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Le mie donne

By 31 Marzo 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Era uscito dall’ultimo incontro con Ruggero Ceccarelli, totalmente annichilito.
Erano molti mesi che non riusciva più a controllare la situazione: un fiume di soldi, un’emorragia continua che non bastava neanche a pagare gli interessi del debito.
Quello che all’inizio gli era sembrato un amico, si era trasformato nel carnefice della sua impresa, giorno dopo giorno, il baratro davanti a lui si faceva sempre più profondo.
Non aveva nessuna via d’uscita e non poteva neanche mollare perché, nel tentativo disperato di restare a galla, aveva fatto dei pasticci che lo avrebbero portato dritto in galera, se avesse provato a denunciare il suo estorsore.
In quell’ultimo colloquio gli aveva suggerito di farsi aiutare dalla famiglia, poi, davanti al suo stupore, si era spiegato meglio: si trattava di far prostituire sua moglie e sua figlia.
Una volta, davanti ad una simile proposta, non avrebbe esitato a spaccare la faccia a quel pezzo di merda, invece si era messo a piangere, supplicandolo di risparmiargli la vergogna di vedere le sue donne battere il marciapiede.
‘Ma che cazzo dici. Tua moglie e tua figlia sono due donne di classe, lavoreranno in un bell’appartamento confortevole, con clienti scelti e sono sicuro che così rientrerò dei miei soldi in breve tempo, diciamo due o tre anni.
Si tratterebbe di poche ore il pomeriggio. Diciamo 500 ‘ per tua moglie, mentre tua figlia che è più giovane potrebbe arrivare anche ad 800, ma visto che è probabilmente un po’ inesperta, possiamo cominciare con 500, poi si farà le ossa …’
Aveva finito la frase ridacchiando e lo aveva congedato dandogli due giorni di tempo per discuterne con le dirette interessate.

Quella sera, dopo cena, ne aveva parlato a sua moglie.
Lucia lo aveva fissato con i suoi occhi scuri e profondi, cercando di capire se fosse impazzito o meno.
Aveva dovuto spiegarle esattamente la loro tragica situazione finanziaria e, a quel punto, lei era scoppiata a piangere.
Il suo seno generoso, sussultava scosso dai singhiozzi e lui non aveva il coraggio di guardarla in faccia.
Aveva accettato. Gli aveva detto che lo avrebbe fatto solo per Loredana, la loro figlia, perché lei doveva finire l’università e non poteva essere danneggiata dalla loro rovina.
Questo l’aveva fatto sentire anche peggio, perché sua moglie non sapeva che anche la loro giovane figlia sarebbe stata coinvolta, infatti aveva deciso di parlare ad entrambe separatamente, senza dir loro che anche l’altra sarebbe stata coinvolta, sicuro che non si sarebbero mai confidate su una cosa simile.

Con Loredana aveva parlato la mattina successiva. Era ancora mezza addormentata, nel letto, quando le aveva detto cosa avrebbe dovuto fare, per suo padre e per la famiglia.
‘Papà, ma che cazzo dici, ti sei fatto una canna?’
Lo guardava con quegli occhi verdi e scanzonati, circondati dalla massa disordinata di capelli ricci e castani.
Si era messa a sedere sul letto e sotto la camicia da notte bianca, un po’ trasparente, riempita dal suo seno abbondante, che aveva preso da Lucia, si intravedevano i capezzoli appuntiti.
Aveva parlato a lungo e alla fine sua figlia aveva compreso che non stava affatto scherzando.
Lei provò ad immaginarsi senza la macchina, con pochi vestiti dozzinali, magari costretta a fare la commessa in un negozio, o la donna delle pulizie, per riuscire a sopravvivere.
Era tutto assurdo, sembrava un brutto sogno, ma lei era sveglia, seduta sul letto e perfettamente sveglia.
‘Papà, stai chiedendo a tua figlia di fare la puttana, ti rendi conto?’
Si mise a piangere, davanti a sua figlia che lo fissava tra lo stupito e l’irritato.
Accettò.
Era salvo, per ora, ma si era anche dannato.
Aveva perso il rispetto per sé stesso e, soprattutto, quello delle sue donne nei suoi confronti. Lucia si era fatta una doccia e poi era rimasta a lungo, nuda, davanti allo specchio.
Quaranta anni appena compiuti, un corpo slanciato ma formoso, con il seno abbondante che solo era cominciava leggermente a cedere.
Appena un accenno di pancia che avrebbe dovuto contrastare, facendo un po’ di palestra, poi si era messa di profilo.
Ho ancora un bel culo? Sì può andare. Andare per chi?
Andare per un uomo sconosciuto, per soldi. Per soldi che lei neanche avrebbe visto, perché quello stronzo di suo marito si era fatto fregare.
Avrebbe dovuto dirgli ‘vai a farti rompere il culo tu, da qualche frocio, vedi se te li danno 500 ‘ a botta’.
Non gli aveva detto nulla del genere, si era messa a piangere ed aveva chinato la testa.
Finì depilandosi le gambe e dando una ripassata allo smalto alle unghie dei piedi, poi andò in camera a vestirsi.
Era sola in casa, suo marito al lavoro e Loredana all’università.
Meglio così.
Scelse una camicetta di seta celeste ed un completo, giacca e gonna blu, molto classico.
Come si veste una prostituta? Non ne aveva idea, a parte quelle che si vedono in strada, così aveva deciso che, in assenza di indicazioni, si sarebbe vestita come tutti i giorni.
Doveva sbrigarsi, perché questo Ceccarelli l’aspettava.
Controllò bene che la riga posteriore del collant scuro fosse dritta e poi si mise le scarpe. Blu, più o meno in tinta con il vestito, tacchi robusti e squadrati (perché lei trovava volgari i tacchi sottili), ma belli alti.
Un’ultima passata in bagno per sistemare i sui capelli scuri e lisci, tagliati a caschetto e poi fuori.
Davanti al portone, in doppia fila, c’era una Mercedes grigia.
Lucia si diresse a passo spedito verso l’auto ed aprì lo sportello.
Si sedette senza dire nulla e, prima di allacciare la cintura, si sistemò la gonna che era salita scoprendole le gambe.
Che stupida, pensò, sto andando a prostituirmi e mi preoccupo, di non mostrare le gambe.
‘Lucia, buongiorno, io sono Ruggero, possiamo darci del tu.’
Un uomo di mezz’età, dall’aria insignificante, con un completo grigio, tetro e allo stesso tempo dozzinale.
Solo una cosa la colpì di lui: gli occhi.
Due occhi grigi, sfuggenti e spietati.
Suo marito era in balia di quell’uomo da mesi, ed ora anche lei era in suo potere.
Durante il tragitto le spiegò come funzionava.
Lei, tutti i giorni, dal lunedì al sabato, si sarebbe dovuta recare all’appartamento entro le quattro del pomeriggio.
Lì si sarebbe cambiata d’abito ed avrebbe dovuto aspettare il cliente.
Un solo cliente a pomeriggio.
Un lavoretto fatto bene, aveva aggiunto ridacchiando, lo doveva intrattenere, offrirgli qualcosa da bere, se voleva, e restare a sua disposizione per tutto il pomeriggio.
A sua disposizione significava che doveva assecondarlo in ogni caso e che era tenuta a fare qualsiasi cosa lui gli chiedesse.
Non doveva prendere soldi perché il cliente avrebbe pagato a lui, in anticipo.
Tremila euro a settimana, per un lavoretto comodo e divertente, secondo lui.
Tremila euro necessari per far risalire la china a suo marito.
Si era fermato un attimo e le aveva fatto una carezza su una guancia.
‘Sono sicuro che ti divertirai, vero Lucia?’
L’appartamento era in una piccola palazzina in periferia, aveva l’ingresso indipendente ed un giardinetto sul davanti.
Era composto solo da un piccolo soggiorno con angolo cottura ed una stanza da letto con il bagno all’interno, il tutto arredato con gusto.
Entrarono in camera da letto.
‘Spogliati!’
‘Cosa?’
‘Ti devi spogliare, ti devi cambiare d’abito, non vorrai mica lavorare vestita così?’
Fece scorrere l’anta dell’armadio, dentro c’erano diversi vestiti.
Tuo marito mi ha detto la taglia che porti, ti staranno a pennello.
Allora ti spogli o lo devo fare io?’
Lucia fece per andare in bagno.
‘Ma dove cazzo vai?’
La sua voce si era fatta roca e minacciosa.
‘Che c’è, ti vergogni? Forse non hai ben capito, da oggi, qui, in questo appartamento, dovrai andare con gli uomini che io ti manderò. Te lo farai ficcare da loro tutte le volte che vorranno, nella fica e nel culo e poi, se te lo chiederanno, gli farai pure un bel pompino.
è più chiaro così?
E ora levati ‘sti cazzo di vestiti, che ti voglio vedere bene.’
La patina di buone maniere che aveva fino a quel momento rivestito quell’uomo, si era dissolta di colpo, mostrando tutta la volgare durezza che lei aveva prima soltanto intuito nel suo sguardo, quando era salita in macchina.
Si liberò rapidamente dei vestiti, buttandoli sul letto.
Se ne stava in mutandine e reggiseno, davanti a quest’uomo sconosciuto, che la stava squadrando come si potrebbe fare per un cavallo o un vitello in vendita alla fiera.
‘Anche il resto.’
Il reggiseno seguì sul letto gli altri indumenti e Lucia sentì i suoi grandi seni poggiarsi sul petto.
‘Hai due belle tettone ma dovrai fare un po’ di palestra se non vuoi giocarci a palla nel giro di qualche anno.’
Mentre diceva queste parole si era avvicinato ed aveva preso a tastarle.
Le carezzava, le soppesava, poi aveva cominciato a strofinare il palmo delle mani sui capezzoli, che avevano iniziato ad indurirsi.
Lucia era rimasta immobile. Non poteva reagire e poi ‘
‘ e poi doveva ammettere che non le dispiaceva.
Si era fermato di colpo.
‘Togli anche le calze e le mutande.’
Lucia aveva ubbidito ed era rimasta nuda ed immobile davanti a lui.
La fece girare di spalle e le passò un dito lungo la schiena.
Lei rabbrividì, poi il dito continuò la sua discesa, sfiorò il foro del suo ano contratto per finire la sua corsa nel suo sesso.
‘Come sta la tua fica? è pronta per iniziare a lavorare?’
Ora con la mano la stava toccando sempre più profondamente e Lucia, senza quasi accorgersene, aveva leggermente aperto le gambe.
‘Bene bene, può bastare per ora. Andiamo a scegliere il vestito di oggi.’
La fece avvicinare all’armadio.
‘Questo rosso andrà benissimo, per cominciare.’
Da un cassetto prese un reggiseno nero e delle calze scure.
Lucia non disse nulla.
Indossò il reggiseno, molto scollato e semi trasparente.
Aveva ragione, era esattamente della sua misura, poi passò al vestito.
Un abito corto e scollatissimo sul davanti, da cui si vedeva anche un po’ del reggiseno.
‘Le mutande non ti servono, naturalmente. Mettiti le calze che poi scegliamo anche le scarpe.’
Un paio di autoreggenti scure, con una trama a fiori, che terminavano a metà coscia, con l’elastico che stringeva forte sulle sue gambe robuste.
‘Hai due bei coscioni, fammi vedere come ti presenti.’
Le sollevò la gonna.
Le sue dita si spinsero di nuovo dentro il suo sesso.
‘Oh, vedo che si comincia ad aprire, la tua fichetta stretta stretta.’
Lucia si rese conto che si stava eccitando. Prima di allora non avrebbe mai creduto che fosse possibile una cosa simile, in quelle condizioni, invece stava accadendo.
Si fermò di nuovo, tolse la mano ed il vestito tornò a posto.
‘Queste andranno benissimo.’
Teneva in mano delle scarpe rosse, molto scollate, con un cinturino finissimo sulla caviglia ed un tacco vertiginoso.
Un tacco sottilissimo, proprio il tipo di tacco che Lucia detestava.
Ma quale Lucia? La Lucia moglie e madre o la Lucia prostituta.
Prese la scarpe dalle mani dell’uomo, si sedette sul letto e se le infilò.
La trasformazione era completa, ora, ed era pronta per il primo cliente.
Come sarebbe stato? Non riusciva ad immaginarne l’aspetto.
‘Aprimi i pantaloni e tiralo fuori.’
Era rimasta basita, davanti a quella richiesta improvvisa.
‘Beh, sei diventata sorda? Oggi cominci con me, ma non ti preoccupare, i 500 ‘ li scalo lo stesso a tuo marito.’
Era rimasta immobile, non si aspettava una cosa del genere.
‘Te lo ripeto per l’ultima volta. Mi apri i pantaloni, lo tiri fuori e mi fai un bel pompino, per cominciare.
Sai fare un pompino?’
Lucia fece cenno di sì con la testa e sbottonò i pantaloni dell’uomo.
Gli abbassò i pantaloni e lo tirò fuori dalle mutande. Era grande, tozzo ed un po’ curvo.
Lui la fece inginocchiare e le tenne la testa premuta contro la pancia.
Lentamente la fece abbassare fino a che lei sentì la punta del pene contro le sue labbra serrate.
La spinse ancora in basso e lei aprì le labbra.
‘Bravissima.’
La sua voce, prima dura ed imperiosa, ora si era fatta quasi dolce.
La teneva dietro la nuca, stringendo in pugno i suoi capelli lisci e corti e cominciò a farla muovere.
Su e giù, su e giù.
Stava crescendo dentro la sua bocca.
Su e giù, su e giù.
Lo sentiva gonfio e intanto lei si stava eccitando.
All’improvviso, lui si tirò indietro.
Lucia rimase un attimo immobile e sorpresa con la bocca ancora aperta e le arrivò il primo schizzo di sperma in faccia.
Cercò di spostarsi, ma l’uomo aumentò la presa sui suoi capelli.
Un altro schizzo le centrò la bocca rimasta spalancata, Lucia gridò e cercò di alzarsi, ma lui la bloccò in ginocchio piazzandogli una mano sulla spalla.
Lo sperma continuava a zampillare, se lo sentiva dappertutto, sugli occhi, nel naso.
‘Basta, basta!’
Cercò di divincolarsi e le arrivò uno schiaffone, che la costrinse a fermarsi.
‘Che cazzo fai, troia?
Se il cliente decide di sborrarti in faccia, tu glie lo devi far fare.
Qualsiasi cosa, capito? Qualsiasi cosa.’
Lucia fece cenno di sì con la testa.
‘Ora fammi vedere che ti piace, leccati bene quello che ti sta colando intorno alla bocca.’
La donna ubbidì o cominciò a passarsi la lingua intorno alle labbra, cercando di raccogliere quanto più sperma possibile.
‘Posso andare in bagno a ripulirmi?’
‘No. Stai benissimo così. Una bella troia quarantenne, impiastrata di sborra fino ai capelli.
Di la verità, non è stato troppo male?’
‘Sì, mi è piaciuto.’
lo stava dicendo per compiacerlo? Solo in parte, era stata una cosa schifosa, almeno all’inizio, ma ora le stava venendo una strana eccitazione, e non era più tanto sicura di mentire per compiacere quell’uomo.
La fece mettere sul letto pecoroni.
‘Hai un culone fantastico’, le disse mentre le sollevava il vestito.
‘Tuo marito ti incula spesso?’
Lucia era rimasta in silenzio.
‘Hai capito che ti ho chiesto?’
‘Sì’
‘Sì cosa?’
‘Sì, mi ‘ incula spesso.’
‘E ti piace?’
‘Sì, mi piace.’
Si sentì allargare completamente le natiche, poi lui glie lo spinse dentro.
Era ancora bagnato di sperma ed entrò con facilità, poi lui cominciò a muoversi con un bel ritmo, dopo averle piazzato le mani sui seni.
A questo punto Lucia si lasciò andare completamente: gemeva ed ansimava mentre l’uomo glielo spingeva sempre più dentro.
Si fermò solo un attimo e lo tirò fuori.
Lucia fece in tempo a dire soltanto ‘Ancora, per favore’, poi lo sentì entrare di nuovo, ma nella sua vagina, questa volta.
Le venne dentro, poi si staccò da lei, lasciandola sul letto, a toccarsi per cercare di raggiungere l’orgasmo.
‘Sbrigati a sditalinarti, troia, che ho da fare, devo provarne un’altra questo pomeriggio.’
Lucia accelerò il ritmo e venne, gemendo di gioia, mentre si toccava in mezzo alle gambe oscenamente allargate, poi corse in bagno a farsi una rapida doccia.
Dieci minuti dopo, con indosso il completo blu, era diretta verso casa.
Naturalmente non aveva la minima idea su chi fosse l’altra che Ceccarelli doveva provare. Loredana, con una scusa, aveva detto a Marco, il suo ragazzo, di non venirla a prendere all’università, quel pomeriggio.
Non le piaceva per niente questa faccenda. Suo padre aveva parlato di qualche volta, che era assolutamente necessario, altrimenti non avrebbe mai chiesto nulla del genere alla sua bambina.
Si era vestita come al solito, completo jeans e sotto una maglietta bianca, ai piedi scarpe da ginnastica e calzini di spugna.
I vestiti eleganti li riservava, solo se costretta, per le grandi occasioni.
La Mercedes grigia aspettava fuori dell’ingresso della facoltà.
Loredana esitò un po’, si guardò intorno per vedere se ci fosse qualcuno che conosceva, poi aprì lo sportello e salì.
Un uomo vecchiotto ed insignificante, con un vestito brutto, che suo padre non avrebbe indossato neanche se lo avessero pagato per farlo.
‘Ciao, Loredana, sbrigati che non abbiamo molto tempo.’
L’aveva squadrata un po’ incuriosito. Aveva visto quella ragazza solo di sfuggita, ed ora, da vicino, infagottata in quel completo jeans, gli pareva, tutto sommato, abbastanza insignificante,
Chissà, forse si era sbagliato e la figlia, a differenza della madre, non era adatta a quel lavoro; per carità, era giovane, non era brutta, me gli sembrava decisamente scialba.
‘Hai capito bene di cosa si tratta?’
‘Sì, signor Ceccarelli’, aveva risposto la ragazza.
‘Puoi chiamarmi Ruggero’, aveva replicato piazzandole una mano su una coscia.
Loredana aveva avuto un sussulto, ma non aveva detto nulla, e lui aveva lasciato per un po’ la mano.
L’appartamento di Loredana era simile a quello di sua madre, ma si trovava in un altro quartiere. Come l’altro era a piano terra ed aveva l’ingresso indipendente dal palazzo.
Era arredato come le case degli studenti, con pochi mobili semplici e colorati.
La ragazza pensò che non era troppo male.
‘Ora spogliati che cominciamo a lavorare.’
La parola spogliati aveva riportato Loredana alla realtà: era lì per prostituirsi, per salvare suo padre e la sua famiglia dalla rovina, e, doveva ammetterlo, per potersi continuare a permettere una vita agiata.
Lo guardava con aria interrogativa e lui si sentì in dovere di darle ulteriori spiegazioni.
‘Lì’, disse indicando l’armadio, ‘ci sono dei vestiti più adatti, non vorrai mica ricevere i clienti conciata così’, concluse girandosi nuovamente verso di lei.
Loredana si tolse la giacca e vide subito un lampo di interesse passare negli occhi chiari dell’uomo.
Stava osservando la maglietta, molto aderente, che evidenziava i suoi seni.
Tutti così, pensò lei, quando capiscono che sotto c’è un bel paio di tette, cominciano ad interessarsi.
Aveva scoperto presto questa possibilità e proprio per questo le piaceva vestire in maniera informale e poco appariscente, aspettando il momento opportuno per mostrare i suoi tesori. Non aveva mai dimenticato l’espressione del suo primo ragazzo, quando, a sedici anni, si era spogliata davanti a lui nella tenda.
L’interesse di Ceccarelli aumentò notevolmente quando la ragazza si tolse la maglietta.
Dentro al reggiseno color carne, c’erano due bellissime tette, appena più piccole di quelle della madre, pensò lui, ma molto più sode.
Quando Loredana sganciò dietro il reggiseno e le liberò, non fecero una piega e rimasero al loro posto, con i capezzoli rosei, piccoli ma appuntiti, protesi in avanti.
La ragazza iniziò ad aprire i bottoni dei jeans, era un modello largo, a vita bassa, che non lasciava minimamente intuire che corpo ci fosse sotto.
Quando i pantaloni scesero, ammucchiandosi sui piedi di Loredana, lui rimase ancora più sbigottito: la vita strettissima, il ventre morbido ed appena un po’ prominente e, dietro, un culo fantastico.
Rotondo, carnoso e solido, come raramente ne aveva visti.
Si era aspettato una ragazza magra, con le forme appena accennate, e invece si trovava davanti una venere in miniatura, piccola, formosa ed invitante.
Loredana si liberò dei jeans, infine si tolse le scarpe, rimanendo in piedi davanti a lui, con addosso soltanto il minuscolo slip dello stesso colore del reggiseno.
Era alta sicuramente meno di 1,60, piccolina ma quasi perfetta, a voler essere pignoli, forse aveva le caviglie leggermente grandi, ed il naso un po’ troppo lungo.
Immaginò l’effetto che avrebbe fatto sui clienti, poi si concentrò su quello che stava facendo su di lui, visto che se lo sentiva crescere prepotentemente dentro i pantaloni.
Cazzo! Meglio, molto meglio della mamma.
La ragazza si sfilò le mutandine, con un gesto rapido e naturale e le lanciò sul letto.
Si era completamente depilata e la fessura piccola e rosea del suo sesso si vedeva appena.
La fece girare. Dietro era uno spettacolo e non seppe resistere dal farle una carezza.
Loredana si ritrasse di scatto, poi si diresse verso l’armadio.
‘Posso sceglierlo io il vestito?’
‘Ma certo.’
Scorreva gli abiti appesi nell’armadio, come se si trovasse in un negozio di abbigliamento, quando li ebbe passati tutti in rassegna due o tre volte, si voltò verso di lui.
‘Ma che è questa roba, sig. Ceccarelli? Io ho venti anni, mica dodici.’
‘Ho pensato che sarebbe stato interessante sottolineare la tua giovane età, sono sicuro che i clienti apprezzeranno.’
Loredana si voltò di nuovo verso l’armadio aperto e scelse una camicetta bianca con dei ricami ed una gonna blu a pieghe.
La camicetta le andava giusta giusta, con i bottoni in corrispondenza dei seni che tiravano abbastanza da far capire che sotto c’era un bel po’ di roba, la gonna invece, lunga fino al ginocchio e comoda, non lasciava intuire nulla.
‘Devo rimanere scalza?’
Lui le indicò delle pantofoline rosa, aperte dietro, con Topolino ricamato sul davanti.
Si guardò allo specchio perplessa.
‘Sig. Ceccarelli, non mi sembro molto credibile come bambina, non trova?’
‘Hai ragione, fatti le trecce e legale con questi’, le rispose porgendole due nastrini rossi.
Loredana impiegò qualche minuto a separare i suoi capelli ricci, per farne due grandi e lunghe trecce.
Si guardò attentamente, allo specchio dell’armadio, ora andava meglio.
‘Mettiti questi.’
Le porse un paio di occhiali, piccoli, di forma allungata, un po’ leziosi, con la montatura rossa.
‘Ma io ci vedo benissimo.’
‘Le lenti sono neutre, aumentano l’effetto ragazzina che va a scuola. Ora sei perfetta, puoi cominciare.’
Quelle parole le fecero venire un groppo alla gola. Fino a quel momento aveva recitato la figura della ragazza spavalda, sicura di sé, aveva chiamato quell’uomo sig. Ceccarelli, cercando di mostrargli tutto il distacco possibile, ma adesso si faceva sul serio: quest’uomo se ne sarebbe andato e sarebbe entrato il suo primo cliente, il primo di una lunga serie.
In macchina le aveva detto che avrebbe dovuto farlo tutti i giorni, dal lunedì al sabato, probabilmente per qualche anno. Suo padre le aveva mentito, per farla accettare, le aveva parlato di qualche volta.
Loredana respirò a fondo, poi trovò il coraggio per parlare.
‘Va bene, sono pronta. Può chiamare il primo cliente.’
La risposta fu uno spintone, da dietro, che la fece finire lunga distesa sul letto.
‘Il primo cliente sono io. Qualsiasi buon commerciante, prima di mettere in vendita le merce, la deve provare di persona.’
‘No, un momento, i patti non erano questi.’
‘Ma quali patti. Tu devi fare soltanto quello che dico io. Non puoi scegliere con chi andare.
Cerca soltanto di fare bene il tuo lavoro, perché se non mi soddisfi, il tuo paparino è fregato. Te l’ha spiegato, no?’
Gli occhiali le erano finiti di traverso e Loredana era rimasta immobile, con la faccia affondata nel materasso.
Le sollevò la gonna e cominciò ad accarezzarle il sedere.
‘Hai un culetto fantastico, ma questo già lo sai bene, vero?
Un culetto che aspetta solo di essere sfondato.
Non sono il primo, vero?’
‘No, no.’
‘Meglio così, faticherò di meno.’
La costrinse ad allargare le gambe, poi lei sentì qualcosa che si strofinava sulla sua vagina.
Cominciava ad essere bagnata, era impaurita, per quello che stava per subire, ma anche un po’ eccitata.
‘E’ meglio lubrificarlo un po’ prima, non trovi?
Il succo della tua fichetta in calore sarà perfetto.’
Glie lo stava strofinando per bene, più lo strofinava e più lei si eccitava e quindi più si bagnava.
Ad un certo punto si fermò. Fu questione di un attimo. Le allargò all’improvviso il sedere e lo spinse dentro.
Loredana, nonostante la piccola statura, era robusta ed oppose una certa resistenza, ma alla fine dovette arrendersi.
Quando sentì che aveva smesso di dibattersi, la penetrò fino in fondo.
‘Allora? Che ti sembra prenderlo nel culo dal sig. Ceccarelli?
Sig, Ceccarelli, ma che fa, no, lì no, per favore.’
Aveva terminato la frase facendo una strana vocina in falsetto, poi l’aveva presa per le trecce e, tenendole come se fossero le briglie di un cavallo, aveva cominciato a farla muovere avanti ed indietro.
Faceva male.
I suoi capelli, tirati e strattonati dall’uomo facevano male, e, naturalmente, le faceva male l’ano, penetrato così brutalmente.
Piano piano il dolore si attenuò, la sbatteva ritmicamente e sentiva i suoi capezzoli strusciare sulla sovraccoperta ricamata del letto.
Ceccarelli si fermò un attimo, lo spinse ancora più dentro al punto che Loredana sentì il suo ventre spingere forte contro di lei, poi arrivarono le contrazioni e lo sperma che la riempiva.
La lasciò riversa sul letto.
La ragazza se ne stava immobile, piangeva in silenzio, mentre un filo di sperma defluiva lentamente dal suo ano arrossato.
‘Tirati su.’
Loredana, meccanicamente, come se fosse un automa, ubbidì.
Aveva le guance arrossate ed il viso solcato dalle lacrime.
‘Toccati.’
‘Cosa?’
‘Toccati. Una brava ragazzina, dopo che è stata inculata, fa vedere quanto le piace e si tocca la sua patatina fino a raggiungere l’orgasmo.’
Loredana si mise a sedere sul letto, a gambe incrociate, e si infilò una mano sotto la gonna a pieghe.
‘No, così non va bene. Devi far vedere bene al cliente quello che fai, così, per quello che ne so io, potresti benissimo grattarti la pancia e fingere.’
Si tirò su la gonna e cominciò a toccarsi.
‘Bene, così va bene.’
Cominciò ad gemere. Non aveva mai fatto una cosa del genere davanti ad un uomo.
Un po’ si vergognava, ma le stava piacendo, e poi non aveva scelta.
Raggiunse l’orgasmo e guardò in basso: una chiazza di bagnato si stava allargando sotto di lei.
Anche l’uomo, di fronte a lei, si stava masturbando.
‘Vieni qui, fammi un pompino.’
‘No, questo no, per favore.’
L’afferrò forte per le trecce e la costrinse a sdraiarsi sul letto, con le testa ciondoloni.
‘Apri bene questa cazzo di bocca.’
Le aprì le labbra a forza e poi avvicinò il suo pene e glie lo infilò in bocca.
‘Stringilo bene con le labbra, senza mordere.’
Loredana ormai era stanca e rassegnata, lui le prese la testa tra le mani, stringendola sulle guance e cominciò a farla muovere in su ed in giù.
Continuò a lungo, lei lo sentiva crescere in bocca e si preparò all’inevitabile epilogo.
Si lasciò riempire la bocca di sperma, senza reagire e quando l’uomo lo estrasse, vide un fiotto di roba biancastra sgorgare delle labbra rimaste semi aperte e colarle lungo il mento.
‘Hai visto che non è stato difficile? Sono sicuro che domani, con il primo cliente, farai molto meglio.
Ora vatti a dare una ripulita, che ti accompagno a casa.’

Quella sera, a cena, nessuno aveva voglia di parlare.
Lucia aveva un’aria stanca ed invecchiata, mentre Loredana, dopo aver mangiato qualcosa, se ne andò a letto, dicendo che aveva un forte mal di testa.
Sua moglie se ne andò in soggiorno a leggere un libro e lui rimase a lungo in cucina, seduto davanti al piatto vuoto. Era passato un anno e mezzo da quella brutale iniziazione.
Lucia si era abituata alla sua nuova vita, la mattina un paio d’ore in palestra, pagata da Ceccarelli, per mantenere in ordine il suo corpo, il pomeriggio trascorso ad usarlo.
Aveva perso qualche chilo, i muscoli dell’addome si erano un po’ rassodati e tutto sommato, il suo corpo teneva.
Ore ed ore, ogni giorno, passate a praticare le più disparate pratiche sessuali, senza mai poter dire di no.
Alcuni clienti, tutto sommato le piacevano, ma altri proprio le facevano schifo, allora lei cercava magari di immaginare di stare ancora con quello giovane ed aitante, che era venuto un paio di giorni prima e tirava avanti.
Il suo viso, piuttosto si stava sciupando. Nei momenti di sconforto, guardandosi allo specchio, ci vedeva riflessa una vecchia puttana sfatta e cadente, ma non era così, o almeno non era ancora così, erano solo le prime rughe che comparivano sul viso di una quarantenne.
Con il marito non aveva più alcun rapporto. Una volta, i primi tempi, lui aveva provato ad avvicinarsi nel letto, durante la notte.
‘Lo faccio fin troppo durante la settimana, come dovresti sapere’, era stata la sua gelida risposta, che aveva messo fine ad ogni ulteriore tentativo.
Sua figlia era diventata strana, si era chiusa in sé stessa e non usciva quasi mai la sera, anche perché si era lasciata con il suo ragazzo.
Un giorno, inaspettatamente, trovò Ceccarelli ad aspettarla nell’appartamento.
Dopo il primo giorno, lo aveva incontrato poche volte, sporadicamente.
La guardava, la scrutava e lei aveva sempre paura che prima o poi le dicesse che non andava più bene per fare quel lavoro e che tutto ciò che aveva fatto fino ad era era stato inutile.
Quel giorno, aspettò che si cambiasse d’abito, poi le comunicò che lo avrebbe fatto con lui.
‘Ogni tanto faccio un piccolo esame alle ragazze, per vedere se sono ancora idonee.’
Lucia si impegnò a fondo, cercando di soddisfarlo. Era terrorizzata dalla possibilità di un verdetto sfavorevole ed i suoi sguardi indagatori le davano angoscia.
I miei seni si stanno ammosciando?
Sono troppo vecchia?
Forse non glie l’ho succhiato bene?
Alla fine la fece mettere a sedere sul letto e le offrì un succo di frutta.
‘Senti, Lucia, sarò onesto con te.
Tu sei ancora una bella donna e te la cavi anche bene in certe faccende, ma …’
Quel ma rimasto sospeso in aria le aveva fatto gelare il sangue.
‘… ma 500 ‘ sono una bella cifra. In questo momento, poi, ho per le mani una ragazza favolosa. Ha solo una ventina d’anni e tu capisci bene che non puoi competere con lei, a parità di prezzo.
Si potrebbe scendere a 300, forse anche a 250, ma a questo punto non riusciresti a pagare il debito di tuo marito.
C’è una possibilità, potresti dedicarti ad un lavoro diverso, diciamo più veloce anche se sempre svolto con un minimo di accuratezza. In questa maniera ti dovresti fare almeno cinque clienti a 100 ‘ l’uno in un pomeriggio.
Mi dispiace, ma non ci sono altre soluzioni.’
Così Lucia cambiò appartamento, anche se definire così quel buco di monolocale seminterrato dove c’era solo lo stretto indispensabile, era un po’ azzardato.
Anche il servizio offerto ai clienti era diverso, niente salottino e niente bevande e liquori, il cliente si tratteneva per il tempo necessario, poi Lucia si dava una rassettata ed una sommaria lavata e ricominciava con un altro.
La finzione applicata agli incontri da 500′, con tutta la messinscena di un finto corteggiamento, i preamboli, un bicchiere di liquore sul divano, non c’era più.
I suoi nuovi clienti erano lì semplicemente per scopare, e lei li assecondava.
Le aveva dato un cellulare con la raccomandazione di spegnerlo quando lavorava, per non disturbare i clienti.
‘Più lo tieni acceso e più possibilità hai di ricevere ordinazioni. Ricordati, un’ora a cliente, ma mettilo alla porta cinque o dieci minuti prima, per avere il tempo di risistemarti e non fare aspettare quello successivo.
I soldi li riscuoteva lei direttamente, poi il sabato pomeriggio passava Ceccarelli e rastrellava l’incasso dell’intera settimana.
Le aveva detto che se faceva un po’ di soldi in più se li sarebbe potuti tenere, ma questo non accadeva mai, anzi, un paio di volte non aveva raggiunto l’incasso settimanale e lui si era incazzato.
‘Se non arrivi alla cifra stabilita, ti trattieni ancora, fai gli straordinari, ma devi arrivare a 500 ‘ al giorno.
Se non ti sta bene c’è un’altra soluzione, ti mando a battere il marciapiede, cosi ti accorgi quanto può essere difficile guadagnare i soldi con la fica.’
Insomma era stata declassata, da sofisticata intrattenitrice di facoltosi professionisti, a puttana d’appartamento.
Anche l’abbigliamento era cambiato: spariti gli abiti succinti ma eleganti, sostituiti da una vestaglietta corta e trasparente.
Sotto la vestaglia un busto nero, scollatissimo, che metteva in mostra il suo seno abbondante, lasciando quasi scoperti i capezzoli, con una vistosa lampo dorata sul davanti.
Le gambe erano coperte solo da un paio di calze a rete, tenute da un reggicalze.
Non indossava nient’altro, a parte un paio di scarpe rosse dal tacco vertiginoso.
Ricordava benissimo il suo primo cliente, un tipo alto, grosso e pelato.
‘Tu sei nuova, vero?’, aveva esordito con un forte accento toscano.
Lei si era aperta la vestaglia e l’uomo aveva fatto un passo avanti.
‘Però, vecchiotta ma sei una bella troia.’
Aveva infilato un dito nell’anello della lampo ed aveva in parte aperto il busto, facendo schizzare fuori i suoi seni.
‘Ma che belle poppe!’
Aveva giocato con le sue tette, strizzandole i capezzoli, prima di sbatterla sul letto ed allargarle le cosce.
Il nuovo lavoro era molto più pesante.
Per rientrare nella cifra stabilita doveva farsi almeno cinque clienti al giorno, così finiva alle nove o anche alle dieci di sera e tornava a casa stanca ed indolenzita.
Sentiva che non poteva reggere questo ritmo, ma sapeva anche di non avere scelta.
Aveva smesso di andare in palestra, perché Ceccarelli le aveva detto che per quel tipo di clienti andava bene così com’era e non valeva la pena buttare soldi.
Così i suoi seni si stavano ammosciando ed anche le chiappe iniziavano ad inflaccidirsi, mentre erano comparse le prime smagliature sulla pancia.
Non sapeva bene se dipendesse dal suo aspetto fisico, ma con il passare del tempo faticava sempre più a mettere insieme il numero necessario di clienti.
Erano passati tre anni dal suo primo incontro con Ceccarelli, ma aveva l’impressione che ne fossero trascorsi trenta.
Un sabato pomeriggio lui si presentò alla fine, dopo che era andato via l’ultimo cliente.
‘Lucia, non stai mantenendo il ritmo. Ogni settimana che passa resti indietro di qualche pezzo da cento euro, non va bene così.’
‘Io faccio del mio meglio.’
‘Lo so, ma non basta.’
‘Mettiti addosso questo, che usciamo.’
‘Aspetta, prima mi cambio.’
‘Non ti ho detto di cambiarti, mettiti questo e basta.’
Teneva in mano un giaccone corto di un giallo acceso e vistoso e, dato il tono imperioso della sua voce, lei non poté far altro che indossarlo.
Si guardò. Il giaccone era cortissimo e le lasciava completamente scoperte le gambe, mostrando la fine delle calze e le giarrettiere che attraversavano le sue cosce nude.
‘Dove mi porti?’
‘A fare i soldi che ti mancano.’
‘Cosa vuoi dire?’. Un pensiero terribile si stava affacciando nella mente di Lucia, e quando, dopo un breve tragitto in macchina, vide il viale periferico malamente illuminato, il dubbio si trasformò in certezza.
‘Senti, bella mia, se non riesci e mettere insieme i soldi con i pomeriggi nell’appartamento, ci dovrai aggiungere un po’ di marciapiede la sera.’
‘No! Per favore, questo no, è troppo.’
‘Troppo? E perché mai? Che differenza c’è tra fare la puttana in un appartamento o per strada?
Nessuna, a parte i soldi.’
Le aprì lo sportello e la spinse fuori.
‘A proposito di soldi. Questa settimana sei sotto di 300 ‘ e qui puoi chiederne 50. Quindi te ne devi fare sei, di clienti.
Passerò a vedere come te la cavi, tra un paio di ore.’
E Così Lucia, a quarantatré anni, si trovò sbattuta su un marciapiede di periferia, costretta a vendere il suo corpo per pochi euro.
Le macchine che passavano veloci illuminavano con i fari le sue gambe nude coperte solo dalle calze a rete.
Si ricordò che sotto era praticamente nuda e rabbrividì.
Una macchina si fermò sollevando una nuvoletta di polvere, il guidatore le disse qualcosa attraverso il finestrino semi abbassato, ma lei era troppo frastornata per capire.
‘Ehi, ma sei sorda? Quanto vuoi?’
‘Cinquanta’, rispose lei dopo una breve esitazione.
‘Fammi vedere come sei messa.’
‘Cosa?’
‘Non mi fido, è pieno di travestiti, qui, fammi vedere che hai in mezzo alle cosce.’
Lucia aprì lentamente il giaccone e l’uomo si sporse per vedere meglio, mentre un furgone che passava veloce, si mise a strombazzare.
L’uomo la scopò in piedi, dopo averle fatto poggiare la schiena contro il tronco di un albero, nascosto alla vista di chi transitava sul viale, da una fitta siepe, poi la fece girare.
Lucia, divaricò le gambe e si chinò in avanti, mentre lui le allargava il sedere.
Fu una cosa veloce, semplice e facile.
Scopata ed inculata, il tutto per la modica somma di 50 ‘.
Non erano passati neanche venti minuti ed era già tornata al punto di partenza.
In fin dei conti ne mancavano solo cinque, poi Ceccarelli l’avrebbe accompagnata a casa.
Prima e dopo il punto in cui si trovava Lucia c’erano diverse altre donne, le vedeva camminare in su ed in giù. Ogni tanto un’auto si fermava, a volte, quando si allontanava, la donna era ancora lì, a volte, invece, la ragazza apriva lo sportello e saliva.
Il tempo passava e nessuno si fermava, mentre lei si sentiva stanca, sporca ed appiccicosa.
Nell’appartamento si sarebbe fatta una doccia tra un cliente e l’altro, ma qui non era possibile.
All’inizio se n’era stata ferma, sul bordo della strada, poi pensò che non voleva passare lì tutta la notte.
Vide arrivare un grosso furgone che procedeva lentamente, accostando ogni volta che scorgeva una di quelle donne. Quando fu abbastanza vicino, si girò di spalle e sollevò il giaccone fino alla vita.
L’inchiodata improvvisa, nella notte buia, fece voltare le sue compagne di lavoro più vicine.
Un minuto dopo era a bordo del furgone, con il conducente, un tipo grosso che puzzava di vino, già intento a smucinare tra le sue tette.
Quando riuscì a fare quanto stabilito, cioè i sei clienti, Ceccarelli la riaccompagnò a casa.
Erano le due passate e Lucia aveva solo due desideri: farsi una lunghissima doccia e mettersi a letto.
‘Faticoso, vero?’
Lei rispose solo con un cenno della testa, era troppo stanca per parlare.
‘Ti ho voluto far provare questo piccolo assaggio di marciapiede, in modo che tu ti renda conto e ti regoli.
Stammi bene a sentire, non ci sono vie d’uscita particolari.
Tu devi continuare a portarmi 500 ‘ al giorno finché il debito di tuo marito non sarà saldato.
Più o meno ci vorranno ancora un paio d’anni.
Visto che non hai più il fisico per farlo con una sola botta da 500, puoi scegliere se farlo comodamente, in casa, con cinque o sei clienti a pomeriggio, oppure passare tutte le notti in strada a farti sbattere da decine di uomini in macchina o dietro una fratta.’
‘Ho capito, ho capito.’
Lucia aveva una calza rotta e le scarpe sporche di terra, quando uscì dalla macchina barcollando e si avviò faticosamente verso il portone di casa.
Quando si guardò nello specchio dell’ascensore quasi le prese un colpo: il viso era stanco, disfatto ed il trucco pesante, che le aveva fatto fare Ceccarelli prima di uscire, si era sparso e sbaffato un po’ dappertutto.
Una volta in casa andò in cucina per bere un po’ d’acqua.
‘Lucia, dove sei stata? è tardi …’
Erano mesi che non parlava con suo marito e questa non era certo la serata più indicata.
‘Dove sono stata?’
Il tono alterato della voce e lo sguardo, divenuto improvvisamente vivo, bloccarono il marito, che rimase senza parole.
‘Sono stata a battere.
Ho passato il pomeriggio in un appartamento ed ho finito in bellezza, trascorrendo la notte su un marciapiede in periferia.
Soddisfatto?’
Il marito era rimasto muto ed a bocca aperta e Lucia ne approfittò per piazzare il colpo finale, aprendosi il giaccone.
La vista di sua moglie con le calze a rete rotte, tenute dal reggicalze e senza mutande, lo lasciò di sasso.
Sopra, un seno spuntava fuori dal busto parzialmente aperto.
Rimase immobile, con lo sguardo fisso sul suo sesso allargato e sporco di sperma essiccato, incapace di proferire parola.
‘Che succede, non hai mai visto una puttana dopo una giornata di lavoro?
Potrei farlo anche con te.
Costo poco, solo 50 ‘.
Li hai 50 ‘?’
Il marito uscì dalla cucina senza dire nulla, mentre lei, dopo aver finito di bere il bicchiere d’acqua, se ne andò in bagno.
Loredana scoprì subito una cosa: trovava estremamente eccitanti gli uomini maturi.
I suoi clienti erano tutti facoltosi professionisti, piuttosto in là con gli anni, molto attirati dall’idea di scoparsi una (finta) ragazzina piena di forme succulente.
Si stancavano facilmente e lei aveva imparato a non esagerare, per non stroncarli nella prima ora ed evitare che le chiedessero uno sconto.
La cosa che più li attirava era il suo culetto, rotondo e pronunciato, ma li faceva penare tutto il pomeriggio prima di concederglielo.
Non avrebbe mai dimenticato il primo giorno, quando si era trovata davanti un professore della sua facoltà, che lei conosceva di vista.
Un omino piccolo e calvo, con una sottile barbetta, che aveva fatto subito accomodare sul divano.
Gli aveva offerto da bere, poi gli aveva portato un posacenere. Si muoveva agilmente intorno a lui facendogli intravedere i suoi seni nudi dentro una maglietta a righe orizzontali, oppure si chinava in avanti facendo sollevare la sua corta gonnellina a pieghe.
Quando fu sicura che il poveretto non ne poteva più, gli si mise a cavalcioni e cominciò a carezzargli la barba.
‘Adoro gli uomini maturi con la barba.’ Gli disse in un orecchio, mentre gli carezzava la barbetta grigia, rada e curata.
‘Voglio che tu mi baci.’
A quel punto lui si protese in avanti, mentre Loredana, drizzandosi in piedi sul divano, si sollevò la gonna a pieghe e si spinse verso di lui.
Il professore, con la bocca protesa, si aspettava il contatto con le labbra di Loredana, e, in un certo senso fu accontentato, perché comunque di labbra si trattava.
Affondò il viso in mezzo alle sue cosce e cominciò a leccargliela disperatamente, mentre le sue mani, infilate sotto la gonna avevano afferrato le chiappe della ragazza.
‘Voglio mangiare la tua fichetta morbida, ci voglio ficcare la lingua fino in fondo’, le diceva nei rari momenti in cui si staccava per prendere fiato, finché Loredana non raggiunse l’orgasmo, spruzzandogli la faccia.
A questo punto lei si abbassò ed iniziò ad aprirgli i pantaloni.
Il professore, con la barba bagnata dai suoi umori, sembrava in estasi mentre lei glie lo succhiava delicatamente.
Gli fece un bellissimo pompino che lo lasciò senza forze, semi sdraiato sul divano, poi si alzò in piedi.
‘Vieni qui.’
‘No signore, non si avvicini, cosa vuol farmi?’
Voleva giocare un po’ con lui, facendo la bambina insidiata dal vecchiaccio.
Il professore si alzò e la prese per un braccio.
‘La prego mi lasci, per favore.’
Loredana si lasciò trascinare in camera da letto, facendo un po’ di resistenza, ma non troppa.
Lui la spinse sul letto e le bloccò le braccia mentre la ragazza cercava di tenerlo a distanza, agitando le gambe.
Si mosse ancora un po’ poi cessò ogni forma di resistenza e rimase immobile, con gli occhi semi chiusi e le gambe leggermente aperte.
Il professore le arrotolò la maglietta a righe scoprendole i seni che iniziò a baciare furiosamente e a Loredana scappò un gemito.
Sentì le sue mani in mezzo alle cosce e riaprì gli occhi, il professore si era tolto i pantaloni e si apprestava a scoparla.
‘Aiuto, no, non voglio.’
Disse lei con un filo di voce, ma rimanendo immobile, con le gambe aperte.
‘Vedrai ora che ti faccio, piccola.’
Era sopra di lei e lo teneva in mano cercando di dirigerlo nella giusta direzione.
‘Hai paura?’
‘Un po’ signore, non l’ho mai fatto.’
Le veniva un po’ da ridere, visto che la prima scopata l’aveva fatta a quattordici anni, nei cessi della scuola, con un compagno più grande, e poi non si era fermata più.
‘Farò piano, non aver paura, non ti farò male.’
Fu di parola perché la penetrò con delicatezza.
Pur non avendolo molto grande, il professore sapeva il fatto suo: fu una scopata piacevole e sufficientemente lunga.
Lo fece riposare un po’, bevvero qualcosa, conversarono del più e del meno, poi il professore venne al punto.
‘Voglio anche il tuo culetto.’
Sapeva benissimo che per 500 ‘ lui poteva chiedere qualsiasi cosa durante l’intero pomeriggio e anche Loredana era consapevole di non potersi opporre, ma il gioco continuò.
‘Nooo! Quello proprio no. Prima è stato piacevole, ma il mio sederino proprio no.’
Nel dire queste parole cercò di allontanarsi da lui, gattonando a cosce larghe sul letto.
Era la maniera migliore per mostrare le sue chiappe rotonde al professore sempre più arrapato.
Infatti lui, con un balzo inaspettato per l’età della persona, la placcò letteralmente, prima che lei riuscisse a scendere dal letto.
Questa volta Loredana fece più resistenza, lo sentiva ansimare e si rendeva che si stava eccitando tantissimo, in questa lotta.
La tirò molto per le lunghe e finse di arrendersi solo quando temette che il professore venisse prima di ficcarglielo dentro.
Ora aveva in mano un tubetto di vasellina, evidentemente era una persona meticolosa e previdente.
Si lasciò spalmare delicatamente lamentandosi solo che era fredda.
‘Non ti preoccupare piccola, ora sentirai caldo.’
il suo pene entrò facilmente nell’ano di Loredana, non era certo il caso di ostacolarlo, la bambina era ormai completamente nelle mani del vecchio.
Quando pensò che poteva bastare, cominciò a muoversi leggermente ed a gemere e questo fu sufficiente a far partire l’anziano professore, che venne prontamente nel suo culo, dicendo frasi sconnesse.
Andò via stanco e felice.
Il primo giorno era andato bene. Loredana si tolse i vestiti, si sciolse le trecce ed andò a farsi una doccia.
Un quarto d’ora dopo era tornata una ragazza come tante, completo jeans e scarpe da ginnastica, che rientrava a casa, sentendo la musica con le cuffie.
Si abituò subito a questo strano lavoro, era abbastanza disinibita per accettarlo e poi le piaceva farlo con uomini molto più grandi di lei.
Prima non aveva mai preso in considerazione questa possibilità ma, ora che l’aveva provata, era sempre più attirata dai suoi clienti.
Ripensando al suo passato scoprì il perché.
Aveva undici anni quando si accorse che suo padre la guardava in maniera strana.
Lì per lì non capì il motivo ma in seguito, qualche anno dopo, trovò lo stesso tipo di sguardo nei suoi compagni di scuola.
Suo padre, quella volta, stava guardando i suoi seni che iniziavano a crescere, era stato attirato dai suoi capezzoli che spuntavano sotto la camicetta. Doveva essersene accorta anche sua madre perché l’aveva portata subito a comprare il suo primo reggiseno.
Ripensandoci, suo padre, in quel periodo, quando uscivano insieme, con una scusa la faceva andare avanti, per raggiungerla poco dopo.
Ora era sicura, suo padre, quando lei era adolescente, le guardava il culetto che cominciava a crescere, alla pari dei suoi compagni di scuola.
Suo padre avrebbe voluto scoparsela?
Sì, anche se non avrebbe mai trovato il coraggio di prendere l’iniziativa, così decise di accontentarlo e anche di punirlo, per la situazione in cui l’aveva messa.
La sera prima, rientrando a casa, si era portata appresso uno dei suoi abiti da lavoro.
La mattina aspettò che sua madre uscisse di casa, poi andò in bagno.
Dopo un quarto d’ora ne uscì una ragazzina con due lunghe trecce, il viso truccato in maniera leggera, a parte la bocca, con le labbra evidenziate da un rossetto rosso vivo.
La camicetta bianca, un po’ trasparente, lasciava intravedere i suoi seni grandi e rotondi, mentre la gonna blu a pieghe si alzava leggermente sul di dietro, in corrispondenza delle sue chiappe belle carnose.
I mocassini neri bassi ed i calzini di cotone bianco completavano il quadro della brava ragazzina.
Loredana inforcò gli occhiali ed aprì la porta della stanza da letto.
Da quando era scoppiata la crisi della sua azienda, suo padre era depresso e dormiva fino a tardi, mentre sua madre cercava di stare in casa il meno possibile.
‘Sveglia paparino.’
Gridò ad alta voce Loredana mentre apriva le tende, facendo entrare la luce nella stanza.
‘Lory, no ti prego, lasciami dormire.
Ma come cavolo tu sei combinata? Cos’è, un festa in maschera?’
‘No papi, è solo uno dei miei vestiti di quando faccio la puttana. Te ne sei dimenticato?
Piaccio molto così ai miei clienti, i più giovani hanno più o meno l’età tua, ma ce ne sono diversi parecchio più vecchi. Sembra che agli uomini maturi piaccia molto scoparsi le ragazzine, vero papi?’
Il padre si era messo a sedere sul letto, la sua espressione era di sorpresa ed imbarazzo, sicuramente non sapeva che pesci prendere.
Loredana aprì i primi due bottoni della camicetta e salì sul letto mettendosi di fronte al padre.
Aveva notato il rigonfiamento nei pantaloni del pigiama e sapeva benissimo cosa stava succedendo.
Lo sguardo del padre era fisso, bloccato nella camicetta parzialmente aperta.
‘Dai papi, mi guardavi quando avevo undici anni, che avevo due tettine piccole, appena abbozzate, ora sono molto meglio, non trovi?’
Le sue dita si mossero agilmente ed aprirono gli altri bottoni.
Il padre era rimasto a bocca aperta, davanti alla figlia a seno nudo e Loredana ne approfittò per dare un altro sguardo in basso.
Il bozzo in mezzo ai pantaloni del pigiama era ora inequivocabile e sulla stoffa si notava pure una piccola macchia bagnata.
Loredana, approfittando del suo sconcerto, gli infilò le mani nei pantaloni e lo tirò fuori.
‘Oddio, ma cosa fai?’
‘Un pompino, paparino, la tua bambina ti fa un bel pompino. L’ho fatto ad un mucchio di gente, lo posso fare anche al mio paparino. Per te gratis.’
La ragazza si chinò e lo prese in bocca.
Era grande e duro. Suo padre aveva un bell’uccello, solo ora lo scopriva.
Venne quasi subito, come se volesse limitare il più possibile questa esperienza piacevole ma imbarazzante.
Loredana sollevò la testa, aveva la bocca piena di sperma ed il rossetto si era sbaffato in più punti.
Si leccò voluttuosamente le labbra per ripulirsi, poi si arrotolò la gonna intorno alla vita.
‘Ti è piaciuto, vero?
Adesso lascia godere un po’ anche la tua bambina.’
Era già molto eccitata e l’idea di toccarsi fino a raggiungere l’orgasmo, davanti a suo padre, era qualcosa di incredibile.
Quando ebbe finito, rimise a posto la gonna, richiuse la camicetta ed uscì dalla stanza.
‘Ora devo andare all’università, la prossima volta te lo faccio ficcare nel mio culetto.
Ciao.’
Il lavoro di Loredana procedeva a gonfie vele: i clienti spesso le lasciavano delle ricche mance e dopo, un po’, visto il successo che riscuoteva, Ceccarelli ritoccò le tariffe verso l’alto.
‘Puoi scegliere se lavorare di meno, magari prendendoti un giorno di riposo, oppure metterti in tasca la differenza.’
Loredana scelse la seconda opzione perché aveva intenzione di trovarsi una casa per conto suo.
Insomma andava tutto a gonfie vele, a parte l’università che aveva un po’ trascurato.

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