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Racconti sull'Autoerotismo

Cul de sac

By 20 Luglio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Sarà quest’inverno che mi piace e mi sfiora, che s’inoltra gelato nelle tette di sera, tra i vicoli stretti d’una Roma che amo, tra le maglie più larghe della mia camicia di seta.

Saranno i miei seni che colmano il vuoto, d’una notte che luna non riesce a riempire, tra il rumore dei tacchi che fanno la scia e mi fanno più preda come femmina calda.

Offro tette a chi passa come se fossero frutta, al vento che soffia e mi secca le mani, mentre cammino sui bordi, d’una Roma disfatta, dove neanche una cagna si inoltrerebbe da sola. Perché dietro ogni muro c’è un uomo che guarda, una cicatrice alla luce che fa più paura, di un delinquente comune che ride che piscia, e mi lancia parole d’amore e di cesso.

Ho paura che qualcuno m’aggredisca di colpo, ma cammino e mi turo la bocca, sapendo che quello che sento mi basta ed appaga, quest’anima informe che tace acconsente, con le membra scrostate dai muri che struscio, dagli angoli oscuri che sanno di muffa.

Saranno gli anni che passano, e passano in fretta, perché nel mio letto non è mai passato nessuno e l’amore che conosco lo trovo ogni notte, dentro bassifondi che sanno di sporco, in fondo a questa strada che ripida scende, dentro un culo di sacco dove mi ingozzo d’amore.

Mi sono vestita di foglie e di fiori, perché un minimo soffio mi scopra e mi spogli, dei timori, dei dubbi che non è solo piacere, e l’amore che sento non è altro che vuoto, che buco, che fica da riempire di carne. Cammino senza sapere cosa c’è oltre, se in questa infinita ricerca c’è davvero il bisogno, di conoscere il fondo, di dimenticare chi sono, infangando il cognome che porto, come macchie indelebili bianche sul mio twin-set nero di Fendi.

Mi inginocchio ed allargo le gambe, sopra questo tombino che rigurgita fango, alzo la gonna e scopro il tesoro, ed aspetto paziente un rivolo d’acqua, che mi sfiori leggero e bagni il mio sesso. Che direbbe se mi vedesse qualcuno, con un cappello da sera ed i guanti di rete, che aspetto e raccolgo solo acqua piovana, avanzi di mondo come bestemmie, come seme infecondo lasciato scolare. Che direbbe se mi vedesse strusciare, contro l’asfalto per sentire il bisogno, d’essere l’ultimo anello del mondo, prima del quale c’è una donna borghese, che si lava le mani dieci volte ogni giorno. Che direbbe se mi vedesse strusciare, accovacciata come cagna che femmina piscia, a carponi che pendo i miei seni abbondanti, come vacca in attesa d’essere munta.

Questo rivolo d’acqua diventa uragano, m’inumidisce le pieghe che apro e spalanco, perché nemmeno una goccia vada poi persa, e l’amore che sfamo non rimanga deluso. Con una mano m’alzo la gonna, perché sia mai che s’insozzi di fango, con l’altra accompagno la voglia, dove l’acqua non potrebbe arrivare. Sono baci e carezze, sono leggere spremute di seno, mentre un fiotto improvviso mi esce da dentro, mentre l’acqua s’insinua e sto per godere.

Sono delta di fiume e foce di mare, tombino che succhia e raccoglie nel ventre, la parte del mondo dove non esiste l’inferno, perché in questo culo di sacco non esistono scale, per andare più in basso, per sentirmi migliore. Sono vicolo cieco di un viottolo d’erba, canale di melma ai bordi del cuore, dove la sera sento rane gracchiare, uccelli che dritti m’additano bella. Oddio che darei per entrarmi di dentro, scoprire l’intarsio dove depongo le uova, di questa brama ossessiva che la sera mi prende, e mi lascia pensare che se fossi puttana, sarei una regina che mi guarda dall’alto.

Eccomi ci sono! Mi struscio e m’imbratto, mi bagno e m’infango, e rimango nel dubbio se il mondo mi sporca, o è la mia voglia a fiotti che cola, che inquina quest’acqua immonda e piovana.

Sarà che ora mi riaggiusto il cappello e mi riassetto la gonna, cammino orgogliosa come se nulla è successo, signora per bene che ha sbagliato la strada, e si ritrova per caso in questo culo di mondo, tra un uomo che fischia e l’altro che piscia, in una nausea intensa che mi tura la gola, che mi fa schifo soltanto a sentirne l’odore, di questa miseria volgare e violenta, mentre a casa m’aspetta un letto di seta, che candido avvolge le mie notti pulite, i miei sogni leggeri che non partoriscono fogne, che non finiscono all’alba dentro un culo di sacco

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