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Racconti Erotici Lesbo

La Strega, la Bella e il Fuoco

By 26 Aprile 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Ricordo che c’era una povera Bella, che vagava per i prati di primavera, cogliendo le margherite, una ad una, e portandosele all’olfatto lievemente, tanto affettuosamente, che… oh!

A volte, regalava quei petali al vento, uno a uno, uno a uno, sì… Erano così bianchi, avevano un profumo così leggero, così tenue, sapete? Intorno a lei c’erano soltanto nidi e rami fioriti. La giovane indossava semplicemente un velo candido, ornato di pizzo, che le lasciava scoperti i seni grandi, eburnei, che il vento carezzava appena con le sue invisibili mani, strappandole dei sospiri.

La Bella si metteva a correre, mostrando in tal guisa le sue lunghe e meravigliose gambe, e senza curarsi delle belle scarpe verdi, col tacco a spillo.

Canticchiava, perché dove c’era lei, c’era anche la primavera, la serenità, la bellezza!

Fu per questo che decise di portare in dono la sua primavera al resto del mondo. E così, si mise in viaggio, perché l’animo suo non era egoista.

Oh, no, no, no! Lei non voleva che il resto del mondo rimanesse nel grigiore, non voleva che lo splendore abitasse soltanto nel suo piccolo nido.

L’aveva chiamata il vento, sfiorandole le belle guance col suo bacio.

Oh, sì, le aveva sussurrato di andare, di andare, di andare, perché la terra non voleva essere triste!

La terra non voleva restare sconsolata, no, no, no! E così la Bella andava, dopo aver ricevuto dal vento un bacio sulle belle labbra scarlatte, quasi una magica promessa di ricompensa.

Ricordo che la Bella camminava sui prati, lungo i ruscelli dalle acque limpide e cristalline, sotto gli alberi dai rami verdeggianti.

La primavera la accompagnava e sbocciava intorno a lei.

E così…

Oh, così passava la vita.

La Bella aveva gli occhi azzurri e i capelli castani, che le ricadevano a boccoli sui seni grandi. Sembrava una bambola di porcellana, e andava dappertutto, senza fermarsi mai, portando ovunque la primavera e la felicità, ricordo che era entrata in un bosco grande, oh, sì, me lo ricordo.

E c’erano intorno tante ombre, tanti uccelli neri, che forse le mettevano paura. Ma la Bella non tremava, oh, no, i suoi grandi occhi turchini vagabondavano intorno, cercando i fiori, gli uccelli canori e le altre meraviglie della natura, sì.

Oh, come volavano liberi i passeri e i tordi, sembravano incantati, magiche perle di cristallo, intorno a lei!

Erano prigionieri del suo sguardo. Qualcuno si posava sul suo braccio, e la Bella gli regalava uno dei suoi baci, le labbra tremanti d’affetto.

Gli occhi suoi intanto si perdevano, perché quel luogo sembrava tanto meraviglioso quanto triste.

La Bella tremava, tremava…

Si era sentita posare una mano sulla spalla. Chi poteva essere mai?

Si voltò, e gli occhi suoi videro il Taglialegna, con la sua scure in mano, e una brutta casacca bianca indosso. Cielo, si reggeva su una gamba di legno ed era tutto sdentato e insanguinato, faceva paura, sì!

Pochi raggi di sole penetravano tra le fronde cupe.

– No, no! Non calpestare i fiori del bosco! Non toccare i loro petali candidi, puri! Non lo sai? Anch’essi, soffrono…

La Bella diceva così.

Ma il Taglialegna calpestava l’erba, con i suoi stivali neri neri, e con la sua scure faceva male agli alberi, perché era pieno di cattiveria, ahim&egrave. Era pieno di cattiveria, sì!

Oh, perché?

– No, non fare male ai fili d’erba, e agli alberi del bosco! Anche la loro vita palpita, anch’essi hanno un cuore!

La Bella era disperata. Lei amava tanto la natura, ma il Taglialegna era senza cuore e la distruggeva. Oh, sì, lui aveva un cuore di legno, fatto della stessa cosa degli abeti, dei frassini, e delle querce.

Lei intanto si era inginocchiata, aveva tutti i capelli sciolti che le ricadevano sulle spalle. Supplicava in ginocchio, e aveva cominciato a promettere baci e abbracci ardenti, amore e orgasmo appassionato al suo amico, se l’avesse ascoltata, ma il perfido continuava a distruggere.

L’infelice gli diceva:

– Oh, dimmi, lo sai tu cos’&egrave la cattiveria?

– No, io so soltanto che distruggo ogni cosa, per il mero piacere di distruggere e di uccidere. E tu, tu lo sai?

– Sì, sì! Io lo so!

– Vattene via! Questo non &egrave un luogo da giovani donne, e io odio tutto ciò che &egrave bello e sensibile.

– Oh, ti odi? Sì, lo so, tutti i cattivi odiano. Tutti gli uomini odiano! Ma se almeno ami i petali di un fiore, fermati, e smetti di uccidere!

– I fiori non mi piacciono, ma forse, tu mi piaci, eh eh!

– Oh, sì… Tu fai piangere gli alberi, le piante e i fiori del bosco. Tu fai piangere il buon Dio, e pure me, sì!

La Bella piangeva.

Perché intanto, davanti agli occhi suoi, il Taglialegna aveva dato la morte, con la sua scure, a non so quanti alberi innocenti!

Aveva promesso di uccidere anche lei, le aveva messo addosso quelle sue manacce grandi e tozze, dure, che sapevano far male, lasciandole dei segni rossi sulla pelle. L’aveva toccata, con avidità e lussuria, le aveva strappato il vestito bianco, di pizzo, minacciava di farle male, lì, sull’erba…

– Sì, sarai mia anche tu, mia, mia! – le aveva detto.

La Bella era riuscita ad alzarsi in piedi, piangendo lacrime di perla, invano cercava di nasconderle, perché il sorriso suo era morto.

Fuggì e vagabondò a lungo.

– Oh, sì, tu mi fai piangere… – continuava a sussurrare. – Il vostro odio, mortali, mi fa piangere. Distruggete tutto, tutto!

E le pareva di udire sempre il riso crudele del Taglialegna arcigno, e di sentire sulla sua pelle, sui suoi seni bianchi, quella mano di fuoco, che l’aveva fatta gridare.

La Bella continuò il suo viaggio, sempre più triste. Non aveva mai visto il mondo prima di allora, ma non avrebbe mai creduto che fosse tanto brutto.

Incontrò una fanciulla tutta sdentata, con un cesto. Raccoglieva fiori lungo il fiume, forse, erano margherite, ma era tanto, tanto brutta.

Quando vide la Bella, si mise a sghignazzare.

– Vattene via! –le disse. – Vattene via, se sei venuta a portare qui la tua primavera! Vattene, non ti vogliamo!

E la prendeva in giro, sì.

– Non venire qui da me… Sappi che io sono l’Odio, e non voglio contentezza nel mio regno. Voglio soltanto rancore e cattiveria, ih ih ih!

La Bella aveva tanta paura. Il vento freddo faceva volare forte i suoi lunghi boccoli castani. E il sole non illuminava più la terra, divenuta troppo perfida, come gli abitanti di quella landa.

Le tiravano i sassi addosso, e pioveva forte, tanto forte, tutto era grigio, faceva tanto freddo e non c’era intorno un solo atomo di primavera.

– Che cosa farò? Dove andrò? A chi porterò la gioia dei fiori e dei raggi del sole?

La Bella si lamentava così, tra sé.

Oh, non sapeva dove andare, dove andare!

E c’erano tanti corvi neri, nel cielo, tante beccacce, che le ronzavano intorno, la infastidivano con i loro versi, la facevano piangere.

Io non lo so dov’era capitata!

Ma c’erano tante croci bianche intorno a lei, tante tombe, e la terra sapeva di fiele. Forse, avrebbe potuto consolare qualcuno coi suoi baci…

No, no, perché la terra era nera, cupa cupa, fredda. La Bella ne aveva raccolta una manciata, la sentiva fra le sue mani, la regalava a poco a poco al vento, che la dissolveva, come polvere, sì, come polvere.

E c’erano soltanto dei vecchi sdentati e brutti, intorno a lei. Avevano dei volti coperti di rughe profonde, ad alcuni pareva mancassero gli occhi, buon Dio… Erano zoppi, si appoggiavano a dei bastoni di legno, e si azzuffavano fra loro, chissà per quale motivo.

La Bella credeva di udire le loro voci roche, che arrivavano fino a lei e la facevano tremare forte.

– Questo a me!

– No, questo a me… Questo &egrave mio! A te tocca solo di morire per primo e questa bastonata!

– No, a te! A te, mascalzone! Dammi qua, &egrave roba mia.

– Morirete voi, insieme, questa volta, &egrave il vostro turno! Io godrò! Io godrò, io, io, io! E tu lascia, molla l’osso, o ti ficcherò nelle mani quei pochi denti che mi restano…

Cielo!

La Bella si nascondeva gli occhi tra le mani, quelle belle mani innocenti, bianche, dalle dita lunghe, fatte per accarezzare la pelle, e per tirare baci. No, non voleva guardare, non voleva, non doveva!

Quanto erano cattivi tutti quanti! E lei non riusciva a portare la primavera, non riusciva a far sbocciare i germogli, a far volare i passerotti, o a far splendere il sole! Era impossibile, ve lo giuro.

– Oh, cosa posso fare? Ahim&egrave…

La poverina piangeva così, intorno a lei c’erano soltanto sepolcri, neri corvi, che gracchiavano, sulla terra fredda. Folate di tormenta sollevavano nubi di polvere…

Malinconie!

La Bella era china e sentiva arrivare il Destino. Un’ombra nera si avvicinò a lei, la coprì completamente… Cielo, chi era mai?

– Ciao, piccola cara… Oh, sei venuta ad Ovest, il mio regno, e credevi di potervi portare la luce e la primavera… Illusa! Oh, povero, piccolo fiore! Adesso ti coglierò dalla terra.

La Strega accarezzava la Bella con le sue mani dalle dita lunghe, con le sue unghie dipinte di rosso, oh, sì, voleva essere la sua amante, la sua amante!

Era tutta vestita di nero. Si era scoperta i seni enormi, e li andava strofinando forte contro quelli della Bella, che pure erano nudi.

– Ah, ahi… mi stai facendo male! – diceva la nostra protagonista.

– E se fosse proprio quello che voglio? Sei bella, bambolina mia… Ah ah ah!

La Strega le graffiava leggermente la pelle con gli artigli, la baciava sulla bocca, ardentemente e appassionatamente, le leccava i lunghi boccoli castani, voleva che fossero una sola carne, sì, una sola carne, aveva intrecciato le sue gambe nude, che spuntavano dalla tunica nera, con quelle della Bella.

Continuava a baciarla sulla bocca, mordicchiandole le labbra con i suoi denti bianchi, aguzzi. Il sangue usciva dalle ferite, e bagnava il loro appassionato bacio.

– Voglio toccarti, voglio farti mia… Lascia! Dove vuoi andare? Eh?
Piccola cara… Ti amo tanto, sai?

La Strega sghignazzava. Con un morso le aveva strappato il vestitino bianco, e la andava leccando e succhiando lì, fra le gambe, adorando il nettare che trasudava quella femminilità, e che la lingua sua godeva come fosse miele.

– Sì, sei di miele, sei di miele, di miele… – le diceva.

La Bella mandava dei gemiti di piacere soffocato. Sentiva il corpo della Strega, bello di una bellezza fatale, sempre più stretto al suo. Stava consumando un rapporto sessuale di fuoco con lei, che le strofinava la vulva aperta con una gamba, mentre una di quelle dell’innocente stropicciava il sesso dell’altra.

Gridavano entrambe di piacere, ma soltanto la Bella era innocente. Soltanto lei, sì.

Intorno a loro c’erano tanti rovi, tanta polvere, che volava nel vento, e i corvi. Tenebrosi cespugli di rovi crescevano intorno.

Dopo che le ebbe fatto provare orgasmo, dopo che l’ebbe morsa, la Strega continuò a carezzare i lunghi boccoli della Bella con i suoi artigli. Le andava sussurrando:

– Indovina che cosa ne farò di te, adesso! Indovina!

– Lasciami libera, lascia che i miei sussurri facciano germogliare la felicità in questo deserto! Lasciami volare via, lontano, con le mie ali leggiadre di farfalla!

Ma la Bella fu vittima di un incantesimo strano, e andò a finire dentro una gabbia grigia grigia, tutta di ferro, appesa al soffitto di non so quale stamberga, e da lì non sarebbe potuta uscire mai più.

– Cosa farò nella mia prigione? Come vivrò? Chi mi darà da mangiare? Chi mai? Cielo! – gridava l’infelice.

Un gran fuoco ardeva sempre nel camino. A destra e a manca v’erano delle fascine ammonticchiate, che alimentavano le fiamme e, fatalmente, non finivano mai.

La Strega veniva una o due volte al giorno, per consumare con la sua prigioniera dei rapporti sessuali sfrenati. La Bella non le aveva mai detto di no, forse, perché sperava di riacquistare la libertà attraverso quell’affetto.

Illusioni! Rammento di quei corpi bianchi, intrecciati l’uno all’altro. Ricordo i sospiri e il pianto di piacere della Bella, sotto i morsi e la lingua della sua tenebrosa amante, che le divorava le belle spalle, i seni grandi, insidiandole l’ombelico, e il sesso bagnato. Le mani della maliarda stringevano forte quelle della sua amante, entrambe erano bellissime, ma ciascuna di un genere diverso di bellezza.

Era così, mano nella mano, che procedevano nei loro accoppiamenti, tra donna e donna, tra amica ed amica, tra padrona e schiava.

– Fammi godere, sognare, sì, ah! – diceva la Strega.

La perfida non la rispettava, spesso le faceva male, strappandole grida di piacere e di dolore insieme, specie quando le strofinava forte il clitoride, pretendendo di sentire la lingua dell’altra contro il suo, nello stesso istante.

A volte la piegava in due, in modo che le gambe fossero dietro la schiena, e i piedi sopra le spalle. Le strofinava forte la vulva con i suoi seni enormi, che erano tanto, tanto più grandi di quelli di lei.

La Bella moriva così, giorno dopo giorno, la sessualità folle della Strega la divorava, a poco a poco, e consumava la sua bellezza, i suoi lunghi capelli, la sua pelle bianca.

Che momenti tristi!

Non avrebbe più potuto far germogliare i fiori. E fu così che la Bella chiuse i suoi occhi e si addormentò per sempre.

Dagli occhi le fuggirono due lacrime, erano diamanti, pieni di tristezza e di vita.

Oh, forse, erano l’ultimo tesoro, il solo che poteva far germogliare il mondo! L’ultima stilla di cristallo, l’unica in grado di far sbocciare la vita e tutti i suoi frutti, lì intorno.

C’era in quel luogo un vecchio tronco ormai morto.

A poco a poco, riprese a germogliare, a fiorire, a crescere e prosperare. E così accadde a tutte le altre piante morte, attorno. Forse era un miracolo, io non lo so.

Ma ho vissuto quel momento, i miei occhi l’hanno visto, ed ora ve lo racconto, non senza un briciolo di commozione.

I prati, ingrigiti dalla cattiveria, ritornavano verdi, e le nubi se ne andavano dal cielo, che diventava azzurro, come una volta. Il vento freddo portava l’odio via con sé.

Tutto sembrava un sogno, il mondo non era più un sepolcro, tutto era diventato meraviglioso e lussureggiante. I passerotti e le rondini volavano
allegramente nel cielo turchino, riempiendo il silenzio dei loro canti di primavera. I corvi non c’erano più, e la Strega se n’era andata per sempre, prendendo il volo sulla sua scopa.

Povera Bella!

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