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Racconti Erotici Etero

Di dietro e nell’anima

By 10 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

La solitudine non si sente quando si è soli! Ma non ti lascia respiro e ti devasta l’anima quando qualcuno ti ha lasciato e ti saccheggia il cuore quando qualcun’altra ha preso il tuo posto. E non fai altro che distruggerti la ragione e massacrarti le unghie da ciò che avresti potuto fare e da tutte le volte che non hai dato abbastanza, compresa quella volta, che non lo sei stata a sentire, perché avevi un nonnulla da fare. E lui diventa evanescente come l’acqua del mare che resta nella mano chiusa a pugno, distante come un treno che si è appena perso. Di notte ti viene vicino, s’infila incorporeo dentro le lenzuola malinconiche emanando un forte calore che ti avvolge leggero come la tela di un paracadute. Insolente, come gli capitava di rado, scivola nelle pareti del mio corpo come un aliante tra i versanti rocciosi, come un gabbiano attraverso la nebbia. La lancetta delle ore dell’orologio in ingresso s’allunga fino a confondersi con i minuti, i centimetri di piacere diventano chilometri di autostrade che s’infilavano nel buio tunnel della passione. Bruciante e distruttivo come la pipì sulla neve si lascia dietro una voragine da riempire, un vuoto d’aria al decollo, e poi salite a pendio e discese a dirupo elastiche come molla, appiccicose come la gomma che non riesci a disfartene o come il tappo dello sciroppo per la tosse sul comodino. Intenso e sfibrato come avviene nei sogni, altero e spaurito come una mamma che ha salvato i suoi cuccioli. Il tempo s’allunga come il miele che cola dal cucchiaio, come lo sputo quando sei raffreddata. E lui diventa un adagio che per tutta la giornata ti gira intorno, ti gonfia il cuore e ti accompagna col tuo cervello scollegato da quelle giornate che ti soffocano e da quelle umide notti di sudore che non riesci a sopravvivere. E ti sorprendi a pregare un Dio femmina che senti vicino e capisce, senza spiegare, sensazioni di donna e voglie sconvenienti che colano senza ragione proprio nei momenti che più ti senti sola. Come una turista rivisiti i luoghi comuni alla ricerca di un fragile indizio o di un raccordo ai tuoi pensieri slegati e come una vigliacca scappi non appena ti sembra di averlo intravisto. Lo vedi dentro la schiuma del cappuccino alla mattina, dentro il sacchetto delle immondizie che non avevi mai portato prima, come negli occhi neri di quella zingara che ti offre una rosa, e confusa, incredula e in balia compri la rosa, ti fai leggere la mano e prendi come oro colato le sue istruzioni per leggere i fondi del caffè. Le giornate si dilatano dentro notti che iniziano sempre più tardi e fai fatica a riempirle con la sola preoccupazione di non poterle riempire. E ti tieni il da fare e t’impegni cervello e serate che in altre occasioni non avresti voluto per niente riempire. Ma vai avanti rifiutando proprio

quella libertà che ora è a portata di mano, ma che ti fa sentire più sconnessa che libera finché in un mercoledì banale, mai considerato prima, incontri quel pozzo senza fondo pronto a raccogliere i tuoi fallimenti, le tue delusioni, le tue amarezze, le tue voglie liquide che ingialliscono mutande e pigiami. E come se niente fosse, come non avresti mai fatto prima, ti sorprendi ad uscire, ballare, cadere nelle braccia anonime di qualcuno che non ha lo stesso identico odore, che non ha un nome facile da intercalare, ma che ti ci stringi attorno sentendoti più piccola del metro e sessantacinque (con i tacchi). Non sarà neanche bello, porterà i capelli troppo corti che non ti sono mai piaciuti prima, non avrà le stesse tue battute per ridere, ma riderai, sicura che riderai ad ogni occasione che ti scopri con meno pretese. E ci vai a letto, quasi subito, tentando di accorciare distanze e colmare quei vuoti che non ti è dato riempire altrimenti. Sopra al disagio del nuovo diventi più intraprendente affinché l’imbarazzo non appaia troppo evidente sui tuoi seni molli, sul tuo sesso arido da tanta ragione, sulle tue labbra screpolate da tanta astenia. Ma sicura che ce la metterai tutta, per piacere e dare piacere al punto da non pensare di ricevere perché sarai solo distratta nel pensare a quello che l’altro può pensare. Subito e tardi si rincorreranno nella tua mente, rimandando o anticipando, ma reprimendo le cadenze del tuo corpo che solo in quel momento esatto avrebbe dato il meglio di se stesso. E il suo sesso di maschio sarà molle, un fallimento di uomo che, come te, per la maledetta paura di essere giudicato, ha sbagliato completamente momento e fantasie. Ma tu gli dirai che va tutto bene, fingendo, e come fingendo!, ripetuti orgasmi che esploderanno solo nella tua premura di non deludere. Così andrà perché non siamo mai sicuri di niente, perché la nostra unica sicurezza è l’abitudine, dove solo lì troviamo le risposte giuste alle domande. Più delle volte farai finta di non capire, perché nella tua risposta ci potrebbe essere in agguato la sua delusione e fingendo cercherai di mostrare il tuo profilo migliore. Ma ti sentirai brutta, non perché tu lo sia veramente, ma solo perché ti guardi con gli occhi di chi ti sta guardando per la prima volta più intensamente. E ti sentirai bambina con le tue mutandine infantili, cambiate prima di uscire, per non dare troppo all’occhio; e ti sentirai troppo provocante con quei tacchi che l’impaccio ti ha tenuto ai piedi; e ti sentirai tutto e niente perché in quel momento vorresti essere il contrario. Ma poi, testarda, lo accontenterai come mai ti è successo prima, accogliendo la sua lingua nelle voglie spalancate, aperte all’evento e obbedienti ad ogni peccato di maschio che t’infila dove mai la prima volta hai consentito. Magari tra il rossetto che la notte ha già portato via avvertendo sul palato un sapore di pelle e sudore di un corpo estraneo che preme, oltre i denti del giudizio, sulla tua indecenza che mista a saliva cola sul mento, sul collo, sui pensieri sorpresi da tanta ingordigia. E ti senti protetta e riempita di carne e di sesso, battuta nei punti del corpo dove è illecito e immorale, dove il sesso duro maschio fa male, e provoca dolore davvero, più della ragione che sopita dorme accanto. E respiri, sudi e respiri per accoglierlo come un ospite di riguardo, che irrompe e devasta la tua parte che vergine si ribella all’attrito, finché t’arriva dove nessun cazzo aveva mai osato, dove nessuna saggezza avrebbe permesso. E ti senti cagna nell’intimo e nel culo, prona e ricettiva ad ogni fantasia che secerne sogni impossibili e sesso vero che ora non vorresti che rallentasse, che non ti bagnasse prima dell’ultimo istinto animale ancora vivo e per niente sopraffatto. Lo senti come un corpo estraneo, come un forte fastidio, come un supplizio dovuto, che accetti perché frenetico e veloce ti devasta da dietro le membra dell’anima. Unica essenza dentro di te che ancora si ribella e ribolle, che ancora ha contegno e decenza se di decenza si può parlare quando si prende nel culo in quel modo. E lo stringi dentro di te per sentirlo più duro, più grande di quello che a memoria ricordi, simile a quello che in spiaggia, una sera d’estate, ti prese a carponi, mentre in faccia alla luna gridavi piacere e dolore. Non ricordi il viso perché magari non l’hai visto davvero, o perché era troppo il desiderio che ha coperto l’amore. Finché griderai, finché griderà di un anonimo urlo che ti sembra ridicolo, e allora sì! che ti sentirai riempita, colma di liquido sterile viscoso che rimane piacere perché non altro il quel posto può fare. E sonnecchierai stretta nelle braccia, magari pelose, che mai nei sogni avresti voluto che fosse, ma così sia per qualche ora minuto che il sonno ti lascia al riposo. E ancora ti concederai di nuovo alle sette del mattino, precisamente a quell’ora, al risveglio dove mai e poi mai hai accolto un uomo e dove sempre hai stretto le gambe perché l’alba, finora, non aveva mai fatto poesia. E ti volterai delusa schiacciando faccia e trucco sul cuscino, convinta che il giorno non sarà mai più come prima, perché l’amore, quello vero, è rimasto chissà dove, fuori dalla finestra, sospeso sulla luce che filtra dalle righe. E il tuo Dio femmina capirà, perché a lui non devi spiegare, che solo quando è sola, una femmina può darsi nel culo e nell’anima senza amore.

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