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Racconti Erotici Etero

IL MANIACO

By 8 Febbraio 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Passo molto tempo seduta sulla mia sedia a dondolo. Aspetto una telefonata, che a volte si fa attendere. E’ una telefonata di fuoco, lo so, che da tanto tempo ormai eccita i miei desideri proibiti.

Oh, sì, sto sulla mia cara vecchia seggiola, che scricchiola un po’ sotto il peso del mio flessuoso corpo. Ho i tacchi a spillo, le calze a rete, la gonna stretch, il corpetto scollato che mette in mostra il mio davanzale.

Tutto come chiede quella voce, che ascolto da anni, ormai, attraverso la cornetta.

Ma non sto sempre sulla sedia a dondolo, non sono vecchia e mi sembra che si addica più a una persona di mezza età che a una signorina.

Per questo talvolta ricevo la mia telefonata in piedi, altre, seduta sulla mia bella poltrona all’inglese, con le gambe accavallate, mordendomi le labbra, a volte fino al sangue, socchiudo gli occhi, mi passo un dito sulla bocca, ah, le mie belle dita affusolate, dalle unghie dipinte!

Mentre ricevo QUELLA telefonata, alla solita ora, tutte le sere o quasi, faccio di tutto.

Capita che mi tocchi, che mi metta a sospirare di piacere, o a dire parolacce, capita che confidi sogni e desideri impossibili al mio maniaco, che gli dica di che colore &egrave la biancheria che porto addosso, il mio numero di scarpe e di reggiseno, se mi piace fare sesso con la frusta.

A volte tengo in mano una carota e uso quella.

Altri giorni mi limito semplicemente ad ascoltare. E quelle che sento sono parole di sincero affetto, mescolate alle solite espressioni un po’ ingiuriose, che però a me piacciono tanto, e non sto qui a ripetere: TR’, PUTTA’, MI DEVI PRENDERE IN C’, MAIAL’, perdonate la mia volgarità.

A volte gli dico che porto le scarpette rosse e che vorrei usare il loro tacco a spillo per fare della masturbazione anale con lui.

E non ditemi sciocca!

Mentre, attaccata alla cornetta, ascolto quell’infinità di complimenti, carezze, fantasie, e parolacce, mi metto una maschera di velluto nero sugli occhi.

E’ come se anch’io fossi un maniaco, anche se dalle mani dolci, come quelle di una donna, e dalle labbra morbide, che non saprebbero fare male.

Non l’ho mai immaginato.

Dalla voce penso però che si tratti di un uomo sui trent’anni, palestrato, che pratica un mestiere non molto da intellettuale, frustrato da una vita sessuale monotona e carente.

Ha detto più volte di essersi innamorato di me.

Ma lui non &egrave uno di quei maniaci che ti perseguitano. Può capitare che ti presti le sue attenzioni tutti i giorni, alla solita ora, per un mese, e che non si faccia più vivo per una settimana.

Una volta mi ha spedito un dolce bigliettino. Era scritto con una bella scrittura, l’inchiostro doveva essere quello di una penna stilografica. La busta era sigillata con del rossetto.

Conteneva parole d’amore appassionate.

No, non erano le solite banalità, ve l’assicuro, diceva che le mie labbra al telefono gli erano mancate molto, che desiderava la carezza delle mie calze a rete sulla pelle, il mio profumo, le mie mani nude. Gli ero cara dalla testa ai piedi.

Diceva anche che gli mancava la tenerezza dei miei lunghi boccoli biondi, che sembravano quelli di una bambola, e la mia voce di fata, che troppo spesso gli confidava soltanto i suoi capricci.

Squilla il telefono.

E’ mezzanotte, aspetto una sua telefonata.

– Pronto?

– Ci sei,amica dei miei sogni? Bramavo sentire il sudore che imperla magicamente la tua pelle, e la tua voce che mi fa svenire di piacere.

– Sei un poeta, stasera.

– Sì, e dimmi che anche tu hai le mie stesse passioni. I tuoi tacchi a spillo sono chiodi che mi trafiggono.

– Il cuore o qualcos’altro?

– Tutto, lo sai. Ti &egrave piaciuto il mio ultimo regalo?

– Oh, la rosa non era poi tanto bella. Aveva le spine, come le parolacce che mi hai detto l’ultima volta.

– Sei sempre la solita STR’ZA!

– Lo sai che mi piaci tanto quando parli così. Oh, dimmi qualche altra parolaccia, per favore, mi ecciti da morire!

– P’VA’TR’ – (segue una lunga lista che non ho voglia di trascrivere).

– Va bene, va bene.

– Mi senti con la mano? Ti sto toccando le gambe, ti piace? Risalgo a poco a poco verso il monte di Venere’Il pube e quella foresta di piacere proibito’ Ti faccio sentire i denti, ti mangio’

– Ah, che bravo! Sì, fammi morire. Sono la tua schiava!

– Ho preso la frusta. Hai la schiena nuda, e le mie sferzate non risparmiano la tua pelle bianca’

– Mi piace, ah, sì, mi piace’ Fammi male’

– Vuoi scopare?

– Sì, voglio scopare, ma per farlo, devi entrare nella mia cameretta, decorata di mille bambole, dai capelli biondi, rossi, castani, mori, ricciute, e vestite di pizzo. Devi entrare nella mia stanza dorata, piena di balocchi, non ci sono solo bambole, sai, ma ogni sorta di accessorio erotico’

– Che cosa, per esempio?

– Frustini, stivali di pelle, biglie, corde per il bondage, scarpe col tacco a spillo di tutti i tipi, falli di gomma, fucking machines’

– Adesso ti prenderò con la forza, con la violenza, e sarai mia, nuda, su di un tavolo’

– Ti adoro, quando fai così’ Chiudi la porta a chiave, dai, e mordimi!

Le nostre fantasie proseguono per delle ore.

Dice di mettermelo dentro, di spingere con tutta la forza che ha, siamo tutti e due nudi, mi sbatte sopra il tavolo, oh, il tavolo dei miei giochi, continua senza pietà fino a farmi gridare per il piacere e per il fastidio.
Poi lo toglie dalla mia fica e me lo fa ingoiare, mi viene tra le labbra, le dolci labbra.

– Oh, ti prego, telefonami ancora, mostro del mio cuore! ‘ gli dico, alla fine. ‘ Fammi morire di nuovo come stanotte! Torna da me! Vieni a frustarmi e a farmi scopare!

– Succederà di nuovo, te l’assicuro, angelo del piacere! La prossima volta verrò a prenderti in casa tua, chiuderti a chiave non servirà, perché ho il grimaldello per tutte le serrature. E’ come quello che userò con te, e che ti infilerò tra le gambe’

– Cattivo!

– Sì, sarò cattivo, cattivissimo’ Nessuno potrà sentirti, sarai mia, e farò di te ciò che più mi piacerà.

Quante sciocchezze!

Di queste, nessuna si &egrave avverata.

Ricordo di avere incontrato un giorno il mio caro maniaco. Ci eravamo dati appuntamento davanti a una pasticceria, c’erano tanti fiori e ciascuno portava tra le mani una rosa, per farsi riconoscere dall’altra.

Io lo vidi in faccia, era un bell’uomo sui trent’anni. Ma lui non poté vedere me. Ero io, sì, la sua donna, il vero maniaco.

E mentre lo baciavo sulla bocca, con le mie labbra rosse, portavo ancora sugli occhi la mia maschera di velluto nero.

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