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Racconti Erotici Etero

Laura, una sveltina.

By 9 Ottobre 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Katherine, la mia splendida amante domenicana a tempo quasi-pieno era tornata a Londra. L’avevo vista partire da Milano Malpensa con quell’aereo della British Airlines tanto simile a quello con cui io stesso partii anni prima per un viaggio che mi diede grandi insegnamenti.
Seduto al tavolo di un bar di Ponte Chiasso stavo rimuginando su tutto questo, su come la situazione si evolvesse.
E su quanto sentissi impellente il bisogno di immergermi in una donna. D’altronde era passato troppo tempo dall’ultima volta che avevo fatto sesso.
Passi che era comunque stato bello oltre ogni possibile immaginazione.

Stavo quindi cercando qualche possibile surrogato. Le prostitute mi attiravano poco, colpa di tutte quelle malattie veneree che molte (anzi, troppe) non citano per paura di perdere clienti. Una bionda con i seni parecchio ridotti in T-shirt e calzoncini stava a bere al bancone.
“Passabile”, pensai, valutandola.

La candidata successiva era una giovane di qualche anno in meno di me, avrà avuto sui ventidue anni. Viso da Madonna, capelli neri come l’ala di un corvo, seno mingherlo, occhi grigi.
“No.”, dissi.

La successiva, una bomba sexy da 24 kilotoni, bionda, occhi verdi, seni belli pronunciati e pressappoco della mia età, si rivelò già occupata con un mulatto tutto muscoli.
“Eccheccazzo!”, imprecai mentalmente.
Sorseggiai un po di coca cola. Erano solo le 20 e 32. Mi sembrava di essere tornato a quando avevo conosciuto Katherine.

Urlo da parte di ogni singolo tifoso della Juve, lamentazioni bibliche da parte dei fan dell’altra squadra, odore di fumo di sigaretta di bassa lega dall’altra sala dove una partita di biliardo stava tenendo impegnato un quartetto di tizi tra i trenta e i quarantacinque anni.
“Che noia.”

La sexy bomba e l’altro tizio se ne vanno a braccetto, l’immagine della felicità.
“Mortale.”

Una rete da parte della Juve fa esplodere un’ennesimo e fanatico coro da stadio. Non reggevo proprio quella cantilena, quasi fosse una parodia di un canto religioso. Il barman, lungi dal voler protestare, si unisce con un sorriso ai festanti tifosi che celebrano il 2-0 con esclamazioni di gioia e letizia, manco il presidente e il suo governo ne avessero fatta mezza giusta…
“Ma che ci faccio qui?”

La risposta si presentò sotto forma di una tipa dai capelli lunghi castano chiaro, gli occhi azzurri, il seno leggermente pronunciato e il volto proporzionato che tradiva una lieve sofferenza. Entrò, avvolta in una minigonna e una T-shirt con una di quelle scritte insulse che non leggo quasi mai, sedendosi a un tavolo di distanza. Prese subito a bere, quasi volesse sbronzarsi a morte.
“Ok. Può andare.”, decisi.
Chiaro che ora avvicinarsi era tutt’altra cosa.

Katherine e io sapevamo che entrambi eravamo ben liberi di fare sesso con qualcun’altro, dato che non c’era una vera e propria storia tra noi, solo sequenze di qualche ora durante le quali facevamo tutte le porcate che ci venivano in mente. Ergo, quando vidi quella femmina in lacrime, mi sentii in dovere di intervenire (a modo mio). Mi avvicinai esibendo il mio sorriso migliore e chiesi se potevo sedermi accanto a lei. La giovane, il volto striato da due lacrime, annuì.

E la fase 1 era fatta. Fedele al mio motto ricordavo la regola delle 5P, valida in qualsiasi ambito: Perfetta Pianificazione e Prevenzione Previene Pessime Performance.

Pianificazione: cercare di essere delicato, spingerla a parlare, guadagnare terreno un momento alla volta, una parola alla volta.

Prevenzione: avere una buona scusa per sedermi, qualcosa di credibile e di non necessariamente articolato. Le migliori balle sono quelle semplici.

-Che vuoi?-. chiese lei, soffiandosi il naso. La domanda era avvolta in un malcelato tono di ostilità. -Mi sentivo solo.-, risposi. Era una mezza bugia.
-C’&egrave un sacco di posto…-, fece lei. Era confusa, perplessa. Ora era come una partita a scacchi: mosse e contromosse.
-Sì, con un casino di gente sorridente che guarda la tele e non bada alle parole di quello che ha di fianco.-, risposi.
Lei annuì. 1-0
-Che fai qui?-, chiesi.
-Non si vede?-, rispose lei indicando la seconda bottiglia da 0,5 ormai vuota e chiamando il cameriere per averne un’altra, -Mi sto ubriacando di brutto.-.

Non avevo mai fatto sesso con una tipa sbronza, &egrave vero che però c’&egrave sempre una prima volta e questa prima volta mi pareva molto, molto carina. Ora dovevo solo trovare un nervo scoperto.
-Ci sarà una ragione se ti ubriachi… Com’&egrave che ti chiami?-. Sapere il suo nome. Importante, per non dire fondamentale.
-Laura Carroccio.-, rispose. Non aveva chiesto il mio, anche perché non sarebbe servito: gliene avrei rifilato uno falso. Quella doveva essere una sveltina, nient’altro. Anche a Katherine avevo detto una delle versioni del mio nome, una delle tante ma una abbastanza vicina alla verità.
Decisi di colpire: -Ma perché ti ubriachi, Laura?-, chiesi. Lei mi guardò malissimo. -Cazzo te ne frega?-, chiese in risposta.

Ahi! Si stava chiudendo: dovevo rassicurarla. -Mi sembra poco salutare….-, iniziai, imbastendo la classica aria da timido bonaccione. Ecco un mio leggero pregio spesso visto male: la mia capacità di dissimulare. D’altronde, se tutti mentono, perché io non dovrei?

Sul suo volto passarono emozioni a raffica. Alla fine si mise a piangere. Senza preavviso mi abbracciò, seppellendosi il volto nella mia giacca. La cameriera posò il drink e se ne andò, interdetta. Le battei affettuosamente sulla schiena, per consolarla. Era crollata: ora avrebbe detto la verità. Verità che mi avrebbe permesso di aiutarla… come sapevo fare solo io!
Intanto il mio subalterno (pene) aveva iniziato a recepire la presenza di un’occasione. Per fortuna non portavo pantaloni attillati.
Laura finì di piangere, si soffiò il naso, ingollò un sorso di quella che ritenevo fosse vodka e prese a raccontare.
Ci mise due ore a dirmi che tutto il suo mondo era crollato in due settimane: l’anziana zia che l’aveva accudita sin dall’infanzia era morta. Priva della sua adorata zietta, aveva cercato conforto presso il suo fidanzato, un liceale di Como. Questi però aveva avuto la bella idea di invitare l’amante a casa sua e proprio quando Laura era tornata. Il risultato, ormai chiaro, fu che Laura vide i due che scopavano come ricci e, a pochi giorni dal fidanzamento, si era preparata a lasciare il fedifrago, il quale aveva però giocato d’anticipo e mentito di brutto al riguardo, supportando il tutto con filmati modificati e foto ritoccate. Andandosene dalla sua vita, il bellimbusto le aveva tolto l’affetto dei suoi parenti (divenuti quasi una famiglia per lei), l’appartamento in cui vivevano, buona parte dei soldi sul conto ormai in comune e la sua dignità. Riaccolta dalla sua famiglia (madre e padre separati), aveva dovuto lasciare il precedente lavoro presso l’azienda del padre del suo ex. In breve tempo, si era ritrovata disoccupata, priva di un futuro e macchiata dal sospetto di aver tradito per prima, sebbene la sua famiglia le avesse creduto.
Ascoltai tutto con calma. Poi mi preparai: ora arrivava la fase 2, quella critica. Si trattava semplicemente di convincerla a venire via con me. Dato che l’alcool l’aveva stordita parecchio, avevo una buona percentuale di riuscita. Presi quindi a parlarle dei miei fallimenti in amore, di tutte le promesse mai mantenute e le ingiustizie subite e infine le dissi che le avevo superate nel solo modo possibile, il solo e l’unico.

-E come?-, chiese lei.

La guardai, gli occhi pieni di pietà, vera pietà.

-Continuando a vivere. Cercando di dimenticare.-, dissi.

I secondi trascorsero, poi i minuti e infine parlò. Diceva che la sua vita era divenuta un’abisso di disperazione. -Falso.-, dissi, -Ogni istante &egrave differente, come le sfaccettature di un diamante.-.
I suoi occhi si illuminarono a questa frase. Pagai le consumazioni e uscimmo. Lei barcollava leggermente. Feci segno al cameriere che era tutto a posto.
Arrivammo in una stradina, dove evidentemente abitava lei ed entrammo. Laura incominciò a dire che aveva sui ventiquattro anni e altre cose a cui non badai. D’un tratto, mi prese il volto e mi schiaffò la lingua in bocca. Sapeva d’alcool e lussuria. Le strinsi le natiche scoprendo delle autoreggenti e un perizoma.

Eravamo in un’androne di una casa. Avrebbero potuto vederci ma non me ne fregava nulla. Neanche a lei, evidentemente.
-Aggiungiamo un’altra sfumatura di pura gioia alla vita…-, fece lei, tirandomi fuori il membro, ormai bello duro. Scostai il suo tanga mettendo a nudo una fica leggermente pelosa mentre le palpavo i seni con l’altra mano. Laura prese ad ansimare bello forte. -Così… tutto dentro…-. L’accontentai iniziando a pomparla come un pazzo. Che goduria. Lei venne una prima volta, reprimendo a stento un urlo. Io le tolsi la T-shirt. Fanculo a tutto il resto: volevo trombarmela per bene. La pompai un’altro po’, lasciando che si avvinghiasse a me, appendendosi al mio collo come a un salvagente di qualche genere, come una naufraga al relitto di una nave. Poi, improvvisamente, le venni dentro. Un fiotto di sborra che le inondò la fica… Mi baciò a lungo, con passione. Mi scostai, dicendole che dovevo andare.
Ci ricoprimmo e solo allora, a lei venne in mente che non le avevo detto il mio nome. Fece per chiedermelo. Trovò un biglietto con un numero di cellulare.

In notti del genere, io sono pura illusione. Ed &egrave meglio così.

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