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Trio

Il microchip

By 15 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Cercherò di essere breve. Questo &egrave il diario di un uomo felice, forse l’uomo più felice della storia. Il mio nome non conta: Priapeo &egrave sufficiente, chiaro il suo valore simbolico. Sono un ingegnere elettronico, un uomo qualunque, né bello né brutto, con una storia banale alle spalle lunga più di 40 anni. Donne poche, più che normali se non insignificanti. Ma qui sta il busillis. Io alle donne ci tengo. E molto. Ovvero, più che alle donne, al sesso. Sesso, sesso’ Ma come la maggior parte degli uomini qualunque, dei signor nessuno che vivono ai margini del rutilante mondo della figa, la medesima mi &egrave stata concessa in dosi minime, da sopravvivenza, con l’eccezione di quella cartacea per le manipolazioni self-service. Insomma, una tristezza.

Io sono un tipo testardo, mi conosco e so quello che voglio, fin dall’infanzia, quando alzavo le gonne alle mie cuginette per sfiorare le loro mutandine anche solo con un dito. E dunque, non disposto ad accettare questa condizione di emarginato, ho dedicato la mia vita ‘ 25 anni di sacrifici ‘ a un’idea. Un’idea semplice, che devo a una casuale lettura. Qualcuno scoprì, tanti anni fa (ma la cosa chissà perché passò sotto silenzio) che il nostro sistema parasimpatico (quello, per capirci, che regola le funzioni sessuali e altre cose come il battito cardiaco), &egrave sensibile alle vibrazioni acustiche oscillanti tra certe bande di frequenza. In altre parole: possono essere prodotti certi ultrasuoni, inudibili ad orecchio, che agiscono come stimoli potentissimi sul nostro sistema nervoso, creando stati di’ eccitazione sessuale. Semplice no?! Ora, il problema &egrave: qual &egrave la banda di frequenza utile? Come produrla? Non dovrebbe essere difficile, mi dissi allora, per un ingegnere elettronico, trovare le risposte. E allora vai!!! Mi iscrissi al Politecnico per conseguire l’unica laurea utile allo scopo supremo della mia vita, che &egrave sempre stata la figa. Ma non fu così semplice. Comunque, appunto, non vi voglio tediare. Tra attimi di disperazione e altri, numerosi, di folle speranza, ho sperimentato, studiato, speso capitali, lavorato anni e anni, per giungere, con tutta la mia caparbia determinazione, al risultato voluto. Il ‘Figabooster’!

Non voglio scherzare troppo su una cosa che potrebbe rendermi l’uomo più ricco del mondo. Ma questo &egrave un capitolo successivo. Dunque. Ho costruito un microchip, un oscillatore integrato delle dimensioni di un’unghia, nascosto in un orologio. Al mio comando, esso emette una frequenza ultrasonica capace di agire simpateticamente sul sistema nervoso umano, alterandone la sensibilità e creando stati artificiali di eccitazione sessuale, di potenza straordinaria. Date le dimensioni dell’aggeggio, &egrave però necessario che la mia mano, quella con l’orologio, venga a contatto col corpo del soggetto da colpire. Meglio se con le vertebre del collo e della schiena. In questo caso, l’effetto &egrave immediato e dirompente. Naturalmente, il primo a beneficiare del dispositivo sono io. Il mio pene ha assunto dimensioni mostruose (almeno rispetto a quelle cui ero abituato’), e ogni volta che innesco l’apparecchietto sono come percorso in ogni mia fibra da un’ondata irrefrenabile di piacere, paragonabile al tocco di cento mani di donna. Fino a questo momento, ho dovuto calmare l’eccitazione ricorrendo al solito escamotage manuale; gli innumerevoli esperimenti e verifiche a cui ho dovuto sottopormi nella ricerca e nell’ingegnerizzazione mi hanno comunque modificato l’aspetto fisico: il mio corpo si &egrave snellito, le fasce muscolari di gambe e fianchi hanno assunto un aspetto asciutto e modellato, il pene si &egrave allungato di circa 6 o 7 cm e i testicoli mi sembrano quelli di un toro. Sono pronto. Finalmente ho imparato a dominare le sensazioni e posso muovermi normalmente tra la gente anche con l’oscillatore in funzione. Certo faccio un figurone: se indosso i jeans, vengo preceduto di qualche secondo ovunque vado da un rigonfiamento innaturale che non può assolutamente passare inosservato. Meglio: fa da apripista ai miei approcci’

Questa sera avverrà l’inaugurazione. Non sto più nelle’ palle. &egrave già tutto pronto: sono anni che mi pregusto la scena’

Continua’
Non sono un uomo ricco: non posso catapultarmi a Holliwood alla ricerca di Sharon Stone o Nicole Kidman per pastrugnare i loro preziosissimi apparati genitali. Almeno per il momento. E poi ho una mia filosofia: belle donne ne trovi ovunque; l’importante &egrave che siano convinte di quello che fanno. A quel punto, una Kidman a letto non &egrave meglio della (bella) vicina di casa appagata e felice di quello che le fai. Certo, la fantasia conta molto: scopare la grande stella del cinema appaga di più l’ego. Chissà’ Una cosa per volta, comunque. Ci vuole costanza, determinazione, pianificazione e senso della realtà. Tutto si può ottenere.

Dopo gli esperimenti di laboratorio, &egrave il momento dei test su cavie umane. Fin dall’inizio di questa storia ho un chiodo fisso che mi devo togliere: Silvana, la moglie del mio più caro amico. Stasera sono invitati a cena. &egrave tutto pronto.

Silvana &egrave sempre stata la donna dei miei desideri: alta, perfetta, bruna, seno forte, gambe lunghe, sempre con la gonna e calze autoreggenti (le si vedono le cosce ogni volta che le siedi di fronte). &egrave una esibizionista, e ama mettermi le mani addosso. Ha occhi inquieti e profondi, scuri, quasi da pantera in calore. Anche la voce &egrave da porca: scura e velata. Quando siamo noi tre non si parla che di sesso: Paolo &egrave un focoso ma penso che a lei non basti. Infatti mi guarda, mi abbraccia, e con la scusa che soffro di mal di schiena mi massaggia le spalle, il collo… Le sue mani bruciano e non so come fare a trattenermi. Da quando la conosco non penso che a lei’ &egrave la donna giusta per il grande esperimento. Sono pazzamente eccitato’

Resoconto.

Sono le tre di notte. Sono appena andati via. Non posso dormire, ripensando a quello che &egrave successo. Sono nudo davanti al PC, col cazzo durissimo, e dire che ne ho fatte almeno cinque. &egrave una invenzione straordinaria, assolutamente pazzesca!!! Sento che il mondo mi apparterrà.

Appena entrati, ho stretto loro le mani, baciandoli affettuosamente entrambi. L’orologio vibrava. Silvana mi ha lanciato un’occhiata stupita, quasi sgomenta. Ho sentito la sua mano sudare. Paolo &egrave rimasto anche lui interdetto: gli &egrave venuto duro e non capiva perché.

La cena &egrave pronta, consumiamo i miei precotti in allegria. Sono su di giri al punto giusto. Anche da lontano, la mia eccitazione si riverbera; evidentemente comunico qualche sensazione che l’inconscio recepisce senza comprendere. Dunque, la mia vicinanza rende euforici. Questo &egrave da annotare.

Siedono sul divano, per il caff&egrave. Per berlo, mi metto in mezzo. Sull’onda dell’allegria, cingo loro le spalle, dicendo: ‘cari amici, che piacere avervi qui’. Si irrigidiscono. Non capiscono. Paolo &egrave chiaramente imbarazzato, Silvana muove le gambe indecisa se accavallarle o distenderle. &egrave chiaro che si sta bagnando e non sa cosa fare. Con la sinistra le accarezzo la spalla, lentamente. Paolo guarda le gambe della moglie, e credo di sapere a cosa pensa.

Malgrado siano mesi che mi preparo all’evento, al momento buono non so cosa fare. Dire qualcosa? E cosa? Passare subito ai fatti? Devo improvvisare, anche perché il mio uccello non ce la fa più a stare rinchiuso nella corazza dei pantaloni.

Continuo ad accarezzare la spalla di Silvy. La donna &egrave in uno stato di agitazione totale. Deve alzarsi: ‘scusate, devo andare in bagno”. Andrà ad asciugarsi o a sditalinarsi?

Rimaniamo soli io e Paolo. Con il Microchip, per me non c’&egrave differenza tra fica e cazzo. &egrave tutto sesso. Gli vedo il rigonfiamento della patta. &egrave il momento di buttarsi. Lo tocco. Lui si alza incazzato e rosso. ‘Ascolta’ – gli dico ‘ non ti incazzare. Perché non ci facciamo una scopata in tre? So che sei eccitato, ti vedo” e mi alzo anch’io. Gli metto la mano sulla patta: il rigonfiamento cresce ancora.

‘Sei impazzito” mi dice nervoso.

‘Ti eccito’ perché lo neghi’?’ rispondo.

‘Vaffanculo”.

Lo afferro per il collo con la sinistra, toccandogli le vertebre. Lo tengo fermo. Comincia a sudare. ‘Vedi che ti piace?’ gli sussurro. Lui nega, ma non riesce a staccarsi. Cerca di allontanarmi, ma stringo sempre più, palpandolo dolcemente.

‘Porca puttana” mormora lui.

‘Dai’ lasciati andare’ noi tre, una bella ammucchiata porca’ pensaci bene”. Ansima agitato e pallido. Cerca di non guardarmi, ma non si muove più. Lo tocco con grande intensità, accarezzandogli sempre il collo.

‘Ohh, madonna” ansima.

Gli abbasso la lampo e gli infilo la mano dentro i pantaloni. ‘No!…!’ cerca ancora di divincolarsi, ma debolmente. Insisto. Trovo le mutande. Scivolo sotto. Ecco i coglioni. Sono gonfi. Lui mi allontana le spalle, spaventato, ma ansima. Salgo con le dita: ecco l’uccello, duro come un sasso. Adesso con l’altra mano mi abbasso la lampo e mi tiro fuori il cazzo. Glielo metto in mano e gli tiro fuori il suo. Ci masturbiamo. Ce l’ho fatta!

Lui &egrave allibito e rosso, sudato e stralunato. Non capisce cosa gli capita, ma &egrave in preda alla foja. Mi guarda il cazzo come se vedesse l’altra faccia della luna. Io chiudo gli occhi: &egrave avvenuto’ Una mano estranea mi palpa e mi possiede; e fra poco’

Paolo mi sborra in mano, bagnandomi i pantaloni. Io sono ormai ‘vaccinato’: grazie all’esercizio posso sopportare tempi molto più lunghi. Continuo a pasturarlo, e il pene gli rimane duro. Funziona anche questo!

Silvana ritorna.

&egrave rimasta lì, sulla porta, allibita e rossa. Non sa cosa fare, cosa dire. Paolo balbetta qualcosa ma non lo mollo e la sua mano rimane ferma sul mio uccello. ‘Vieni, tesoro’ – le dico ‘ &egrave tutto per te, adesso’ o meglio: tutti”.

Si porta una mano alla fronte, come se si sentisse male. Non si muove. Vado verso di lei. Cerca di allontanarmi, pallida, ma le accarezzo le braccia e vado a toccarle la schiena. Sento che vacilla. La abbraccio. La bacio. Non &egrave un bacio lungo ma la sua lingua mi esplora.

Mi stacco. Li prendo entrambi per mano e mi dirigo in camera. Paolo e io abbiamo il cazzo in fuori, che pende.

‘Succhia” dico a Silvy. Si siede sul letto e ci guarda smarrita. ‘Mi sento strana’ &egrave tutto strano’ non me l’aspettavo” sussurra come a se stessa, scuotendo la testa indecisa. Ma ha gli occhi lucidi, come febbricitanti. &egrave probabile che il triangolo con moglie e marito rallenti la libido, inneschi fattori di sensi di colpa. Annotare.

Finalmente ci abbassa i pantaloni. Non ha resistito. Ha le mani piene di cazzo. &egrave come in trance: si lascia prendere dal desiderio, sento che non &egrave più padrona di sé. A Paolo tremano le gambe; a me pure. Lei si porta le cappelle alla bocca: ci bacia, ci lecca, e a turno ci succhia, ci ingoia.

Il mio interesse scientifico mi impone di non perdere lucidità: le chiedo di dirmi cosa prova. Scuote la testa, non vuole parlare. Guardo Paolo: &egrave angosciato ma non può resistere. La situazione &egrave tesa. In tutti i sensi.

Mi allontano. Spingo dolcemente Silvy a sdraiarsi. Lei trascina il cazzo del marito con sé. Le alzo la gonna. Spettacolo sublime’ cazzo mio, come godi ancora adesso!!! Le bacio le cosce, l’accarezzo, arrivo alle mutandine. Sono di cotone, nere, da casalinga, quelle che mi eccitano di più. Gliele scosto e le libero la vagina. &egrave un bagno! Ovunque la tocchi, scivolo, quasi non percepisco la sua carne. Anche questo &egrave da annotare: &egrave il primo, piccolo inconveniente.

Le metto due dita dentro. Sussulta, agitando i fianchi come una baccante. Paolo guarda incredulo. Alzo la gonna sui fianchi, così che possa arrivarci anche lui, immobilizzato com’&egrave tra le dita frenetiche della moglie. Gli prendo una mano e gliela poso sul clitoride. Io dentro, lui fuori. Silvana si inarca mugolando: &egrave un ooohhh lungo e sordo, di gola. Si infila tutto il cazzo di Paolo in bocca. Si mettono a fare un 69; le mie dita sono sempre dentro.

Silvy viene come un razzo. Gode a piccoli colpi violenti, con singulti di gola.

Mi spoglio completamente. Allontano Paolo e mi metto a cavalcioni sulla faccia di sua moglie. Mi prende il pene e comincia un pompino da favola. Il primo pompino della mia vita, diario mio!! Il primo’ Non riesco a descrivere la sensazione di quella bocca bagnata che mi contiene, di quelle dita che mi avvolgono i coglioni con tenero ardore, di quegli occhi scuri che si alzano a guardarmi eccitati.

Paolo &egrave immobile. Non posso pensare a tutto; altra annotazione: &egrave difficile, in situazioni di gruppo, mantenere il controllo. Un po’ si tocca, eccitato, un po’ sbatte le palpebre come se volesse piangere. &egrave quasi schizzato. Io non resisto più: la durezza del mio pene &egrave pazzesca, le sue dimensioni da record, la bocca di Silvy &egrave deformata dal glande, eppure continua ad andare avanti e indietro, con gli occhi chiusi, come in estasi. Devo fare qualcosa’ prendo con la destra il cazzo di Paolo e ricomincio a pompare. Lui si allontana. Riesce a fare resistenza. &egrave come sconvolto, ed esce dalla stanza. Ma non posso fare altro che lasciarmi andare, altrimenti scoppio. Mi prendo anch’io tra le mani, aumento il ritmo del mio ancheggiare, e finalmente vengo. L’orgasmo erompe come una scossa elettrica fin dalla prostata, poi dilaga lungo tutto il pene e fuoriesce come un torrente di schiuma calda dalla cappella, direttamente nella bocca della donna. Urlo. Silvana a momenti soffoca: a malapena riesce a togliersi il cazzo dalla bocca, e deve tossire per non ingoiare il mio sperma.

Non posso lasciarla, potrebbe andare in crisi. Ormai siamo in ballo’ la sollevo leggermente e la aiuto a togliersi la gonna, e intanto le dico di chiamare Paolo. Lei vuole andare di là: decido di accompagnarla. &egrave uno spettacolo: in mutandine e autoreggenti, si muove come una gazzella per la mia casa, proprio come l’ho sempre sognata. Paolo &egrave accasciato sul divano, con la mano sugli occhi. Ci sediamo accanto a lui. Silvana lo abbraccia, io gli tocco il collo.

‘Cosa stiamo facendo?’ mormora come un bambino spaventato. Ma Silvy &egrave partita: lo abbraccia e si stringe a lui, infilandogli la lingua in bocca. Continuo ad accarezzarli, poi aiuto Silvana a montare a cavallo di Paolo e le infilo il cazzo nella vagina fradicia. Scopano, seduti sul divano. Intanto io tolgo la maglietta alla donna, le slaccio il reggiseno e mentre esplode in un orgasmo vaginale le titillo i capezzoli.

Lascio che si calmino, senza toccarli. Annotazione: l’effetto dunque persiste anche in lontananza, ma devo prendere misure precise di durata e intensità.

Silvana si riprende e mi guarda, calda, eccitata. Sono seduto accanto a loro. Mi vuole dentro, glielo si legge negli occhi. La prendo per i fianchi e la appoggio su di me. Lei vuole che sia Paolo a mettermi dentro: gli prende la mano e la accompagna dolcemente al mio uccello, e lui ci sta. Entro scivolando tra fiotti di sborra maschile e femminile, mentre Silvy mugola lamenti e invocazioni. Paolo non si allontana; quando io sono finalmente dentro, lui continua a masturbare il clitoride di sua moglie.

La donna comincia a sussultare: vuole sentirsi frugare nelle profondità, vuole che le accarezzi l’utero col mio cazzo. Non sono un esperto, ma credo di aver causato un orgasmo da delirio. Con l’aiuto di Paolo. Silvana mi tira i capelli e comincia a sobbalzare inghiottendomi con ritmo regolare; lancia grida profonde, come chi affoga, come chi &egrave in preda al panico. Poi più niente: si irrigidisce, inarcando il busto e lanciando la testa all’indietro, mentre le sue cosce mi stritolano i fianchi. Le succhio il capezzolo, sento il cazzo strusciare in un mare di liquido, non percepisco quasi le pareti calde della vagina, devo concentrarmi, ma la mia eccitazione &egrave tale da riempire ogni anfratto della donna. Devo prenderle il culo e costringerla a saltare come una baccante sulle mie cosce, e finalmente vengo anch’io.

Si sono abbandonati sul divano ansimando spompati. Ma io dovevo ricominciare, non potevo resistere. Grondavo ancora della miscela erotica dei due liquidi e già mi sentivo morire da nuova eccitazione. L’effetto del Microchip &egrave non solo costante, ma progressivo: dopo quel primo approccio violento, era come se il successo mi avesse dato alla testa. Mi sono inginocchiato ai piedi del divano, tra le loro gambe, e ho afferrato cazzo e figa. Si sono come spaventati, ma ormai la loro disponibilità era completa. Anni di attesa, sogni, desideri, deliri e frustrazioni ardevano in me come un propellente emotivo, come una fusione nucleare lenta. Li ho masturbati con una golosità infantile, cieca: mormoravo non so quali porcate sconnesse, palpavo lentamente ogni millimetro dei loro sessi ancora fradici, poi ho infilato quattro dita nella passera di Silvy mentre col pollice le pasturavo il clitoride, e sul cazzo di Paolo ho cominciato un pompino da manuale. Si inarcavano gemendo e baciandosi, Paolo strizzava i capezzoli della moglie con furore. Mi pare di sentire ancora sulle mie dita il calore fremente di quei genitali eccitati’ mi tocco’ mi tocco ancora adesso diario mio’ mi faccio un’altra sega.

Hanno goduto quasi insieme, gridando e tirandomi i capelli.

Ho tirato Silvana giù dal divano, l’ho costretta a ingoiare il pene di Paolo inginocchiata ai suoi piedi, e da dietro le ho allargato il culo per infilarmi nel suo buco nero. La prima volta anche nel culo. Strana sensazione’ lei ha gridato di dolore, ma ho cominciato a masturbarle il clito e questo l’ha un po’ calmata. Non sono entrato tutto, mi &egrave stato sufficiente entrare e uscire a piccoli colpi con la cappella per sentirmi morire di piacere, mentre con la mano mi aiutavo palpandomi il manico e i coglioni. Mentre lei veniva ancora tra le mie dita, ho sborrato lungo le sue cosce’ ormai era una scena da film. Si &egrave accasciata sul marito, quasi svenuta dalla fatica. Ma non potevo smettere: le ho messo l’uccello un’altra volta dentro, e ho pompato come un pazzo, palpando il cazzo di Paolo fino a farlo sborrare tra le mie dita. Sono venuto per la quarta volta.

Mi hanno implorato di smettere. Silvana ha persino mormorato che dovevo essere impazzito. Ho chiuso il Microchip: non voglio rovinare i rapporti umani, tagliarmi i ponti dopo l’avvenuto contatto. Abbiamo aiutato la donna a stendersi sul divano e ho preparato un caff&egrave ben forte. Inutile riportare quello che ci siamo detti; le loro sensazioni erano un misto di gioia, vergogna e stupore. Annotazione: esiste dunque un’aura emotiva attorno all’effetto nervoso, un processo di assuefazione mentale, che rende l’esperienza desiderabile. Sarà estremamente interessante verificare gli stati d’animo in un prossimo incontro neutro, senza stimoli. Paolo ha comunque superato la crisi, pare pienamente soddisfatto; Silvana &egrave come stordita e non ha parlato molto. Ipotesi: che fosse mezzo innamorata di me e che ora si senta fortemente attratta da un radicale cambiamento?

Sono le quattro. Tutto va bene. Con la giornata di oggi pongo fine agli esperimenti. La mia idea funziona, il mondo sarà veramente ai miei piedi’ o alla portata del mio uccello.

Fine primo episodio.

L’American bar.

Gran vita per il mio cazzo! Sono incredulo e stordito da quanto &egrave successo nelle ultime due settimane. Mi guardo allo specchio, il pene enorme ed eretto, e mi chiedo se sono davvero io’ reduce da avventure erotiche difficili anche da immaginare. Come godo, diario mio!

Ho cominciato la mia caccia grossa da una riserva vicina, accessibile e nota: il bar sotto casa. &egrave il più chic del quartiere, e in questa fase di forti titubanze e paure mi sento più tranquillo giocando in casa. Ho adottato questa strategia: per qualche sera ho semplicemente bevuto un bicchiere seduto al bancone, appostato in osservazione. C’&egrave figa circa dalle 23 in poi. E buona. Gran belle ragazzone, naturalmente in degna compagnia. Microchip aperto al massimo. Faccio effetto anche sul barista: mi guarda strano, sorride e chiacchiera volentieri con me. Mi sono messo comodo: i soliti jeans attillati, camicia sportiva e stop. Quando mi &egrave sembrato cotto al punto giusto, ho chiesto al ragazzo di presentarmi ai clienti fissi, i suoi ‘amici’, naturalmente con donna a rimorchio. Mi &egrave bastato stringere qualche mano e offrire un paio di bicchieri, e mi sono subito fatto notare. Dopo una settimana, quando entro mi salutano tutti: le voci girano, Luca (il barista) mi ha riferito divertito che in giro si parla di una gran figo assolutamente da conoscere all’American bar’

Io sono timido e insicuro, ma quest’aggeggio mi rende particolarmente esuberante. Non faccio più nessuna fatica a stare in mezzo agli altri, e per un po’ di sere ho fatto scena in mezzo a capannelli di ragazzi (e ragazze) che venivano a bere e chiacchierare con me. Si parlava di niente, ma erano molto curiosi: nessuno mi aveva mai visto e non capivano da dove venivo; eppure davo l’impressione di uno ‘che c’&egrave’. Parlavo un po’ anche di me: e più di una volta ho ‘buttato lì’ una frase: ‘vengo spesso anche di pomeriggio, a bere qualcosa in santa pace’ mi piace a volte stare da solo’. Capito?

Annotazione sulle fanciulle. In quelle sere di appostamento, ho osservato attentamente le loro reazioni psico-fisiche. Le vedevo turbate e molto incerte su come trattarmi; qualcuna mi guardava fissa, con occhi voraci; qualcun’altra cercava, al contrario, di non fissarsi su di me, ma la sentivo soffrire e agitarsi. Ho anche allungato la mano, con tatto, sulla spalla di una biondina estremamente graziosa: ha avuto come un brivido e da quella sera non l’ho più vista. Sui maschi ho poco da dire: certo ho creato qualche problema, ma in questo momento punto tutto sulla passera.

Dal quinto giorno in avanti, ho messo in atto la seconda fase del mio piano. Alle 17 scendo a bere una birra, al bancone. Luca me la offre, contento di fare due chiacchiere. Per tre o quattro giorni non &egrave successo niente. Poi’

Martedì &egrave arrivata la biondina. Saranno state le 18.30. Stavo quasi per andarmene, ma ho avuto culo. Il mio piano ha funzionato: sono sicuro che per almeno un paio di giorni &egrave venuta a vedere se c’ero per davvero; poi non ha resistito ed &egrave entrata. Era quello che speravo capitasse: prendere con la rete qualche uccellina solitaria, dopo averla attirata con lo specchietto.

Resoconto.

Tiziana (la biondina) &egrave un amore. Né piccola né alta, capelli biondissimi lunghi e lisci, musetto delicato e fine, nasino piccolo e occhietti un po’ a mandorla. Lavora qua vicino e non ha potuto resistere al desiderio di cercarmi, uscendo dall’ufficio. Martedì si &egrave presentata come se passasse per caso, ma era un po’ rossa in volto e agitata. Mi sono subito avvicinato per non farla andare in panico, e l’ho accompagnata tenendola per un braccio a un tavolo. &egrave impallidita e mi guardava quasi con paura. Aveva i pantaloni, la stronza!!

‘Cosa c’hai?’ le ho chiesto accarezzandole con un dito la guancia.

‘Non lo so’ ho bisogno di qualcosa di forte’. Ho ordinato due bourbon.

Ho fatto il carino per un pezzo, cercando di misurare attentamente il suo stato di cottura; cose tipo: ‘sono tanto felice di vederti” ‘sei stupenda” ecc. ecc. Le ho preso la mano e non ha fatto resistenza. Mi guardava sorridendo con occhi timidi e preoccupati. Le ho accarezzato i capelli, fermandomi con la mano sul collo. Ha chiuso gli occhi sospirando ed &egrave fortemente impallidita. Avevo il cazzo che scoppiava: sentivo che era fatta. Allora ho detto: ‘non stai bene, Tiziana; vieni su da me, che ti metti a tuo agio”. Non ha risposto, ma si &egrave fatta trascinare senza opporre resistenza. Sarebbe per me molto interessante decifrare quello che passa nella psiche femminile, nel momento in cui entro in azione. Quali saranno i pensieri, come si presenteranno i desideri, con quali fantasie si manifesteranno le pulsioni scatenate inconsciamente dal Microchip? Avranno la forza di rappresentarsi la scena? O saranno semplicemente le vittime di un impulso incomprensibile da cui tentano inutilmente di rifuggire? Sicuramente per ognuna di loro sarà diverso, e ho la sensazione che per Tiziana sia stato qualcosa di molto vicino alla paura e all’angoscia. Ma proprio per questo, tanto più irresistibile. (Dopo mi ha confessato di aver visto in me la materializzazione angosciosa delle sue fantasie incestuose: il padre da amare e da cui essere posseduta, l’uomo forte e protettivo a cui abbandonarsi come una bambina).

Appena entrati in casa l’ho abbracciata da dietro, afferrandole con forza e dolcezza le tettine. &egrave quasi svenuta. Mi ha pregato di non farle del male, che non capiva cosa le capitava e non aveva la forza di volere e potere più nulla, che si abbandonava a me senza un perché’ L’ho presa in braccio e l’ho portata sul letto.

Era sudata, pallida e respirava affannata. Le ho tolto i pantaloni e la maglietta. Poi mi sono calmato e ho cominciato ad accarezzarla castamente: la fronte, il viso, le spalle, le gambe, per darle calore, baciandole gli occhi piano piano. Le ho sussurrato parole rassicuranti e tenere, ho tirato fuori la parte migliore di me. Era di una bellezza dolce e carezzevole, e così semi nuda pareva più una ragazzina che una donna. Ho anche avuto un momento di dubbio. Poi, finalmente, ha aperto gli occhi, guardandomi dolcissima. Mi ha sussurrato, facendomi quasi male dalla gioia e dall’eccitazione: ‘ti voglio tutto dentro”.

Mi sono spogliato e l’ho guardata. Aveva ancora mutandine e reggiseno. Le gambe aperte, le braccia abbandonate sopra la testa. Mi guardava anche lei, come uno scoiattolino guarda il serpente. Le ho arrotolato con delicatezza le mutandine sulle cosce, baciandola teneramente dappertutto. Si &egrave sfilata il reggiseno. Con gli occhi spalancati, le labbra socchiuse, un sorriso timido e un po’ impaurito, era il ritratto della sensualità. Non potevo fare quello che ho sempre desiderato fare su una donna nuda, era troppo fragile e desiderabile. Mi sono sdraiato su di lei, baciandola, e l’ho penetrata, subito, tutto, con una forza, una tenerezza, una sensazione di pace quale non avevo mai conosciuto in vita mia. Lei si &egrave inarcata, inspirando come si fa prima di compiere un lungo balzo; era bagnata fradicia e non ha offerto la minima resistenza al turgore invadente del mio pene. Poi mi ha avvolto i fianchi tra le cosce, e ha iniziato una serie di spinte furibonde, come se spronasse un cavallo a correre.

Malgrado le dimensioni che avevo assunto, mi sentivo morbidamente avvolto come da un guanto di pelle elastica e calda; a ogni colpo sbattevo violentemente sulla superficie del suo utero, e forse sentivo più male io sulla punta del glande che non lei, che spingeva con sempre maggior forza. Poi inarcandosi ruotava il bacino in avanti, venendo a strusciare col clitoride contro il mio pube peloso. Per un po’ &egrave avvenuto tutto in un silenzio irreale: io non osavo dire nulla, affascinato dalla forza che aveva acquistato quel corpicino fragile e snello nel raptus orgasmico; poi ha cominciato lei a gemere: brevi grida, ritmiche come i miei colpi e come le sue risposte spasmodiche. Grida che in poco tempo sono diventate urla, che sembravano uscire dai primordi di una sessualità animale; urla modulate sulla forza dei miei colpi, più simili ad acuti lamenti di dolore che di piacere.

Ho spinto a lungo, senza venire, solo per il piacere di riempirmi le orecchie, la testa, l’anima di quel suono primordiale e però tanto femminile, l’urlo di un’anima totalmente piena di piacere, di inesprimibile godimento, di assoluto abbandono alla forza del sesso. Era come se godessi non solo attraverso la pelle del pene, o i sensori erogeni della mia mascolinità, ma anche attraverso l’udito; era come venire avvolto due volte: ai genitali dalle contrazioni muscolari di un orgasmo fisico, nella mente dalle contrazioni vocali di un godimento tutto psichico.

Sono venuto sul suo ventre, ancora teso e contratto dal piacere.

&egrave rimasta quasi mezz’ora come addormentata, tra le mie braccia, senza dire una parola. Le accarezzavo dolcemente il filo della schiena, le natiche morbide e tonde. Poi le ho preparato un caff&egrave. Era scarmigliata e rosea, come appena sveglia. Bevendo mi guardava l’uccello. Affamata. Me lo sono preso in mano, scappellandomi; ero di nuovo teso ed enorme. In ginocchio accanto a lei, mi sono masturbato a lungo, lentamente, per offrirle uno spettacolo che sentivo riempirle gli occhi. Si &egrave avvicinata. Mi ha preso tra le mani con reverenza, timore, una passione infinita. Mi guardava il pene posandoci sopra piccoli baci golosi, mormorando cose come: ‘ti voglio per sempre”, ‘sei il dio dell’amore”, ‘come sei buffo e maestoso”. Non sapevo cosa rispondere. Non voglio legarmi alle mie avventure, non voglio sedurre se non per lo spazio di una notte. Non voglio andare oltre la dimensione fisica. La mia voce deve servire solo a tendere la rete; poi deve sparire.

Metteva la faccia tra le mie cosce, beandosi del turgore dei testicoli e del pene. Le accarezzavo i capelli, ma tacevo. Poi mi ha sbattuto sul letto e si &egrave seduta su di me, prendendomi per la seconda volta. Ha fatto tutto lei. Mi diceva, con voce rotta, che non aveva mai neanche osato sognare un cazzo come il mio; che non era mai riuscita a godere in vita sua e che aveva subito sentito, dalla sera in cui l’avevo sfiorata, che ero diverso. Che quella era la sua vera prima volta. Che non avrebbe più potuto vivere senza me.

Ha voluto che le venissi dentro. Non mi lasciava più uscire, abbandonata su di me, con la faccia nella piega del mio collo, le gambe a morsa sui miei fianchi, le mani affondate tra i miei capelli. Ho chiuso il Microchip.

Si &egrave staccata a fatica, ma credo che percepisse come un mio venir meno, come una stanchezza inaspettata. ‘Non mi lasciare” ha mormorato, e ho avuto paura. L’ho coperta, cercando di rimanere dolce ma impassibile. Ho riflettuto a lungo, col suo corpo abbandonato tra le mie braccia. Sono stato un cretino a non mettere in conto questo genere di reazioni: ho pensato solo alle mie voglie, alla figa come a un concetto astratto, come a qualcosa di staccato dal resto del corpo. Ed ecco la realtà: la mia forza, per quanto artificiale, parte pur sempre da un corpo vero, da un essere umano ben definito, e soprattutto: &egrave un inganno, un trucco. Così come dall’altra parte non c’&egrave un organo meccanico adibito ai miei bisogni, ma il mistero di un Altro dietro cui può nascondersi il vuoto, o una pienezza ingestibile. Quello che riesco a dare può appagare molto, e creare molte illusioni; ma non corrisponde alla realtà. Quante delle donne che catturerò alla mia rete si comporteranno come Tiziana? Tutto ciò &egrave un grave rischio per me, come per loro.

Ho detto a Tiziana che può tornare, ma di non farsi strane idee. Io cerco solo il piacere, e su questo non pongo limiti. Ma non sono affatto sicuro che la cosa andrà liscia.

Fine secondo episodio.

‘Il fruscio’

Avevo ragione di temere’ ma di questo dirò poi.

Alcuni effetti collaterali delle prime ‘uscite’ mi hanno suggerito una nuova strategia: piazzare i colpi lontano da casa, in luoghi che non frequento, evitando le amicizie (con qualche eccezione da valutare). Sto procedendo alla cieca, e devo già mettere in conto qualche errore, qualche ‘rinculo’ doloroso. Ma sono rischi inevitabili, non esistono manuali di istruzione, non ho un ‘trainer’ a cui appoggiarmi. Devo raddoppiare la prudenza; fare tesoro di ogni osservazione, anche la più insignificante. E soprattutto non farmi guidare solo dal desiderio. Ormai so che posso ciò che voglio; occorrono solo furbizia e metodo.

Il secondo livello delle mie fantasie &egrave il feticismo. Non sono per la figa come organo ‘nudo e crudo’, formato ‘ginecologico’. Mi piace arrivarci per gradi, partendo dalla sottile seduzione del ‘vedo ‘ non vedo’, dal gioco provocatorio dei veli e dei tessuti da sfogliare, dal richiamo ammaliante dell’intimità femminile che si nasconde. Voglio arrivare al piacere partendo dall’inizio del gioco: dall’ammiccare di un vestito, dalla golosità di una calza appena intravista sotto la gonna, dalla scoperta progressiva di vari strati di eleganza sovrapposti prima della pelle e del calore animale del corpo. Per questo una delle mie fantasie &egrave sempre stata quella di spiare, in un negozio di biancheria intima, il dialogo muto ed erotico tra la donna e lo specchio.

In una delle vie eleganti della mia città tengo d’occhio da tempo un negozio di biancheria femminile dal nome intelligente e sottile: ‘Il fruscio’. Per ore e ore, da quando il mio progetto &egrave entrato nella fase di realizzazione, ho sostato nei suoi paraggi, allo scopo di studiare il passaggio della clientela e la qualità delle commesse. Vi entrano mammiferi sofisticati e vistosi: immagino che molti di essi appartengano alla categoria delle prostitute del demi-monde; molte casalinghe dall’aria inquieta: probabilmente mogli sulla via del tradimento o della trasgressione; coppie o gruppetti di ragazze ‘in fiore’: acquistano lingerie incredibile con aria provocatoria e divertita, per qualche festicciola dove finirà per non essere neppure notata. Una riserva davvero appetitosa: a scuola avremmo detto ‘un figaio’. Le commesse sono ragazzette fin troppo provocanti, truccate dalle unghie dei piedi alla punta dei capelli, con l’occhio annoiato ma i modi professionali; una delle due &egrave sempre in minigonna e collant chiari. La padrona, infine: un esemplare dell’alta borghesia a cui il marito donnaiolo ha regalato un’attività che non richieda intelligenza per tenerla fuori dai coglioni o zittirne l’infinito lamento; una nevrotica eternamente abbronzata, rifatta dalla testa ai piedi, bella di corpo e dal viso deturpato dalla nicotina e dal whiskj. Il piano &egrave stabilito, il luogo si presta, la carne &egrave tremula al punto giusto’

Resoconto.

Il gioco &egrave ancora in corso, e durerà parecchio’ sono quasi snervato dalla quantità di libido che libero ogni giorno nel retrobottega frusciante del ‘Fruscio’, frusciante di gonne che scendono, di mutandine che salgono, di calze che scivolano, di reggipetti che guizzano’ non esagero, caro diario, non esagero’ al punto che sto seriamente pensando di prendermi una vacanza da trascorrere nel silenzio di un eremo boscoso.

Tutto &egrave cominciato dieci giorni or sono, un tardo pomeriggio. Erano trascorse le 19, e, preso il coraggio a otto mani, sono entrato in quel regno di delizie. Microchip al massimo, faccia alla Bruce Willis, abito casual con patta strapiena. Il negozietto non &egrave grande, e appena entrato ho agitato l’aria risvegliando i sensi ormai assopiti delle tre donne ‘ padrona e commesse ‘ che stavano per chiudere. Le due ganze erano paralizzate dalla visione dei miei pantaloni, la vecchia faceva finta di non guardare. Con un sorriso a trentadue denti mi sono avvicinato al bancone e ho piantato una manfrina infinita: volevo un completino molto osé per una improbabile nuova fidanzata, e sono andato avanti per quasi mezzora a farmi mostrare ogni sorta di frivolezza femminile senza mai darmi per vinto. Alla fine erano cotte: dovevano chiudere ma non riuscivano a mandarmi via, e si era creata un’atmosfera ridanciana ed elettrica, dove ciascuna delle tre faceva a gara a farsi notare con ogni sorta di civetteria e ammiccamento. La vecchia era molto nervosa, e ogni tanto le cedevano le forze: allora maltrattava le dipendenti, senza decidersi a fare qualcosa di concreto. Le pulzelle, dal canto loro, erano molto sensibili al ronzio impercettibile del Microchip e, penso, arcistufe di vedere solo donne per tutto il giorno.

&egrave stata la padrona a dare il via alle danze, portandosi, non so quanto involontariamente, un paio di slip rosa fucsia alla vita dicendo: ‘questi sono così carini che vorrei metterli io”.

‘Perché non mi fai vedere come ti stanno, fata” le ho detto.

‘Ma si figuri” ha risposto ridendo sguaiata. Allora mi sono avvicinato, e prendendole le mani che ancora stringeva alla vita ho insistito, senza più ridere. Lei ha guardato la patta, e ha fatto una smorfia che assomigliava molto poco a una risata. E così, senza mollare la presa, con una mano ho accarezzato i capelli della commessa più vicina e le ho detto: ‘tu chiudi, che non ci disturbino mentre proviamo tutti questi divertenti giocattolini”. Quella &egrave schizzata sena farselo ripetere ad abbassare la serranda, e poi si &egrave voltata a guardare cosa succedeva.

Sono passato dietro al banco e ho abbracciato alle spalle la ‘matura’ ancora immobile con i suoi slip rosa in mano. Mentre le mie mani scendevano dai seni alla vita, ho premuto col cazzo sulle sue natiche, facendole percepire la grandiosità della mia offerta. Poi ho cominciato ad alzarle lentamente la gonna, un affare di renna rigido e scomodo. A quel punto ho fatto cenno con la testa a una delle ragazze che mi aiutasse: ‘ce n’&egrave per tutte, se fate le brave’. La stessa che aveva abbassato la serranda si &egrave avvicinata a noi, un po’ titubante ma evidentemente arrapata: inginocchiatasi, ha alzato la gonna della signora, mentre io continuavo a palparle le tette, strizzandole i capezzoli sotto il duplice velo di camicetta e reggiseno. Mentre la vecchia si teneva la gonna sollevata, la ragazza le toglieva i collant e le mutandine e le infilava gli slip nuovi.

Nel frattempo, la seconda commessa, stufa di star lì a far niente, si &egrave avvicinata a me e ha cominciato ad accarezzarmi le spalle: mal gliene incolse. Come fulminata, mi ha subito afferrato strusciandomi i seni contro la schiena, e con le mani &egrave corsa alla patta, per accertarsi della veridicità delle prime fuggevoli impressioni. A quel punto ho allontanato la megera, voltandola per osservare l’effetto della biancheria. Avrei voluto fotografare la scena: davanti a me, la donna se ne stava con la gonna sollevata e le gambe larghe, a mostrarmi con aria stupida ed eccitata quell’orribile capo d’abbigliamento; accanto a lei, la commessa in minigonna cominciava a stringere le gambe, evidentemente sopraffatta dai pruriti vaginali; dietro di me, l’altra ninfetta aveva cominciato ad abbassarmi la lampo, e siccome nelle mie spedizioni non porto mutande, l’uccello ha fatto cucù schizzando fuori come spinto da una molla. Ne &egrave seguito un sospiro collettivo denso e profumato di sensualità come una nuvola di mirra.

‘E tu, non mi fai vedere cosa porti sotto quella dolce gonnellina?’ ho chiesto alla bambolina in minigonna, mentre l’altra si era spinta nella sua esplorazione fino ad afferrarmi saldamente il membro. La minigonna &egrave salita rapidamente, rivelando un piccolo tanga nascosto dal velo provocante dei collant.

Le tre femmine erano in uno stato di euforica ubriachezza; avvicinandomi alle due esibizioniste, e accarezzandole nei modi appropriati, le ho convinte a spogliarsi completamente. La terza le ha subito imitate. Ridevano sguaiate, barcollando mentre mutandine e collant scendevano: ridevano una dell’altra, e ridevano guardando il mio cazzo anch’esso ormai libero da ogni impedimento. Eravamo tutti e quattro nudi come nel paradiso terrestre. Poi mi sono organizzato in modo ‘scientifico’: presa la vecchia, l’ho fatta chinare porgendomi il culo; lentamente, con gusto e soddisfazione, l’ho penetrata, godendo della sua scivolosa morbidezza. Era, naturalmente, fradicia di attesa e desiderio. Sistematomi comodamente dentro di lei, avvolto dalla sua cullante felicità, ho cominciato a ordinare alle fanciulle di provare questo e quello. Era la fine del mondo: col cazzo scopavo, piano piano, godendomi la inebriante sensazione della dolce e calda penetrazione; con le mani titillavo i capezzoli penduli, mentre i miei occhi seguivano lo spettacolo del duplice vestirello-spogliarello. Prima infatti le troiette indossavano i completini più provocanti del loro ricco campionario, fino al reggicalze e alle calze più sofisticate; poi si spogliavano a vicenda, baciandosi e leccandosi nei punti indicati da me. Non ho tardato a eiaculare copiosamente nella vagina della signora. Allora ho ordinato a una fanciulla di prenderne il posto, mentre la vecchia, datasi una ripulita, si &egrave prestata volentieri al teatrino.

Molto volentieri: appena ha potuto mettere le mani addosso alla sua lavorante, le &egrave scoppiata una libido saffica probabilmente repressa da anni. Toltele le mutandine, si &egrave fiondata con la faccia tra le cosce della fanciulla e si &egrave attaccata al suo clitoride con una fame da poppante. La ragazza &egrave sobbalzata come colpita da una scossa, e ha cominciò a barcollare sotto la violenza di quelle succhiate, che le svuotavano l’anima.

Ho penetrato con forza la seconda commessa, accarezzandole le cosce e la dolce levigatezza del nylon che le ricopriva, per poi passare con delicatezza a masturbarle il clitoride. E intanto continuavo a bearmi alla vista di quei corpi adorni di pizzi che si contorcevano tra le carezze più spudorate: avevano infilato l’una nella vagina dell’altra tre o quattro dita, e con furia animalesca spingevano e frugavano eccitandosi e provocandosi a vicenda, così che il godimento dell’una si rovesciava moltiplicato sul corpo dell’altra. La loro frenesia orgasmica si &egrave trasformata, ad un certo punto, in una specie di baccanale selvaggio: saltellavano per non cadere e aumentare la presa del loro contatto, e ancheggiavano stringendo e allargando le cosce per non perdere neanche una goccia del piacere che ricevevano dalla mano sapiente che le penetrava. Il negozio risuonava di mugolii e gridolini, di invocazioni oscene e scoppi di risa folli.

Poi &egrave squillato il telefono.

La vecchia signora &egrave riuscita a staccarsi dalla presa erotica, consapevole che era meglio non suscitare allarmi tra tutti quelli che le aspettavano a casa. &egrave riuscita, ritrovando la calma, a inventare una scusa. A quel punto ho spento il Microchip, per riportare la calma e cominciare a pensare al futuro.

La novità delle sensazioni provate, il totale abbandono con cui le hanno vissute, sono state per le tre donne un’esperienza sconvolgente. Prima di lasciarmi andare, sono state loro a supplicarmi di tornare. Ed ecco come abbiamo combinato le cose: fungo da ‘commesso’ in alcune ore del mattino, che sono le più consuete per un certo tipo di clientela, adatta alle mie esigenze. Loro non sanno da dove deriva il fascino erotico irresistibile che emano, ma hanno accettato la cosa senza farsi troppe domande, e assecondano i miei piani in cambio di generose dosi del mio cazzo. La mia collaborazione consiste in questo: quando entra un certo tipo di femmina (sufficientemente sexi, che loro sanno essere disponibile, o con un certo stile di vita), la padrona mi chiama. Servo la cliente personalmente e, appena &egrave possibile, la sfioro per stabilire il contatto. A quel punto, le suggerisco di provare il capo nello spogliatoio, e ve la accompagno. E lì, al riparo della tenda, entro in azione.

Ci vuole poco: già eccitata dalla mia strana presenza, la signora di turno non offre molta resistenza ai primi palpamenti; magari, come alcune, tenta una poco credibile protesta, e finge di rimanere stupita, ma appena il palmo della mia mano si posa sul filo della schiena, tutte barcollano sopraffatte dalla vertigine. E allora cominciano a cadere sul suolo moquettato i primi capi di abbigliamento: gonne, magliette, camicette’ presto la preda rimane in lingerie, e io passo all’azione diretta. Mi piace accarezzare lentamente, con la punta delle dita, la pelle serica delle cosce, magari resa più scabra dall’eccitazione che ne fa anche vibrare sottilmente i muscoli. Mi pace baciare quei triangolini di carne che spuntano tra le giarrettiere, o il morbido cuscinetto attorno all’ombelico, o le fossette tra i seni. Mi piace abbassare con studiata lentezza le mutandine, magari arrotolandole sulle cosce; o tirare fuori le tette dalle coppe del reggiseno; o sfilare una calza leccando con leggerezza tutta la gamba fino alla punta dei piedi. Mi piace svestire un corpo femminile e ammirarne la progressiva nudità come si spoglia un frutto succoso assaporando con felicità l’aroma che esso spande e il liquore zuccherino che ne gocciola tutt’attorno. E mi piace rivestirlo, ammirando la provocante bellezza delle forme più dolci ricoprirsi della sottile fantasia sartoriale: l’elastico che esalta le natiche e la nuvolosa trasparenza del tessuto che svela la peluria vaginale; il gioco di chiari-scuri degli elastici attorno alle cosce; la brillantezza scivolosa e carnale del nylon che fascia la gambe. Mi piace e lo faccio vedere. La mia gioia e il mio godimento estetico si manifestano non solo nella dimensione che assume il pene, bene in vista per mantenere acceso il fuoco nelle vene della donna; ma anche nella luce dei miei occhi, al cui scintillio le mie prede rispondono con un trasporto e una dedizione oserei dire incondizionata. Esse mi lasciano lavorare attorno al loro personale come farebbero col sarto di fiducia, ma in breve raggiungono un tale stato di eccitazione che non possono trattenersi dall’afferrare il mio coso e avvicinarlo golose al taglio tra le gambe (‘In the Cut’ ?).

Allo scopo la brava Virginia (la padrona) ha predisposto una liseuse su cui mi sdraio, accogliendo a cavallo del mio cazzo la cliente di turno. L’unico problema sono i rumori che facciamo, già considerevoli nella fase di spogliamento e toccamento, ma assolutamente invasivi nella scopata finale. Per quanto cerchi di trattenere la mia partner, l’agitazione dei corpi, il parossismo orgasmico delle membra nella scomoda posizione, il bisogno comunque incontrollabile di liberare il raptus psichico che avvolge i sensi ci porta spesso a scene tragicomiche e imbarazzanti. Tanto che qualche giorno fa, una cliente sconosciuta e ‘fuori del giro’, entrata per un paio di collant, &egrave uscita scandalizzata facendo intervenire una pattuglia di vigili urbani che passeggiava nei dintorni. Per fortuna che Virginia aveva intuito le intenzioni della tipa’

Non tutte vogliono tutto, naturalmente. Per alcune, feticiste del fallo, l’esaudimento di ogni desiderio si ‘riduce’ (si fa per dire) alla consumazione di un veloce pompino. In altre, irrimediabilmente bloccate nell’esercizio dei sensi, interviene un’agitazione nervosa che impedisce loro ogni forma di rapporto fisico, e la massima concessione che fanno &egrave la contemplazione ‘ pur sempre generosa e particolareggiata ‘ delle loro grazie. Altre ancora van fuori di testa, e non poche mi hanno costretto a chiedere l’intervento delle ragazze e di Virginia per convincerle a non suicidarsi per la vergogna, magari dopo essersi fatte pasturare ben bene ogni orifizio.

Ho passato in quel buchetto ore e ore incantevoli e indimenticabili: ho alzato gonne e abbassato pantaloni; ho baciato culi di ogni forma, accarezzato passere pelose come criceti o lisce come pelli di serpente; ho scopato femmine di grande bellezza o casalinghe un po’ sfatte ma assatanate come selvagge attorno al mio cazzo. Per non parlare del pedaggio dovuto alle ‘colleghe’ (come ormai le chiamo): l’intervallo del pranzo &egrave diventato ‘l’angolo della scopata’ per tutte e tre. A turno si divertono come vogliono col mio uccello: a volte lo mangiano, altre lo succhiano, altre volte esigono la tariffa completa; da notare che spesso sono reduce da almeno due o tre altre esplorazioni vaginali.

Virginia si lamenta un po’ dello stato in cui si riduce il suo campionario dopo i passaggi nello spogliatoio; ma due volte su tre la cliente, soddisfatta, acquista il capo (magari ancora bagnato di sperma).

Caro diario, cosa posso desiderare di più, in questo momento? Esco la mattina alle dieci, fresco e riposato; in breve sono ‘al lavoro’. Già nel semplice ritrovarmi con le amiche, le mie mani si sbizzarriscono sotto gonne e camicette, con grande divertimento di tutte e tre. E non parliamo dell’accoglienza veramente sontuosa riservata al mio più caro amico. Poi ci si ricompone ‘ con grande fatica, devo dire ‘ in attesa delle prede. Ogni mattina me passano circa una decina, e tra queste non meno di quattro o cinque sono davvero bocconcini degni di me. Fosse anche per provare un paio di calze, nessuna di loro si fa pregare per seguirmi nel retrobottega, e ogni volta il cuore mi scoppia per l’emozione. Non ci farò mai l’abitudine.

Molte sono tornate, ed era evidente nei loro occhi e nei lineamenti del viso l’angoscia dell’astinenza che le aveva divorate dopo la prima esperienza. Ma so qual &egrave la soluzione per un simile frangente: spegnere il Microchip. Appena ci ritiriamo nello sgabuzzino, la tensione nervosa non trova più nutrimento, il desiderio rimane sovrabbondante rispetto alla mia disponibilità. Devo dire che appena cessa l’effetto dell’oscillatore, il mio stato psicofisico fa presto a crollare a livelli vergognosi, dovuti anche al superlavoro precedente. E dunque non succede più niente, io fingo di esserne dispiaciuto, la sventurata ne esce ancora più sfatta, ma &egrave certo che non tornerà più.

Per il momento dunque sono più che appagato. &egrave il meno che possa dire. Nelle ore libere mi riposo e faccio altri piani, elaboro progetti audaci, e incontro alcuni personaggi di cui ora voglio parlarti.

Fine terzo episodio.

Chi leggerà questo documento si chiederà come vivevo, che lavoro facevo per avere tanto tempo da dedicare al mio piacere. Registro dunque questi dati per la futura memoria biografica di colui che cambiò la qualità della vita di ogni cazzo.

Insegno elettronica in un istituto tecnico. Non ho nessun amore per il mio lavoro, che mi serve solo per il sostentamento materiale. Tuttavia esso mi ha garantito due cose fondamentali: l’accesso ai macchinari per la produzione della mia invenzione, e il tempo libero sufficiente per goderne. Un terzo vantaggio si vedrà più avanti, in altre pagine di questo diario.

Per ogni necessità supplementare ‘ ad esempio: questa lunga vacanza che mi permette di frequentare Il fruscio e di sguazzare tra mutandine e reggiseni più o meno farciti di femmina ‘ esercito le mie facoltà supplementari sulla preside, un donnone orrendo ma non insensibile al potere del mio cazzo.

Tutto avvenne quando diedi il via all’operazione ‘Lingerie’. Quella mattina entrai in presidenza col Microchip al massimo e chiesi un colloquio alla capa. La poveretta mi guardò un po’ inebetita, e ascoltò molto distrattamente la mia richiesta di un lungo periodo di licenza per malattia. Era come avvolta in una nuvola di pensieri che salivano da un lontano passato, da una giovinezza spentasi nel rapido disfacimento fisico e psicologico di un’esistenza inutile. Le presi la mano, chiedendole se si sentiva male; mi guardò con sguardo languido, scuotendo la testa. Allora mi alzai, e avvicinatomi le domandai se potevo ricambiare in qualche modo il favore che stava per farmi. Sbatté le palpebre senza capire, sempre sopraffatta da dimenticate sensazioni. Mi abbassai la lampo, facendo uscire lentamente il pene turgido. Lo guardò come ipnotizzata. Mi premurai di schiacciare il pulsante che avvertiva di non entrare, e le accompagnai le mani attorno all’uccello.

Uscii dall’ufficio dopo più di mezz’ora, durante la quale la povera donna aveva rivissute tra lacrime e sospiri sensazioni dimenticate o emozioni sempre solo immaginate: mi baciava il lungo membro accarezzandolo con le guance bagnate, lo leccava come forse non aveva mai potuto fare in vita sua, e ne trasse litri di sperma per la gioia di sentirlo fremere tra le dita. Si stupiva che non venissi mai meno e ad ogni colpo ne usciva più eccitata e febbrile. Dovetti penetrarla chiudendole la bocca, alla pecorina, tra gli odori sgradevoli di una sessualità ormai dimenticata e offesa.

Ogni tanto torno a trovarla, per regalarle un attimo di felicità e ottenere una proroga alla mia assenza, regolarmente retribuita.

Ma altri eventi si sono verificati in questo periodo, di cui &egrave giusto rendere conto.

Silvana &egrave tornata. Naturalmente. Non potevo pretendere che dimenticasse la nostra folle serata, che quell’esperienza non lasciasse un segno nel suo fragile sistema nervoso. Me la sono vista arrivare un pomeriggio, prima di conoscere Tiziana. Era nervosa e agitata, e appena aprii la porta mi guardò con aria di sfida, dicendo: ‘non immaginavi che sarei ritornata?’. In quei giorni ero in uno stato d’attesa spasmodica, e pur avendo il Microchip spento, fui sopraffatto da una vampata di desiderio. La feci entrare e mi appiccicai al suo corpo baciandola con furore. Intanto, azionai il dispositivo. Strusciandoci e baciandoci, avvinti come serpenti, ci dirigemmo in camera da letto; lì, Silvana mi allontanò con una risata e cominciò a spogliarsi.

La porcona era in tenuta da combattimento: reggicalze e mutandine con spaccatura inguinale, e reggiseno senza coppe. ‘So che mi guardi sempre sotto la gonna ‘ disse ‘ con quegli occhi che mi fanno bagnare la fica’ togliti la voglia, maiale”.

‘Mi scoppia il cazzo” risposi, abbassandomi violentemente i calzoni.

Ma mi fermò, sempre stravolta in viso e con gli occhi fiammeggianti. Mi spinse rudemente sul letto e mi tolse le calze. Poi con una di queste mi legò le mani dietro le schiena. Ero immobilizzato sul letto, nudo dalla cintola in giù col pene enorme puntato verso l’alto. Lei mi scavalcò, mettendosi a gambe larghe all’altezza della mia faccia. ‘Voglio vederti sborrare solo a furia di guardarmi, mio cazzone” mormorò come ubriaca. E cominciò a manipolarsi la vagina ancheggiando le magnifiche gambe. Si allargava i bordi ricamati delle mutandine, da cui passava provocante il suo pelo rosso scuro e la punta crestata del clitoride bagnato. Vista dal basso, la curva del suo sedere era magnificente e carnosa; le cosce erano rigate da qualche goccia di liquido; le calze grigie rilucevano dando più risalto alla perfezione delle sue forme. Poi si inginocchiò, portando il suo spaccato grondante a pochi centimetri dalla mia faccia, e si infilò nella voragine rossa due e poi tre dita che si impregnarono immediatamente di sborra.

Io cercavo di sollevarmi per raggiungere quel ben di dio con la bocca, ma lei mi sfuggiva ridendo satanica e ansimante, fino a quando scoppiò in un orgasmo spasmodico. Le baciavo le cosce leccandole la calze, e davvero avevo la sensazione che prima o poi la mia cappella avrebbe eruttato un fiume di sperma, spinto solo dalla violenza del desiderio. Ma appena ripresasi dalla scossa iniziale, la donna si avvicinò al vulcano ancora spento e lo inghiottì con la velocità scivolosa di una piovra.

Mi tenne dentro, assaporando gli spasmi ritmici del suo orgasmo ripetuto, per un tempo infinito, portando le tette alle mie labbra e pretendendo che gliele succhiassi. Non faceva nulla per farmi venire, ma godeva in solitario rapimento della mia forza e del mio desiderio. Sentivo le pareti della vulva pulsare come una mano golosa di piacere, e dalla gola le uscivano gli echi viscerali di un piacere teso come una corda di contrabbasso attraverso tutto il suo corpo. Quando si adagiò esausta e tremante vicino a me, non ero ancora venuto.

Glielo feci notare con delicatezza, temendo quasi un nuovo assalto, e non mi deluse. Invece della figa, mi catturò con la bocca. Vidi le stelle, perché non mancò di mordere la cappella ipertesa come se addentasse una prugna succosa. Ma poi fu il paradiso: mani e bocca mi lavorarono con una passione erotica quasi demente, fino a far schizzare un getto bianco di schiuma tra i suoi capelli sconvolti.

In quella posizione non potevo più spegnere il mio congegno, e cominciai a temere che ci avrebbe cotti entrambi di consunzione erotica. Ma Silvana era appagata. Non smetteva di guardarmi affascinata e sardonica. Si domandava come avevo potuto nascondere per anni il mio fluido erotico, apparendo a tutti un uomo normale e quasi dimesso, privo di particolare attrazione. Appoggiai la faccia nella curva delle sue cosce, aspirando voluttuosamente l’odore pungente della sua femminilità ancora calda. Mi accarezzò la testa, incredula e felice.

Quando mi liberò le braccia capovolsi i ruoli: le tolsi una calza, le legai le braccia e la tenni in piedi sul letto di fronte a me. Dovevo prendere il controllo della situazione, volevo inaugurare quella ‘dittatura sulla figa’ che sognavo da tanti anni. La penetrazione, l’eiaculazione, sono per me solo il culmine estatico di un rito bizantino e iconolatrico; il piacere dev’essere un cammino tortuoso e senza fine che si svolge tra multiformi panorami erotici e sentieri di pelle profumata. Più o meno fu questo il discorso che feci a Silvana: ‘quello che voglio, e mi obbedirai perché tornando ti sei ridotta in mia schiavitù, &egrave la tua anima. Prima e molto più della tua carne. Tu entrerai in casa mia e ti mostrerai a me nella tua femminilità più estrema e provocante, senza chiedere e sperare nulla da me. Tu devi venire e provocarmi, invocarmi verso l’abisso della tua intimità. Tu sarai la porta verso il piacere, non il piacere”. E la spinsi davanti a me, con rudezza: volevo che camminasse tra le mie cose, con una calza sì e una no, senza mutande, col reggiseno scomposto, con la leggerezza animale di una pantera, per impregnare di femmina tutta la mia vita quotidiana. E mentre camminava, guardandomi un po’ spaventata e un po’ disperata, mi masturbavo violentemente, offrendole e negandole insieme l’oggetto della sua ormai non più saziabile ossessione. Mi preparò un caff&egrave toccandosi il clitoride; mi lavò i piatti mentre le leccavo il culo giocando col nylon della sua calza. Poi volli che si rivestisse completamente e, sdraiatomi per terra, la feci camminare sulla mia faccia, per il piacere di spiare, di rubarle il corpo con la sua complicità. Era totalmente in mio potere. Tanto che un’ora dopo, sfinita, senza una parola mi mise una mano sul cazzo duro e tirando fuori la lingua mimò una leccata. Voleva essere un animale al mio servizio.

Ma io non sono così. Un uomo sogna, magari riesce a giocare una volta il ruolo escogitato dal suo abisso animale, ma c’&egrave sempre un risveglio. Di fronte a quel viso deturpato dalla droga del desiderio mi sentii male. Glielo presi tra le mani e lo baciai, liberandola dalla maledizione.

Ogni tanto ritorna. Non conosce il mio segreto, si crede innamorata di un uomo irresistibile, e insieme mimiamo le nostre fantasie più spinte. Si siede di fronte a me, si alza la gonna e si masturba mentre anch’io mi masturbo. Poi ci avviciniamo e diamo spazio al tatto e all’odorato. Ma &egrave tornata ad essere Silvana, la mia amica nevrotica. Quando mi stancherò non dovrò far altro che spegnere il Microchip e deluderla un paio di volte. Tra noi non rimarrà niente, perché non c’&egrave niente che valga più un’ora di piacere.

Fine interludio.

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