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Il rappresentante 7 – Festa sul Canaris

By 10 Settembre 2023No Comments

La cena finì e lasciammo la sala da pranzo per raggiungere un ponte coperto a poppa dell’ampia imbarcazione dove, seduti su comodi divani, cominciammo a conversare sotto a luci attenuate.
Continuavo a chiacchierare e discutere con Stefano, Franco e Marco e l’irreprensibile cameriere mi aveva messo in mano un whisky senza neanche che glie lo chiedessi.
Intontito dall’alcol, ci misi un pochino a realizzare che Marica doveva essere seduta su un altro divano e non accanto a me, ma decisi che la cosa non era poi così importante.
Un’occhiata circolare al salone, mi fece scoprire mia moglie seduta tra Gianfra’ e al russo, con un’espressione strana sul viso: come rapita, estatica…
Di fianco a loro era seduta la trentacinquenne con lo sguardo altero, accanto a Monsieur, e la donna più anziana accanto al romano. Non feci caso al fatto che dei due uomini si vedesse solo la mano di Kaperovic dal lato della tipa altera.
Su un altro divano c’erano le due giovani che… Urca! Che si stavano baciando in bocca ed accarezzando, attentamente osservate da Gus e gli altri tizi, che parlavano una qualche lingua dal suono slavo tra loro!
Avrei dovuto smettere di bere: l’ambiente a luci attenuate, la musica di delicato sottofondo, la conversazione condotta in tono garbato, attraverso la cortina del whisky avevano un effetto ipnotico, sedativo… Mi rendevo conto che alle domande dei tre, rispondevo a volte in modo sconnesso, inciampando nelle parole, con lunghi silenzi, ma loro, cortesemente, non sembravano irritarsi.
Ad un certo punto, percepii un po’ di trambusto e diedi un’occhiata in giro: le due ragazze si erano rialzate i vestiti e, continuando le loro effusioni, ora avevano anche il cazzo sguainato di uno degli slavi da baciare a turno, mentre Marica si era alzata in piedi, con un’aria strana, e stava al centro dei divani, con i piedi scostati di una spanna, come fosse in attesa di qualcosa.

Mi hanno fatta sedere tra di loro e le loro mani hanno esplorato ogni angolo del mio corpo; Monsieur ha tirato fuori un piccolissimo auricolare, dalla tasca e me lo ha introdotto nell’orecchio, spiegandomi, con un sorriso malevolo, che quello era il telecomando per ME e che avrei dovuto fare e dire, senza esitazioni, tutto quello che mi avrebbe detto di fare e dire.
Sono sconvolta: non riesco più a disporre della mia libertà di fare o non fare; sto diventando un giocattolo nelle loro mani e, cosa più grave, non sono neanche più sicura di voler contrastare questa… deprivazione della mia volontà , questo abuso.
Vedo che Monsieur avvicina alla bocca e mormora al grosso anello che porta al dito e sento la sua voce tuonarmi nell’orecchio: «Tu sei una troia, è vero? Annuisci se sei d’accordo con questa affermazione!»
Annuisco, mentre sento il buttplug aumentare dimensioni e vibrazioni ed un’ondata di piacere pervadermi.
«Sei eccitata, troia?» Non posso far altro che annuire.
«Allora adesso alzati in piedi e vai al centro del salone…» mentre eseguo l’ordine e vado verso il centro, lui continua: «… stai dritta, in piedi, braccia abbandonate lungo i fianchi.
Adesso allarga i piedi… di più, ancora!! Ecco, così, brava troia!!! Sei contenta che ti chiamo troia? Se sei contenta, sorridi da baldracca, ogni volta che te lo dico!» Sorrido.
Sento il plug vibrare fortissimo dentro di me.
«Adesso alzati la gonna, arrotolandola sotto la cintura e piroetta lentamente su di te, in modo che tutti possano vedere bene le tue gambe, la tua fica ed il tuo culo pieno da puttana»
Travolta dalle sensazioni dell’aggeggio pulsante dentro di me, eseguo fedelmente.
«Adesso abbassa un pochino il corpetto e mostra le tette da vacca che hai; poi spingiti un dito nella fica, fino in fondo e comincia a masturbarti!»
Avvampo di vergogna ed eccitazione, ma eseguo; noto che tutti, comprese le due ragazze, mi guardano con sguardi famelici o divertiti, secondo il proprio temperamento, a parte Sergio che mi guarda con un sorrisetto incredulo da ubriaco.
Dopo qualche minuto, quando ormai sono vicina a quell’esplosione di piacere a cui mi sono sempre più avvicinata nel corso della serata, con la testa buttata all’indietro, la bocca aperta e le ginocchia molli come fossero di flanella, mi arriva un nuovo ordine, come una fucilata: “Smetti immediatamente, cagna!
Adesso vai nell’angolo, lì alla tua destra, e porta quell’oggetto coperto, con tutto il basamento!, fin dove sei adesso; sbrigati, baldracca!»
L’oggetto è una sorta di cubo di legno largo circa quaranta centimetri, con due maniglie fissate ai lati per il trasporto, che sostiene un qualcosa più sottile alto grossomodo altrettanto, coperto da un panno.
Come lo poso nel punto indicato, mi arriva l’ordine di levare il panno e vedo: sulla base di legno, alta una trentina di centimetri, è fissato un gigantesco fallo di lattice, fedelmente scolpito, alto una quarantina di centimetri e del diametro di almeno dieci centimetri; lo guardo interdetta e spaventata ma anche eccitata: ho intuito cosa dovrò fare.
«Adesso metti un piede sulla base di legno, puttana, puntati la cappella sulla fica e poi infilatela dentro; quando hai fatto, posa di nuovo il piede in terra e comincia a fotterti, facendotelo entrare tutto!, Esegui, cagna!!»
Obbedisco, ma il dolore è atroce: mi sento spaccare e indubbiamente l’intrusore dietro mi è di notevole impaccio. «Forza puttana, fai quello che ti ho detto!», mi sento tuonare nella testa.
Mi mordo il labbro, sento che lacrime che mi rotolano sulle guance, ma alla fine la mostruosa cappella è dentro di me; con cautela poso il piede in terra e comincio lentamente a far scorrere il mostruoso totem nella mia natura.
Inaspettatamente, la situazione mi eccita molto e i miei umori lubrificano l’oggetto e mi permettono di obbedire all’ordine, impalandomi fin quasi in fondo.
Il dolore    a poco a poco si trasforma in un’onda di piacere, che continua ad incresparsi dentro di me, ma senza mai frangersi in quell’orgasmo potentissimo che è in agguato, latente.
«Ora, lurida bagascia, mettitelo fino in fondo e resta così; quando arriverà Raffaella, muoviti come dice lei»
Non posso fare altro che obbedire; raggiungo la posizione e aspetto.
La donna dallo sguardo deciso finalmente arriva: prima mi blocca i polsi dietro la schiena con un paio di fredde manette e subito dopo mi blocca una caviglia ad una sorta di manetta, poi regola l’asta rigida collegata a questa fino a potermi cingere l’altra caviglia con una manetta uguale; infine prende un collare da cane, me lo mette al collo, poi attacca al moschettone che il collare porta ad una catena fissata all’asta, costringendomi a stare, così impalata, a stare con le ginocchia un pochino piegate e la testa abbassata: una posizione molto faticosa, oltre che umiliante.
Poi, passa dietro di me, afferra l’intrusore – che Kaperovic aveva spento e sgonfiato- e me lo sfila di colpo, mostrandomelo con un sorriso maligno: noto che è un po’ sporco, visto dove lo avevo tenuto fino a pochi istanti prima, ma lei mi afferra per i capelli, mi costringe ad aprire la bocca e me lo forza dentro; è amaro, pastoso, da far allappare i denti.
Mi ordina di succhiarlo e pulirlo alla perfezione ed io, vincendo il disgusto, mi impongo di soddisfare questa disgustosa richiesta.
Sono lì, al centro dei divani, con gli occhi di tutti addosso, umiliata ed annichilita e piangente, impalata su un mega dildo, tenuta in una scomoda posizione piegata da un sistema di catenelle, con un buttplug sporco di merda in bocca e… e sento che qualcuno, dietro di me, mi penetra di colpo con relativa facilità nell’unico mio buchino disponibile.
Intorno a me l’orgia riprende e noto le ragazze intente a leccarsi reciprocamente, mentre due uomini le prendono da dietro.
Nel frattempo, Angela e Raffaella si fanno penetrare dagli altri uomini, oppure pilotano i loro cazzi nei buchini di Paola che subisce passivamente gli eventi.

Mi sembrava di vivere in un brutto sogno: non ero sicuro che quello che vedevo fosse vero ed avevo una disperata necessità di svegliarmi e dimenticare tutto: in questo sogno da ubriaco, vedevo mia moglie, oscenamente esposta ed impalata in mezzo al locale, con un cazzofinto in bocca e inculata da Gus prima e poi, via via, anche da altri, mentre intorno a me si scatena una colossale orgia.
Angela mi si strofina addosso, mi slaccia e mi leva i vestiti ed alla fine resto lì, nudo, col cazzo mezzo duro succhiato da Paola in modo abbastanza abile. Decido che, se è un sogno, non è poi così malvagio e mi lascio andare…

Gianfra’ mi si avvicina, mi leva l’intrusore dalla bocca e, tirandomi la catena che arriva al collare, mi fa piegare fino a prenderglielo in bocca.
Mentre guida i miei movimenti impugnando la catenella, con l’altra mano mi pizzica dolorosamente i capezzoli e mi copre di contumelie ed insulti, ingiungendomi anche «… de daje dentro, co’ qua-a bocca da bocchinara pe’ famme sborra’»
Mi impegno nell’accarezzargli la cappella con la lingua, tenendo il suo arnese piantato in bocca e sento irrigidirsi il membro che mi sta violando dietro, sul punto di allagarmi di schizzi caldi.
La cosa mi eccita, nonostante la mia volontà e provoco l’identica reazione nel l’arrogante romano che, sul più bello, sfila il suo organo dalla mia bocca e, puntandomelo sul viso, me lo ricopre con lunghi e densi schizzi.
Dopo lui, a turno, tutti gli uomini si sono avvicinati per far esplodere la loro eccitazione sulle mie labbra e sugli occhi e la fronte ed il naso e le guance ed i capelli…
Alla fine, tra le dense colature di sperma che mi ricoprono gli occhi facendomeli anche bruciare, vedo che pilotano anche Sergio accanto a me, malfermo sulle gambe (Amormio, lo sai che non devi bere così tanto!) e finalmente mi trovo l’unico, legittimo cazzo in bocca, che accolgo come un vecchio amico perso di vista ed al quale mi dedico al meglio.

Paola riuscì a farmelo indurire, ma indubbiamente Marica è molto più brava di lei; come intuendolo, mi fecero alzare e mi portarono verso mia moglie che mi accolse nella sua bocca con gioia. E’ uno sprazzo di felicità e mi misi a sorridere.
Qualcuno, credo Stefano, mi disse: “Dai, Sergio: fai un bel sorriso!” ed io automaticamente obbedii, girandomi verso di lui.
Ci fu un lampo e, in rapida successione, diversi altri.

Sempre in quella scomoda costrizione, mi sto dedicando con passione all’amato cazzo di Sergio, quando qualcuno dice qualcosa e subito dopo il flash di una macchina fotografica lampeggia più volte…
Mi hanno fotografata! Così! Legata, impalata e col viso coperto di sperma! E mentre sto spompinando mio marito, tutto contento!
Ma perché solo adesso, le foto? Che senso ha?

Alla fine, grazie all’esperto pompino di mia moglie, le sborrai in bocca e lei, golosa, ingoiò tutto come sempre.
Poi i miei ricordi sono solo di un rientro a bordo del Sea Master, nella nostra cabina, a dormire finalmente insieme, dopo che per tutta la giornata si erano frapposte altre persone fra noi.
Prima di addormentarci cullati delle pigre oscillazioni dello yacht all’ancora (ed io credo di essermi addormentato mentre ancora Marica mi parlava) lei volle parlare, sfogarsi, spiegarsi, raccontare, immaginare…
Uno sforzo decisamente troppo grande, per me, starle dietro a quell’ora.

Arrivata in cabina, mi sono fatta una lunga doccia calda, per levarmi di dosso anche la sensazione di sporcizia che avevo.
Dopo la fine dei giochi, mentre finalmente esplodevo in un definitivo orgasmo apocalittico, mi hanno vietato di ripulirmi e, dopo poco, lo sperma mi ha formato una crosta, seccandosi, sul viso e sui capelli.
Ora, sotto la doccia, mi sono raschiata via quella grottesca maschera del piacere altrui ed ho toccato con estrema delicatezza la mia fichina ed il mio culetto, sforzati tremendamente nel corso della serata e che mi bruciano da morire.
Qualcuno di bordo, però, mi ha fatto trovare il tubetto di una pomata emolliente e leggermente anestetica sul comodino –sospetto che la delicatezza sia di Angela, unica altra donna a bordo- con la quale ho cercato di rimediare agli aspetti più sgradevoli della serata.
Poi, sdraiata sul letto accanto a mio marito, mulinandomi nella testa come fotogrammi impazziti alcune scene della serata, mi accorgo che il sonno non vuole arrivare, nonostante la stanchezza, e allora sento il bisogno di parlargli, di spiegare.
Gli dico che… «…quella gente, in poco più di ventiquattr’ore, mi ha fatto diventare la loro puttana, il loro trastullo sessuale… che la cosa mi fa vergognare molto, mi umilia nel profondo per la poca dignità che ho dimostrato (Poca? Non ne ho dimostrato per niente!)… ma la cosa più atroce è che mi sento costretta a proseguire su questa strada, nonostante capisca che nulla potrà più tornare come prima, come fossi un vitello che procede trotterellando tra i due steccati che collegano due recinti, pungolato dai mandriani.
Mi sento obbligata a proseguire… non solo perché no so come fare per fermarmi o per tornare indietro… ma anche perché ho scoperto, con sgomento terrore, che questa torbida, viscida, imbarazzante, schifosa, umiliante situazione… beh… sì, faccio fatica ad ammetterlo ma… mi intriga… anzi… mi PIACE!!!
Alla fine della serata, ho provato certe sensazioni che non pensavo potessero esistere… un piacere sconfinato e sterminato che mi ha travolto come… come un’ondata di piena e mi ha sballottato a lungo, facendomi rotolare da un orgasmo all’altro, come la pallina di un flipper in questo osceno biliardino… (Oddio, mi sto eccitando anche adesso, al solo ricordare!!!)
Adesso sono, siamo!, in balia di questa gente… ed ho idea che queste cose, quelle fatte oggi, siano una sorta di… iniziazione; che ben altro mi aspetterà in questi altri due giorni di navigazione e… e se da una parte vorrei smettere, dall’altra so quanto tu ci tenga a questo nuovo lavoro ed al nuovo, ottimo stipendio che ne deriverà…
Ti ricordi, amore, di tutti i sogni che abbiamo desiderato realizzare, ma che avevamo dovuto accantonare a causa dei soldi?
Adesso siamo ad un passo dal poterli trasformare in realtà, ma io dovrò essere docile, docilissima e farmi plasmare e rimodellare dalle loro mani per diventare quello che loro vogliono… me lo hanno fatto capire in modo garbato, ma abbastanza chiaro.
Amore, mi vergogno di fare queste cose… mi vergogno di farle davanti a te, che amo più di me stessa… mi vergogno dell’umiliazione alla quale sottopongono te e me… mi vergogno dello smisurato piacere che questa torbida situazione mi scatena…
Amore mio, cosa devo fare? Devo continuare o devo dire “Basta!”? Dimmi tu quello è giusto che io faccia e lo farò…”
Come risposta, Sergio ha cominciato a russare…

La mattina dopo, mi svegliai con un ferocissimo cerchio alla testa e mi girai verso Marica, che dormiva abbandonata ed indifesa accanto a me, come una bambina, russando leggermente.
“Povero amore mio! Cosa ti sei lasciata fare, ierisera! Sei stata usata, impalata, legata, umiliata davanti a tutti…
Ho capito quanto mi ami, perché accetti tutte queste cose: hai intuito –o te l’hanno detto, chiaro e tondo, forse?- che il mio nuovo lavoro è legato alla tua arrendevolezza in questa crociera e quindi tu li lasci fare, subisci stoicamente, mostrando anche quel piacere che loro pretendono che tu provi ma, ne sono sicuro!, in realtà soffrendo molto…
Abbiamo tanti progetti da realizzare e… e Stefano me lo ha fatto capire chiaramente: per avere quel posto, devo accettare di fare il cornuto, di concederti alle loro voglie…
E’ umiliante, ma capisco, da come sei in grado di sacrificarti di lasciarti umiliare, piegare, sfruttare, che anche tu vuoi che io raggiunga quella posizione…
Bene, amore mio: sopporterò tutto questo per la nostra felicità”

Decisi di lasciarla ancora dormire, povera piccina, perciò mi alzai, mi feci una doccia, mi rasai, mi misi qualcosa addosso ed andai in cambusa per avere un po’ di colazione.
Dopo un ottimo caffè ed una brioche, serviti dal silenzioso ed impeccabile François, presi un’aspirina per combattere il malditesta e salii sul ponte: la giornata era stupenda e stavamo tagliando il golfo ligure, andando verso Sanremo, Ventimiglia e la Francia; dietro a destra, velate dalla distanza, vedevo le due alte ciminiere vicino a Savona e, andando sul ponte di prua, trovai Angela, completamente nuda, a prendere il sole.
MI fermai a contemplarla: era veramente una bellissima donna!
Un paio di minuti dopo, sentii la mano di Stefano posarsi sulla spalla e stringermela, nel tipico suo modo…
«Sergio, Sergio, cosa fai? Il guardone?» Disse, in un tono tra il canzonatorio e l’irritato.
«Buongiorno, Stefano! Beh, indubbiamente tua moglie è uno stupendo spettacolo…»
sorrisi.
«E’ vero, ma è anche la moglie del tuo principale! Non è bello che tu ci sbavi sopra!
Quindi, piantala di guardare mia moglie nuda!»
Ero interdetto.
«Ma io… cioè… beh, sì, insomma… ieri sera, tu ed i tuoi amici non vi siete limitati a guardare la mia, di moglie, nuda…» Protestai.
«Ma cosa c’entra? Quella era una festa ed anche Angela era nuda e tu hai potuto osservarla a tuo agio.
Tua moglie, invece, è nostra… ospite e quindi io, Angela e gli altri, ne possiamo disporre come meglio crediamo. Se non hai ancora afferrato il messaggio, te lo ripeto, nel modo più chiaro: noi vogliamo godere di Marica e l’unica cosa che puoi fare tu è comportati da bravo cornuto, ubbidiente. Sono stato chiaro?» Mi disse in tono freddo e duro come il marmo.
«Sì, sì, scusami… Non volevo irritarti…»
«Ecco: allora lascia Angela ai suoi bagni di sole e vattene a poppa!»
Come un bambino colto in fallo, obbedii docilmente.

Dopo quasi un’ora, venni raggiunto da Marica, con l’aria un po’ strapazzata, ma con gli occhi che brillavano di amore per me.
Indossava un paio di minishort, ricavati tagliando via praticamente tutte le gambe di un vecchio paio di jeans e sfrangiando l’orlo, oltre ad un ridottissimo top di bikini.
Si sedette accanto a me, mi abbracciò e mi baciò con passione. Io le posai la mano sulla coscia, ma poi le mie dita risalirono fin oltre l’orlo degli short, cominciando a giocare con i suoi peluzzi e accarezzando la labbrine piene e sporgenti della sua fichina.
La sua mano stava accarezzando il mio cazzo, già duro sotto il costume, mentre rispondeva con trasporto al mio bacio, quando fummo bruscamente interrotti da Angela, era arrivata accanto a noi, avvolta solo in un impalpabile pareo.
«Marica, vieni qui!» Lei, obbediente, si alzò subito e le andò vicina.
«Prima di tutto, da adesso tu qui a bordo dovrai stare sempre completamente nuda, oltre che pronta a fare tutto quello che ti verrà detto da tutti noi, equipaggio compreso…
Quindi, spogliati subito!»
Lei guardò me, come in cerca di protezione, ma Angela bloccò subito ogni nostra reazione: «Inutile che chiedi protezione al tuo Sergio: ha avuto un’illuminante conversazione con mio marito… Sbaglio, ragazzo?»
Essere chiamato “ragazzo” da una persona di circa la mia età, era un modo per fissare una gerarchia tra noi, con me -chiaramente- soccombente… Per quanto riguarda la domanda fattami, comunque, risposi annuendo senza allegria.
Mentre lei obbediva, calandosi gli short e levandosi il reggiseno del costume, Angela continuò:
«Ovviamente, quando intendo ‘tutti’, escludo il tuo maritino!» Disse con un sorriso cattivo e scalciando in mare i due indumenti.
«Siediti sul tavolo e apri le gambe: fammela vedere»
Marica, soggiogata, obbedì e la donna fece un’espressione schifata: “Non mi piacciono tutti quei peli, li sotto: fanno disordinato, fanno sporco; tra un’oretta attraccheremo e ti accompagnerò in un centro estetico in modo da diventare presentabile!
Ora, vai a prendere ogni tuo capo di vestiario e calzature che tu abbia in cabina, ogni tuo oggetto! Sbrigati!”
Marica si avviò quasi di corsa e dopo meno di due minuti arrivò col fiatone, portando il nostro borsone dove erano stati ficcati i suoi indumenti.
Angela le ordinò di rovesciarla sul tavolo e poi analizzò brevemente il contenuto: slippini, reggiseni, due costumi, un paio di calzoni bianchi alla pescatora, una canotta, una polo, zoccoletti di legno col tacco, un paio di sandali e un marsupio con dentro il suo portafogli, un rossetto, e tutte le disparate cose che le donne ficcano in ogni borsa o borsetta che abbiano la ventura di avere.
Angela tolse il portafogli e me lo porse, con un sorriso ambiguo; poi fece un’unica brancata di tutto ciò che Marica aveva estratto dalla borsa e la buttò fuoribordo.
Vidi Marica che seguiva con lo sguardo triste i suoi poveri abiti, mentre galleggiavano nella scia dello yacht che si allontanava rapidamente.

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