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Il gioco della coperta

By 24 Settembre 2019Dicembre 16th, 2019No Comments

La stanza è satura di fumo azzurrino, il tavolo è ingombro dei carri armati di Risiko, ormai inutili dopo la vittoria – l’ennesima – di Marco.

Franco, il mio amico di sempre, stappa una birra, mentre Roberta accende una sigaretta.

“Che facciamo ora?”, chiede lei.

Guardo l’ora: è mezzanotte e mezza, uscire è improponibile, e poi siamo tutti molto giù di giri.

“Facciamo un’altra partita?”, propone Marco.

“Non giocherò mai più a Risiko con te – dichiara Franco incrociando le braccia – Non so come, ma sono sicuro che bari!”.

“Giocate senza strategia, ovvio che perdete”, si difende Marco.

Rimaniamo in silenzio.

“Possiamo fare il gioco della coperta”, propone Michele. Lo dice guardando Roberta ed è chiaro che vorrebbe fosse lei a giocare.

“Lo conosco, non provarci neppure”, lo gela lei.

Michele alza le mani. “Proponevo solo, non ti incazzare”, si difende.

“Io non lo conosco. Che gioco è?”, chiede Cristina.

Cristina è la mia ragazza da circa sei mesi, anche se ho qualche dubbio sul fatto che questo rapporto possa durare.

Quando l’avevo conosciuta mi ero fatto affascinare dalla sua dolcezza e dal fisico molto prorompente, una Kim Kardashan toscana, senza accorgermi che della Kardashan aveva anche il cervello, purtroppo senza possederne il patrimonio.

In pratica sto mantenendo una deficiente, e forse lo sanno anche i miei amici, perchè capiscono subito dalla sua domanda che forse la serata potrebbe diventare interessante.

“E’ molto semplice: noi scegliamo un indumento tra quelli che tu indossi, lo scriviamo su un bigliettino e lo teniamo da parte. Tu ti metti sotto ad una coperta e provi ad indovinare quale è. Se indovini hai vinto e il gioco si interrompe, ma se sbagli devi toglierti l’indumento che hai menzionato”.

“Non sono sicura di avere capito. Mi fai un esempio?”, chiede. 

Una deficiente, appunto.

“Tu nomini la camicetta, ad esempio. Se noi abbiamo scelto quella hai vinto, ma se così non fosse te la devi togliere”.

La vedo riflettere.

Io il gioco lo conosco e so che non può finire bene; mi chiedo a cosa stia pensando lei.

“Dai, è divertente! – la incalza Roberta – Accetta che ci divertiamo!”.

Roberta e Cristina non sono amiche, tutt’altro.

Non è questione di rivalità femminile – anche perchè se Roberta fosse mai stata interessata al sottoscritto me la sarei fatta senza problemi – piuttosto semplicemente non si sono mai prese, e questa frase ne è dimostrazione.

Roberta sta vedendo  l’occasione per mettere Cristina in una situazione imbarazzante e non si sta tirando indietro.

“Tu che ne dici?”, mi chiede.

Io dovrei dirle di rifiutarsi, ma non lo faccio.

Abbiamo litigato questo pomeriggio, è stato l’ennesimo litigio per il mio lavoro.

Vuole che lo abbandoni per trovare qualcosa che mi lasci più tempo da dedicare a lei, come se fosse questo il momento giusto per cambiare lavoro.

E poi che cazzo vuole, sei mesi fa neppure mi conosceva e stava con un altro!

Se non ci arriva a capire che un gioco del genere è solo a perdere sono cazzi suoi.

“Gioca, magari vinci”, le dico.

Franco la guarda come un coccodrillo guarderebbe un coniglietto.

Ricordo una telefonata che mi aveva fatto dopo un aperitivo organizzato apposta per farli conoscere: “E’ un po’ scema, è vero, però ha due tette!”.

Sono certo che anche in quel momento sta pensando alle sue tette e alla inaspettata possibilità di poterle vedere da vicino. 

“Dai, va bene!”, dice infine lei.

Vedo sorrisi di soddisfazione dipingersi sui volti di tutti, Roberta compresa.

La invitano a sedersi sul divano, mentre io vado in camera da letto a prendere una coperta.

Mi sto comportando da stronzo?

Direi di no, anzi: forse è proprio lei che si sta comportando da mignotta visto che – scema o non scema – non può non aver capito che qualche vestito dovrà toglierselo.

E’ più giovane di noi – ha ventuno anni mentre noi siamo tutti sui ventinove, tranne Roberta che ne ha già compiuti trenta – ma non è una bambina. 

E dopo quindi faremo i conti, e magari sarà la volta che litighiamo per l’ultima volta.

Anche perché nel frattempo ho messo gli occhi su una mia nuova collega che non mi dispiace per nulla.

Torno in salotto, dove lei ha già preso posto sul divano; Marco e Franco si sono posti ai suoi lati, Michele e Roberta sono sulle poltrone.

Cristina non vive con me ma lì è di casa, quindi ha indosso giusto un paio di jeans e una camicetta, oltre all’intimo che però di oggi non ho ancora visionato.

Ride nervosa, Roberta la guarda con sufficienza.

La copro con la coperta in modo che sporga solo la testa, mentre Marco scribacchia qualcosa su un foglietto.

“Ho scritto qui cosa abbiamo scelto”, dice passandomelo.

Gli dedico solo un’occhiata veloce, tanto so già cosa aspettarmi, e passo il biglietto agli altri.

“Cominciamo?”, dice allora Marco rivolto a Cristina.

Lei annuisce.

“A te la scelta, allora”.

Lei sembra riflettere per qualche istante (a cosa starà pensando?), poi sentenzia: “Calzini”.

Marco la guarda con espressione grave, poi scuote la testa.

Cristina fa una smorfia come a dire “lo sapevo”, poi traffica sotto alla coperta e dopo qualche istanti due calzini bianchi cadono a terra.

“Altro giro”, dice Franco.

La mia ragazza sorride e spara: “Pantaloni!”.

Franco la lascia nel dubbio per qualche secondo, poi: “No, mi spiace”

Non so che ragionamento abbia seguito Cristina per arrivare a quella scelta, sta di fatto che ora si è messa nelle condizioni di mostrare le chiappe a tutti, visto che porta sempre e solo perizoma.

Stupida.

La vedo armeggiare sotto alla coperta, e dopo poco i jeans si depositano sul pavimento accanto ai calzini.

“Camicetta!”.

“No cara…mi spiace”, risponde Michele con la erre moscia.

Dall’espressione si vede come invece non gli dispiaccia affatto.

Questa volta è più difficile per Cristina spogliarsi rimanendo coperta, così durante il traffico una spalla nuda emerge dalla coperta. Pur con qualche divincolamento si libera anche di quell’indumento e lo passa a Marco.

Non le è rimasto molto addosso.

“Canottiera?”, chiede con quella C aspirata che tanto mi aveva affascinato all’inizio.

Forse mi sbaglio, ma ora mi sembra un po’ preoccupata.

Ora Cristina è molto seria.

“No, mi spiace”, le dico. Evito di aggiungere “amore mio”, che in quel momento mi parrebbe sconveniente.

Si immerge sotto alla coperta e vi estrae una canottiera bianca, che consegna a Franco.

Ora è rimasta in biancheria intima, e già questo sarebbe un punto critico.

Stiamo assieme da troppo poco e non abbiamo mai fatto una vacanza, i miei amici non l’hanno mai vista neppure in bikini, e ora la scelta è tra il reggiseno e il perizoma.

Deve essere come quando un calciatore sta per battere un rigore e si chiede se sia opportuno tirarlo dove li tira di solito, con il rischio che il portiere ne sia a conoscenza, o se cambiare lato, con il rischio di sbagliarlo.

Reggiseno o perizoma?

Gli amici attorno a lei avranno puntato a vederle le tette o la figa?

“Reggiseno”, dice dopo una lunga meditazione.

Nessuno parla per qualche secondo.

“No, amica mia. Mi spiace”, le dice Roberta con una abbondante dose di ipocrisia.

Cristina sbuffa, ma porta le mani dietro alla schiena e sbottona il gancetto.

Nel fare questo immerge la testa sotto alla coperta, come una tartaruga che voglia proteggersi.

Sporge una mano con cui stringe il reggiseno rosa, Franco è rapido ad afferrarlo.

“Bene, sono stata sciocca – diece – Avrei dovuto prevedere la vostra scelta”.

“Cosa intendi?”, domanda Marco.

“Era evidente che avreste scelto il perizoma”.

“Mica è finita la partita”, obietta Marco.

Lei guarda verso di me, quasi a cercare conforto, poi di nuovo verso di lui.

“Marco, non vorrei vi foste sbagliati. Io ho solo il perizoma addosso”.

“Quindi ci stai chiedendo se su quel foglietto c’è scritto perizoma?”.

“No. Non ci può essere nulla di diverso, se no significa che vi siete sbagliati”.

“Hai solo un modo di verificare. Chiedicelo”.

Marco sorride sornione, lei guarda verso Franco.

“Io non vi capisco, ma facciamo come volete. Avete forse scelto il perizoma?”.

 Sospira con sufficienza, ma la sua espressione muta in incredulità quando Marco fa cenno di no.

“Ma come è possibile? Ho solo questo!”.

“Toglilo e ti spieghiamo il mistero”, ribatte Marco.

Non credevo l’avrebbe fatto, ma dopo un attimo vedo le sue braccia muoversi sotto alla coperta e dopo  qualche secondo consegna a Marco l’ultimo indumento intimo appallottolato.

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