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Racconti Erotici Lesbo

Piccola Schiava

By 30 Aprile 2007Dicembre 16th, 2019No Comments

Conoscerci.

Ciao, mi chiamo Tanja B., Tibi per gli amici, sono una ragazzina di dicciotto anni, vivo nella meravigliosa città baciata dalla laguna, accarezzata dal vento salmastro e cullata dalle onde dell’Adriatico, Venezia.
Studio al terzo anno del liceo scientifico con profitto alterno, come i miei sbalzi di umore, che si alternano in una costruttiva frenesia a impegnarmi nello studio e realizzare i miei sogni e periodi nei quali mi chiudo in me stessa vittima della mia timidezza e dei miei continui timori e paure.
Questa mattina sono vittima delle mie giornate no, entri in classe lentamente austera stretta in uno splendido tailler blue scuro, con un’audace gonna corta, le tue gambe affusolate, velate in due splendide calze bianche e ai piedi due scarpe elegantissime dal tacco altissimo.
Sotto la giacca indossi una camicetta bianca, dalla cui scollatura i tuoi seni morbidi e abbondanti a stento rimangono prigionieri del reggiseno a balconcino che indossi.
Sei tu professoressa T.V., la mia severa insegnante di lettere e di filosofia, come una pantera ci scruti tutti con i tuoi profondissimi occhi verdi, ti siedi alla cattedra e scrollando la testa sciogli le tue chiome fulve lungo le tue spalle sorridendo sorniona.
Fai l’appello con aria forzata come sempre, odi essere vittima delle costrizioni e delle formalità, poi finalmente inizi a spiegare la lezione del giorno, anche tu come noi senti il caldo improvviso di questi giorni e la voglia di distrazione che regna in classe, tenti di resistere seduta poi ti sfili la giacca, ti alzi e percorrendo alternativamente le file fra i banchi, continui con la spiegazione, osservando quale attenzione offriamo a te e ai tuoi sforzi.
Io ti guardo timida nascosta sotto la mia frangia che eternamente, nonostante i tuoi frequenti richiami, tengo a protezione ‘psicologica’ sui miei profondi e liquidi occhi neri.
Tu a mamma ai colloqui, le hai detto, che preferiresti mostrassi più spesso il mio sbarazzino e chiaro volto, fiera del mio nasino e del mio dolce sorriso, ma io timorosa arrossisco diventando un peperoncino ogni volta il tuo sguardo si pone su di me.
Conosci la mia debolezza e con sapiente e calcolata astuzia mi fissi per periodi variabili per poi ignorarmi volutamente per altri brevi periodi, godendo ogni volta dei miei tremori e dei miei vistosissimi rossori.
Mentre prosegui con la lezione, la mia attenzione, &egrave catturata da Francesca, la compagna più bella e più interessante della classe, dai bellissimi capelli biondi, che in un attimo di pazzia si &egrave tagliati corti, un fisico formoso modellato dallo sport stretto in un aderentissimo top rosso e da un paio di jeans aderenti a vita bassa che piegandosi sul banco, mostra a me il suo tatuaggio etnico che ha sulla parte bassa della schiena e dalla cordicella del suo perizoma bordò, che occhieggia prigioniero delle sue natiche tonde.
Io da sempre attratta dalle ragazze, mi perdo dietro sogni inconfessabili, nei quali, mi trovo abbracciata a lei tremante, mentre piangendo, le bacio teneramente il suo seno succhiandolo.
Abbasso le mani sulle mie cosce, che affiorano sotto la minigonna che questa mattina ho indossato, piano, piano, scorrono su di esse avvicinandosi incuneandosi fra loro verso le mutandine, che la tensione e il desiderio inumidiscono.
Mi tocco piano sfiorando le labbra con le dita e scorrendo lungo il bordo delle mutandine.
Silenziosamente, ti avvicini dietro di me, mi accarezzi i lunghi e lisci capelli neri, sfiorandomi l’orecchio destro, poi con una mossa improvvisa agguanti un’abbondante ciocca di capelli e con un colpo secco mi svegli dal sogno obbligandomi ad alzarmi trattenendo l’urlo di dolore che mi hai provocato.
Tremate e arrossendo, mi alzo in piedi e tenendo lo sguardo basso davanti a me, attendo la sgridata che mi merito per non averti seguita.
Tu mi ordini di mettermi girata di schiena verso la classe contro il muro in fondo alla classe e di restarci fino al termine della tua lezione.
Finalmente la campanella ci avvisa dell’arrivo della ricreazione e del termine della tua lezione, tutti escono dalla classe, tranne me ancora girata contro il muro e tu Professoressa; mi ordini di girarmi e rimanendo seduta sulla cattedra mi avverti che al termine delle lezioni dovrò presentarmi in sala professori, dove sarò tenuta a giustificare il mio comportamento di questa mattina.
La giornata giunge al termine, anche se l’ansia di dovermi presentare da te mi attanaglia sempre più sapendo che una bella nota mi attende e che una volta giunta a casa, mamma darà inizio alla sua solita sgridata dicendo che sono una fallita e una mediocre come papà.
E’ l’ora, adagio, come un condannato a morte percorro i corridoi che mi separano dal vostro ufficio, mi avvicino furtiva alla porta, che piano socchiudo, ma con sorpresa vedo regnare il buio e il silenzio all’interno, mi blocco di colpo all’entrata, chiedendomi come puoi esserti dimenticata dell’appuntamento che mi hai imposta.
Richiudo adagio la porta, e indietreggio per allontanarmi da te e raggiungere le compagne in refettorio per il pranzo, improvvisamente due mani leggere ma ferme si bloccano sulle mie spalle e sento il caldo alito di una donna soffiarmi alla base del collo e poi l’avvolgente aroma di un profumo francese avvolgermi tra le sue spire.
Tremante ruoto il capo e vedo il delicato e armonioso volto di Yvonne, la giovane insegnante madrelingua di Francese, giunta da Parigi pochi mesi fa e ospite a casa tua dal suo arrivo; uno scricciolo che emana una prorompente sensualità, con un viso magnifico due occhi magnetici azzurro ghiaccio e un caschetto nero che la fa sembrare la gemella di Valentina di Crepax.
Mi accarezza teneramente una guancia e i capelli, ma senza lasciarmi mi spinge verso la porta del tuo ufficio e poi dentro di esso all’oscurità. Tu intanto, come un predatore in silenzio ci attendevi seduta alla scrivania, aspettando che Yvonne dopo avermi spinta dentro, chiuda la porta a chiave alle sue spalle e accenda la luce nell’ufficio.
Mi chiami ordinando di avvicinarmi alla scrivania e rimanendo in piedi fisso gli occhi su di un frustino che tieni sulla scrivania innanzi alle tue mani.
Per alcuni minuti rimaniamo avvolte da uno strano silenzio, poi mi chiedi arrabbiata che stessi facendo in classe, perché mi ero distratta e perché tenessi le mani strette fra le cosce quando mi hai scoperta.
Non rispondo, mi vergogno da morire da sola, figurati se ti dovessi dire che mi ero eccitata pensando a Francesca e poi guardandoti camminare avanti e indietro, ondeggiando il tuo splendido sedere, avvolto dalla tua gonna corta, il tuo busto stretto nel reggiseno e nella camicetta, appetitoso come due dolcissime pesche.
Arrabbiata dal mio silenzio, m’imponi di mettermi dietro alla seggiola che si trova davanti alla tua scrivania, di appoggiarmi con le mani sul sedile e appoggiando il busto allo schienale.
Quando sono sistemata come vuoi tu, ordini a Yvonne, di avvicinarsi dietro di me, dicendole di sollevare fino alla schiena la mia minigonna e di abbassare le mie mutandine fino alle caviglie, poi mi ordini di alzare un piede alla volta e quando Yvonne si rialza, ti porge il trofeo che tu adagio, avvicini al naso aspirando il mio odore imprigionato in esse, per lunghi minuti ti trattieni le mutandine sotto il naso poi dopo averle appoggiate sulla scrivania, dai a Yvonne il frustino dicendole di percuotermi il culetto con esso, affinché la signorina B. impari a comportarsi come si deve e rispetti le proprie insegnanti.
Non credevo avesse così forza Yvonne nel frustarmi, ma sin dal primo colpo, sento un atroce dolore provenire dalla mia delicatissima pelle, fortunatamente mi hai fatta colpire sul gluteo, dove avrei dovuto provare meno dolore, ma comunque, le prime lacrime, sgorgando, sciolgono il trucco e colando rigano le mie guance, mentre scossa dal dolore tendo la schiena alzando il volto in avanti e mostrando in modo invitante il sedere a Yvonne, che con maggior piacere mi percuote avvicinando i colpi all’interno delle cosce, al mio piccolissimo e strettissimo ano e alla mia piccola e virginale fighetta.
Più prosegue la punizione, più sono scossa dai fremiti, dal dolore lancinante specialmente quando su tuo suggerimento Yvonne infila tra le gambe il frustino e con dei colpi calcolati percuote le grandi labbra, il clitoride che colando abbondante i miei umori, sporge sempre più, e graffiando l’ano con la punta ruvida del frustino, provoca in me un misto di dolore intenso ma anche di piacere mai provato.
Felice osservi divertita come la punizione, mi stia facendo ansimare più per uno strano fremito di piacere, che per il dolore delle percosse, ti avvedi che piano, le mie cosce siano rigate dalle frustate, ma anche abbondantemente solcate dai miei abbondanti umori, che colando tracciano fili di muco sulla mia candida e delicatissima pelle.
Come pensavi, sotto l’apparenza di una timida studentessa si celi se provocata sapientemente, una sfrenata puttanella in calore.
Ti accosti silenziosamente a Yvonne, dandole nuovi suggerimenti come percuotermi, poi di colpo ridete di gusto, accorgendovi di come io divenga preda del piacere, più che del dolore, del desiderio di venire percossa da te e da una bella ragazza come Yvonne.
Di colpo vi fermate, mi lasciate sfogare nel pianto, poi quando le lacrime e i sospiri mi lasciano rilassare, ti alzi mi vieni vicina e sollevando il mio volto con due dita sotto il mento, sposti la frangia e con un sorriso complice, mi asciughi le lacrime con il tuo fazzoletto.
Mentre Yvonne con le dita mi sfiora il culetto e la fighetta e accarezzandomi il clitoride asporta parte dei miei liquidi e con golosità si succhia le dita, spalmandoselo sulle labbra e sotto il naso.
Poi tornando seria, mi dici che ciò che ho fatto, ha messo in forse tutta la mia carriera scolastica, che dovrai informare mamma della sospensione che vuoi richiedere al consiglio d’istituto e che certamente dovrò prepararmi alla bocciatura, perché vuoi proporre agli altri insegnanti la richiesta del sette in condotta e la sospensione.
E’ una mazzata per il mio fragile equilibrio emotivo, crollo miseramente in un altro pianto ininterrotto, scossa da singhiozzi che nemmeno le frustate di prima avevano provocato.
Dopo lunghi minuti nei quali ho dato sfogo alla mia rabbia e al mio dolore, tu mi fissi in silenzio, penetrandomi nell’anima con i tuoi ferini occhi verdi, scuoti il capo con un rapido movimento, nel quale la tua fluente chioma ondeggia, poi inizi a parlare.
– Tanja, smettila di fare la bambina capricciosa, non capisci che così non otterrai mai niente di buono?
Tremando alzo lo sguardo verso di te, prendo un lungo respiro, cercando di non fare tremare la voce dicendoti.
– Perché mi vuole distruggere signora professoressa, rovinando la mia carriera scolastica con una punizione così grave? Sa dei problemi che ho con mamma da quando papà &egrave scappato, ora le crollerà il mondo addosso se dovessi venire bocciata.

Ti avvicini silenziosa, stendi una mano e con le dita, scorri lungo le mie cosce, asporti le tracce dei miei umori, poi ti avvicini alla mia fighetta, raccogli dal favo, racchiuso tra le mie cosce, lo stillante miele, che le frustate e le dolci dita di Yvonne fanno sgorgare abbondanti.
Per un attimo non reagisci chiusa in un silenzio imperscrutabile, mentre assapori odorando e poi succhiando le tue dita, poi serrando le palpebre degli occhi ti avvicini a Yvonne e sottovoce vi parlate, così piano che non riesco a capire cosa vi diciate, poi ritorni alla tua scrivania, ti siedi e riprendi a parlare.
– Tanja, ho una proposta da farti, saresti disposta a venire a casa mia e aiutare me e Yvonne nelle necessità quotidiane, ed eseguire ciò che ti chiederemo, ubbidiente e disciplinata, seguendo gli ordini che t’impartiremo senza fiatare con nessuno, specialmente con le compagne, con la preside e con mamma, ed io bloccherò la richiesta di sospensione, il richiamo al consiglio d’istituto. Ti darò solo una nota, nella quale informerò tua madre che a causa dl calo di rendimento scolastico, t’impartirò delle lezioni supplementari, se ti permetterà di venire a casa nostra nei fine settimana e nei periodi di ferie.
E’ un ricatto, ma sai che non potrò rifiutare, mentre scrivi la nota che dovrò mostrare a casa, mi spieghi, che la lezione che m’impartirai da questo momento &egrave diversa, io non sono più la tua allieva, ma la tua docile schiava, scopro così perché Yvonne &egrave così silenziosa e remissiva nei tuoi riguardi, anche lei &egrave legata a te da questo vincolo e mentre mi spieghi che quando saremo sole dovrò rivolgermi a te come Padrona, Yvonne aprendosi il foulard che porta al collo mi mostra un collare in cuoio nero che le avvolge il collo, &egrave il suo collare e la prossima volta mi porterai il mio, con inciso il mio nuovo nome da schiava.
Mi sto risistemando la gonna ma mi dici che le mutandine me le darai in dietro un’altra volta, mi dici che devo abituarmi a essere disponibile per te e che l’addestramento preveda di non portare biancheria intima se non su tuo espresso ordine.
Mi chiedi il mio numero di cellulare, dicendomi che dovrò tenerlo acceso sempre perché potranno arrivarmi gli ordini e che dovrò sostituirlo con un munito di webcam, perché vorrai vedere tutto quello che faccio quando sono sola.
Mi dici, che domani, mi aspetterete a casa vostra, che dovrò portare il necessario e mi chiedi di darti le mie taglie di vestiario.
Ci salutiamo baciandoci e scambiando un lungo e tenero abbraccio con Yvonne.
L’iniziazione.

Squilla il cellulare sul comodino, assonnata guardo lo schermo senza rispondere, &egrave il tuo numero Padrona, apro la connessione e la tua voce soave mi chiede ridendo cosa stessi facendo, ti rispondo sbadigliando che sono le tre del mattino, che nonostante l’ansia e la paura del prossimo incontro, mentre sognavo te e la dolce Yvonne, era cullata da questi dolcissimi pensieri.
Ridi, con la tua voce intrigante, sento che anche lei ride della tua frase, tremante, cerco di risponderti, incespicando nelle risposte e bloccandomi subito, lasciandoti parlare da sola.
Mi comandi, di presentarmi domani mattina presto vicina all’imbarcadero dell’Accademia, qui troverò la dolce Yvonne ad aspettarmi.
Preparo il mio trolley, con il necessario per due notti, lo zainetto con i miei libri, poi all’alba, mentre mamma ancora riposa felice fra le morbide braccia di Tatiana, la sua nuova amica moldava, io in silenzio esco da casa e a testa bassa, sfiorando i muri delle calle più strette, come un cagnolino randagio, vago per le calle e i campi di una romantica, silenziosa Venezia, avvolta ancora addormentata, nella foschia mattutina.
Arrivo al molo, dove tu hai imposto l’incontro, per un paio d’ore tutta sola percorro avanti e indietro, tutta la riva, trascinando, assieme ai miei bagagli, pesanti pensieri, sul mio futuro e su quanto lascio di me alle mie spalle.
Poi vinta dalla delusione, crollo a terra, m’inginocchio vicino alle mie poche cose e scoppio in un irrefrenabile pianto; il trucco ormai &egrave scomparso, lasciando solo miserevoli tracce sul mio volto, tracciando profonde occhiaie attorno ai miei occhi, facendomi sembrare una povera ragazza reduce da una serata pesante.
Mentre ancora piango, una dolcissima carezza scorre sui miei capelli, poi si ferma più forte sulla mia nuca e una voce soave mi chiama.
Mi giro &egrave lei Yvonne, i suoi occhi mi fissano sognanti, poi mi aiuta a rialzarmi, mi abbraccia, quando e di fronte, mi bacia dolcemente sulla bocca poi girandosi mi ordina di seguirla, &egrave bellissima stretta in uno spolverino panna, svolazzante al vento mi precede ondeggiando su due vertiginosi stivali neri dal tacco altissimo, verso un taxi fermo al molo salgo pigramente trascinandomi dietro i bagagli, poi mi conduce sotto coperta, mentre il motoscafo adagio si stacca dalla riva brontolando.
All’interno mi bacia accarezzandomi, poi bisbigliando nelle orecchie mi dice di stare calma e con una rapida mossa mi benda con la sciarpa che portava al collo, tremo tutta, poi il suo profumo mi avvolge e m’inebria, mentre le sue mani mi sfiorano le spalle, la schiena e i seni mentre mi stringe a lei abbracciandomi, non so se per scaldarmi e tranquillizzarmi, o se per farmi sentire già sua prigioniera.
Per lungo tempo il motoscafo naviga per i canali e per la laguna, poi sento il motore rallentare, poi lo scafo lentamente si avvicina al molo poi siamo ferme.
Mi solleva per un braccio mi aiuta a prendere i bagagli, poi spingendomi mi solleva sul bordo dello scafo e con una spinta mi trovo stesa per terra schiacciata dai suoi tacchi e dai miei bagagli.
Ride di gusto, guardandomi stesa per terra, poi sorridendo mi ordina di camminare a quattro zampe se non so stare in piedi, la rabbia e le lacrime mi montano agli occhi, ma anche se volessi reagire, sono sempre ceca; poi decide che la Padrona ci aspetta e siamo in ritardo mi sollevi di peso m’infili lo zainetto poi, mi dai il trolley in una mano e tirandomi per i capelli mi spingi verso l’ingresso.
Mi spinge avanti per un lungo tratto poi ci fermiamo, cala un silenzio improvviso poi sento dei tacchi avvicinarsi, cerco di capire chi &egrave e da dove viene, poi sento le mani di Yvonne, sfilarmi lo zainetto e allontanarsi.
Ancora il silenzio poi sento il tuo profumo Padrona, ti avvicini sento il tuo sguardo su di me e m’inginocchio pur non sapendo dove sei rispetto a me, ridi e capisco che sei dietro le mie spalle, sento la tua voce mentre chiami Lulù.
Mio dio chi c’&egrave qui oltre a me, tu Padrona e Yvonne, lei arriva, mi bacia, sensuale come sempre, poi riconosco il profumo e lei Yvonne, ma perché l’hai chiamata Lulù? Riconosci la mia paura e ridendo mi dici che sono una stupida qui tu sei la Padrona, noi le tue schiave e come Padrona vuoi darci tu i nostri nomi, lei sarà per sempre Lulù ed io la piccola Kikka.
Lulù si avvicina ancora e lentamente inizia ad aprirmi la giacca che indosso, poi mi sbottona i jeans che lentamente abbassa fino ai piedi, vedendo che indosso le mutandine e quindi immagini pure il reggiseno, ti adiri e tirandomi per i capelli mi trascini verso un tavolo, qui Lulù mi sfila le scarpe, le calze e sfila completamente via i jeans, tremo tutta, il marmo &egrave gelido sotto i miei piedi.
Le ordini ora di togliermi la maglietta e il reggiseno che come ne eri certa indossavo, mi ordini di togliermi le mutandine che con pudore sfilo, appallottolo e sto per darvi, tu li guardi con distacco poi me li infili in bocca, mi spingi stesa sul tavolo poi mi fai allargare le gambe e le braccia che velocemente Lulù lega strettamente.
Iniziate lentamente a ispezionare il mio corpo, soppesate il mio seno stringendolo e strizzando i capezzoli fino a strapparmeli via, stringo fra i denti le mutandine per non urlare, contorcendomi, mentre sento il ventre tendersi e le labbra inumidirsi, te ne accorgi, sai che basta poco perché il mio corpo tradisca i miei pensieri, scendi lentamente sul mio ventre accarezzando la mia pelle liscia, lecchi voluttuosa il mio ombelico poi infili dentro un dito a fondo dentro di esso fino a farmi restare senza fiato, mi fai contorcere come un serpente poi con l’altra mano m’ispezioni le labbra della fighetta, ma con disgusto ti allontani.
Ordini a Lulù di avvicinarsi, m’infilate un telo sotto il culetto, poi sento che cospargete di schiuma la fighetta, tremo dalla sensazione di freddo, poi sento un oggetto scorrere sulla mia intimità, mi liberate dal mio tappetino, cospargete ora di baci la mia liscia gattina, ecco cosa ti ha fermata prima Padrona, ora che solo la pelle riceve le tue carezze, i tuoi baci, esplori con desiderio e con estrema calma la mia piccola fessura godendo degli umori che la stanno imperlando tutta.
Scorri con la lingua, lungo la fessura fra le labbra, le inumidisci allargandole, premendo la lingua fra esse, sfiori il clitoride con la punta della lingua, giochi con esso, titillandolo piano, mentre Lulù gioca con i miei capezzoli; non resisto più fremo tutta, contocendomi come una serpe.
Ridi vedendomi così presa dal piacere che piano m’invade, così ordini a Lulù di portarti quello che già hai preparato per me, Lulù si allontana ridendo, chissà che vuoi farmi ancora Padrona, mentre l’ansia mi pervade, tendo i miei riflessi al massimo, potendo solo sentirti e percepirti su di me attraverso la mia pelle tesa e fremente delle tue carezze, dei tuoi baci e delle tue languide leccatine.
Ho perso il senso del tempo Padrona, mentre mi cullavi con i tuoi baci e, le tue carezze, Lulù deve essere tornata, sento altre mani e un’altra lingua, Padrona, oltre alla vostra. Vi fermate improvvisamente, poi mi dici che &egrave giunto il momento che io divenga la tua schiava, il momento nel quale per te e per la dolce Lulù, io divenga la piccola tenera Kikka.
Mi aiutate ad alzare il capo e lentamente m’infilate qualcosa di rigido e di alto attorno al collo, mio dio deve essere il collare, la paura mi tende come un arco, te ne accorgi, sorridendo, mi sfiori il basso ventre e così aumenti la mia tensione, mentre tendo di più il collo alle mani di Lulù, che così lo serra meglio nel mio collare da schiava.
Mi dici che da questo momento sono Kikka, che questo collare rappresenta la mia appartenenza a te, che quindi da questo istante mi sono donata a te, tu potrai ora fare di me tutto quello che vorrai e che l’unica ragione della mia vita e offrirti piacere e ottenerne da te, ubbidendoti.
Ora accarezzi il mio seno sinistro, lo stringi fra le dita, giochi con il capezzolo, succhiandolo adagio, quasi volessi nutrirti da esso, poi improvvisamente un dolore lancinante mi scuote, dal dolce torpore che tu mi stavi donando, uno spillone mi ha trafitta, sento qualcosa colare sul mio seno, oddio no, devo sanguinare, che mi avete fatto Padrona, vorrei gridare, ma le mutandine in bocca non me lo concedono, così solo un lamento smorzato esce dalla mia bocca, a testimoniare il mio dolore e la mia disperazione.
Mi accarezzate, per tranquillizzarmi, mi dici che &egrave necessaria la mia sofferenza, per aumentare il tuo piacere e che come schiava devo sentirmi orgogliosa di quanto stai facendo con il mio corpo; mi dici che anche questo lo hai già fatto a Lulù e che quando avrai finito, potrò vederlo su di lei.
Sfili lo spillone e nel foro infili qualcosa di freddo e di metallico, credo sia un anello, mamma perché sono venuta qua? Perché ho ceduto alle tue lusinghe Padrona? Poi la risposta mi viene spontanea Padrona, tu lo hai sempre saputo, mi hai già scelta dall’inizio, sapevi fin dalla prima volta che sarei stata tua, sapevi che ero destinata a te ed io mi sono lasciata catturare dalla tua dolcezza e dalla tua sensualità.
Dopo pochi istanti Lulù mi prende il seno destro, lo succhia come tu hai fatto per il sinistro e poi ancora quel dolore lancinante, ancora quello spavento, ancora il freddo improvviso, il sudore sulla mia pelle, mentre un altro anello orna il mio capezzolo destro, tremo, mentre una lingua scorre sui miei seni, sei tu Padrona o la dolce Lulù? Che mi state facendo Padrona?
Ora &egrave l’ombelico, il punto del vostro interesse Padrona, che volete farci con esso, sorridi lo lecchi, poi lo sfiori con le mani, ci giochi poi con il dito premi a fondo dentro di esso, mi contorco dal dolore e rapida con lo spillo mi trafiggi, mentre con il dito premi a fondo, poi il freddo improvviso, la paura, lacrime mi solcano le guance, scivolando piano sul collo e infilandosi tra la pelle e il collare che m’imprigiona.
Le braccia e le gambe, doloranti, mi ricordano che da molto tempo sono legata su questo tavolo, la schiena bagnata ormai &egrave aderente alla superficie del tavolo come un francobollo alla busta, poi scendi sulla mia fighetta, la sfiori, la lecchi piano, la allargate come un frutto maturo, poi sento che tendete le labbra interne verso, l’esterno poi per quattro volte sento il dolore lancinante, il freddo contatto con il metallo, due volte per ogni labbra, piango sommessamente anche perché sono ormai certa che non avete ancora finito.
Infatti, come temevo, Padrona, ora strigi fra le tue labbra il mio clitoride fremente, poi lo prendi tra le dita, lo tiri all’esterno poi ancora il dolore lancinante, che mi scuote tutta, ancora il freddo intenso, la sudorazione ancora più copiosa, mentre qualcosa entra attraverso il mio clitoride torturato.
Ora infilate qualcosa all’anello sul capezzolo destro, &egrave freddo, &egrave metallo, una catenella la sento scorrere sulla mia pelle, poi infilarsi sull’ombelico, sì, sì, &egrave dentro l’altro anello poi ancora più giù si dio mio, ora sulla fighetta si attraverso le labbra destre, poi il clitoride, poi ripercorrete a ritroso dal lato sinistro, poi la serrate al capezzolo sinistro.
Mi avete incatenata, schiava come mi volevate, ora baciandomi mi togliete le mutandine dalla bocca e finalmente le vostre lingue incrociano la mia torturata dai denti mentre mordevo il bavaglio; poi mi slegate e mi permettete di rialzarmi, sento le delicate mani di Lulù sostenermi mentre tu Padrona baciandomi mi sbendi e sorridendo mi guardi, ti osservo, poi incuriosita, mi guardo, non riconosco più il mio corpo così violato, tremo arrossendo, abbasso lo sguardo sul mio ventre, mentre tremano le catenelle, mi sollevi il mento, mi fissi negli occhi poi mi ordini di guardare verso Lulù, mi giro e incrocio il suo viso felice, poi scendo sul suo corpo e riconosco le stesse catene, lo stesso collare, anch’io come lei ti appartengo.

Sono in classe, seduta al mio banco, tu Padrona, mi guardi passando tra le file dei banchi, come mi hai chiesto per telefono, questa notte, indosso un tailler grigio, con le autoreggenti grigio scuro, una camicetta bianca ed un foulard al collo, porto i capelli raccolti a chignon e sono truccata un poco più del solito, sapendo di farti piacere, anche perché ora non maschero sotto i capelli il mio visino.

Ti avvicini in silenzio dietro di me e mi accarezzi la nuca, giochi con un ricciolo di capelli che sfugge dalla crocchia di capelli, poi con le dita ti infili sotto il nodo del foulard, accorgendoti che la tua piccola Kikka, indossa il collare, compiaciuta tiri con le dita il collare, facendo forza sulla mia morbida pelle, poi vedendo il mio imbarazzo crescere, quando tutti gli occhi dei miei compagni si puntano su di me, ti allontani sorridendo, mentre io arrossendo fisso tremante il foglio sul banco, mentre il perizoma stretto tra le gambe comincia ad inumidirsi sempre più.

Suona la campanella e mentre sto per alzarmi per uscire mi fai segno di aspettare, devi parlarmi.

Mi risiedo ed aspetto che l’aula si svuoti poi mi rialzo e mi avvicino alla cattedra dove tu ti sei seduta per controllare i registri prima di uscire, quando sei certa che ti sia vicinissima, sollevi il capo facendo sciogliere i tuoi capelli fulvi, come una cascata fiammeggiante e sorridendo mi guardi compiaciuta.

Finalmente sei contenta della tua piccola Kikka, di come si sta impegnando a scuola ma anche di come sta diventando una brava docile schiava; mi comunichi che per i giorni di vacanza tu, ti recherai a Berlino per un congresso e che non vuoi andarci da sola perciò sia la dolcissima Lulù, sia la piccola Kikka ti accompagneranno nel tuo viaggio, mi dici che hai già informato mamma e di correre a casa a preparare i bagagli, perché passerete a prendermi nel pomeriggio.

Non sono mai andata via da Venezia, mai sono stata in un aeroporto e la sola idea di salire su di un aereo mi terrorizza. Sono rimasta vestita come questa mattina, ho portato con me il mio piccolo trolley, l’unica differenza rispetto a questa mattina ho indossato le catenelle come mi hai richiesto che ho indossato con l’aiuto di Lulù, e ho tolto il perizoma che ti ho dato e che ora porti in borsetta e che ogni tanto annusi, alternandolo a quello di Lulù.

Siamo sedute in sala d’aspetto, aspettando il momento dell’imbarco, mi guardi sorridendo con Lulù, osservando la mia tensione, non riesco a stare tranquilla, mi guardo attorno, curiosa come una bambina. Tesa ad assaporare questa nuova esperienza, osservo le altre persone fissando lo sguardo sulla hostess bionda al check in, che osserva altera e distratta, le carte di imbarco al cancello del gate.

E’ molto bella, elegante nella sua uniforme, magra, le invidio gli splendidi occhi azzurri ed i capelli lunghissimi biondi sapientemente raccolti ed il collo lungo che appare dal foulard di seta avvolto al collo.

Si gira ed improvvisamente guarda nella mia direzione, dio mio che vergogna, non ho mai guardato così attentamente un’altra donna, se non tu Padrona o Lulù, arrossisco e tremante mi alzo, prendo dalla mia borsetta i miei occhiali da sole che indosso e le sigarette e mi avvicino alla vetrata che guarda verso la pista ed osservo gli aerei fermi.

Sento una mano sulla mia nuca, tendere il collare, giro lo sguardo, incrocio i tuoi occhi ,Padrona, mi guardi severa, mi dici che non posso fumare e mi sfili gli occhiali da sole sorridendomi, poi ti avvicini baciandomi stringendomi forte a te, ci risiediamo lentamente mentre sorridi compiaciuta alla hostess, che ricambia con un sorriso malizioso.

Ci chiamano, &egrave il momento dell’imbarco, in fila ci avviciniamo al gate, prima passi tu Padrona, sorridi alle hostess, poi vi dite qualcosa in tedesco, che io non capisco, poi &egrave il turno di Lulù anche lei sorride passando davanti a loro, poi &egrave il mio turno, mi avvicino mostro la carta di imbarco, certa di seguire tranquillamente il vostro esempio, ma qualcosa non và, mi fermano e mi fissano con aria interrogativa, inizio a preoccuparmi vedendo voi due sparire in fondo al tunnel che vi sta portando verso l’aereo, arrossisco, mentre loro osservano attentamente i miei documenti, sono davanti a lei, e certamente mi ha riconosciuta, mi sorride dicendomi qualcosa che purtroppo non capisco, la guardo implorandola con lo sguardo di farmi imbarcare, lei sorride si avvicina e baciandomi mi restituisce i documenti, poi prendendomi per mano mi conduce nel tunnel e nell’ aereo mostrandomi il mio posto e sedendosi vicino a me capisco che ci accompagnerà a Berlino.

La guardo, mentre mi allaccio la cintura di sicurezza, imitandola, poi mi giro verso l’ oblò e mi infilo le cuffiette dell’ I-pod ed ascolto la mia musica preferita.

L’ aereo inizia a rullare chiudo gli occhi stringendo forte le mani affondando le unghie nel tessuto dei braccioli, sono terrorizzata, tremo tutta, ho freddo, ma la pelle mi si sta inumidendo di sudore, si avvicina a me, mi appoggia una mano sul ginocchio sinistro, tremo ancora più di prima, mentre spalanco gli occhi e la guardo, mi sorride e con l’ altra mano mi accarezza il volto come farebbe ad una bambina, mi vergogno mi sento una stupida, poi mi volto verso di te Padrona, mi sorridi anche tu poi ti giri verso Lulù e vi baciate.

Dopo un po’, quando possiamo slacciare le cinture, Lulù viene a sedersi al mio fianco, mentre la hostess, si siede al tuo fianco Padrona e vi mettete a parlare.

Lulù mi dice che incontreremo una tua amica Padrona, che sarà lei e la sua giovane amica le nostre guide e le nostre ospiti a Berlino, mi dice che la tua amica Padrona, &egrave una signora molto ricca e molto elegante e che vive con una ragazza più giovane, che studia legge e che &egrave la sua compagnia.

Sarò all’altezza delle tue amiche Padrona? Sono terrorizzata, ora del volo, ora più spesso della figura che ti farò fare Padrona, sono solo un’impacciatissima ragazzina, timida, che non conosce altro che la propria scuola, la propria città, ed appena un poco di più grazie a quanto mi insegni Padrona.

Devo andare in bagno, timidamente chiedo a Lulù dove si trova la toilette, mentre mi alzo in piedi, lei me la indica in coda al velivolo, mentre furtiva, infila una mano tra le mie gambe e sfiora le mie labbra umide, poi strattona la catenella che collega il mio clitoride al collare, facendomi bloccare, mentre stringo le cosce.

Mi lascia andare ma mentre vi passo vicino, Padrona mi stringi forte un polso e mi dici che mi concedi di andare in bagno, ma solo ad una condizione, che lasci la porta aperta, sono spaventata, anche a casa mi chiudo a chiave ogni volta che vado in bagno.

Sto per tornare a sedermi, ma scappa troppo per rimandare, mi dirigo verso la toilette ed accosto la porta alle me spalle, mi siedo e velocemente svuoto la mia vescica, mentre mi pulisco con una salviettina, sento aprirsi la porta, mi giro di scatto e lei sorridente mi guarda chiudendo la porta alle sue spalle.

Dio mio arrossisco, vergognandomi, mi sento un vermetto, nessuna oltre a te Padrona ed a Lulù mi ha mai vista, mentre sono in bagno, mi alzo e mi sistemo la gonna e mi avvicino a lei per uscire, lei mi blocca e spingendomi contro il lavandino mi bacia, stringendomi a lei.

Mi sfila il foulard e con esso mi benda, poi mi sbottona la giacca che mi sfila lasciandola cadere a terra, poi mi sbottona la camicetta, che segue in terra la mia giacca, si toglie anche lei la giacca, la gonna e la camicetta, poi sfila la mia gonna e tirandomi per il collare mi obbliga a inginocchiarmi e premendo per la nuca spinge il mio viso contro la sua fica, &egrave profumatissima, per quello che sento attraverso le mie labbra &egrave completamente depilata, &egrave umida, deve avere molta voglia.

Prende le mie mani e le porta alla mia bocca, le lecco e poi timidamente con esse le accarezzo le labbra della fica, &egrave liscia ed umida le sfioro le labbra interne e la sento gemere, mentre sostituisco le mie dita con la lingua, che, prima, lentamente infilo tra le labbra, poi, velocemente dentro di lei facendola fremere ancora di più presa dal desiderio e dall’intenso piacere.

Bussano, lei di corsa si riveste, girandosi verso la porta che si apre, appari tu sulla soglia, mi guardi severa, mi sollevi di peso tirandomi su per il collare, poi infili una mano tra le mie labbra, che senti fradice, mi schiaffeggi davanti a lei dandomi della puttana, e mi obblighi a pulirti le dita dai miei umori, vorresti farmi uscire così nuda, ma sai che non &egrave possibile, percui mi obblighi a rivestirmi.

Ti giri verso di lei, sei ancora arrabbiata, la schiaffeggi, ma poi mentre lei ti fissa piangendo, la tiri al tuo petto baciandola.

Sto per uscire, quando mi fermate, e lei baciandomi, mi sfila il foulard, che si nasconde in una tasca, poi rivolta a te sorridendo ti bacia ancora, teneramente, dimenticando che io vi sto guardando attonita.

Finalmente mi risiedo sul sedile, mentre Lulù ridendo, mi chiede perché ho impiegato tutto questo tempo, arrossisco, cercando una scusa plausibile, che non trovo, poi ti avvicini sorridendo e baciandomi mi agganci il guinzaglio al collare che poi dai a Lulù da tenere.

Ora, Padrona, mentre tu abbracci e teneramente ti baci con la tua giovane e bionda amica, Lulù mi accarezza teneramente la gamba e poi, lentamente risale scorrendo con le dita sulla mia pelle, verso la mia fica, che sensibilissima al contatto delle sue dita, fremendo tende la catenella, provocando un dolce massaggio al mio clitoride eccitato.

Ad occhi chiusi, distratta da questo piacevole massaggio, sommessamente gemo stringendo le gambe, mentre il piacere mi assale, bacio le calde labbra di Lulù, incrociando freneticamente la sua lingua, come due fioretti in un intenso duello.

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