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Racconti di Dominazione

Lo Psicopatico capitolo III

By 19 Gennaio 2022No Comments

La cagna aveva un nome, lui l’aveva letto nei documenti che teneva in borsetta, ma lui l’aveva chiamata sempre e solo cagna.
Lui era organizzato, questa era la sesta, quindi sapeva come doveva muoversi e come trattarla. Nessuna l’aveva denunciato, però, le precedenti, le aveva liberate tutte dopo 24 o 48 ore. Questa era già lì da due mesi, gli piaceva, pensava di non correre pericoli e se la teneva. Sui giornali non c’era scritto niente, la cagna non aveva neanche un cellulare. Era una solitaria, una specie di figlia dei fiori fuori tempo massimo, una che viveva con qualche sussidio e con qualche lavoretto, ogni tanto si faceva una canna, ma non era una drogata. In vacanza dormiva in macchina, quindi non aveva lasciato traccia dei suoi passaggi. Lui l’aveva interrogata e lei era stata sollecita nel rispondere. Nel momento in cui lui aveva stretto un capezzolo tra i morsetti della tenaglia e aveva stretto lei era diventata molto collaborativa.
La cagna era strana, ma sana nel corpo e nella mente ed aveva capito con chi aveva a che fare. All’inizio aveva provato a resistere, ma aveva immediatamente capito che se voleva salvarsi e rimanere integra doveva cedere a tutto quello che voleva. Bisogna sempre assecondare i matti le aveva detto molto tempo prima la sua mutti. Sua madre aveva ragione ed in una settimana era diventata la sua cagna. Lui quando andava via la chiudeva nella cantina, quando invece era in casa la teneva al guinzaglio e se la portava dietro. Lui era cosciente che le stava facendo vedere troppo, le altre non erano mai uscite dalla cantina e quindi avevano poco da raccontare. Questa invece stava osservando e poteva descrivere tutto, ma la voleva sempre con lui, anche mentre lavorava, ne era diventato dipendente. Sapeva che stava commettendo una stupidaggine, ma non poteva farne a meno.
Lei ubbidiva e faceva quello che voleva. Lui le aveva detto che prima o poi l’avrebbe liberata e lei a quella promessa si era aggrappata, sperava che prima o dopo l’avrebbe fatto e intanto commetteva le peggiori abiezioni per soddisfarlo. Sapeva che doveva essere brava, ubbidire e non dargli problemi, lui aveva insistito molto su quel punto. Niente problemi altrimenti…, non aveva terminato la frase, ma non ce ne era bisogno. La cagna aveva annuito vigorosamente.

Quando si era svegliata credeva di morire, non si poteva muovere e sentiva che i capezzoli le facevano un male terribile. Aprì gli occhi e si vide. Era legata a terra su un pavimento di pietra, gambe e braccia allargate e legate a dei ganci conficcati nelle lastre. Disegnava una x, aveva la bocca spalancata da una specie di museruola, con un bel buco in mezzo, che le deformava bocca e viso. I capezzoli catturati e tirati in alto da cordicelle che si congiungevano ad una catena che scendeva dal basso tetto della cantina. La catena era robusta, ma i lacci erano sottili, pratici per catturare e stringere i capezzoli. Il seno era in tensione ed i capezzoli erano diventati incredibilmente lunghi e le facevano male, tanto male. Sembrava glieli stessero staccando. Singhiozzò e pianse per il dolore, non poteva gridare.
La figura che troneggiava sopra di lei a gambe larghe la terrorizzò. Era nudo e in estasi, si stava masturbando mentre la guardava con gli occhi fuori dalle orbite. Voleva svenire ed uscire da quell’incubo, ma non ci riuscì, lui stava godendo ed indirizzò lo schizzo sul suo seno. La centro in mezzo alle tette e l’impiastricciò, gli schizzi rimbalzarono sul seno e le finirono in bocca e sul viso, cercò di non deglutire, ma non ci riuscì, ingoiò. Lui si passò la lingua sulle labbra, la guardò possessivo, ma non le disse niente. Poi uscì e lei rimase così come era, mentre la notte scendeva. In alto c’era una feritoia da cui entrava della luce che minuto dopo minuto iniziava a scomparire. Soffriva indicibilmente, i capezzoli soprattutto, pulsavano facendola impazzire dal dolore.

Si rifece vivo la mattina dopo, stava albeggiando e la cagna era fredda e dolorante dovunque, i capezzoli insensibili e la bocca sempre bloccata ed irrigidita, il viso era sfigurato non solo per la museruola, ma anche per la tensione, lo stress, la paura.
Lui le levò la museruola e sciolse i lacci ai capezzoli. Il dolore l’assalì fulmineo, sia ai capezzoli che sulla bocca. Cercò di aprirla e chiuderla, sembrava che non le appartenesse, non ne aveva il controllo, sentiva solo dolore ed agonia. Lui le sfiorò i capezzoli e a lei sembrò di impazzire. Gridò. Lui allora strizzò e lei ansimò contorcendosi. – Pietà – disse in inglese ed in tedesco, – per favore – in italiano.
Lui strinse, mentre lei si dimenava, si contorceva piangeva e gridava. Poi la lasciò per un momento.
– Farai tutto quello che voglio? – Le parlava in inglese. Lei non capì e non rispose. Lui le mollò due ceffoni, andata e ritorno, aveva mani enormi, forti e pesanti, i denti della cagna ballarono e gli occhi si riempirono di lacrime, le labbra erano esangui.
– Farai tutto quello che voglio? – ripeté.
Stavolta capì, ma esitò e poi rispose – cosa? –
Lui prese la tenaglia e la strinse su un capezzolo, ma poco. Nonostante la posizione ed il freddo che sentiva, la cagna sussultò rischiando di farsi male ed iniziò a sudare copiosamente, mentre gli occhi erano sbarrati dal terrore.
– Tutto, vuol dire tutto – sillabò, scandendo bene. E visto che lei non capiva strizzò un po’ facendole vedere le stelle. – Se ti dico di rotolarti per terra lo farai, se ti dico di bere il mio piscio lo farai… capisci? –
Lei fece segno di sì annuendo, ma lui le disse – Devi rispondere sì Padrone. Se no te lo stacco. –
Lei si affrettò a rispondere – Yes… Master. – Ora era convinta di avere davanti un pazzo. Lui levò la tenaglia e la massaggiò sul capezzolo pulsante e lei sentì molto male. Poi la morse sull’altro e lei credette ancora una volta di impazzire. La lasciò per un’altra mezza giornata in quelle condizioni. La cagna stava andando, anche lei, fuori di testa. Fece pipì e defecò dove si trovava. Sentiva freddo, aveva fame e si stava disidratando. Mentre le sue chiappe e le sue cosce erano a mollo in quel brodo puzzolente era terrorizzata da quello che l’attendeva, per cominciare da quello che lui le avrebbe fatto per aver sporcato per terra. Stava per vomitare per il puzzo e per la paura, ma si trattenne.
Quando lui ritornò era mezzogiorno. Rise della situazione e la slegò, – puzzi come una capra. – Le fece pulire tutto e poi la portò sotto la doccia. Lei stava riacquistando fiducia, forse il suo Padrone non era poi così cattivo. Poi lui le mise due scodelle a terra, uno con una brodaglia tiepida e l’altro di acqua fresca. Lei ritornò a pensare che era in una situazione molto triste, però quando lui le disse mangia, lei si affrettò ad eseguire l’ordine. Mi voleva staccare il capezzolo pensava. La brodaglia era insapore, ma contribuì a ravvivarla. Lo stomaco brontolava ed aveva freddo. Lui la portò alle latrine e lei si liberò, dovette farlo davanti a lui che la guardava sorridendo.
– Bene cagna, – disse lui sedendosi in un divanetto sgangherato che stava nella cantina, – ora mettiti a quattro zampe e vieni verso di me. –
Ci siamo, pensò la cagna, ora vuole un pompino, poi mi fotterà. Mentre pensava si metteva a quattro zampe, certamente era uno stupro, ma era molto più sopportabile di quello che le aveva appena fatto. Non le piaceva, ma la cagna con il sesso, in passato, era stata abbastanza disinvolta. Non che fosse una scatenata, anzi, ma se le girava non ci pensava due volte. Una notte che si era ubbriacata si era ritrovata, la mattina dopo, in un letto con due uomini. Due sconosciuti di cui non ricordava niente. Preferiva fare pompini e dare la fica piuttosto che rischiare di perdere un capezzolo. Il segno era profondo e faceva ancora molto male. Avanzò gattonando, Quando fu di fronte a lui si fermò in attesa, le labbra leggermente dischiuse, pronta. Lui l’aveva estratto, era un arnese di tutto rispetto di circa venti centimetri, grosso e nodoso. Ma lui non le chiese il servizietto che lei si aspettava. – Metti le mani sotto il seno ed offrimelo. –
La cagna eseguì e lui allungò le mani prendendola per i capezzoli, aveva mani e dita dure e forti, implacabili. Strinse e lei guaì. Lui strusciò il cazzo tra le tette della cagna, poi gliele prese alla base e strizzò, la cagna guaì ancora, ma non si sottrasse, era inutile, lui aveva una presa d’acciaio. Glielo strusciò sui capezzoli, poi portò le mani sull’esterno del seno e il cazzo iniziò a scorrere nel solco. La manza chiuse gli occhi ed ondeggiò sulle chiappe assecondando il movimento, tentava in ogni modo di compiacerlo e lui sorrise soddisfatto. La cagna aprì le labbra quando lo sentì arrivare contro e chinò il capo per prenderlo. Lui era eccitatissimo, ma era anche resistente. La scopò tra le tette ed in bocca per un bel po’, poi lo schizzo partì e le arrivò in gola. – Inghiotti tutto cagna. – E la cagna non perse una goccia.

Anche il Master era un quarantenne, in forma perfetta e con voraci appetiti sessuali.
Le diede una vestaglietta ed un maglione per coprirsi e degli stivaletti, ma niente biancheria intima, la chiuse in cantina e se ne andò ancora una volta. La cagna guardò meglio il locale, era desolante. Uno stanzone con qualche mobile, tra cui il divano, diversi attrezzi per costrizione: corde, catene, manette…, in un angolo la latrina e, adiacente, la doccia. Il suo mondo. Non sapeva quando sarebbe uscita da lì. Fu presa dalla disperazione e dalla paura. Valutò ancora una volta, a lungo, se ribellarsi e poi guardò il capezzolo tumefatto e dolorante, non poteva farlo, non aveva nessuna speranza di riuscirci.
Lui ritornò la sera, le portò da mangiare, sempre nelle ciotole, lei si inginocchiò e mangiò. Poi lui le ammanettò i polsi dietro la schiena e se la fece, in ginocchio, piegata in due, davanti e di dietro, stringendola per le mammelle, strizzandole i capezzoli e mordendola sul collo e sulle spalle. Senza neanche spogliarla, lasciandole i segni dei denti e delle mani di acciaio sul corpo. Lei gridò, gemette e… lo accolse. Poi lui se ne andò senza neanche liberarla dalle manette. Lei si accucciò sul divano e si addormentò. Nel sonno, popolato da incubi, sussultò, tremò e pianse.

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