Non ci fu strazio maggiore per me che ricevere l’annuale invito a quella maledetta festa dei coscritti. Ogni anno declinavo gentilmente, senza troppe scuse: la mia nuova vita nella città mi dava un più che valido motivo per non presenziare a quella facezia d’incontro con i vecchi compagni delle scuole medie, compagni che detestavo uno a uno, o quasi. Sono passati ormai dieci anni, e ricordo il periodo delle medie come uno dei peggiori, almeno per me. Ero il classico bambino non dico bistrattato, ma comunque mal considerato dai compagni, se non un paio con cui avevo abbastanza legato anche oltre gli studi. Per il resto si trattava di superficialotti pronti a prendermi in giro perché non mi importava nulla delle loro partite di calcio, o perché ascoltavo musica molto diversa dalla massa. Ebbene, la mia vita è cambiata radicalmente, e al contrario di molti di loro sono riuscito a diventare un professionista nei miei interessi, crescendo tra piaceri e delusioni. Lungi da me il credere di esserne superiore, sicuramente tutti loro hanno avuto una loro crescita personale, ma quando quella sera li vidi parlare (perché, sì, stavolta avevo accettato per mancanza di altri impegni) tornai alla mia convinzione di avere a che fare con i soliti imbecilli.
Tuttavia, durante la cena, mi divertii a ostentare la mia nuova e rinnovata personalità, spesso mettendo a tacere con tranquillità i detrattori fintamente interessati alla mia vita recente, grazie a una verve invidiabile, acquisita per mia stessa volontà. Ora, è necessario spiegare in brevissimo, la mia personalità: da sempre appassionato di letteratura, negli anni volli sviluppare un carattere degno di stima e stupore, essendo un creativo dalla nascita; quindi mi impegnai in svariate materie per mio conto, poiché non ebbi la possibilità di finire le scuole superiori: volli migliorare la mia calligrafia, il mio modo di parlare, studiai il mio tono di voce, il linguaggio non verbale e la gestualità. E’ vero, inizialmente dovetti apparire assai teatrale, ma poco a poco questo nuovo Io si fuse col mio essere, facendomi diventare, in sostanza, ciò che Volevo essere. E in effetti attualmente sono molto contento di me stesso. Ah, aggiungiamo, in conclusione, che sono single per scelta e molto, molto libertino. Ho una moralità tutta mia e un gusto della passione e della lussuria maturata con Kierkegaard, Goethe, Casanova e il sempiterno Wilde.
Perché, chiederete, mi dimenavo tanto l’anima nello (diciamolo pure alla volgarotta) smerdare i miei cari vecchi compagni? Per vendetta morale? Sì, forse, nondimeno lo feci per una sfida sempre presente in ogni maschietto: far bella figura dinanzi a una bella donzella, che magari è seduta proprio accanto a noi, e ascolta ogni nostra parola, volente o nolente! La presenza di una donna intrigante è per me sempre motivo di maggior sforzo di compostezza e equilibrio.
La ragazza in questione, naturalmente, è anch’essa una mia vecchia compagna di scuola e fu, ai tempi, la classica fiammella amorosa mai corrisposta. Irene, ah era cresciuta bene, Irene. Ricordavo assai bene la sua risata zuccherina e sincera, e di nuovo portava quei capelli rossi naturali come allora: liscissimi, lunghi fino alle spalle, semplici ma non banali. La carnagione chiarissima piena di lentiggini, gli occhietti piuttosto piccoli di un azzurro molto chiaro. Corporatura normale, minuta, ma non troppo, e una modestissima seconda di seno, a dir tanto. Nell’insieme non poi una meraviglia, ma sapete come reminiscenze del genere possano giocare a favore nel rivedere la bellezza estrinseca di una persona. Non meno importante era il suo carattere, dacché se fosse stata simile alle sue amiche che riempivano la gallinaia, fin da subito avrei evitato di riconquistarla. Sì, poiché qualunque fosse stato il risultato, volevo riconquistarla, almeno per dare un senso alla serata. Tanto valeva, vista la noia, dare un po’ di pepe. Non lo scelsi, fui obbligato dal profondo, fin dai saluti iniziali, in cui la baciai sulle guance fuori dal ristorante, assaporando il suo velatissimo profumo di donna, in mezzo a convenevoli da diabete.
Non credo mi sia concesso raccontare qui i vecchi trascorsi erotici con lei (ovviamente vissuti puramente nella mia testa, visto che non mi filava se non come buonissimo amico!) dei tempi delle scuole medie, per ovvie ragioni. Sappiate solo che ho due episodi in mente: uno di quando si sedette sulle mie ginocchia, un bel pomeriggio nel doposcuola, e lì mi accese le mille fantasie, dacché la toccavo in ogni dove, quasi innocentemente. Dovevo far ridere assai, ero sciocco e bruttino, a quei tempi! E due, nella classica gita di tre giorni, in cui ero ormai cotto di lei, e feci le follie tra scappatelle e sms pur di trovare la sua camera d’albergo che condivideva con altre due o tre ragazze, per poi scoprire che stavo messaggiando con loroaltre e non con lei, che di già s’era addormentata. Che figura barbina, avranno irriso la mia ingenuità non poco!
Ebbene rieccola qui, Irene, come se avesse dimenticato tutto questo, ora pronta a raccontarmi dei suoi studi universitari e a ascoltare la mia recente e felice vita di cui andavo enfatizzando per scatenare l’invidia di quei mostriciattoli rimasti nel loro piccolo e vergognoso paesino, alle dipendenze di chissà quale panettiere e contentandosi di fare la partitella a calcio la domenica. Ma non ero infame, bensì impassibile e anzi molto gentile con tutti: di certo non volevo attirar veleno, ma solo avere una piccola rivincita. Detto così sembra che parlammo solo di me, ma ovviamente e per fortuna non fu così. La cena durò molto e la tavolata era assai caotica. Continuavo però, per mia sorte favorevole, a disquisire con Irene circa qualsiasi argomento, destando in lei, almeno mi pareva, una curiosità non tanto velata. La scorgevo, sottecchi, in quei rari momenti di silenzio tra noi, scrutarmi dall’alto in basso con gli occhi chiari, per poi tornare a concentrarsi sul piatto una volta che mi rigiravo per parlarle. Ne approfittai anche io per osservarla, anche se l’avevo già fatto con adeguato riguardo all’inizio, accompagnando il mio segreto giudizio a un innocentissimo: ‘Ehilà, come sei bella! Ti trovo davvero bene!’ (Al momento opportuno descriverò com’era vestita). Avevo una sfacciataggine leggera e simpatica, almeno doveva così parerle, acciocché continuai su questo tono a giocare con lei. Ormai era chiaro mi stesse eccitando i sensi, e decisi di trangugiare parecchio vino (io adoro il vino) proprio con lei: ehi! Gran bevitrice, la bella Irene! Giocare ed essere scherzosi è un buon metodo per abbordare, molto più che fare i saccenti. Umiltà innanzitutto, ma che non deve giammai passare per timidezza!
Giocai, in un momento avanzato, la carta dell’argomento lussuria: era il caso, se volevo entrare in quel meraviglioso universo di discussioni con le quali altrimenti non sarebbe stato possibile sedurla. Perché sì, diamine, volevo sedurla, e ne ero sempre più convinto; ella mi dava corda e io ne traevo vantaggio. Porto qui un esempio, anche se non sono mai stato bravo con i discorsi diretti, e me ne darete atto!
‘Con Paolo? Ma stai scherzando?’ sussurrai divertito e incredulo.
‘Eh, non me lo far ricordare!’ rise lei sbarazzina ‘non stavo a cento quella sera’! Però dai, non rompere, è diventato mica male, sai?’
‘Ah, non lo metto in dubbio!’
Mi voltai discreto a osservare il ragazzo in questione, piuttosto lontano da noi. Era quello su cui mi premeva di più prendermi una rivincita, in quanto ai tempi della scuola ci odiavamo come non mai. Era obbiettivamente diventato un bel ragazzo, con un ciuffo simpatico e uno sguardo avvolgente: finalmente aveva abbandonato quelle ridicole camicie a quadri e quegli occhiali da imbecille.
‘Comunque’ continuai fissandola lungamente negli occhi ‘grazie di essere qui vicina a me. Detto tra noi, non avevo voglia di venire’.
Le posai una mano tra i capelli giocandoci brevemente. Ella rise allegra.
‘Eh, spiegami perché non sei venuto le altre volte, stronzo!’
‘E che ne sapevo di ritrovare la mia pulzella (così la chiamavo da bambino scherzosamente) ancora così simpatica? Posso dirti in tutta onestà che sono qui per te?’ E risi, prendendo tutto alla leggera, insieme a lei.
‘Beh grazie” mi disse alzando un sopracciglio. Qualcosa mi si mosse nello stomaco. Che avesse preso sul serio le mie parole?
‘Scherzo, scemotta!’
‘Ah scherzavi, stronzetto!’ mi disse picchiandomi fintamente arrabbiata sulla coscia. Un tocco che mi diede i brividi.
‘Forse sì, forse no!’ rimasi sul tono faceto, sorridendo e alzando un sopracciglio a mia volta.
Ci sono momenti in cui il destino ti da una mano, per quanto forzato possa sembrare; ma spesso avrete avuto modo di constatare di come molte cose che in un racconto possano apparire forzate, nella realtà invece sono puramente naturali. Ciò che racconto di qui a poco è quello che accadde, e non posso inventarmi diversamente: Irene riconobbe la suoneria del suo cellulare, lontano, immerso nell’infinità della classica borsetta femminile posata tra i suoi piedi, sotto al tavolo. Non appena se ne accorse si tirò indietro con uno ‘scusami’ e si chinò alla ricerca dell’oggetto. Per farlo mise una mano sulla mia gamba sinistra, piuttosto vicina al bacino, e in un attimo, senza farlo apposta sentì chiaramente la mia erezione, ormai prepotente da parecchi minuti. Avevo cercato di dissimularla sedendomi più vicino al tavolo, facendo gioco con la tovaglia, ma fu proprio la mia vicinanza al tavolo a far sì che lei si appoggiasse fortuitamente proprio lì. Non sobbalzai, ma ne fui sorpreso. Sorpreso perché una volta ritiratasi su, mi guardò seria, mentre rispondeva al telefono. Probabilmente sua madre.
‘Sì sì..’ diceva. ‘Abbiamo quasi finito, poi andremo a bere qualcosa fuori, credo’ Non so che ora faccio”.
Sperai tra l’altro con tutto me stesso di non dovermi mettere a ballare, in quella compagnia, poi’
Nel mentre però, la mano di Irene aveva mantenuto la sua bella posizione vicino al mio bacino, con fare affettuoso. Capii poi che voleva far finta di niente, e io la seguii.
Continuammo poi a parlare, fino al caffè (ne avevo proprio bisogno), ormai completamente avulsi dalla compagnia. Venni a sapere che francamente anche lei aveva ormai rotto quasi ogni rapporto con i coetanei, essendo a studiare a Pavia da diversi anni, e mi ringraziò anzi di aver parlato con lei per tutto quel tempo.
‘Carina che sei’!’ osai ridendo, dandole un bacetto appena sotto l’orecchio. Le cercai la mano, e lei avvinghiò le sue dita alle mie, in maniera assai discreta. Era fatta!
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Ci sono due modi di trattare una signorina: il primo è quello iperprotettivo, dolcissimo e sublime, per cui poi il sesso prenderà un valore così aggraziato e dolce quasi da farti innamorare perdutamente. La erigerai su di un piedistallo facendola sentire felice, una piccola principessa che si sentirà completamente affidata alle tue cure amorevoli e, ai suoi occhi, uniche. Il secondo è quello scherzoso e leggero, in cui non deve mai mancare il rispetto, ma ove segui il suo gioco e la sua indole allegra per poi spruzzarci un po’ di pepe rosso qua e là. Allora il sesso che ne consegue sarà tosto più complice e alla pari, selvaggio, se vogliamo, meno amoroso e più amicale.
Personalmente non preferisco uno all’altro, benché io tenda a innamorarmi anche per poco della persona con cui ho a che fare, e sono pertanto portato a trattarla sempre come una regina, variando qua e là a seconda delle tipologie su descritte. Ma si parla pur sempre di sentimenti, e categorizzarle per forza non fa altro che sminuirle di valore! Ebbene, torniamo al ricordo, poiché ancora è ardente dentro di me.
Evito di raccontare il diabete che mi prese a entrare in quella discoteca, spero sappiate capirmi. Quell’ambiente lo evito da anni e anni. C’era tanta di quella gente’ indescrivibile. La musica era alta e insopportabile, ma via, avevo uno scopo ben preciso, e non potevo giocarmelo facendo lo schizzinoso.
Chiamatemi falso e profittatore, ma voi che avreste fatto?
Colei che ho sognata per tre lunghi anni di scuola, e che poi è sparita dalla mia vita, era lì che beveva al bancone con me, e solo per me. Eravamo discretamente lontani da casa, quindi molto improbabile trovare qualche conoscenza, oltre alla compagnia; compagnia che, chi a bere, chi a giocare a carambola, chi a ballare, si era ormai disfatta completamente. E Irene era lì con me, e non mi mollava un minuto. Ora passo a descriverla perché ormai non facevo più finta di niente, la osservavo con tanto d’occhi e facevo in modo che se n’accorgesse, osannando di quando in quando questo o quel particolare che di lei mi piaceva. Era elegante, ma piuttosto naive, Nel suo vestito nero a mezze maniche e che si dilungava fino a mezza coscia. Gambe agguantante da splendide calze di tulle scure, classiche, senza trame particolari, e due scarpette basse, nere, chiuse, molto british. Portava una collanina e qualche braccialetto non appariscente. Nessun anello. Io ero sull’elegante andante, come mio solito, e rigorosamente nero come da mia ormai atavica tradizione. Eravamo seduti su quelle sedie molto alte da bancone, sì che potessi avvicinarmi sfacciatamente a lei, poggiando il piede sul suo sgabello, portandoci a contatto forzato. Continuava a parlarmi animatamente e a ridere toccandomi e ritoccandomi le gambe, con fare molto naturale, e nessuno ci vedeva nulla di male (ma poi, di male, che cosa mai stavamo andando a fare?!).
I tempi passati erano senz’altro il miglior argomento di conversazione, e risi a lungo di me stesso e di quegli episodi antichi di cui parlai prima.
‘Dai, ma che stronze! Cioè, e io vengo a saperlo solo adesso?’ rise riferendosi a quelle simpatiche amiche che messaggiavano con me spacciandosi per lei, alla gita di seconda media.
‘Lascia perdere, Ire! Ci sarà un motivo se ho voluto emanciparmi da sto schifo, uh?’
‘Eh ho visto che ci tenevi a raccontarlo, a tavola’
‘Vabbè, non credo di aver esagerato, ma una rivincita, se permetti, me la prendo!’
Dapprima rise di nuovo, dolce Irene, poi aggiunse:
‘Ma hai intenzione di baciarmi o devo venire io?’
Mi morsi il labbro, mantenendo il controllo. Dentro di me avevo il batticuore.
‘No no, vieni tu!’ risposi ammiccandole con un mezzo sorriso, che spero non fosse risultato ebete.
‘Che stronzo che sei!’ disse prendendomi per i capelli baciandomi le labbra con forza, e nondimeno la sua lingua roteava immediatamente con la mia, cercandoci appassionatamente in un crescendo di respiri. Da fuori dovevamo apparire assai contegnosi, o quasi romantici, non ci atteggiavamo certo da infoiati! Certo, lo spero, ma in fondo che avrebbe dovuto importarmi?
Una mano nell’altra, e una appena dietro la nuca, tra i suoi capelli, a raccoglierne l’essenza e il profumo mentre non la lasciavo staccare nemmeno per respirare, costringendola a farlo dal naso.
Non mi importa _ dicevo a lei a mente _ tu non ti stacchi da qui!
Dopo almeno cinque minuti, inaspettatamente ci staccammo con uno schiocco buffissimo e scoppiammo a ridere.
‘E quindi’!’ dissi allegro riprendendo in mano la mia birra.
‘Dicevamo!’ rispose lei facendo altrettanto.
Non mi importava nemmeno di asciugarmi la bocca. Volevo la sua essenza sul mio volto, non me la sarei mai tolta finanche non avessi appagato tutto il nostro desiderio. Come se mi leggesse nella mente, si passò la lingua sul labbro inferiore e mi spinse a baciarla di nuovo. Durò un secondo e pochi centesimi, poi lei si alzò e mi prese il volto tra le mani, vicinissimo al suo.
‘Dai vieni a ballare!’
‘Cos.. ma’!’ risposi intontito.
‘Cazzo, guarda come ballano! Non si vedrà mai che fai schifo!’
‘Grazieee!’ urlai nel baccano lasciandomi trascinare in mezzo a quel mucchio di persone semoventi.
Lei rise, una volta in mezzo, voltandosi e prendendomi per i fianchi, muovendosi, io credo, a casaccio. E così feci io, inebriato dal suo corpo appiccicato al mio, in mezzo a quel limbo di persone che non ci permetteva nemmeno di vederci le scarpe! Fu oltremodo divertente, non lo nego, e ne rimasi stupito! Sarà stata la sua mano sulle mie terga, saranno state le mie sulle sue, che birbamente andavano ad alzarle di striscio la gonna per sfiorare quelle cosce piccole e sode, saranno stati i nostri bacini ora completamente fusi. Sarà stato il suo sorriso di scherno alla mia totale incapacità di movimento. Sta di fatto che mi divertì e palesemente ci eccitammo come matti.
Passò un po’ di tempo e la costrinsi a venire fuori con me a fumare. Ne avevo seriamente bisogno.
‘Me ne fai una?’ mi chiese una volta raggiunto un angolo piuttosto isolato (non abitiamo in città, le nostre parti sono composte da piccoli paesini, e quel locale in particolare era fuori mano, sicché si faceva presto a trovare angoli scuri, qualora non fossero già occupati da altre coppie o da compagnie di allegri festaioli.
‘Ah, te la fumi eh?’ sorrisi dandole la sigaretta rollata, e facendomene un’altra.
‘Di quando in quando, sono una di quelle che fuma quando è in compagnia’ disse accendendo e ridandomi l’accendino.
‘Dì, ma stai dai tuoi a dormire?’ osai, ormai tranquillo.
‘No, sto da te. Non hai detto che abiti da solo?’ mi rispose tra un bacio e l’altro. Sì, forse è rivoltante e puccipucci (mi vien da ridere) ma ormai eravamo partiti per la tangente, non giudicate!
‘Ah proprio così’ Spudorata!’ feci una risata per la sua sicurezza.
‘Bello, non ci provi con me se poi non mi dimostri niente!’.
Era bellissimo, pareva fosse tutta un’altra persona, ma a impressionarmi e a rendere il tutto più meraviglioso fu proprio il riconoscerla come l’Irene, la mia vecchia compagnia inarrivabile, e tutta la questione di rivincita sui miei ex compagni di cui parlavo: dovete sapere che lei fu ambita e desiderata da molti, e probabilmente solo quel tale Paolo (maledetto!) era riuscito ad averla. Non voglio ricordarla come un trofeo conquistato, assolutamente no! Ma accidenti, nel tal caso, lei sì che è un bel trofeo’
Giocai allo stupore scherzoso: la presi per i fianchi e la girai, poggiandomi al muro di schiena, e tenendola in piedi dinanzi a me, abbracciandola da dietro. Le feci fumare la mia sigaretta, baciandole il collo delicatamente, e d’un tratto lei si fece silenziosa e eccitata. Lasciò che la mia mano cadesse a toccare il suo seno, spavalda, che le mie dita giocassero nell’ombra col suo bocciolo inturgidito, che la mia lingua arrivasse fin al suo orecchio, facendola sussultare. Sì abbandonò a un sospiro, probabilmente misto a solletico e mi fece ridere.
‘Madonna!’ esclamò tra le risate. ‘Ma che mi fai!’.
Non la mollai, sussurrandole se volesse venire da me. Lei si voltò guardandomi, facendo un tiro della sua sigaretta e passandomi l’altra mano, ormai spudorata, sulla mia patta. Era incredibilmente sensuale, mentre fumava, lo ammetto. Mi abbandonai allora alle amorevoli cure della sua mano al mio membro, che aveva con calma fatto uscire dalla sua prigione, lasciando per un attimo indietro l’idea di portarla a casa mia. Non importava. Non ora.
Cominciò a leccarmi le labbra, masturbandomi lievemente, ma voletti mantenere il controllo del gioco, rigirandola come prima, cominciando a sfiorarle il suo fiore in sboccio e tenendola per la vita con un braccio. Lasciò che la mia mano andasse a sistemarsi tra il suo tanga, appena sotto il velo delle calze, allargando un poco le gambe. Teneva la mia mano con la sua, mentre, madida di suoi liquidi, andava a accarezzarla con sempre più intensità, fino a produrre quel singolare sciacquettio continuo, due dita dentro di lei, le più interne, e due a stimolarne i contorni carnosi dell’inguine, il palmo sulla clitoride. Lei era estasiata, ora completamente abbandonata addosso a me, il volto rivolto all’insù, respirando forte, forte. Al primo accenno di grido le tappai la bocca. Mi leccò la mano, mi morse le dita, stando al gioco del silenzio mentre impazziva. Mi fermai quasi di colpo, levando la mano da sotto la sua gonna e andando a leccare le stesse dita davanti a lei. Ero seriamente pazzo di lei, in quel momento.
‘Nooo” sospirò sorridendo.
‘Ebbene sì!’ risposi bastardo. ‘Ti piacerebbe venire così presto’
‘Cazzo sì, adesso ritorni qui” sospirava forte. Era visibilmente grata e divertita. Andava davvero alla grande.
‘Shh’ la zittii sistemandole i capelli dietro le orecchie piccole e rimettendomi a posto, successivamente.
La presi per mano portandola alla macchina.
‘Ohi ma, nessuno mi ha mai fatto aspettare così! Come ti permetti?’ fece la finta offesa, incespicando nel parcheggio.
‘Ah davvero? A me sì! Tu per esempio, per almeno nove anni ti ho aspettata!’ le feci cantilenando.
Una volta giunti all’auto, la guardai serio: ‘Oh Ire, sei splendida”.
Spalancò gli occhietti chiari. Mi diede una testata leggera, si mise a ridere e entrò in macchina.
grammaticalmente pessimo........
Ciao Ruben, sei un mito! Hai un modo di scrivere che mi fa eccitare! La penso esattamente come te. Se…
Ti ringrazio, sono felice che ti piacciano. Vedremo cosa penserai dei prossimi episodi, quando si chiuderà anche la sottotrama di…
Davvero molto bello. Piacevole come gli altri e decisamente pregno di sentimenti espressi senza risultare melensi o ripetitivi. D'impatto leggiadro,…
Come ti ho detto, in pochi e poche sanno sa scrivere in maniera così eccitante sia dare un senso ad…