo del conte, incurante dei lamenti di dolore, iniziò a muoversi dentro di lei, con una forza sorprendente.

MMMMMMMMMMMm mmmmm grrrrrrrrrrrrrrrr mmmmm

Il conte prese a gemere come un maiale, mentre il suo cazzo martellava la figa della povera Gertrude. Era gioioso perché finalmente aveva profanato quel santuario tanto anelato, un frutto che gli era proibito, ma ora stava gustandosi con grande piacere.

La sua mente era completamente sconvolta da quel gesto, desiderato da tanto tempo. Si rese conto che la realtà era di gran lunga migliore di quanto l’avesse immaginata nel buio di quel tugurio, mentre consumava il suo ardire in masturbazioni frenetiche desiderando il corpo di sua figlia.
Vedersela sotto fremente, con le gambe oscenamente spalancate, gli sembrava di sognare, una visione lo mandava in estasi.
Caterina, in quei momenti, si era impossessata delle tette di Gertrude modellandole secondo la sua perversa fantasia. Anche lei era completamente presa da quel rapporto.

La povera Gertrude era in balia di quegli amanti diabolici. Gli era difficile controllare le sensazioni inaudite che il suo corpo stava provando. Per quando si sforzasse, di controllare la sua volontà, i sensi infiammati da quelle emozioni sconvolgenti la stavano tradendo, facendole sballare la mente. Caterina, era turbata, e non riusciva più a trattenere le sue emozioni. La sua mente sembrava un uragano in procinto di scatenare una forza distruttiva.

Il conte era talmente eccitato da non riuscire più a trattenere i conati di sborra, che premevano impellenti nel suo basso ventre, così dopo alcuni colpi devastanti assestati in brevi sequenze, scaricò dentro il ventre di sua figlia una copiosa sborrata di seme, nello stesso istante Getrude:

mmmmmmmmmmmmmmmmmmm siiiiiiiiiiiiiiii godooooooooooooo
ahahahah sapevo che ti sarebbe piaciuto mmmmmmmmmmmm sei anche tu un diavolo hahaha

Alla fine Gertrude si era arresa a quel terremoto di sensazioni.

Caterina, subito dopo, si impossessò del cazzo del conte, ancora duro e impregnato di umori, segandolo e succhiandolo fino all’ultima stilla di sperma.
Il vecchio nobile, alla fine, spossato, sprofondò nel materasso come un sacco di patate, tra Gertrude e Caterina.

Dopo alcune ore si riprese. Stavolta Gertrude si dimostrò più disponibile al convivio incestuoso, quindi, facendosi coinvolgere emotivamente da quella coppia di diavoli, partecipò attivamente al coito, fino al mattino.

Dormivano profondamente, quando le prime luci del giorno irruppero nella stanza. Un frastuono improvviso li svegliò, strabuzzarono gli occhi dalle orbite, quando videro armigeri armati di spada e lancia irrompere nell’alcova. Le ragazze si misero a gridare, quando i soldati afferrarono il conte e lo trascinarono nudo fuori del letto.

Erano soldati della Serenissima. Venuti in soccorso dei congiunti del conte.
Il Doge, dopo un processo sommario, ritenendo il comportamento del nobile turpe e sacrilego, con il consenso del clero, lo fece decapitare unitamente al cardinale sacrilego.
Un plebiscito popolare, promosso da Mastro Artemio Pellecane e da altri baroni, permise l’annessione della Contea alla Repubblica di Venezia.

Come dice il proverbio: ‘chi si accontenta gode’ invece chi troppo vuole’ ectt..
Così va la vita

Guzzon59 ( claudiogusson@ymail.com )

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