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Racconti Erotici Etero

Milano-Roma, via Bologna

By 14 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Mi ero sbrigato prima del previsto. Potevo ripartire subito, non era necessario pernottare a Milano. Avrei preso il taxi, sarei andato a Linate per imbarcarmi sul primo aereo dove vi fosse un posto disponibile. Non era difficile. La tessera VIP mi dava una certa precedenza. In ogni caso, c’era la saletta riservata dove poter bere qualcosa.

Ero fermo dinanzi all’albergo, poco distante dalla stazione ferroviaria centrale, con la valigetta ’24 ore’ in mano, indeciso.

Forse era meglio rimanere, una buona cena, un film al cinema, una bella dormita e domani a Roma, in aereo.

A casa non m’attendeva nessuno, sapevano che sarei ritornato il giorno successivo.

M’avviai lentamente verso la stazione. Il taxi potevo prenderlo anche lì.

Nell’atrio acquistai alcune riviste. L’altoparlante avvertì che, al binario 7, era in partenza l’intercity Milano-Roma, via Bologna. Rimasi indeciso, l’Intercity era più lento dell’Eurostar. Poi riflettei che non avevo particolare fretta, ero pigro. Andai alla scala mobile e mi diressi al binario 7. Il biglietto l’avrei fatto in treno.

Non c’era mota gente. Salii su una vettura di prima classe. Lo scompartimento che preferisco, quello centrale, era occupato da una signora con una bambina. Entrai, salutai, presi posto in angolo, verso il corridoio. Nessuno rispose al saluto né si accorse della mia presenza, perché la donna e la bambina erano affacciate al finestrino, intente a parlare con qualcuno che stava sul marciapiede. Mi alzai e guardai fuori, curiosando. Era un uomo non giovanissimo, vestito in modo abbastanza vistoso, con capelli tinti e riccioluti, ben impastati di gel. Una grossa catenina al collo e un braccialetto molto appariscente, d’oro. Mi venne spontaneo di arricciare il naso a tanto cattivo gusto.

Il treno s’avviò.

La donna chiuse il finestrino, si mise seduta nell’angolo opposto a quello in cui era io, e chiamò vicino a sé la bambina. Mi fece un sorriso di cortesia e lo ricambiai con un lieve cenno del capo.

Era vestita con un abito certamente costoso, ma un po’ carico nei colori e pomposo nel disegno; non molto adatto viaggiare. Mani curate, unghie laccate di rosso scuro. Capelli nerissimi, certamente ‘ritoccati’, raccolti in un’acconciatura quasi teatrale. Scarpe eleganti, calze velatissime. Trucco del volto, occhi inclusi, un po’ pesante. Aveva gli occhi un po’ rossi, come avesse pianto di recente. Chiesi il permesso di togliermi la giacca.

‘Faccia pure, le pare!’

La voce aveva tonalità e timbro da contralto, ma la cadenza era decisamente dialettale.

Le chiesi: ‘Romana?’

‘E che? nun se sente? Che, é romano pure lei?’

‘Quasi, ci vivo da tantissimi anni.’

‘E va a Roma?’

‘Si, e lei?’

‘Anch’io e la pupa andiamo a Roma.’

Guardò la bambina.

Vero Lisa che andiamo a Roma?

La piccola s’era messa a sfogliare un album di figure e annuì con la testa.

La donna tirò un profondo sospiro. Poi si rivolse nuovamente a me.

‘Mio marito, l’ha visto? é quello che stava sul marciapiede! ci rispedisce a casa. Dopo una bella litigata, si, non lo nego, ma non può trattarci in questo modo.

Sa, eravamo a Como con lui, dove sbriga certi affari coi suoi soci. Io gli ho solo chiesto quando saremmo tornati a casa. Lui s’é incazzato, scusi, e m’ha detto che potevo, anzi dovevo, tornarci subito. Ed eccoci qui.’

Ascoltai in silenzio, sforzandomi di apparire interessato.

La donna si alzò per prendere la borsa da viaggio che era sulla reticella.

Non era male, anche se abbastanza prosperosa.

Sulla punta dei piedi, con le braccia levate, era uno spettacolo tutt’altro che spiacevole. A parte il vestito.

L’aiutai a tirar giù il piccolo bagaglio.

Lei si voltò, con un largo sorriso.

‘Grazie, é veramente gentile.’

Sedette, aprì la borsa, prese un pacchetto di sigarette, l’accendino, un lungo bocchino di metallo e d’avorio.

‘Posso offrire?’

‘Grazie, ma non fumo.’

‘Allora non fumo neanche io. Sa, quando sono nervosa mi sembra di star meglio, dopo una sigaretta. Ma non &egrave che mi piacciano tanto.’

Rimise tutto nella borsa.

‘Che posso vedere una delle sue riviste?’

Si alzò e venne a sedere vicino a me. Prese uno dei miei giornali e cominciò a sfogliarlo.

Lisa s’era sdraiata sul sedile e s’era addormentata.

La madre la coprì con un foulard di seta pesante e le mise un fazzoletto sotto la testa.

‘Pora pupa, &egrave stanca.’

Riprese la rivista, la poggiò sulle gambe, senza leggere. Si alzò.

Andò dietro al finestrino. Guardò fuori. Senza voltarsi chiese: ‘Dove stiamo?’

Mi alzai e le andai alle spalle.

‘Siamo partiti da poco, ci avviamo verso Piacenza.’

Sempre guardando la campagna, lei si scostò dal finestrino, mi urtò restò appoggiata a me.

‘Ferma a Piacenza?’

‘No, signora, la prima fermata &egrave Bologna.’

Percepii il suo leggero muoversi e il suo tepore. Natiche rotonde, sode. Non mi spostai. Il movimento si fece più evidente. Ricordai il tempo della goliardia: ‘chiappette prensili’. Sorrisi. Spinsi, pensando che si allontanasse, invece premette ancor più.

M’era eccitato. Il suo strusciarsi fu più evidente. La serrai verso il finestrino, con una mano le sfiorai il seno.

Lei fu percorsa da un fremito che si ripercosse nelle natiche, con un sussulto. Mi prese l’altra mano e se la portò tra le gambe appena coperte dal leggerissimo tessuto del vestito, solo da quello.

Andai alla porta del corridoio, la chiusi, tirai le tendine, sedetti di fronte alla bambina, vicino al finestrino dov’era rimasta lei, ne presi la mano e l’attirai a me. Docilmente, mi si avvicinò, mi si sedette sulle ginocchia, di fronte, a cavalcioni, col vestito sollevato fino alle cosce.

Presi il fazzoletto dalla giacca appesa al gancio e lentamente le tolsi il rossetto dalle labbra, soffermandomi intorno alla bocca. Lei tirò fuori la lingua per inumidirlo. La strinsi e la baciai. La sentii che si protendeva in avanti, golosa.

Le sussurrai all’orecchio: ‘Scendiamo a Bologna?’

La donna assentì con la testa, poi bisbigliò: ‘Perché non andiamo alla toletta?’

‘Fra un’ora saremo a Bologna…’

Lei si alzò e mi si sedette accanto.

‘Me sarebbe piaciuto adesso… ma forse hai ragione te… ce sarà tutta la notte… a Roma nun me ‘spetta nessuno…’

Mi prese la testa e mi baciò focosamente.

‘Ao’, lo sai che nun riesco a reggeme? Nun m’é mai capitato de sentimme così allupata…’

Allungò la mano tra le mie gambe.

‘Però, anche tu sei arrapato… Dio te benedica… Comme te chiami?’

‘Ugo.’

Ma mi morsi le labbra, avrei voluto dirle un altro nome, un altro qualsiasi, non il mio.

‘E tu?’

‘Anna, ma me chiameno Nannarella, si come la Magnani.

Dimme, Ugo, tu la conosci bene Bologna?’

‘Abbastanza.’

Si drizzò sul busto, mise una mano nella scollatura e aggiustò il petto nel reggiseno.

‘Lo sai dove andare?’

‘Certo.’

‘Ce vai spesso ?’

‘Qualche volta.’

‘Sempre co’ quarche bella sventola?’

Mi strinsi nelle spalle, senza rispondere.

‘Che fa’, te piacio?’

‘Sicuro, sei una gran bella donna.’

‘Forse so’ un po’ greve per carattere tuo, vero? Intendo che parlo senza tante finezze…’

‘Sta bene come sei… Ma, dì un po’, cosa dirai alla bambina? Non hai paura che lo racconti al padre? E’ vero che é molto piccola, ma qualche parola potrebbe dirla sempre.’

‘Non c’&egrave pericolo, l’ho abituata a non dire mai niente.’

‘E se tuo marito telefona a casa e non ti trova?’

‘Dopo gli dirò che sono andata da mi’ madre.’

‘Si, ma se gli viene in mente di telefonare lui da tua madre?’

‘Mi madre non ha telefono, sta al mare.’

‘E domani quando intendi ripartire?’

‘Quanno nun ce la famo più… Nun te la pijà, Ugo, ma quanno nun ce la farai più tu, perch&egrave a me non &egrave che me se deve da arzà in piedi…’

E fece una risatina furbesca.

Eravamo alla periferia di Bologna.

Presi dalla reticella la sua borsa da viaggio, abbastanza piccola, e la mia valigetta.

Aveva svegliato la bambina.

Ci avviamo verso l’uscita.

Il treno era entrato in stazione, s’era fermato.

Scendemmo, andammo nel sottopassaggio, uscimmo nella piazza. Erano quasi le cinque del pomeriggio.

Non volevo andare al mio solito Hotel, dov’ero ben conosciuto.

Di fronte alla stazione v’erano due alberghi, mi avviai verso quello che mi sembrò migliore. Risultò che meritava le quattro stelle che luccicavano sulla targa a fianco dell’ingresso.

Nannarella andò subito al bar, perch&egrave la bambina aveva sete. Chiesi una matrimoniale per lei e una singola per me.

La raggiunsi al bar per farmi dare il documento.

Pregai il recepionist di restituirmi subito la mia carta d’identità. Annotai le generalità di Nannarella. Aveva 30 anni, risultava nubile, abitava nei pressi di Tor Vaianica, altezza 1,65.

Il facchino attendeva all’ascensore con i pochi bagagli.

Nannarella e la bimba ci raggiunsero subito.

Salimmo al piano, le camere erano poco discoste tra loro.

‘Allora, Nannarella, vorrete rinfrescarvi un po’, vi aspetto giù fra un’ora, va bene?’

‘Poi entrà, se vuoi, io faccio presto.’

‘No, devo fare qualche telefonata.’

‘A che camera sei?’

‘233, in fondo al corridoio.’

‘Va’ be’, ciao.’

Entrai nella mia. Stavo commettendo un errore. Lei era certamente belloccia, una ‘bbona’, ma il giuoco non valeva la candela. E poi c’era l’ingombro di quella bambina!

Avevo sbagliato tutto.

Avrei dovuto prendere l’aereo e a quest’ora, forse, sarei già arrivato a casa, con la donna che amavo, certo più bella e affascinante di quella pur simpatica ragazzona.

Ero pensieroso, dietro i vetri del balcone, quando suonò il telefono.

Era lei, Nannarella.

‘Ugo, sò pronta, vieni a prendermi perché ho paura di non ricordare dov’é l’ascensore. Ti aspetto.’

Bussai alla porta.

‘Avanti.’

Entrai.

Luisa era in un angolo a cullare la sua piccola bambola.

Nannarella mi venne incontro, avvolta nel lenzuolino della doccia, coi lunghi capelli sulle spalle, senza un filo di trucco, né i suoi appariscenti gioielli. Era molto meglio così. Non dimostrava i suoi 30 anni. Scalza, sembrava più minuta nei lineamenti, di proporzioni più belle.

Rimasi sorpreso.

‘E’ così che sei pronta?’

‘Perché, nun so’ pronta?’

Fece una piroetta. Il lenzuolino, si aprì, scoprì il seno, le gambe, i fianchi.

‘Nannarella, sarà incantevole farlo nella comodità del letto, mentre baby dorme.’

‘Va’ be’, ho capito, me vesto.’

Lasciò cadere il lenzuolino e restò immobile nella sua nudità. Un corpo scultoreo. Il vestito lo mortificava, alterava, intozziva.

Alzò le braccia.

‘Che te paro?’

‘Una visione che incanta.’

Girò lentamente su sé stessa. I seni, alti, erano impreziositi da due capezzoli scuri e turgidi. Il ventre piatto si sollevava appena dove cominciava il monte di Venere deliziosamente imbrunito dai riccioli serici che s’insinuavano dove s’univano le sue splendide gambe.

Mi voltò la schiena.

‘Te piace? Me dicono che é un ber culo. E’ vero?.’

‘Meraviglioso, Nannarella, più di quello di Venere Callipigia…’

‘Calli che?’

‘Callipigia, kallypigos, dalle belle natiche.’

‘E che lingua &egrave?’

‘Greco.’

‘Ammazzali, quanto so’ difficili pe’ di’ chiappe belle. Vi&egrave qui, tocca, Ugo. E’ de sercio, come li selci della strada. Tocca’

Non aspettò che mi avvicinassi, si accostò a me, si avvinghiò al mio collo, mi baciò mordendomi le labbra.

Si, era veramente duro come la pietra, quel sedere, e duro era il seno che si strofinava sul mio petto.

‘Allora, Ugo, sei sempre pe’… doppo cena?’

‘Si, sarai il mio dolce.’

‘E tu la mia panna. Ho capito, m’ho da vesti’.’

E cominciò a indossare il reggiseno con lentezza esasperante. Poi il reggicalze, le calze. Girandosi e rigirandosi, curvandosi, provocante e invitante.

Mi guardò ammiccante.

‘Sta attento che nun te scoppieno li pantaloni!’

Prese il vestito e lo infilò.

‘E…’

Stavo per chiederle qualcosa.

‘No niente trucco, niente gioielli. T’ho capito. E niente altro. Così, se te vi&egrave quarche cosa pe’ la testa nun te vojo fa’ aspettà.’

Si volse alla bimba.

‘Vi&egrave, Luisa, che mamma te pettina.’

Uscimmo dall’Albergo. Lei volle dare uno sguardo ai negozi. Mi dissi lieto se potevo acquistare qualcosa per lei. Non accettò nulla e dovetti insistere molto per comprare un cane di pelouche per Luisa.

Tornammo dinanzi alla stazione, al posteggio dei taxi. Salimmo sull’auto e pregai l’autista di accompagnarci a Trebbo, dov’era un tipico ristorante.

Nannarella mise la bimba verso il finestrino e s’accostò a me. Mi prese la mano e con la massima nonchalance la infilò nell’apertura del vestito, sul fianco, nella zip che aveva abbassato.

Avvicinò la sua testa al mio orecchio, lo lambì con la sua lingua saettante.

‘Hai capito che nun ce vole impiccio?’

Si aggiustò sul sedile e divaricò le gambe.

Accarezzai piano quel prato morbido più della seta. Sentii il suo sesso inturgidirsi, palpitare al tocco delle mie dita, il clitoride elevarsi prepotente e vibrante. Le gambe di Nannarella fremevano. Avvicinò di nuovo la sua bocca al mio orecchio. La sua voce era bassa, roca, interrotta, affannosa.

‘Ammazzete quanto sei bravo… si… nun te fermà… faje er solletico… ecco… si… ar grilletto… me fai venì, Ugo, mo’ strillo…. sto’ a venì…. ecchime…. e…..’

S’abbandonò senza forze, come svenuta, con la testa sulla mia spalla, gli occhi chiusi, le labbra socchiuse.

Luisa giuocava col cane di pelouche.

Il locale le piacque molto, e gustò la cena che le proposi.

Lei e Luisa si comportarono benissimo, al di sopra di ogni mia speranza.

La bambina cominciò a strofinarsi gli occhi.

‘Luisa, che c’hai sonno?’

‘Si, ma”

Chiesi il conto, pagai, pregai di chiamare un taxi.

Lo attendemmo vicino l’ingresso.

Nannarella mi prese sottobraccio.

‘Che fa’, m’ariscardi n’antra vorta in macchina? Così me trovi come mejo nun te poi aspettà.’

La cena, il vino, il movimento dell’auto, e quanto si riprometteva di fare, contribuirono a farle rinnovare due volte la minaccia ‘de strillà’.

Colsi l’occasione per chiederle se prendeva la pillola o…

‘Tu nun te preoccupà, lo famo a pelle. Io so’ sanissima.’

Luisa s’era addormentata.

Arrivati in albergo, Nannarella prese in braccio la bambina. Entrammo nell’atrio. In una poltrona era seduto un signore che leggeva il giornale. Quando mi vide, si alzò e mi guardò. Era il direttore della sede bolognese della società che dirigevo.

Dissi a Nannarella che mi attendesse in camera.

Andò all’ascensore, senza dir nulla.

Belloni, l’uomo della poltrona, mi venne incontro con un sorriso ossequioso.

‘Buona sera, dottore, l’ho scorta quando usciva dall’albergo, con la signora e la bambina, e mi sono permessi di attenderla per salutarla.’

‘Ma ha atteso per ore…’

‘Ho letto il giornale, dottore, e mi sono permesso di far portare dei fiori alla signora…’

‘La ringrazio, caro Belloni, ma quella &egrave un’amica di mia moglie che ho incontrato in treno. La bambina non si &egrave sentita bene. Così sono sceso con loro, a Bologna, e ho atteso che il lieve disturbo fosse passato. Io sto per ripartire per Roma. Anzi, mentre faccio una telefonata, perché non mi fa la cortesia di vedere, alla stazione, se c’&egrave un posto in Vettura Letto? Per Roma, logicamente. Ecco, questo &egrave il biglietto ferroviario. Scusi, sa, ma certo lei conosce qualcuno in stazione.’

Gli detti il biglietto e attesi che uscisse.

Andai dal segretario dell’albergo e lo pregai di prepararmi subito il conto, per me e per la signora.

Per la signora e la bambina doveva anche includere la colazione per l’indomani. Io andavo in camera a prendere la valigetta. Purtroppo dovevo partire improvvisamente. Avrebbe dovuto provvedere lui, per favore, a informare di ciò la signora, ma solo se e quando avesse chiamato lei per avere mie notizie, non doveva disturbarla, forse la bambina già dormiva.

Una generosa mancia fece sorridere l’impiegato

Incontrai Belloni mentre usciva dalla stazione. Era raggiante, era stato capace di riservarmi un singolo sul treno che sarebbe arrivato a Roma poco dopo le cinque del mattino.

Lo ringraziai e lo pregai di andare pure, non doveva far troppo tardi per causa mia.

Telefonai a casa.

‘Pronto, cara?

Scusa, ma sono a Bologna.

Una cosa imprevedibile e improvvisa. Poi ti spiegherò.

Volevo dirti che sarò a casa domattina prestissimo. Prendo un taxi e corro da te. Aspettami a letto. Non vedo l’ora di avere tra le mie braccia la mia deliziosa Venere Callipigia.

Ciao, ti adoro e ti desidero.’

Andai al binario 1.

Il treno stava per arrivare.

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