Il Maestro

La nostra storia &egrave durata solo tre mesi , dall’inizio di Maggio alla fine di Luglio del 1995; in così poco tempo la mia vita &egrave cambiata completamente.

Prima di incontrarti ero una giovanissima donna che credeva di sapere quasi tutto sull’eros e sugli uomini e che , naturalmente , sbagliava.

Una diciannovenne confusa con un trentottenne molto sicuro di sé : la studentessa al primo anno di Università e il nuovo avvocato associato allo studio del suo distinto padre.

Avevo già avuto una storia con un uomo più ‘grande’ di me e ne portavo le vistose cicatrici come un trofeo.

Nonostante la passata esperienza, anzi forse proprio per questo, appena ti vidi scendere dalla Porche metallizzata, gli occhi gialli da gatto perfettamente in tono con i corti capelli castani, elegantissimo nel tuo completo grigio, mi innamorai follemente di te (almeno così credetti sul momento).

Non si trattava di amore ; in verità tra noi era scattata una potente biochimica attrazione, che per quanto mi riguardava significava averti al più presto; la mia sensualità era ancora confusa , barbara, non educata, ma prepotente.

Tu ti accorgesti subito che avevo bisogno di un Maestro.
Ti guardavo, spavalda, e nei tuoi occhi, che rapidamente mi perlustravano il corpo, intravvidi un lampo d’ironia.

A quel tempo ero in competizione con la mia bellissima madre e il fatto che lei ti
trovasse estremamente affascinante, funzionò da catalizzatore.

Venni a sapere subito che avevi una ex-moglie da qualche parte e donne disseminate quà e là.

Naturalmente questo fece salire di molto le tue quotazioni , almeno per quanto mi riguardava.

Inoltre ero completamente libera, nella piccola città universitaria sul Ticino, dove, guarda caso, tu abitavi; dividevo un appartamento con due amiche e tre gatti, in una confusione apocalittica di libri , peli felini e biancheria intima sparsa quà e là.

Mi invitasti subito a cena , non in una delle pizzerie che frequentavo d’abitudine, insieme ai miei amici perennemente senza un soldo ; mi portasti in un ristorante di lusso, dove mi sentii, per la prima volta, bella come mia madre.

Fu proprio in quel ristorante che iniziai a capire , grazie a te , come il cibo e il sesso potessero essere strettamente legati in una fascinosa dipendenza.

Il film’Nove settimane e mezzo’, che tanto era piaciuto a mia madre, mi faceva ridere; forse in futuro avrei riso un po’ meno delle performance eroticamente patinate di Miki Rourke e
Kim Bassinger.

Intanto, seduta vicino a te al tavolo del ristorante continuavo a parlare, in preda ad una evidente eccitazione, divorando tutto quello che mi compariva nel piatto e che tu avevi scelto per me; l’ottimo Gutturnio contribuiva alla autoproduzione massiccia di endorfine.

Tu mi ascoltavi, sorridendo ed io scoprivo un numero sempre maggiore di pagliuzze dorate nei tuoi occhi color topazio.

Arrivati al dolce dicesti :’ Se ti piacciono le fragole, quì le servono con una spruzzata di panna,
sentirai che bontà”.

E per la prima volta assaggiai le fragole di bosco annegate in candida, cremosa, morbida panna.

Fu allora che tu, avvicinandoti a me, immerso il pollice nella coppa biancovermiglia che ti stava davanti, me lo passasti sulle labbra mormorando : ‘Apri la bocca, da brava’.
Ubbidii, pensando oziosamente, senza allarmarmi, anzi stranamente eccitata : ‘Siamo in un ristorante super affollato”.

Una leggera pressione del tuo pollice e cominciai a succhiarti il dito, lentamente, con perizia, gustando uno strano sapore salato sotto quello dolce e pieno della panna.

Avrei continuato all’infinito, mentre un piacere nuovo mi invadeva, riempiendomi di un languore mai provato prima.

Togliesti, ridendo, il dito dalla mia bocca e un crampo doloroso mi attanagliò il ventre,
seguito da un gran calore che in un attimo si diffuse dalla mia fichetta per tutto il corpo.

Gemetti piano, ad occhi chiusi e tu dicesti :’Non dimenticarlo, voglio che durante il giorno,
ogni tanto tu ti ricordi come &egrave stato’ di quello che hai provato”

Così iniziò l’incantesimo delle fragole con la panna, tuttora il mio dessert preferito; ogni volta che metto in bocca un cucchiaio di questa squisitezza risento lo stesso calore di allora, rivivo l’identica eccitazione.

Dopo quella cena, iniziammo a vederci, a casa tua, due volte la settimana.
Non ho mai saputo che cosa facessi nelle altre serate e tu non chiedesti mai conto a me del tempo che non passavamo insieme.

Il tuo appartamento era in una vecchia casa sul Lungoticino Sforza, all’incrocio con Strada Nuova , quasi di fronte al Ponte Coperto; all’interno del palazzo si apriva un piccolo giardino in cui crescevano solo arbusti di rose, di tutti i colori.

Dalle finestre aperte, in quelle serate di maggio così dolci, quando il cielo rosato si rifletteva nel grande fiume, il loro profumo saliva fino alla sala dove pranzavamo, ricordandomi altri roseti, dove mi nascondevo da bambina, per godermi in solitudine l’odore magico di questi fiori , che mi faceva sognare di maghi ,di fate e di paesi lontani .

Le mie giornate trascorrevano nel solito modo, tra lezioni, studio ed amici.

Mi pareva di galleggiare , morbida e senza peso , in un mondo virtuale ed astratto.

Ma poi c’erano le notti, concrete e ardenti, affilate come rasoi, delineate così nitidamente da sembrare luminose.

C’era il pepe verde e rosa, che mi faceva boccheggiare, il chili che mi bruciava la gola e l’oro dello Chablis che la rinfrescava, e una torta di cioccolato ricoperta di panna che mi entrava in circolo con lo stesso effetto di una droga potente.

Infatti tu , da ottimo cuoco, cucinavi per me piatti esotici e complicati .

Il tuo speciale stufato al curry era la cosa migliore che avessi mai gustato.

Adoro il curry, questo insieme di coriandolo, pepe di caienna, peperoncino, zenzero, cannella e altro ancora; era veramente una strana coincidenza che anche questo aroma penetrante , come già il profumo del roseto , fosse legato alla mia infanzia, quando lo zio Alberto tornando dai suoi v iaggi in India ne portava un sacchetto di carta coloratissima solo per me.

Sapeva quanto mi piacesse aspirare il forte odore della spezia che mi pizzicava il naso, procurandomi nello stesso tempo uno strano sottile piacere che da bimba non riuscivo a capire.

Ed ecco che cosa successe la prima volta che tu cucinasti per me il tuo stufato al curry.

I nostri incontri seguivano un rituale, una fase preparatoria ai piaceri della tavola e del sesso che sarebbero venuti dopo.

Ti piaceva che io facessi la doccia a casa tua, usando i prodotti che tu mi comperavi, saponi ed oli profumati, marche costose, che io non avrei potuto davvero permettermi.

Quando arrivavo ti trovavo in cucina, intento a preparare il piatto della serata.

Avresti fatto la doccia dopo di me, mentre io sarei rimasta a controllare che tutto fosse a posto per la nostra cena.

Quella sera, appena entrata, sentii forte e penetrante l’aroma del curry e mi ritrovai indietro nel tempo, con il naso di bimba dentro un sacchetto colorato.

Te lo dissi, mentre ti baciavo leggermente, e avrei continuato a parlare se tu con uno sbrigativo :’ Fede , dai, fatti la doccia, che &egrave quasi pronto’ non mi avessi liquidato.

Mi infilai in bagno, cantando, e come al solito, guardando i fiocchi candidi di schiuma sui capezzoli e sui riccioli neri del pube, mi persi a contemplare il mio corpo, trovandolo bellissimo.

Prima che tu entrassi nella mia vita, uscita dall’adolescenza, scoprivo ogni giorno mille nuove imperfezioni , che mi rendevano insicura.

Ora, con te, mi sentivo trasformata, morbida, aggraziata, curata, adorata: il ventre liscio come seta che si incurvava dolcemente verso le anche, la carne all’interno della coscia, bianca come l’alba e infinitamente sensibile, la cosa più bella dell’universo, i seni colmi, con i capezzoli scuri come piccoli coni di cioccolato’

Infilato il morbido accappatoio bianco, raccolti i capelli, tornai in cucina : tu stavi ai fornelli, ancora vestito ‘da lavoro’, ma sapevo che anche se avessi cucinato per giorni neppure una piccola macchia avrebbe deturpato la tua camicia o i pantaloni.

Mi pregasti di continuare a rimescolare lentamente lo stufato, mentre ti lavavi.

Mi piazzai davanti alla pentola, fiutando golosamente il denso e profumato odore che saliva
dal miscuglio di carni e verdure, una specie di ‘curanto’, lo spezzatino misto cileno.

L’odore del curry mi riempiva le narici, stordendomi; il lento movimento del braccio
mi metteva addosso un assonnato languore, mentre sentivo una eccitazione mai provata salire lentamente al ventre dalle cosce umide .

Chiusi gli occhi .

Le dita scescero veloci ad aprire l’accappatoio e cercarono la fichetta , morbida e calda, con il tenero clitoride già eretto.

Una mano seguitava a mescolare lo stufato, l’altra , avida, accarezzava le grandi e le piccole labbra, l’interno della vagina bollente, il monticello rigido come un piccolo pene, mentre nella mia mente passavano immagini oscene, sessi eretti, lingue avvolgenti, vagine stillanti umori di curry e miele di rose’

Così non ti sentii arrivare.

Mi mettesti un braccio intorno alle spalle e l’altro sul ventre, stringendomi a te, la tua erezione contro il mio sedere, bisbigliandomi :
‘ Continua, non fermarti, vieni ora , vieni”

Il tono della tua voce nel dire’ Vieni ora’ e il sapere che mi guardavi mentre mi accarezzavo, eccitandoti sempre di più, mi portarono immediatamente all’orgasmo.

Mi abbandonai contro il tuo petto, in preda ad un piacere violento, che mi lasciò senza fiato.

Morsi a sangue la mano che mi avevi messo davanti alla bocca affinché i vicini, con le finestre aperte , non udissero i miei gemiti e il grido finale.

Tu mi lasciasti un segno bluastro sul collo che per mesi parve un morso di vampiro.

Ci accomodammo a tavola, come sempre l’uno accanto all’altro : sembravi non accorgerti del tuo sesso eretto, badavi solamente a riempire i piatti.

Allungai una mano per toccarti, ma tu dicesti ‘ No , dopo, ora ceniamo”

Ma io ti volevo, volevo mangiarti, berti e allora proposi :’ Facciamo un gioco, vediamo quanto resisti a mangiare tranquillamente, in silenzio e senza muoverti , mentre io”

Sapevo che avresti accettato la sfida , così , in ginocchio in mezzo alle tue gambe, ti presi in bocca, caldo, vivo, mio.

Ti piaceva l’amore orale, come a me, del resto; così mi insegnasti a trarne il massimo reciproco godimento.

Cominciai a leccarti dolcemente, come il migliore cono gelato del mondo, per poi ingoiarti
tutto e farti sentire il calore della mia bocca, il potere della mia lingua infaticabile, mentre la mano ti accarezzava i testicoli rigonfi e la pelle delicata dell’inguine.

La tua resistenza fu di breve durata: lasciasti con un colpo secco la forchetta, per abbandonarti indietro sulla sedia.

I gemiti si fecero sempre più forti e inarcando la schiena, il sesso spinto fino in fondo alla mia gola, mi riempisti la bocca del tuo seme, fiotti di densa panna salata.

Fu allora che scoprii quanto mi piaceva il tuo sapore seguito da quello dello stufato al curry.

Te lo dissi e ti mettesti a ridere, ma da allora lo cucinasti molto spesso.

Poi fu la volta dello Chablis fresco che tu bevesti direttamente dalla mia fichetta a spegnerne
l’eccitazione.

Ogni sera c’erano pronti per me nuovi giochi erotici, legati al cibo che mi preparavi.

Sono stata un’allieva modello e tu un Maestro insuperabile.

Poi venne la piena estate, l’Università chiuse i battenti, tutti andarono in ferie ed io tornai a casa.

Non ci rivedemmo mai più, cambiai Università e mio padre ebbe un nuovo associato.

Ma quelle dodici settimane passate con te sono state di gran lunga migliori delle nove e mezzo del film di Adrian Lyne’.

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