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Racconti di Dominazione

quattro amiche

By 23 Marzo 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

L’idea era stata di Maria, ma aveva trovato subito l’appoggio delle altre, a parte Silvia, che era un po’ giù per la recente fine della sua storia con un uomo sposato, che, dopo tante promesse, era tornato dalla moglie.
E proprio per questo avevano tanto insistito: a Silvia non può fare che bene passare un fine settimana con le amiche in un bel centro termale.
Era proprio lei a non avere problemi, visto che era l’unica a non avere famiglia.
I mariti delle altre tre invece, avevano fatto un po’ di storie.
Il marito di Elena si era limitato a fare lo spiritoso, visto che le loro figlie erano grandi e perfettamente in grado di badare alla casa ed alla cucina per tre giorni.
Maria e Nadia, entrambe sulla quarantina, avevano i figli piccoli ed i loro mariti avevano mugugnato parecchio, ma alla fine avevano dovuto cedere e le quattro donne, che si conoscevano da anni perché lavoravano in una grossa società, alla fine l’avevano spuntata.
Erano partite con la macchina di Silvia, abbastanza grande per tutte e quattro, ma per il viaggio si era deciso che avrebbe guidato Nadia, che, nonostante fosse la ‘cecata’ della compagnia, a causa della sua forte miopia, era la più brava di tutte a guidare.
Partenza il venerdì mattina, molto presto, e ritorno la domenica sera.
Le terme distavano solo un centinaio di chilometri dalla città ed avevano prenotato un delizioso agriturismo, più simpatico e soprattutto più a buon mercato, rispetto al pretenzioso albergo del complesso termale.
Così avevano lasciato i bagagli all’agriturismo ed avevano proseguito per le terme, che distavano solo 5 chilometri dal posto dove avrebbero soggiornato.
Verso le sei del pomeriggio avevano lasciato le terme, piacevolmente stanche e rilassate ed avevano fatto ritorno all’agriturismo dove le aspettava una cena che si preannunciava appetitosa e di ottima qualità.
Per l’occasione si erano vestite eleganti e si erano truccate con cura, perché le donne tra i quaranta ed i cinquanta, come erano loro, non possono mai rischiare di essere acqua e sapone.
Elena aveva indossato un vestito nero scollato, che valorizzava il suo seno abbondante, Nadia, che era quella più sportiva, e portava quasi sempre pantaloni comodi, aveva optato per un vestito a fiori molto allegro e, una volta tanto, lei che era alta e non ne aveva certo bisogno, era ricorsa ai tacchi.
Silvia, che aveva sempre avuto un fisico da modella, si era presentata con una minigonna da urlo, molto corta ed attillata, il massimo per le sue bellissime gambe e per l’altrettanto interessante culetto rotondo e sporgente.
Solo Maria, si era messa i pantaloni, ma lei non l’avevano mai vista con la gonna, diceva che era troppo secca e non ci stava bene.
Avevano scoperto di essere le uniche persone nell’agriturismo e così, Amedeo e Andrea, padre e figlio, titolari di quella struttura, si erano dedicati per tutta la serata alle loro ospiti.
Avevano mangiato molto e bevuto anche parecchio, più di quello che erano solite fare, così verso la fine i loro discorsi si erano fatti un po’ vivaci.
Per tutta la serata avevano stuzzicato i due maschietti che si alternavano con le portate e quando erano sole i commenti su di loro si sprecavano.
A Silvia non piacevano, li trovava un po’ burini, e rideva della loro parlata un po’ dialettale, ma lei era sempre stata un po’ snob.
Le altre invece li trovavano carini e si erano messe a giocare se fosse meglio il padre, sulla sessantina, o il figlio, sui venticinque.
‘Il vecchio ti guarda le tette’, disse Nadia a Elena, ‘l’ho visto come sbircia nella tua scollatura’.
‘No, allungava gli occhi nella tua’, ribatté Elena.
‘Ti guardava anche il culo quando ti sei alzata per andare in bagno.’
‘Forse dieci o quindici anni fa, ora è troppo grosso, anche per uno uomo in là con gli anni.’
‘No, il culo te lo guardava il ragazzo, quello giovane.’
‘Io sono sicura che preferiscono il culetto di Silvia’, disse Maria.
‘Dai, piantala’, protestò Silvia che era sempre rimasta un po’ ragazza di buona famiglia, ‘Ormai non c’è granché da guardare.’
Proseguirono un pezzo su questo andazzo anche quando si spostarono nella saletta a fianco dove era stato acceso il camino.
Era l’inizio di ottobre e non faceva ancora freddo, però stavano in collina e la sera, un po’ di tepore risultava molto piacevole.
Poi, lentamente, il fuoco si affievolì e rimase solo la brace, mentre la stanchezza di una giornata passata fuori casa si affacciava.
Era il momento di andare a dormire nelle due stanze al piano di sopra che le aspettavano. Elena si svegliò con una strana sensazione: non rammentava di essere andata a dormire.
I suoi ricordi si fermavano a quel piacevole dopo cena, quando loro quattro erano rimaste a chiacchierare nella saletta dell’agriturismo, davanti al camino acceso.
Non ricordava di essersi struccata, né tanto meno di aver tolto il vestito ed indossato il pigiama, infatti era ancora vestita.
Una spiacevole sensazione di freddo e di scomodità stava attraversando le sue membra.
Si sentiva intorpidita, come se il suo corpo, senza forze, fluttuasse nell’aria, poi di colpo si rese conto di non essere nel letto.
Con la mano, istintivamente, aveva cercato di tastare il materasso e ‘
‘ pietra ruvida e umida, sono seduta in terra, appoggiata ad un muro.
Cercò di aguzzare la vista, ma l’ambiente era completamente buio, allora pensò di alzarsi per andare ad accendere la luce, ma le gambe sembravano non rispondere, come se fossero paralizzate.
Aiutandosi con le mani cercò di stendere la gamba sinistra e si accorse che qualcosa di incastrato impediva alla caviglia di muoversi.
Le dita tastarono delicatamente la pelle morbida dei suoi stivali e, con sua grande sorpresa, si rese conto che la caviglia era stretta da un robusto anello di ferro, da cui partiva una catena.
Proprio in quel momento qualcuno accese una luce.
Un tubo fluorescente, attaccato al soffitto, illuminò quello che si rivelò per Elena non la loro stanza da letto, regolarmente prenotata, ma un ambiente spoglio, umido e senza finestre, probabilmente una cantina.
Amedeo, il proprietario dell’agriturismo, che poche ore prima, insieme al figlio, si era prodigato nell’offrire a loro quattro una squisita ospitalità, oltre ad un’ottima cena, stava avanzando verso di lei.
Era vestito completamente di nero, maglione a collo alto e pantaloni, sorrideva ma in una maniera strana, che fece venire i brividi a Elena.
‘Ben svegliata, signora.’
Lei avrebbe voluto parlare, chiedere cosa accidenti stava succedendo, ma le sue labbra erano paralizzate come le gambe.
L’uomo si chinò su di lei, teneva in mano una piccola chiave che infilò in un lucchetto che teneva bloccato l’anello alla caviglia, e che Elena prima non aveva notato.
L’anello con la catena attaccata fece un tintinnio sinistro, cadendo sul pavimento di pietra mentre Amedeo la sollevava.
Lei sentì le mani, sotto le ascelle, che la tiravano su, le si piegarono le ginocchia e si trovò abbracciata a lui.
Ora la sua mente era tornata lucida e si rendeva conto che la faccenda stava prendendo una piega sempre più inquietante.
La fece camminare attraverso la stanza, pochi passi, in cui Elena trascinò i piedi, mentre lui la sosteneva.
Ebbe l’impressione che ne approfittasse per tastarle i seni, poi la lasciò ricadere su un vecchio divano sdrucito, poggiato vicino alla parete.
‘Allora, visto che ti sei svegliata per prima, comincerò da te.’
Si era inchinato ai piedi di Elena ed aveva iniziato a slacciarle gli stivali di pelle nera.
Le calzature caddero a terra con un piccolo tonfo e lui la costrinse di nuovo a rimettersi in piedi.
Le pietre del pavimento erano talmente umide che, attraverso lo strato sottile del collant, le sembrò di aver messo i piedi a mollo nell’acqua gelata.
L’uomo si sporse oltre le sue spalle e le aprì la lampo del vestito, poi iniziò a farlo scendere dalle spalle.
Elena ora era perfettamente lucida ma stordita ed incapace di reagire, capiva che lui la stava spogliando ma non era in grado di opporsi.
Il vestito le scivolò sui piedi, regalandole un brivido di freddo perché la cantina non era riscaldata, ma non ebbe tempo per ragionare perché subito dopo lui le slacciò il reggiseno.
Si fermò un attimo ad osservare i seni di Elena, morbidi ed abbondanti che, liberati dal sostegno del reggiseno, le si si erano poggiati mollemente sul busto, poi con un gesto improvviso, le diede una leggera spinta, mandandola di nuovo a sedere sul divano.
Elena fece un po’ di resistenza, ma i suoi movimenti erano troppo lenti e troppo deboli, per contrastare l’azione dell’uomo, e così, lui prima le sfilò il collant, poi le tolse anche lo slip, lasciandola completamente nuda.
La costrinse ad alzarsi per l’ultima volta, ora stava dietro di lei, che sentiva il bacino dell’uomo premerle contro le chiappe nude, mentre le mani le avevano afferrato i seni.
‘Elena, ti chiami Elena vero? Lo visto sul tuo documento. Sei una bella gattona morbida e calda, sono sicuro che ci divertiremo molto.’
Le parole dell’uomo le avevano tolto ogni dubbio sulle sue intenzioni e il freddo che colpiva la sua pelle nuda, le diede un po’ di vigore per cercare di contrastare la sua spinta.
La stava spingendo infatti verso il lato opposto della cantina, dove c’erano quattro sgabelli alti con la spalliera, di quelli usati nei bar.
Elena puntò i piedi ma Amedeo era forte e le piante nude, a contatto con le pietre umide, scivolavano, rallentando solo il movimento, che continuava inesorabile, poi lui le strizzò un attimo i capezzoli, come per farle capire chi comandava, ed Elena si lasciò trascinare via senza più opporre resistenza.
La issò di peso sul primo sgabello e lei trasalì quando le chiappe e le cosce vennero a contatto con il metallo freddo della seduta, mentre lui, dopo averle passato le braccia dietro alla schiena le legava alla spalliera, per impedirle così di scendere. Le mostrò uno strano aggeggio nero, che sembrava una torcia elettrica, ma all’estremità, invece della lampadina, si allargava con una forma sferica, ricoperta di gomma.
‘Su, allarga le cosce!’, le disse con tono imperioso, accompagnando le parole con una decisa pressione sulle ginocchia, che costrinse Elena ad aprire le gambe.
Con due dita le allargò l’apertura della vagina e ci ficcò dentro la parte terminale di quell’affare, che posò sul piano di metallo dello sgabello.
‘Ferma così, adesso lo fissiamo’, disse mentre tagliava con i denti un pezzo di robusto nastro adesivo.
Una volta fissato il primo pezzo ne tagliò degli altri e controllò alla fine che quel coso nero non si potesse muovere, poi azionò un piccolo interruttore sulla parte posteriore che Elena non aveva notato prima e fu tutto chiaro.
Il ronzio leggero ruppe il silenzio della cantina, ma quello che fece fare ad Elena un autentico sobbalzo, non fu il rumore ma la vibrazione.
‘Oddio, no ‘ per favore ‘ non può ‘.’
Cercò di sollevare il sedere per sottrarsi al vibratore, poggiando i piedi scalzi sull’anello cromato che circondava lo sgabello, ma riuscì a rimanere in equilibrio solo pochi secondi, poi un piede scivolò e ricadde pesantemente sul sedile.
Amedeo le voltò le spalle e tornò nell’angolo in ombra della cantina dove si trovavano le altre tre.

Bene, pensò lui, la prima è sistemata, ora occupiamoci delle altre, devo far presto.
Non era la prima volta che faceva un servizio del genere alle ospiti dell’agriturismo, ma non gli era mai capitato di trattare quattro donne contemporaneamente.
In genere si era occupato di due persone alla volta, ed aveva tutto il tempo di sistemarle a dovere, prima che passasse l’effetto della droga che aveva mischiato nella cena o nel vino.
Quattro insieme invece erano un rischio, ma un paio di quelle donne le trovava particolarmente interessanti, così aveva deciso di tentare comunque.
Erano le due più stagionate quelle che lo attraevano di più, la prima l’aveva appena fatta accomodare sullo sgabello, con le sue tettone un po’ mosce e le chiappe forti e rotonde aveva già iniziato ad assaggiare il vibratore.
L’altra era quella secca, con i capelli scuri lunghi, venati da certi riflessi rossicci. Non era bellissima di faccia, ma sotto la minigonna aveva un gran paio di gambe, e poi, nel modo di fare, aveva un qualcosa di irresistibilmente intrigante.
Ma di lei e della biondina minuta, si sarebbe occupato dopo, ora doveva sistemare la rossa.
Era una ragazzona robusta, non grassa, ma alta più di lui, le spalle larghe e le gambe ben modellate, ma non si poteva certo definire un tipo filiforme. A cena aveva indossato un vestito a fiori molto allegro e scollato, che faceva intuire due belle tettone, appena più piccole di quelle di Elena, che già occupava il primo sgabello, ma decisamente più toniche.

Quando Nadia si svegliò, le prima cosa che avvertì, oltre al freddo, fu un ronzio leggero, che veniva dall’altra parte della stanza.
Gli occhiali, accidenti, dove sono finiti?
Era miope e non se ne separava mai, tranne che quando andava a dormire.
Li cercò invano nella scollatura, poi iniziò a tastare intorno, ma incontrò solo il pavimento umido.
A fianco a lei c’erano Maria e Silvia, appoggiate al muro, e sembravano entrambe addormentate.
Cercò di aguzzare la vista, dall’altra parte dello stanzone c’era Elena. Stava seduta su uno di quegli sgabelli alti, che si usano nei bar e ‘
No, non può essere, pensò. Invece sì. La sua amica era completamente nuda, se ne stava a gambe larghe, appollaiata e si muoveva come se avesse prurito alla schiena, almeno questa fu la sensazione che ebbe Nadia, osservando la scena senza occhiali.
Era così presa dal tentativo di capire cosa stesse combinando Elena, che non aveva notato Amedeo.
Le scappò un grido di sorpresa quando lui le toccò la caviglia per liberarla dalla catena.
La mise in piedi senza dirle nulla, poi la prese per un braccio ed iniziò a tirarla verso il luogo dove si trovava Elena.
Nadia, che era ancora parecchio stordita, incespicò dopo due passi e sarebbe finita a terra, se lui non l’avesse sostenuta.
Le passò un braccio sotto le ascelle e cominciò a trascinarla.
Lei perse prima una scarpa, poi, l’altra, e proseguì trascinando i talloni sul pavimento, mentre lui ne approfittava per palpeggiarle i seni.
Passarono ad un metro da Elena, e da quella distanza Nadia non poté fare a meno di comprendere la situazione.
La sua amica aveva un vibratore nero piazzato nella vagina, respirava rumorosamente a bocca aperta ed era tutta bagnata.
Sì, i folti peli scuri che circondavano il suo sesso semi aperto erano completamente zuppi, mentre il ventre si muoveva ritmicamente.
Amedeo iniziò a spogliare anche Nadia, lei cercò di fermargli le mani, ma era troppo debole per ottenere qualcosa, così si ritrovò sbattuta sul divano, mentre l’uomo le ficcava le mani in mezzo alle cosce per toglierle calze e mutandine.
Praticamente neanche provò a lottare, l’uomo vinse subito le sue deboli resistenze e Nadia si ritrovò in men che non si dica, completamente nuda come la sua amica.

Lui la osservò bene, aveva quell’aria svagata ed un po’ smarrita, che hanno i miopi quando hanno perso gli occhiali.
è inutile che cerchi di coprirti con le mani la fica e le tettone, pensò, mentre l’aiutava a salire sullo sgabello a fianco di quello di Elena.
Si mise a sedere docile docile e non fece resistenza neanche quando lui la costrinse a mettere le braccia dietro la schiena, poi però, quando le mostrò un vibratore identico all’altro già in azione, le donna serrò le ginocchia.
Si girò un attimo verso Elena, che ora ansimava forte.
Era un piacere vedere il suo viso non più giovane, segnato da qualche ruga, contratto in una espressione di sforzo e di piacere allo stesso tempo. Aveva gli occhi scuri spalancati, la bocca aperta ed una ciocca di capelli scuri e ricci che le ricadeva sul naso mentre il busto sembrava scosso da fremiti sempre più forti.
Si mise dietro di lei e le passò le mani sui seni.
I suoi capezzoli erano duri e sporgenti e quando glie li strofinò con il palmo delle dita, iniziò a gemere.
‘Ti piace da morire, vero? Ma è solo l’inizio.’
Le mani si staccarono dai seni, scivolarono in basso sui fianchi ed iniziarono a carezzarle le natiche, mentre lei inarcava la schiena.
‘Tranquilla, ripasso dopo, ora devo occuparmi della tua amica.’

Nadia, immobile e con le ginocchia serrata, osservava la scena, preoccupata e spaventata.
I lunghi capelli ricci e rossicci le coprivano quasi interamente le tettone ed i capezzoli spuntavano fuori tra una ciocca e l’altra.
Lui accese il secondo vibratore e cominciò a strofinarle delicatamente i capezzoli.
Bastò poco per farli diventare rossi e gonfi, ma lei teneva duro, si vedeva che le piaceva, ma doveva aver capito che era una tattica per farle allargare le gambe.
Ad un certo punto si stufò, lasciò perdere i capezzoli di Nadia, le allargò a forza le cosce e glie lo ficcò dentro acceso.
Lei, istintivamente, richiuse le gambe, ma ormai la sfera anteriore le era entrata tutta dentro e Amedeo, svelto, ne approfittò: prese il rotolo del nastro adesivo e gli fece fare diversi giri intorno alle cosce, tirando bene.
Bene, ora vado a prendere la terza, la biondina magra.

Maria dormiva ancora profondamente e non si accorse di nulla. Lui, dopo aver sciolto la catena, se la caricò in spalla, come se fosse un sacco e la trasportò dove si trovavano le prime due.
Non pesa molto di più di un sacco di grano, pensò mentre la depositava sul divano ed iniziava a spogliarla.
Era l’unica delle quattro con i pantaloni e faticò non poco, dopo averle tolto gli stivaletti con il tacco alto, a sfilarglieli, perché erano molto attillati.
La donna si svegliò proprio mentre le levava le mutandine.
E tre, pensò mentre la metteva di peso sul terzo sgabello.

Maria, al contatto del metallo freddo del sedile sulla sua pelle, aprì gli occhi si trovò a guardare Nadia seduta a due metri da lei.
Era completamente nuda ed aveva le cosce legate insieme da diversi giri di nastro adesivo, più in là c’era Elena, anche lei senza vestiti, seduta a cosce larghe.
Le due amiche si muovevano sui loro sedili e capì il perché osservando meglio in mezzo alle gambe di Elena.
Era seduta su quello che era sicuramente un grosso vibratore nero. Ricordò che una sua amica dell’università ne aveva uno molto più piccolo, ma lei non ne aveva mai voluto sapere di provarlo.
E Silvia? Che fine aveva fatto?
Poi il suo sguardo scese in basso.
Accidenti ma sono nuda anch’io e qualcuno mi sta legando le braccia dietro la schiena, pensò preoccupata.
Poi comparve Amedeo che teneva in mano un vibratore identico a quello che stava tra le gambe di Elena, e probabilmente anche Nadia, tra le cosce legate insieme dal nastro isolante, doveva averne un altro uguale.
Cominciò a gridare, mentre l’uomo piazzava il vibratore sul piano dello sgabello, attaccato alla sua vagina.

è proprio minuta la biondina, pensò lui, gambe secche, con polpacci appena accennati e le coscette magre magre. Poche tette e poi guarda che fichetta, sembra quasi una bambina.
Sotto un accenno di peluria bionda depilata da poco, c’era uno spacco piccolo e sottile, se non avesse letto prima la data di nascita sul documento, avrebbe pensato di trovarsi davanti ad una quattordicenne.
Poi guardando bene il viso ovale, truccato con cura e con i capelli lunghi e lisci tirati indietro, si tranquillizzò.
Mise in moto il vibratore e Maria si sollevò facendo come Elena all’inizio: i piedi si poggiarono sul cerchio cromato staccando il sedere dallo sgabello.
A differenza di Elena, la biondina sembrava più reattiva e più leggera, avrebbe resistito a lungo, ma lui non aveva fretta.
La lasciò in quella scomoda posizione e si preparò a prendere in consegna l’ultima.

Silvia era sveglia già da un paio di minuti, ma aveva preferito non farlo capire a quello che sembrava essere il loro carceriere.
Anche se abbastanza stordita, il suo cervello funzionava bene e si rese conto che l’unica possibilità di fuga era prendere di sorpresa l’uomo, quando le toglieva la catena alla caviglia.
Non sapeva se sarebbe riuscita a neutralizzarlo, se c’erano altri uomini pronti ad accorrere in suo aiuto, ma altri piani non ne aveva e doveva provare.
Aspettò che lui aprisse il lucchetto e poi scattò su come una molla, almeno questa era la sua intenzione, ma non aveva fatto i conti con la droga che Amedeo aveva fatto bere a tutte e quattro.
In mezzo alla parete opposta c’era una porta di ferro, se non era chiusa forse poteva scappare da lì ed andare a chiedere aiuto.
Lui fu preso effettivamente di sorpresa e quando Silvia si alzò di scatto e lo spinse di lato, non riuscì a reagire prontamente, ma fu la successiva corsa verso la salvezza che si rivelò un disastro.
Forse erano i tacchi troppo alti, forse la minigonna troppo attillata, oppure quella debolezza e quel torpore che la presero come provò a correre, insomma non fece neanche due metri prima di essere acciuffata..
L’afferrò per la giacca, Silvia sentì il rumore secco della stoffa che si strappava e si trovò tra le braccia di Amedeo.
Provò a colpirlo con dei pugni ma ebbe l’impressione di fargli a malapena il solletico, poi lui la strinse forte a sé, togliendole il respiro e la sollevò di peso.
Anche quando si ritrovò sbattuta sul divano, continuò a fare resistenza, tentando di afferrarlo, di scalciare, ma con scarsi risultati.
Alla fine si ritrovò nuda come le altre tre, ma con i vestiti fatti letteralmente a brandelli.
Era stanca, completamente sfinita, dopo tutta questa lotta che si era rivelata totalmente vana e quando lui la issò sull’ultimo sgabello, rimase completamente immobile.
Si lasciò legare la braccia senza fare un fiato e non reagì neanche quando lui le sistemò il vibratore e poi lo accese.
Come ultima azione Amedeo si allontanò un po’ e si mise in una posizione più o meno equidistante dai quattro sgabelli, poi li fece ruotare leggermente in modo che ognuna di loro potesse vedere le altre.
‘Signore care, benvenute nel mio stabilimento termale, sono sicuro che tornerete a casa tonificate e, soprattutto, stimolate a dovere’. Si guardò il colpo d’occhio di quelle quattro donne nude e legate agli sgabelli e pensò quanto ci sarebbe voluto ancora per farle crollare.
Le prime due, quelle più in carne, erano a buon punto, mentre la terza, la biondina secca, teneva duro, se ne stava con in piedi sullo sgabello con le gambe tese, ma si vedeva che i muscoli si cominciavano a stancare e fra un po’ sarebbe stata costretta ad atterrare sul piano dello sgabello e beccarsi la sua brava razione di vibratore.
L’ultima invece era immobile, seduta tranquillamente come se fosse insensibile. Che fosse frigida? Si era chiesto. No, osservandola meglio, l’aria seria ed assorta testimoniava che stava resistendo, la sua mente cercava di contrastare le pulsioni del suo corpo, ma lui sapeva che era una battaglia persa in partenza. Meglio così, quando crollerà ci sarà da divertirsi.
Si avvicinò ad Elena da dietro. Si vedeva che era prossima all’orgasmo, ormai non riusciva più a nascondere i gemiti che le uscivano dalle labbra aperte ed era tutta bagnata.
‘Allora, gattona, ci sei quasi, vero?’
Le carezzò le chiappe, poi spostò le mani sui fianchi ed infine sul ventre morbido della donna.
‘Per favore …’
‘Per favore cosa? Vorresti che te lo ficcasi dentro, vero?’
Le dita dell’uomo scesero più in basso, la pancia ed i peli pubici della donna erano zuppi.
‘Hai una fica grande e bagnata e non vedi l’ora di venire vero?’
Con il palmo della mano le spinse il ventre contro il vibratore, sentì il cambio di tonalità della vibrazione e lei sussultò, allora iniziò a sfregare la mano contro le labbra gonfie ed aperte di Elena.
Ora lei gridava, le sembrò anche di avvertire il contatto del clitoride sul palmo della mano, poi Elena rovesciò la testa all’indietro e raggiunse il suo primo orgasmo.
Lo schizzo uscito dal sesso della donna gli riempì la mano e lui se l’asciugò sulla cosce di Elena e passò oltre.
‘Per favore, ora me lo tolga …’
‘Tranquilla, hai appena cominciato.’
Si dedicò alla seconda, la ragazzona dai capelli rossi.
Nadia, con le cosce legate insieme, si muoveva di continuo sul sedile dello sgabello, gemendo disperatamente.
Quando vide il coltello in mano all’uomo, si immobilizzò spaventata, lui tagliò il nastro adesivo tra le cosce e lei finalmente poté aprire le gambe.
Prese al volo il vibratore, prima che cadesse in terra e glie lo passò sui capezzoli.
Ora erano così duri e gonfi, che sembravano voler schizzare via, ma bastarono poche passate di vibratore per farli diventare ancora più sporgenti.
Nadia cercava di sottrarsi al contatto, ma la schiena, a contatto con la spalliera dello sgabello, rendeva vani i suoi tentativi.
Mentre una mano continuava ad usare il vibratore, con l’altra cominciò a toccarla in mezzo alle cosce.
Nadia venne subito, con un gemito prolungato, allora lui spense il vibratore, glie lo piazzò sul piano del sedile a contatto della vagina della donna.
Dopo aver fissato il vibratore con il nastro adesivo ed averlo acceso nuovamente, passò alla terza, la biondina.
Maria aveva osservato terrorizzata la scena e quando Amedeo le si avvicinò ebbe un sussulto.
‘Allora, biondina, vuoi rimanere così fino a stasera?
Sicura di riuscirci?
E poi fai un cattivo servizio alle altre, perché rimarrete tutte e quattro sedute finché …’
Non finì la frase, ma il sorriso che gli comparve sulle labbra, valeva più di cento parole.
Ora era dietro di lei. Maria sentiva il fiato dell’uomo sul collo mentre continuava a parlare a voce più bassa.
‘Cosa c’è, la tue fichetta è troppo delicata per il vibratore?’
Ora le mani di lui la stavano toccando. Esploravano lentamente il suo corpo nudo, come se volessero strapparle qualche emozione.
Le sfiorarono i seni piccoli, quasi piatti, pizzicandole i capezzoli, poi scesero sui fianchi, sul ventre appena arrotondato.
Maria ebbe un sobbalzo solo quando si sentì carezzare l’accenno di peluria bionda, lasciato dall’ultima depilazione.
Un dito passò leggero, dall’alto verso il basso, sulla labbra serrate della sua vagina e lei sobbalzò ancora più forte.
‘Oh, ma come è secca la tua fichetta. Dobbiamo farla bagnare.’
Il dito passò di nuovo risalendo, con un po’ più di pressione, e le entrò leggermente dentro.
Poi una nuova passata verso il basso ed un’altra ancora a risalire.
Ad ogni nuovo passaggio il dito entrava più in profondità, poi le dita divennero due.
Maria ora vacillava mentre iniziava a sentirsi bagnata, ma il peggio doveva ancora venire.
Amedeo si fermò ed iniziò una piccola esplorazione.
Lo trovò subito, nonostante fosse molto piccolo, perché quando lo sfiorò, Maria non riuscì a trattenere un grido soffocato.
E allora prese a stuzzicarlo.
Lei, in equilibrio precario, con le punte dei piedi poggiate sul cerchio di metallo cromato alla base dello sgabello, oscillava e ansimava.
‘No ‘ per favore ‘ lì nooo ‘.!’
Perse l’equilibrio ed atterrò anche lei sul vibratore.
Amedeo le allargò delicatamente i bordi della vagina per farla aderire meglio alla sfera del vibratore e passò all’ultima.

‘Non ti avvicinare, brutto maiale!’
Silvia aveva gridato con quanto fiato aveva in corpo, come se questo fosse sufficiente a scongiurare per lei il trattamento che era stato riservato alle sue amiche.
Se ne stava immobile, seduta sul vibratore, come se non lo sentisse, ma se si osservava bene, si notava che era bagnata fradicia.
Si avvicinò per osservarle la vagina da vicino.
Si vedeva benissimo che lei era imbarazzata, da giovane doveva essere stata una di quelle ragazze che arrossiscono solo a nominare il sesso.
‘Hai una fica bella grande.’
Silvia, di istinto chiuse le gambe, ma le riaprì subito perché l’effetto del vibratore così si faceva più forte.
Amedeo si avvicinò ancora, ora il suo viso era vicinissimo al ventre della donna.
‘Eppure sento già l’odore della femmina in calore.’
La stava sfottendo, ma lei doveva resistere.
Cominciò a toccarla.
‘Ma che bella pelliccia.’
Silvia non amava depilarsi, lo faceva con moderazione solo prima dell’estate, ma quel tanto che bastava a non far spuntare i peli da sotto al costume da bagno ed ora erano ricresciuti belli folti.
Affondò le dita nel ciuffo di peli neri e ricci mentre con l’altra mano carezzava le labbra scure e sporgenti.
‘Basta ‘ basta!’
Doveva essere al limite, sarebbe bastato un niente per farla cedere, ma lui aveva tempo ed anche una discreta voglia di giocare con lei.
Più la tiro per le lunghe e migliore sarà la tua resa, pensò, mentre continuava a toccarla.
La sua mano entrò in profondità e ripete l’esplorazione che aveva fatto poco prima con Maria.
Lo trovò subito, sarebbe stato impossibile mancarlo date le dimensioni ragguardevoli e gli bastò sfiorarlo per capire quanto fosse gonfio e sensibile, ma decise di aspettare ancora un po’.
La lasciò tranquilla e si guardò lo spettacolo delle altre tre.
La prima ormai era cotta a puntino, sembrava sfinita e dalle sua labbra oltre a gemiti profondi, uscivano frasi smozzicate, chiedeva di spegnere quel coso, di essere tolta da lì, poi, ad un certo punto smise di parlare, rovesciò la testa indietro ed emise un grido di piacere lungo e profondo.
La seconda aveva perso lo sguardo spaurito del miope, i suo occhi erano molto più vivaci e le sue tettone tonde e sode oscillavano insieme ad i suoi ricci rossi, mentre si strofinava selvaggiamente sul vibratore.
La biondina, che così tanto aveva resistito prima di sedersi, sembrava anche lei sulla giusta strada.
Si mise alle spalle di Silvia e le carezzò i seni.
‘Ma che carine.’
‘Ma lasci immediatamente!’
Si pentì subito della frase detta, ma che ridicola che sono, questo può farmi quello che gli pare.
‘Allora, hai proprio deciso che non ti vuoi rilassare?’
Le tolse le mani dai seni e Silvia sentì il tocco delle sue dita prima sui fianchi, poi sul sedere.
‘Che bel culetto tondo. Allora, me lo vuoi dire il tuo punto debole, o devo scoprirlo io?’
‘Aiuto, ma che fa?’
Le aveva infilato un dito in mezzo alle natiche e lo stava spingendo dentro.
‘Ah, l’ho trovato, vero?’
‘Ahi, no, per favore ‘ la prego …’
‘Brava, vedo che ti stai facendo più educata.’
Il dito le aveva allargato l’ano e si era spinto in profondità.
‘Così è più eccitante vero?’
Le dita erano diventate due.
Ma la situazione precipitò quando Amedeo, senza toglierle le dita da dietro, riprese a toccarla con la mano libera.
Andò a colpo sicuro sul clitoride di Silvia che non se l’aspettava proprio.
‘No, no, nooo …’
La voce si trasformò in un gemito e lei cedette di colpo.
Ora si muoveva sul sedile dello sgabello avanti e indietro e le dita entravano ed uscivano dal suo culetto con Amedeo che un po’ ne assecondava il movimento, per evitare che si sfilassero completamente.
Silvia venne quasi subito e fu l’ultima delle quattro, perché poco prima anche la biondina, a giudicare dalle grida, doveva aver raggiunto l’orgasmo.
Era giunto il momento di riportarle al loro posto, per ora.
Cominciò da Elena che respirò profondamente quando lui spense il vibratore.
Dovette aiutarla a scendere perché era veramente sfinita, d’altra parte era stata la prima e quindi si era beccata il vibratore per più tempo delle altre.
Quasi le cadde addosso quando scese dallo sgabello, sentiva le sue tettone premergli contro il petto e le passò un braccio dietro le spalle per non farla cadere.
Elena si sedette in terra e si fece rimettere la catena alla caviglia, mansueta come un agnellino.
Le avvicinò un secchio di metallo con il manico.
‘Finché sarete qui questo sarà il vostro bagno.’
Elena lo guardò con aria interrogativa e lui la fece sollevare e le piazzò il secchio sotto al sedere.
A lei non restò altro che sedersi e farla davanti a lui.
Una dopo l’altra recuperò anche le altre.
Avevano un’aria stanca ed anche abbattuta, perché ora cominciavano a rendersi conto dell’umiliazione subita.
In particolare Silvia sembrava aver perso quell’aria di superiorità che aveva poche ore prima, durante la cena. L’aveva sentita mentre rifaceva il verso a lui ed a suo figlio.
Vedrai come ti sistema per le feste questo burino, pensò mentre lei, a testa bassa, con le mani davanti alla fica, andava a raggiungere le sue amiche.
Ed era ancora più abbattuta, quando, con le mani poggiate sul bordo del secchio era sta costretta pisciare davanti a lui.
Amedeo le salutò, spense la luce ed uscì da lì.
L’ultima cosa che le quattro donne sentirono, fu la porta di ferro che si chiudeva, e la serratura azionata da fuori. La prima a riuscire a parlare fu Elena.
La loro era stata un’esperienza molto dura e la cosa più preoccupante era che sembrava solo all’inizio.
‘Cosa ci vuol fare questo?’
‘Ci ammazza, alla fine ci ammazza’, aveva risposto piangendo Maria.
‘Mi serve di nuovo il secchio’, aggiunse Silvia.
Le catene che le tenevano legate al muro erano corte, così dovettero passarglielo, perché lei, da dove si trovava, non poteva raggiungerlo.
Il contenuto puzzava in una maniera disgustosa e Silvia, quando si abbassò, scivolò con i piedi nudi sulle pietre umide e per poco non ci cadde dentro.
‘Ho freddo’, disse Nadia e si accostò ad Elena.
Lo stesso fece Maria con Silvia e rimasero così, nude ed abbracciate, nella cantina buia, ad aspettare.
Amedeo non si fece aspettare molto.
‘Care signore vi ho portato il pranzo.’
Lasciò in terra, davanti al loro, un secchio più piccolo di quello che avevano usato per altre faccende, con dentro un mestolo ed una bottiglia d’acqua.
Mangiarono la minestra fredda, con la pasta scotta e ricresciuta, usando a turno il mestolo e bevvero l’acqua attaccandosi alla bottiglia e l’uomo ricomparve proprio quando avevano finito.
‘Bene, signore, ora che vi siete rifocillate, possiamo continuare il programma.’
‘Programma?’, chiese Nadia che aveva ripreso lo sguardo sperduto del miope.
‘Il vostro addestramento.
Questa volta cominciamo da te’, disse rivolto a Silvia.
‘Su alzati.’
Si mise in piedi a fatica, era stanca ed intirizzita, ma aveva perso la volontà di ribellarsi, così si fece portare di nuovo dove si trovavano quei maledetti sgabelli.
La fece mettere vicino al muro con le braccia tese in avanti e le palme delle mani poggiate contro la parete.
‘Su, allarga le gambe.’
Le dovette dare una sculacciata perché lei ubbidisse.
‘Prima hai avuto un piccolo assaggio, ora faremo le cose per bene.’
Le passò intorno alla vita una catena, più sottile di quella che fino a poco prima l’aveva tenuta imprigionata per la caviglia.
Lei non vedeva ma lui continuava a parlare per spiegarle ogni cosa.
‘La catena serve per tenere questo giocattolino, che ti manterrà il culetto in forma.’
Sporse una mano verso di lei. Nel palmo c’era un cilindro di metallo lucente, di diametro leggermente più piccolo del vibratore, una estremità terminava arrotondata, come se fosse l’ogiva di un proiettile, mentre l’altra era piatta, ed aveva un anello per appenderlo.
‘Durante i trattamenti, stazionerà nel tuo culetto, quando tornerai al tuo posto, se vuoi, potrai anche togliertelo, ma te lo porterai comunque appresso, attaccato alla catena.
Ora se fai la brava, ci metto un po’ di vasellina sopra prima di infilartelo nel culo, altrimenti, se fai storie, te lo ficco così, nudo e crudo.
Capito?’
Silvia non rispose.
‘Capito?’, ripeté più forte.
‘Sì, sì, va bene.’
Beh, si era aspettata peggio, invece il cilindro, forse perché ben levigato o forse perché cosparso di vasellina, era entrato facilmente.
Il peggio venne quando fu costretta a camminare fino allo sgabello, perché dovette procedere piano e con molta cautela, ma lui, che la osservava soddisfatto, non le mise fretta.
Salì da sola sullo sgabello, con un ultimo sforzo, tradendo una smorfia di dolore ed aspettò che lui le legasse le braccia.
Amedeo le sistemò il vibratore e lo azionò.
Silvia scoprì che quell’aggeggio aveva più di una velocità e si accorse anche che era rimasta discretamente sensibilizzata dal primo trattamento.
La vibrazione più energica, unita a quel cilindro conficcato dietro, fecero subito effetto, lei infatti iniziò subito a respirare rumorosamente a bocca aperta, e Amedeo le passò un dito sulle labbra.
‘Brava, vedo che cominci ad imparare.’
La lasciò sullo sgabello e tornò indietro.
Maria, che aveva visto tutto, tentò di aggrapparsi alla catena, per non farsi portare via, ma le mani le scivolarono sul ferro umido e Amedeo la trascinò.
Faticò un po’ a sistemarle la catena alla vita perché lei non si reggeva in piedi per la paura e le gambe le si piegavano.
Alla fine la lasciò in ginocchio con la fronte poggiata alla parete.
Lei si lamentò parecchio mentre cercava di far entrare il cilindro di metallo, poi la prese per un braccio e la portò al suo sgabello.
Maria camminava a gambe larghe e con evidente difficoltà e fu costretto a metterla e sedere di peso.
Diede un’occhiata a Silvia, ora non stava più così rigida come la volta precedente ed il suo corpo si muoveva come se stesse accompagnando una strana danza, con la testa che ondeggiava facendo descrivere ai suoi lunghi capelli delle curiose traiettorie.
Accese il vibratore di Maria e tornò indietro per prendere la prossima.
Nadia, a causa della miopia, aveva visto ben poco, però Elena aveva cercato di spiegarle cosa le sarebbe capitato.
Delle quattro era quella che sembrava aver sopportato meglio il primo trattamento, già è una ragazzona robusta, forse anche troppo, pensò Amedeo.
Una volta liberata della catena alla caviglia, avrebbe potuto cercare di combinargli qualche brutto scherzo, ma si sbagliava, perché si fece portare docilmente e altrettanto docilmente si appoggiò al muro con le gambe larghe.
I guai cominciarono quando le mostrò il cilindro di metallo.
Evidentemente se lo aspettava più piccolo ed ebbe una reazione inaspettata e decisa.
Amedeo faticò non poco a contenerla, perché era giovane e robusta, ma alla fine riuscì a farla cadere a terra con uno sgambetto.
Fece un bel tonfo sul pavimento e lui le fu subito sopra per impedirle di rialzarsi.
‘Peggio per te, ora te lo becchi senza vasellina.’
Nadia si mise a gridare mentre lui con una mano le allargava le chiappe e con l’altra spingeva e ruotava il cilindro di metallo per farlo entrare.
Alla fine anche la terza, dolorante e piangente, prese il suo posto sullo sgabello, e il ronzio del suo vibratore si aggiunse a quello delle altre due.
Restava solo Elena che, rintanata nell’angolo della cantina, aveva assistito a tutto.
Delle quattro, era quella che era uscita più provata dalla prima seduta ed ora, complice la paura di farsi sfondare dietro dal cilindro di metallo faceva veramente fatica a camminare.
‘Che gli prende alla mia bella gattona? Non mi dire che sei già stanca. E pensare che per il tuo bel culone avevo scelto un cosino più grande rispetto alle altre.’
Non era vero, i cilindri erano tutti uguali, ma aveva capito la paura di Elena e voleva un po’ divertirsi.
‘Che ne dici, me lo faresti un bel pompino, in cambio di un po’ di vasellina su questo?’, le disse mostrandole il cilindro.
‘Sì, sì!’, gridò lei sempre più disperata.
Lui scoppiò a ridere, la fece appoggiare al muro come le altre, e le infilò il cilindro, dopo averlo ben lubrificato.
Elena era rassegnata e si aspettava che lui si aprisse i pantaloni e la facesse inginocchiare, invece la riaccompagnò al suo sgabello.
Erano allo stesso punto della mattina, con in più quel dannato cilindro piantato dietro che faceva discretamente male se si muovevano e aumentava la loro sensibilità.
E poi nel cibo che avevano mangiato forse c’era qualche droga, perché si sentivano strane.
Si prese una sedia e si mise comodo di fronte a loro, a godersi lo spettacolo.
Ogni tanto si alzava e si avvicinava ad una di loro, a volte le toccava per aumentarne l’eccitazione quando aveva l’impressione che la loro concentrazione diminuisse, oppure le diceva qualcosa nell’orecchio.
Nei loro sguardi c’era una stanchezza profonda, ma era impossibile per le poverette riposare perché i vibratori continuavano il loro lavoro implacabile. Se all’inizio qualcuna di loro era riuscita per un po’ a sollevarsi ed evitare che quell’aggeggio ravanasse nelle loro parti intime, ora, con le energie ridotte al lumicino, se ne stavano inerti ad aspettare l’orgasmo che immancabilmente sarebbe arrivato.
Lo capiva dalle smorfie dei loro visi quando accadeva, e allora, per pochi secondi sembravano rianimarsi, gemevano, gridavano, poi tacevano e rimaneva solo il ronzio del vibratore che scavava, scavava, e ricominciava tutto da capo.
Fece smettere per prima Silvia, lui era un tipo meticoloso: la prima che cominciava era anche la prima a finire.
Tremava e non si reggeva in piedi.
Lei si strinse a lui, un po’ per non cadere, un po’ in cerca di tepore, perché nella cantina faceva freddo, ma anche perché (era duro per lei ammetterlo) si stava sottomettendo a lui, come un cagnolino.
Una volta aveva letto un racconto di una donna che si sottometteva ad un, come si chiamava, ah sì, master, si diceva così. Tutte fesserie, aveva pensato, invece ora, quando il suo corpo nudo e stanco si era appoggiato a quello di lui, aveva capito che stava succedendo proprio una cosa del genere.
Lui le carezzò la schiena magra, poi la mano scese in basso e trovò la catena intorno alla vita a cui era attaccato il cilindro di metallo.
Le dita scesero ancora lungo il pezzo di catena che le passava in mezzo alle chiappe e le toccò il sedere.
Lei ebbe un sussulto.
La mano scese ancora, sentì la parte terminale del cilindro che le spuntava fuori e proseguì verso il davanti.
Silvia cominciò a gemere mentre con le dita le massaggiava la fica completamente aperta e gocciolante.
‘Basta ‘ per ‘ favore ”
‘Va bene, per oggi può bastare’, le disse mentre la riaccompagnava al suo posto.
Una dopo l’altra le accompagnò al punto dove avrebbero passato la notte e durante il tragitto si divertì a toccarle, per vedere come reagivano.
Stavano cedendo: il freddo, lo stare nude, le continue umiliazioni e passare ore ed ore con un vibratore che le stimolava fino all’orgasmo, ancora poco e non sarebbe stato più necessario legarle.
Si aiutarono l’una con l’altra per sfilarsi i cilindri di metallo e si precipitarono sul secchio.
Lui le osservò da vicino, ormai erano così abbrutite e disperate, che non si vergognavano più di fare i loro bisogni davanti a lui, neanche Silvia che gli era sembrata all’inizio quella con più la puzza sotto al naso.
Portò via il secchio ormai pieno e disse loro che sarebbe tornato con la cena.
Tornò con due secchi, quello piccolo con la stessa minestra, che ormai si era completamente raggrumata, e quello grande, vuoto per le prossime ore.
Mangiarono svogliatamente e poi, sfinite, si addormentarono l’una addosso all’altra, nel tentativo di scaldarsi, pensando a cosa altro avrebbe escogitato quell’uomo l’indomani. Per Elena era stata una notte orribile: completamente nuda, sdraiata sul pavimento freddo ed umido, in preda a mille pensieri terribili, aveva dormito poco e male.
Il suo sonno era stato turbato ed interrotto da brutti sogni, quasi degli incubi.
Nel peggiore che ricordasse era nuda ed incatenata ad una staccionata all’interno di una stalla, in mezzo a decine di mucche.
Le sue gambe affondavano fino alle ginocchia nello sterco fresco degli animali.
Poi erano arrivati, tanti uomini vestiti di nero che si avvicinavano a lei, si aprivano i pantaloni e la scopavano.
Avanti, dietro, uno finiva ed un altro subito arrivava a prenderne il posto.
Lei gemeva di piacere e loro ridevano, la chiamavano vacca e troia e intanto continuavano a scoparla.
Ad un certo punto erano spariti e ne era rimasto solo uno.
L’aveva costretta ad inginocchiarsi, lei non voleva per via dello sterco delle mucche, ma lui era forte e l’aveva spinta giù.
Ora sentiva il fetore atroce dello sterco che le era arrivato fin quasi all’inguine, aveva aperto la bocca per protestare e lui, rapido glie lo aveva ficcato dentro.
Si era svegliata proprio in quel momento e si era trovata di fronte Amedeo.
‘Su, sveglia, che oggi abbiamo molte cose da fare.’
Le tolse la catena alla caviglia e la fece alzare.
‘Devo …’, disse lei indicando il secchio.
‘Fai pure.’
Elena si accucciò sul secchio maleodorante e fece appena in tempo a prendere in mano il cilindro che le pendeva tra le cosce. Se fosse finito a mollo nel secchio sarebbe stato un guaio, visto che sicuramente glie lo avrebbe infilato di nuovo dietro.

Mentre Elena si dirigeva verso la zona dove c’erano gli sgabelli, lui ne studiò i movimenti.
La giornata precedente e, soprattutto la notte, passata in quelle condizioni, avevano sortito l’effetto da lui sperato.
Quando abbiamo cominciato eri una bella signora cinquantenne, dall’aria decisa ed allo stesso tempo sensuale, pensò, ora sei una donna disperata che si trascina a fatica, e stai per diventare una schiava pronta ad ubbidire ad ogni mio volere.
Le sue gambe lunghe ma robuste, con le cosce piene ed i polpacci ben torniti, si muovevano lentamente, a fatica.
Metteva un piede avanti all’altro, poggiando stancamente la pianta sulla pietra umida, mentre le sue chiappe larghe e robuste si muovevano ad ogni passo ed il cilindro di metallo legato con la catena le oscillava in mezzo alle cosce.
Anche il viso, dopo un giorno ed una notte senza trucco, sembrava invecchiato di dieci anni, ed i capelli spettinati ed arruffati, le ricadevano in disordine davanti alla faccia e sulle spalle.
‘Che succede, la mia gattona è stanca già di primo mattino?’
Elena si fermò e lo guardò mesta, poi riprese a camminare verso il suo sgabello.
‘Lo devi mettere da te’, le disse indicando il cilindro di metallo.
Elena lo prese tra le mani, era freddo e troppo largo e pensò che non ci sarebbe riuscita.
‘Su che non è difficile.’
Si abbassò un po’ per allargare le gambe e lo spinse leggermente in mezzo alle chiappe.
Il suo sfintere non sembrava gradire il contatto con quell’intruso gelato, provò a premere un po’ di più.
No, non non ci sarebbe mai riuscita.
‘Un po’ di vasellina aiuterebbe, non trovi?’, le disse mostrandole un tubetto bianco.
‘Sì, sì’, disse lei mentre allungava la mano per prenderlo.
‘Eh, no, te lo devi guadagnare.’
Il rumore secco della lampo dei pantaloni che si apriva la riportò alla parte finale del suo sogno.
Due possibilità: non cedere e provare a ficcarselo senza lubrificante, rischiando di farsi male oppure di non riuscirci proprio, oppure ‘
Elena si inginocchiò e lo prese tra le labbra.
Lui ordinava e lei eseguiva: leccava, succhiava, lo stringeva di più o di meno.
‘Bene, può bastare, ora dammi le mani.’
Elena si rialzò con il sapore del pene di lui in bocca e le mani piene di vasellina.
Prima ci strofinò il cilindro ed infine si passò più volte le dita tra le chiappe e nell’orifizio.
Questa volta il cilindro entrò facilmente e ad Elena non restò da fare altro che arrampicarsi sullo sgabello.
Lui non le legò le braccia, ma si limitò a sistemarle il vibratore.
Era una prova, per vedere se lei era un passo avanti sulla strada della sottomissione, oppure se c’era ancora molto da lavorare.

Nadia, nonostante la miopia, aveva intuito come fosse andata con Elena. Non aveva nessuna intenzione di ficcarsi o farsi ficcare di nuovo quell’affare senza lubrificazione, come il giorno prima, però neanche l’altra opzione l’attirava molto, così mentre camminava verso il suo sgabello, era ancora indecisa su cosa avrebbe fatto.

Amedeo osservò anche la camminata della seconda donna.
La ragazzona rossa sembrava meno abbattuta dell’altra, però anche lei, rispetto al giorno precedente, appariva decisamente meno in forma.
Ripensò alle tante donne che aveva trattato in precedenza, ormai aveva una grossa esperienza in materia ed il suo metodo, messo a punto attraverso tentativi ed errori, ormai era perfetto: l’indomani sarebbero state totalmente sotto il suo controllo.

Quando Nadia prese tra le mani il cilindro le tornò tutto il dolore che aveva provato durante il brutale inserimento a secco del giorno prima, forse era solo un’impressione, ma non ne era troppo sicura.
‘Beh, che aspetti? Ieri te l’ho infilato benissimo, o no?’
‘Per favore mi dia anche a me un po’ di vasellina.’
‘Ah, ho capito, muori dalla voglia di succhiarmi l’uccello. Allora datti da fare.’
Così si fece coraggio e si inginocchiò davanti a lui.
Quando le disse basta Nadia esitò un po’ a staccare le labbra e le venne in mente che non era poi così male. Me ne devo vergognare? Forse ho ben altri problemi in questo momento, concluse mentre cercava di conficcarsi dietro il cilindro bello unto.
Maria delle quattro era quella che sembrava aver retto meglio fisicamente, ma di morale era letteralmente a pezzi, la sua volontà era già totalmente annullata.
Piagnucolò tutto il tempo, smettendo solo quando aveva la bocca occupata e dovette addirittura aiutarla ad infilarsi il cilindro che le sfuggiva di continuo dalle mani paralizzate dal terrore.
Ecco, le prime tre si erano già accomodate sugli sgabelli e si sottoponevano spontaneamente al vibratore, nonostante fossero libere di scendere.
Si avvicinò ad Elena e le ordinò di toccarsi, lei sembrò non comprendere bene, allora le prese una mano, le aprì le dita e glie le ficcò dentro.
‘Su, continua da sola.’
Questa volta lei ubbidì, le dita frugavano nel suo sesso bagnato ed il suo ventre cominciò a muoversi ritmicamente, poi il respiro si fece più pesante, finché anche il busto prese a muoversi, con le sue tettone che oscillavano su e giù.
Passò a dedicarsi a Nadia. Lei che aveva visto tutto, non ebbe bisogno di farselo dire e cominciò a strofinarsi una mano sulla fica.
La biondina invece sembrava troppo abbattuta per intraprendere qualsiasi iniziativa.
Ma guarda un po’ questa qua, che non è buona manco a sditalinarsi, pensò mentre iniziava a toccarla.
Le prime tre erano avviate, restava solo Silvia, lasciata per ultima sia per l’ordine da rispettare, sia perché era quella che gli dava più pensiero.
Ed aveva ragione perché sotto la patina di stanchezza che la ricopriva, si era riaffacciato il piglio deciso che aveva all’inizio. Doveva tenerla d’occhio perché avrebbe potuto fargli qualche brutto tiro, e le altre, che non erano legate, avrebbero potuto andarle appresso.
Anche se stanca, sporca e spettinata, era un piacere vederla camminare, si perse un attimo dietro alle sue lunghe gambe, al culetto rotondo ed al cilindro appeso alla catena che si muoveva al ritmo dei suoi passi lenti.
Come prevedeva, manifestò una decisa contrarietà a fargli il pompino e gli disse anche a brutto muso che non si sarebbe infilato quell’affare da sola.
La procedura standard, in questi casi, rari ma si erano verificati, prevedeva l’inserimento a forza, senza lubrificante, del cilindro, o addirittura di uno più largo, per farle capire chi comandava, ma qualcosa gli diceva che non era la soluzione migliore per quel tipo di femmina.
Silvia era rimasta stupita della reazione tranquilla di Amedeo. Si era aspettata un comportamento violento da parte sua, invece le aveva detto semplicemente ‘come preferisci’, e l’aveva trascinata nell’angolo opposta della cantina, nel punto più lontano da dove loro avevano dormito.
Aveva tolto il telo grigio ad un qualcosa che stava vicino alla parete e poi l’aveva fatta avvicinare.
Mentre le legava le braccia dietro la schiena aveva iniziato a spiegarle di cosa si trattasse.
All’inizio lei aveva osservato con curiosità quelle due superfici lisce, di legno scuro, disposte ad angolo, che arrivavano fino a terra.
Poteva sembrare, anche se più bassa, una di quelle piccole tende chiamate canadesi.
La fece avanzare su quello strano oggetto, mobile, o che diavolo altro fosse e lei dovette allargare le gambe.
‘… questo è l’esatta riproduzione di una macchina da tortura del medioevo, si chiamava cavalletto ed era usato in genere per le adultere e per le streghe.’
La spigolo distava venti centimetri buoni dall’inguine di Silvia, ma quando Amedeo prese a girare una manovella che spuntava da una estremità del macchinario, la struttura in legno, con un cigolio sinistro, iniziò a salire.
Silvia capì cosa sarebbe accaduto a breve e cercò di togliersi da lì, allontanandosi verso l’estremità opposta a dove si trovavano la manovella e Amedeo, ma lui, che se lo aspettava, si sporse ed afferrò il cilindro che pendeva tra le cosce della donna.
‘Ferma, dove vai? Intanto diamo una bella stirata alla tua fichetta.’
Lo spigolo si avvicinava minaccioso, centimetro dopo centimetro e lei era bloccata lì.
Quando arrivò a sfiorarla, lei si alzò sulle punte, ma questo rimandò solo di poco il contatto.
Lo spigolo di legno, che per fortuna non era affilato, si incuneò tra le labbra della sua vagina e Silvia cercò di sollevarsi ancora, ma aveva raggiunto il limite.
Lui girò ancora e lei gridò di dolore.
Toccava a malapena con gli alluci e, se avesse girato ancora la manovella sarebbe rimasta completamente sollevata.
‘Nel medioevo era un supplizio vero e proprio e spesso veniva portato fino alle estreme conseguenze, sollevando completamente la condannata , arrivando addirittura ad appenderle dei pesi alle caviglie. Tranquilla, darò soltanto una stiratina alla tua fichetta, mentre le tue amiche si divertono.’
Tornò dalle altre tre che, approfittando della sua assenza, avevano rallentato.
‘Signore, qui si batte la fiacca’, disse mentre ficcava la mano in mezzo alle cosce di Elena, che riprese a gemere forte.
Intanto Silvia gridava e si lamentava, maledendo la sua testardaggine, che l’aveva cacciata in quel guaio.
Non c’era nulla da fare, il peso del suo corpo gravava quasi tutto lì e, per quanto si sforzasse di allungare le gambe, rimaneva sempre qualche centimetro tra le punte dei piedi ed il pavimento.
Riuscì ad alleggerire un po’ la pressione, stringendo forte il legno con le ginocchia e le cosce.
Ecco, molto meglio, così riesco ad avere un po’ di tregua pensò.
Lui si riaffacciò per vedere come andava.
‘Eh no, bella mia, così non va.’
Tirò fuori il tubo di vasellina e cominciò a spalmarle l’interno delle gambe.
Lei cercò disperatamente di mantenere un buon contatto con la superficie di legno, ma ora la sua pelle era scivolosa e, per quanti sforzi facesse, non riusciva più ad alleggerire la pressione.
Quando la lasciò per tornare dalle altre tre, Silvia era di nuovo al punto di partenza, con lo spigolo che sembrava volerla aprire in due.
Voltava le spalle alle sue amiche, ma dai gemiti e dai versi che emettevano riusciva ad intuire quando una di loro raggiungeva un nuovo orgasmo, poi e suoni diminuirono, sentì dei rumori di passi e capì che la seduta del mattino era terminata.
E io? Si chiese.
Tornò Amedeo.
‘Le tue amiche stanno mangiando, ma tu salti il pasto perché sei in punizione. Però una piccola razione di divertimento te la voglio concedere.’
Tirò fuori un vibratore, identico agli altri e glie lo appoggiò.
Silvia ebbe uno scatto, come se fosse stata colpita da una scossa elettrica mentre lui iniziava a farlo scorrere sulla sua povera vagina arrossata e dolorante.
‘Basta, basta, lo faccio!’
‘Lo faccio cosa?’
‘Ahi ‘ aiuto ‘ sì, lo faccio ‘ mi tolga da qui …’
‘Fai cosa?’
‘Il ‘ ahhh ‘ il pompino ”
‘Va bene. Dopo lo fai.’
‘No, ora, ma mi levi ‘ da qui …’
Lui fece finta di non aver sentito e continuò a stuzzicarla con il vibratore, finché non fu sicuro che avesse raggiunto l’orgasmo.
Allora decise che poteva bastare e girò nuovamente la manovella, ma nell’altra direzione, Silvia rimase a cavalcioni del cavalletto, incapace di rialzarsi e dovette prenderla di peso.
Quando la mise giù, lei scivolò lentamente, aggrappandosi al suo corpo, allora lui le fermò il capo e si aprì i pantaloni.
Non si sarebbe mai aspettato tanto impegno e tanta veemenza da parte di lei e fu anche tentato di farla arrivare fino in fondo, poi decise che non era ancora il momento.
A questo punto la riaccompagnò dove stavano le altre e le fissò di nuovo la catena alla caviglia.
Anche la terza seduta poteva dirsi terminata. Ormai erano veramente stanchissime, eppure sapevano che tra un po’ Amedeo sarebbe ricomparso per quella che chiamava la seduta pomeridiana.
Ecco, ora si sarebbe aperta la porta e avrebbero ricominciato.
Elena si guardò il ventre, sotto le pieghe della sua pancia la vagina era gonfia ed arrossata. Ci passò leggermente le dita e trasalì. Ore ed ore con il vibratore piantato lì, unito al doversi toccare, l’avevano sensibilizzata a tal punto che la minima toccatina la faceva sobbalzare.
Quando la porta di ferro si aprì e comparve Amedeo, Elena pensò: ecco ci rimette sugli sgabelli.
L’uomo portava un grosso arnese nero, che da lontano poteva sembra un lampadario in ferro battuto, di quelli circolari che riprendevano quei supporti dove una volta si mettevano torce o candele.
Trafficò a lungo con delle corde che pendevano dal soffitto e lo lasciò pendere a mezz’aria, per poi venire verso di loro.
Elena lo seguì docilmente e, arrivati davanti a quel coso, lui le fece alzare le braccia. Un attimo dopo i polsi di Elena erano imprigionati in due stretti anelli attaccati a quello che evidentemente non era un lampadario.
Tornò indietro e, una ad una, prese le altre.
Erano troppo stanche ed abbattute per ribellarsi e così alla fine si ritrovarono tutte e quattro appese.
Quando lui iniziò a tirare una corda, le loro braccia si tesero verso l’alto e si misero a gridare, temendo che le lasciasse sospese in aria, invece lui si fermò quando Maria, che era la più bassa, ancora toccava con i piedi.
Le lasciò sole ed uscì dalla cantina. Le quattro donne, che ora si trovavano in circolo, attaccate spalla a spalla cominciarono ad interrogarsi su cosa le sarebbe capitato, ma non riuscivano proprio ad immaginare cosa avesse in mente Amedeo.
Tornò dopo poco tempo portando in mano degli oggetti che loro non riuscirono a vedere perché la visuale di ognuna era coperta dalle altre intorno.
Nadia vide che lui aveva attaccato ad un gancio, vicino ai suoi polsi, una grossa sacca trasparente, tipo quelle usate negli ospedali per le flebo. Dalla sacca usciva un tubetto anch’esso trasparente e, quando sentì che le stava infilando qualcosa dietro, le venne un dubbio atroce.
‘Ora, belle signore, prima della seduta finale, eseguirò una pulizia radicale della parte finale del vostro intestino.’
Spinse l’estremità del tubo, girandolo anche per aumentare la penetrazione finché non ritenne di averlo fissato in maniera sicura, e passò a Maria che si fece inserire il tubetto senza fare storie.
Elena Provò a pregarlo, ma con poca convinzione, l’unica che si ribellò, e di questo ne era quasi sicuro, fu Silvia, che si mise a scalciare, nel tentativo di tenerlo lontano. Alla fine fu costretto a passarle intorno al sedere due giri di nastro adesivo per impedire che i movimenti della donna facessero sfilare il tubo.
Loro non potevano vedere, ma lungo il tubo c’era una pompetta di gomma.
Iniziò proprio da Silvia.
Un paio di pompate vigorose e la sacca inizio a svuotarsi.
Lei sentì qualcosa di bagnato, tiepido ed oleoso, che le risaliva dentro.
Gridò, ma lui pompò ancora ed il flusso aumentò, cercò di muoversi, di saltare sperando che il tubo si sfilasse, ma il nastro adesivo era stato fissato bene, allora si rassegnò e rimase ferma.
Sembrava non finire mai, si sentiva la pancia piena di quella roba che continuava ad entrare, poi, improvvisamente, il flusso si fermò, ed il tubetto fu tirato via.
Maria e Nadia si fecero riempire senza fare nulla, la prima si limitò a piagnucolare, mentre per l’altra, Amedeo ebbe quasi l’impressione che non le dispiacesse.
‘Ed ora sistemiamo anche la gattona.’
Elena era tesa, non le piaceva per niente l’idea di quello che sarebbe successo tra pochi minuti a tutte e quattro.
Lui diede una pompata leggera, voleva un po’ divertirsi con l’ultima, aveva ancora qualche minuto.
Elena sentì quella roba che risaliva. Chissà che effetto farà quando mi riempirà di sperma.
Oddio, ma che razza di pensieri mi passano per la mente.
La spinta del liquido aumentò, ora stava salendo dentro di lei, mentre Silvia, che le stava proprio di fronte, doveva essere alle prese con i primi strizzoni, a giudicare dall’espressione.
Ora il contenuto della sacca defluiva in maniera più regolare, Elena girò la testa, era quasi vuota.
Una volta finito, Amedeo si allontanò da loro di un paio di metri, per evitare di sporcarsi, e si mise ad aspettare.
Qualcuna avrebbe cercato di resistere, ma non era possibile, e alla fine, suo malgrado si sarebbe dovuta liberare.
Nel giro di pochi minuti la cantina fu riempita da rumori, gemiti ed un tanfo terribile.
Le poverette avevano le gambe completamente impiastrate e continuavano a svuotarsi.
Lo sapeva bene, una simile umiliazione avrebbe sicuramente fiaccato le resistenze di tutte, anche di quella secca con i capelli dai riflessi rossi, che gli aveva dato parecchio filo da torcere.
Le lasciò appese ancora per qualche minuto, poi srotolò un tubo di gomma verde attaccato ad un rubinetto che usciva dal muro.
La doccia fredda, per ripulirle fu la chicca finale. Passò a lungo il getto d’acqua gelata sulle gambe di ognuna, insistendo molto in lezzo alle chiappe, fino ad eliminare la più piccola traccia.
In quel momento accadde un fatto imprevisto: si aprì la porta e comparve Matteo, il figlio.
‘Babbo, ma davvero le hai sistemate da solo, tutte e quattro? Grande.’
Matteo era andato in città a sbrigare degli affari e, appena tornato, aveva trovato quella che per lui era una gradita sorpresa.
‘Bene, allora aiutami a prendere i barili.’
Scoprirono presto a cosa servissero i barili.
Dovevano essere vuoti visto che li portarono lì senza troppa fatica, poi li sistemarono a terra in fila, ad un metro l’uno dall’altro, e ci piazzarono di lato dei cunei per evitare che rotolassero.
Le quattro donne si ritrovarono ognuna su un barile, con le gambe e le braccia legate insieme una ad una, in modo da essere costrette a rimanerci sdraiate sopra, con la testa che spuntava da una estremità del barile, ed il sedere dall’altro.
Infilarono loro di nuovo i cilindri e le lasciarono un po’ così.
‘Care signore, avrete senz’altro capito che siete alla fine del vostro trattamento. Vi farciremo il culo con lo sperma e per finire, per mostrare la vostra riconoscenza, ci farete un bel pompino, e deve essere fatto bene, altrimenti si ricomincia da capo.
Tu prendi la biondina, e mi occupo della rossa’, aggiunse rivolto al figlio.
Nadia si sentì sfilare il tappo da dietro e si preparò.
In quella posizione, con il sedere proteso e le chiappe dilatate, anche volendo, non avrebbe potuto fare nulla.
Sentì qualcosa che le accarezzava la vagina, poi quel qualcosa si spostò sull’ano che era rimasto leggermente dilatato dal cilindro.
Un bel colpetto di reni fu sufficiente a farglielo entrare fino in fondo, poi lui le poggiò le mani su i fianchi e iniziò a muoversi avanti e indietro.
Intanto l’altro aveva fatto lo stesso con Maria.
Le due donne, che erano una a fianco dell’altra, si voltarono ed i loro sguardi si incrociarono.
Ad un certo punto Maria notò un cambiamento d’espressione nella sua amica. Non poteva saperlo, ma Amedeo aveva staccato una mano dal fianco ed aveva iniziato a toccarla.
Anche Matteo fece lo stesso con Maria, e dopo un po’ tutte e due gemevano disperatamente.
Nadia capì quando era giunto il momento, ora lo sentiva più gonfio ed aveva l’impressione che lui cercasse di ficcarglielo ancora più in profondità.
Poi si sentì di nuovo invadere, ma stavolta non era acqua o qualche liquido usato per il clistere di prima. Attese che finisse, lo sentì uscire e poi subito dopo avvertì il cilindro che veniva rimesso al suo posto.
‘Così te lo tieni un po’ dentro, che ti fa bene.’
Continuò a masturbarla finché lei non raggiunse l’orgasmo, mentre anche suo figlio terminava il suo lavoro.
Le lasciarono li tutte e quattro legate ai barili, le prime due con il culo pieno di sperma, trattenuto dal cilindro che fungeva da tappo, e la altre due ancora in attesa che si compisse il loro destino.
Tornarono dopo una mezzora e si dedicarono alle altre due.
Quando Silvia si sentì sfilare il cilindro, capì che era giunto il suo momento e si irrigidì.
Non sapeva chi fosse dei due, ma faceva lo stesso.
Una mano le sfiorò la vagina.
‘Sarà un piacere sfondarti questo bel culetto.’
Era il figlio.
Quando iniziò a spingerlo dentro cercò di tirarsi in avanti, ma i suoi movimenti erano molto limitati e lui riuscì comunque a penetrarla, anzi, siccome lei si era spostata il più possibile, assumendo una posizione difficile da tenere a lungo, dopo un po’ dovette arretrare, finendo per conficcarselo da sola ancora più in profondità.
Amedeo invece si dedicò, con calma, ad Elena. Gli piaceva quella donna, la trovava sensuale e questo gli faceva sopportare anche qualche piccolo difetto dovuto all’età, come le smagliature sulle cosce.
Sembrava apprezzare e, per quanto possibile, assecondava il movimento di lui. Si accorse anche che stava cercando di strusciare la vagina sul barile per eccitarsi, così decise di non sprecare una mano per toccarla e le lasciò entrambe sui fianchi, per sentire meglio il suo culone che si muoveva sotto le sue spinte.
Venne addirittura prima di lui, poi, una volta staccatosi da lei, Amedeo rimase un attimo a contemplare l’orifizio allargato da cui iniziava a colare lo sperma, prima di tapparlo.
Silvia, rappresentò per Matteo una piacevole sorpresa, perché dopo i tentativi iniziali di sottrarsi, una volta infilzata per bene, fu molto collaborativa, e lui la ricambiò toccandola profondamente anche dopo che ebbe finito.
I due uscirono di nuovo dalla cantina e le lasciarono sole.
La prima a parlare fu Elena.
‘Non è stato poi così male, vero?’
‘No’, risposero Nadia e Maria, ancora un po’ scombussolate.
‘E tu?’, disse Elena rivolta a Silvia che era rimasta in silenzio.
‘Oh, sì, però non glie lo fate capire, sennò ci provano più gusto.’
‘Ah, non vuoi dargli soddisfazione’.
La porta si aprì di nuovo e loro si zittirono.
Nadia si trovò davanti Matteo già con i pantaloni aperti.
‘Vediamo che sai fare, rossa.’
Lei sporse il collo e lo afferrò con le labbra.
Intanto l’altro stava facendo lo stesso con Maria, ma con scarsi risultati.
‘Ehi, biondina, lo devi prendere in bocca e lo devi succhiare, sennò rimani su questo barile fino a domani mattina.’
Ma lei niente, aveva chiuso la bocca e restava immobile.
‘Guarda che se non apri subito la bocca ti faccio scopare dai miei cani, ho due maremmani che non si farebbero troppi problemi.’
Naturalmente non era vero, nell’azienda l’unico cane era un vecchio setter irlandese, femmina e sterilizzata, ma questo Maria non poteva saperlo.
Già si sentiva la pelliccia della bestia sulla schiena, mentre il suo pene cercava di indovinare il buco e, sopraffatta dal terrore aprì la bocca, Amedeo fu lesto a ficcarglielo dentro, poi le poggiò le mani sulle guance e cominciò a fare aventi e indietro.
Nadia se la cavava bene, perché aveva pensato che prima finiva e meglio era, e poi, tutto sommato le cominciava a piacere.
Fece un bel lavoro, e Matteo si complimentò con lei, che addirittura, con la lingua, glie lo voleva ripulire dalle tracce di sperma rimaste, ma lui pensò che poteva bastare così.
Maria, invece, nonostante le ripetute minacce di ricominciare tutto da capo, non fu altrettanto brava e alla fine cercò pure di sputare, ma Amedeo, le tenne chiusa la bocca finché non fu sicuro che avesse ingoiato tutto.
Restavano le ultime due.
Quando Matteo si avvicinò ad Elena, lei penso che per l’età sarebbe potuto essere suo figlio. Già, ma non è mio figlio, pensò mentre allungava la lingua sulla cappella rossa e ancora piena di sperma.
Silvia invece era combattuta, non aveva mai amato fare queste cose, e quel coso, che fino ad un minuto prima era stato dentro al culo di Elena, le faceva un po’ schifo.
‘Allora, ti decidi, o i cani li devo far venire per te?’
Silvia aveva sentito bene la minaccia che aveva fatto prima a Maria e la cosa, anche se non voleva darlo a vedere, la terrorizzava.
‘Ma no, sono sicuro che non ci sarà bisogno, tu sei una ragazza intelligente e poi …’
Glie lo stava strofinando sul viso e lei lo vide lentamente tornare in erezione.
Ora la cappella era a contatto con le labbra di Silvia e lei, all’improvviso sentì che stava cambiando qualcosa. Aprì la bocca e serrò leggermente le labbra alla base della cappella, poi iniziò a succhiare.
Avvertì subito che il movimento che lo stava portando all’erezione si era fatto più veloce e strinse un po’ più forte con le labbra mentre succhiava con più energia.
‘Brava, bravissima’, le disse lui mentre le carezzava i capelli.
Così Silvia, che ormai lo sentiva crescere e diventare sempre più duro nella sua bocca, iniziò a muoversi, per quanto lo consentiva, la posizione, avanti e indietro.
Ad un certo punto Matteo si fermò e si scostò.
Era una tattica per vedere la sua reazione.
Lei aveva aperto la bocca e lo guardava con fare supplicante, ormai aveva perso quell’aria ribelle che aveva all’inizio.
‘No, no’, sussurrava e cercava di allungare la bocca aperta verso il pene di Matteo che lui teneva fuori della sua portata.
Si avvicinò di nuovo e lei lo riprese in bocca, stringendolo forte, come per paura che le potesse scappare e riprese a succhiare come una forsennata.
Matteo nonostante fosse stanco, sentì che gli sforzi di Silvia stavano per essere coronati dal successo, eccolo, sì, arriva, arriva.
Lei sopportò tutte le contrazioni, serrandolo con le labbra ancora di più, sentendo lo sperma tiepido che le riempiva la bocca, poi lui lo estrasse e Silvia respirò a fondo con il naso, mentre cercava di inghiottire. Quando riaprì la bocca un po’ di sperma le scivolò ai lati della labbra e lei, rapida, catturò quelle ultime gocce con la lingua.
Anche Elena se la cavò bene, anche se amava poco parlare della sua vita privata, con il marito lo faceva ancora spesso e, ma questo era meglio che lui non lo sapesse, lo aveva fatto anche con un altro, anni prima in ufficio, ma era una storia chiusa.
Sapeva tutti i segreti di un buon pompino, conosceva i punti ed i movimenti migliori ed anche quando era il momento di rallentare per farlo durare più a lungo, ed infine qualche trucchetto per far venire il partner al momento giusto.
Insomma, Amedeo neanche se ne accorse, ma nonostante fosse legata al barile, era stata Elena a comandare le danze di quello che doveva essere l’ultimo atto del loro strano soggiorno lì.
Era finita, stavolta veramente.
Le liberarono da quella scomoda posizione, le misero addosso un accappatoio e le accompagnarono alle loro stanze.
Una volta al caldo ed al sicuro, le quattro amiche andarono in bagno a lavarsi e, per prima cosa, si sfilarono i cilindri di metallo e sciolsero le catene che li tenevano legati alla vita.
Un’ora dopo, lavate, vestite e truccate di tutto punto, erano pronte per tornare a casa.
‘Naturalmente, se volete tornare, tutte o qualcuna di voi, in qualsiasi momento, la porta è sempre aperta’, le disse Amedeo mentre gentilmente, insieme al figlio, portava i loro trolley alla macchina.
‘Ci penseremo’, disse Elena per tutte, e non era solo una cosa buttata lì tanto per dire.
Poi salirono in macchina e mentre Nadia metteva in moto, Maria chiese: ‘e che diciamo ai nostri mariti?’
‘Che è stata un’esperienza molto interessante’, disse Elena ridendo.
Più tardi mentre erano già sulla superstrada, Silvia ripensò a quell’ultima conversazione: io non ho marito, quindi nessun problema a farmi un fine settimana in un certo agriturismo, chissà che ne pensano le altre?

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