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Poker, maledetto poker

By 16 Gennaio 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Quando una giornata è storta, è storta e basta.
Che poi, avrei dovuto capirlo, ma quando mi impallo…
Quella gente sembrava simpatica, decente e abbiamo subito familiarizzato, lì nel bar.
E tutto perché uno di loro ha involontariamente urtato Giulia, facendole versare sul tavolino la pinhacolada.
Ci siamo girati irritati verso quel goffo idiota, che però si è scusato molto cortesemente e facendo dei grandi sorrisi a Giulia ed ha, poi, insistito per offrirci un giro.
In effetti, lei aveva appena assaggiato l’aperitivo e poi era simpatico, cordiale e penso che a mia moglie non dispiacesse.
Si è presentato come Arturo e, quando è stato raggiunto dai suoi amici, ha fatto le presentazioni: altri tre tizi, dall’aria più tetra e vagamente minacciosa rispetto a lui, ma comunque educati e gradevoli.
Noi due non avevamo ancora deciso come passare la serata e quindi accettammo di buon grado l’immancabile quarto d’ora di chiacchiere, prima che le nostre strade si dividessero.
Sia Arturo che Flavio, uno dei suoi amici, scherzavano con Giulia, riempiendola di complimenti, ma comunque rimanendo nella conversazione tra noi.
Quasi sul punto di lasciarci, uno di loro accennò al come avrebbero trascorso la serata e disse la parola magica: poker!
Io adoro farmi un pokerino, ogni tanto, e quindi fui molto interessato alla cosa.
Perciò venni a sapere che stavano per andare nell’officina dove viveva uno di loro -Albert, un albanese- dove è stata ricavata una stanzetta che il gruppetto usa per questo loro passatempo.
Avendo saputo che giocano poche decine di euro, chiedo se mi avrebbero voluto al loro tavolo, nonostante Giulia sbuffasse, in previsione di una serata noiosa, per lei.
Vedendo il suo scazzo, Arturo le assicurò con un sorriso che c’era anche un televisore e che se si fosse annoiata di guardarci giocare, poteva sempre guardare un po’ di tv.
Così con Giulia imbronciata, seguii le due auto del gruppetto fino ad un lotto della zona industriale e ci fermammo davanti ad un capannone.
Albert scese ed aprì il portone, facendoci parcheggiare all’interno; poi richiuse.
La famosa stanza era gradevole e piacevolmente riscaldata, nella serata fresca.
Un tavolo rotondo, già coperto dal tappeto verde, aveva intorno quattro sedie, ma altre sedie erano da una parte.
Un televisore da trentadue pollici era su un mobiletto, davanti ad un vecchio divano a tre posti ed uno scaffale con pochi libri e qualche vecchio giornale completava lo scarno arredamento. Un carrello, con sopra bottiglie di liquore e bicchieri, era vicino al tavolo.
Mi sedetti ed acquistai fiches per una cinquantina di euro e poi, mentre Giulia imbronciata cercava, seduta sul divano con le belle gambe raccolte sotto il suo delizioso culetto, un programma che la interessasse, cominciammo a giocare.
Vincevo e perdevo, senza colpi clamorosi, ma dopo un paio d’ore mi trovai con una sola fiche da cinquanta centesimi, per cui chiesi un’altra posta da cinquanta.
Albert, che aveva davanti fiches per una quindicina di euro, disse che anche lui aveva bisogno di una posta, anzi, di due; di lì a poco, tutti avevamo preso un’altra posta e il livello delle puntate salì di pochissimo.
Realizzai un buon colpo con un poker di dieci e mi rincuorai: hai visto mai che non solo mi rifaccio, ma riesco anche ad andarmene con un centinaio di euro in tasca?
In effetti, il mio gruzzolo di fiches, lentamente ma costantemente, aumentava.
Per quello accettai la proposta di far salire ancora di un poco il livello delle puntate.
Poi, entrai nel tunnel: avevo spesso gioco, ma quasi sempre venivo battuto da uno dei tre col punto immediatamente superiore: tris di donne battuti da tris di re, full ai jack sconfitti da full alle donne: cose così.
Mi trovai sotto e acquistai altre poste; vincevo un pochino, ma poi perdevo più di quanto avessi guadagnato.
Ormai ero risucchiato dal vortice del gioco ed arrivai al punto che, pur avendo messo insieme un poker di jack, non potevo coprire il piatto, perché ero rimasto senza un euro.
Chiesi credito, ma Albert me lo negò bruscamente: mi ricordò che si gioca coi soldi in mano.
Ero disperato: sentivo che potevo rifarmi, che la fortuna mi sorrideva e proprio in quel momento non potevo più giocare.
Misi sul tavolo le chiavi della macchina, ma la rifiutarono: troppo complicato cambiarne la proprietà se avessi perso.
Mi guardai in giro, disperato, e vidi Giulia, la sua gonna, il suo golfino che le sottolineava il seno alto e pieno.
Proposi di puntare gli abiti di Giulia.
Lei, ovviamente, si incazzò e Stephan mi chiese, sembrando interessato: «Che abiti?»
Io, ormai travolto dal demone del gioco, ignorai mia moglie e dissi: «Gonna e golfino!»
«Tutto lì?» «Beh, anche i sandaletti» Risero.
«Aspettate! Tutto quello che ha indosso!!!» ribattei, disperato.
Albert mi guardò con un’occhiata ironica e con voce piana, come si parla ad un bambino, disse: «Vedi, se voglio vedere una donna nuda, mi basta accendere internet… e gli indumenti di tua moglie potranno valere… forse trenta euro… No… -fece un sorriso da lupo- prova ancora!»
Mentre Giulia mi ordinava di non azzardarmi neanche, dissi: «Te la cedo per mezz’ora!» sull’orlo delle lacrime ormai!
«Facciamo un’ora…» «Va bene, un’ora!»
Lei, offesissima, puntò verso la porta per andarsene, ma Stephan la bloccò «No, bella signora: tu adesso stai qui e vedi come va, perché se provi di nuovo ad andartene… -estrasse un coltello-… ti rovino il bel faccino!»
In che razza di trappola ci eravamo ficcati?
Disperato, giocai la partita per la vita, guardando Albert che, lentamente, scopriva le sue carte: un asso, un re, un altro asso -oddio!-, un terzo asso (Avrà anche il quarto, io non ne ho visti passare! Siamo rovinati!!!)… un altro re.
Guardai le sue carte ed il suo sorriso trionfale: dal sollievo mi sentivo male, tachicardia a stecca, ma godetti vedendo il suo sorriso gelarsi, dopo che avevo mostrato tre jack ed un nove, vedendo scoprire il quarto jack!
Risi di gioia e sollievo, raccogliendo la sontuosa posta sul tavolo, ma Giulia mi guardava ancora in cagnesco.
Le feci un sorriso rassicurante e ripresi a giocare.
E in effetti, mia moglie si calmò, vedendo che la fortuna era girata e che vincevo: poche fiches per volta, ma costantemente.
Poi, la catastrofe: anche a causa dei vari whisky che avevo bevuto durante la partita, sbagliai a valutare una mano e sfidai con un full ai dieci un altro full, ma ai re.
Quella sciocchezza mi costò un bel po’ di fiches, ma soprattutto mi mise in una condizione psicologica di ansia, in smania di rifarmi.
Due mani più tardi, mi vennero serviti una donna di fiori, un dieci di fiori, un otto di denari, un nove di fiori e, per ultimo, un otto di fiori.
Dentro di me, sorrisi: se avessi cambiato solo l’otto di denari, avrei potuto tentare il colore o la scala.
Rilanciai moderatamente e ci fu il cambio delle carte: il mio otto di denari mi fu sostituito da un re di fiori: avevo fatto colore!
Perciò, confortato, rilanciai abbondantemente. Stephan e Arturo avevano rinunciato a giocare, rimettendoci solo il piatto, ma ormai era un duello tra me e Albert, che rilanciò ancora, mettendo sul piatto una quantità di fiches che era oltre le fiches che ancora mi rimanevano.
Ero disperato: con un “colore” in mano e non potevo giocare!
Lui aveva fatto i conti e mi guardava con un sorrisino sfottente… No, non potevo farmi indietro!
Soprattutto adesso, che ero certo di vincere! «Avrai fatto i conti: non posso coprire, con le fiches che ho, la tua puntata… Un’ora a disposizione con mia moglie, va bene?»
Giulia mi guardò con uno sguardo assassino e stava per dire qualcosa, quando Albert si dichiarò d’accordo: «Però, tanto per dimostrare la tua “serietà” nell’onorare il debito di gioco nel caso tu perdessi… -ghignò-… prima di vedere chi ha vinto questo sontuoso piatto, la tua bella mogliettina si spoglia, completamente!»
Lei fece per protestare, ma la feci avvicinare con un cenno e le mostrai con molta cautela l’angolino delle carte che avevo in mano, mormorandole qualcosa di rassicurante.
Non è che fosse felice -ovviamente!- ma diciamo che, dopo essersi allontanata di tre passi, cominciò a spogliarsi con meno malagrazia di quanto mi aspettassi…
Anzi: aveva afferrato l’orlo del golfino con furia, come se dovesse cambiarsi e fosse in ritardo, ma improvvisamente si bloccò, fece uso strano, agro sorriso -ma solo con le labbra: i suoi occhi mandavano lampi di furore!- e poi cominciò a fare un lento spogliarello, muovendosi felinamente splendida e lasciando cadere prima il golfino, poi -dopo averla slacciata ed averci giocherellato un pochino- la gonna ed il reggiseno del coordinato di pizzo nero ed infine gli slippini, che fece girare in cima all’indice, ma guardandomi con uno sguardo assassino.
Giulia era bellissima e aveva dato il massimo di sé per rendere lo spogliarello un evento di raro e raffinato erotismo; mi trovai, nonostante la tensione del gioco, eccitato.
Anche Arturo era ammaliato dallo spettacolo e Stephan aveva un vago sorrisetto di apprezzamento sulle labbra; Albert, invece, conservava l’impassibilità del vero giocatore di poker e, quando mia moglie ebbe terminato lo striptease, disse: «Bene: direi che manca solo di vedere tutte le puntate sul tavolo» indicando a Giulia il centro del tavolo, dov’erano le fiches.
Lei rifletté un attimo, poi si avvicinò al tavolo con passo felino, posò un piede sulla mia coscia, salì sul tappeto verde ed alla fine, con sensuale pacatezza, si sedette sulle fiches a caviglie incrociate ed offrendo al mio balcanico avversario lo scorcio più suggestivo di sé.
Lui, finalmente soddisfatto, mi invitò con un ampio cenno ed un leggero sorriso a mostrare le carte ed io, pregustando la vittoria, posai ad una ad una le carte, guardandolo infine con un sorriso di trionfo: «Posso vedere le tue carte, adesso?» lo provocai.
E lui, con un’espressione indifferente, mostrò un dieci di cuori e poi una donna ed un asso -dello stesso seme!- ed il re di cuori! La mia gola si era riarsa, mi vedevo ad un passo dalla catastrofe e pregai disperatamente che… che non fosse il jack di cuori che alla fine mostrò.
Mi sentii crollare il mondo addosso: avevo concesso la mia Giulia a quella gente ed avevo anche perso fino all’ultimo euro!
Guardai Giulia con uno sguardo disperato, trafitto dall’altezzoso odio di cui erano pieni i suoi occhi, che guardavano anche i tre, a turno, soppesandoli con una strana, mai vista, inquietante espressione.
Arturo mi guardò con un sorrisetto sotto i baffi: «Certo che sei stato sfortunato… -annuii, mestamente-… eh, pensavo… magari Albert ha voglia di darti un’ultima possibilità…»
Si girò verso l’amico che lo guardò biecamente; allora lo condusse insieme a Stephan nell’angolo più lontano a noi e tennero un breve conciliabolo.
Sentii Albert che alzava la voce, dicendo qualcosa in croato, albanese o quel diavolo di lingua che fosse, e Arturo che cercava di riportarlo a più miti consigli nello stesso idioma.
Giulia guardava me con odio puro e, meravigliosamente nuda, loro con arrogante sfrontatezza.
Alla fine, i tre tornarono al tavolo e parlò Albert: «Abbiamo deciso di darti un’ultima possibilità, un’ultima mano a cercare il jack di cuori dove io punto tua moglie e la metà delle fiches… Se lo trovi tu, riavrai metà delle fiches che ho vinto e tua moglie, intatta»
Inghiottii: «E se invece lo trovi tu?»
Sorrise, con un sorriso lupesco: «Se lo trovo io, terrò tutte le fiches… e tua moglie, che dovrà fare tutto quello che le ordinerò per ventiquattro ore!
Ventiquattro ore? Oddio!… L’averla fatta spogliare, sicuramente non fa presagire che le ordineranno di pulire il locale e fare il bucato!
Lui continuò «Per evitare che tu faccia sciocchezze, se perdi, verrai chiuso in una stanza, qui, finché tua moglie non avrà onorato il TUO debito di gioco…»
Le probabilità erano cinquanta e cinquanta… avevo avuto una discreta fortuna, nella serata, interrotta da colpi di sfiga pazzeschi.
Riflettei che avevo appena subito una “porzione” di sfiga e quindi le probabilità potevano… DOVEVANO essere a mio favore!
«Va bene, accetto!» esclamai senza avere il coraggio di incrociare lo sguardo di lei, furibonda.
Albert prese, senza una parola, il mazzo dal tavolo e lo porse a Stephan, che cominciò a mischiarlo.
Poi me lo diede da tagliare; quindi prima scopriva la carta Albert e poi io… Sudavo dalla tensione.
Prese la prima carta, la fece strisciare sul tavolo fino a sé, la sbirciò con cautela, come se potesse esplodere e la scoprì sul tavolo, sbuffando: asso di picche.
Fortuna che non giocavamo alla carta più alta, mi rincuorai.
Con la stessa cautela di Albert, scoprii la mia carta, un otto.
Lui scoprì un dieci.
Io vidi nell’angolo della mia carta la parte superiore di un jack, rosso: il mio cuore perse un colpo e scoprii che era quello di denari!
Lui trovò un dieci, nero.
Mentre stavo per prendere la carta successiva, la mia mente registrò una risatina di Giulia: mi bloccai, alzai un poco lo sguardo e notai che era seduta sulle ginocchia di Arturo… e Arturo le teneva una mano sulla coscia, in alto! Ero pronto a scommettere che i suoi polpastrelli le sfiorassero la fica.
Presi la mia carta, arrabbiato, odiando quella troia, sperando che NON fosse il fatidico jack.
Difatti era una donna.
Albert scoprì un re rosso.
Io gettai sul tavolo un nove.
Mentre lui stava per scoprire la carta successiva, vidi che Albert, messosi accanto ad Arturo e Giulia, le torceva dolcemente i capezzoli, mentre lei aveva un pochino schiuso le gambe, ospitando più comodamente la mano di Arturo.
Lui scoprì un dieci ed io, subito dopo, un jack nero.
Vedevo i due che sussurravano qualcosa a Giulia, che annuiva e rispondeva anche lei sottovoce, anche ridacchiando quietamente.
Ribollivo di rabbia: io stavo schiattando per cercare di salvarla dall’oltraggio dei tre e lei… lei, invece, familiarizzava col nemico!
Albert, con una inquietante espressione rilassata, scoprì un altro nove ed io, sudando, trovai una donna; ormai le carte rimaste erano pochine e sudavo abbondantemente dalla tensione.
Il balcanico prese una carta, la fece strisciare sul tappeto verso di sé, la spiò e, infine, fece un sorriso trionfale: aveva trovato il jack di cuori.
Sentii il mondo crollarmi addosso, completamente sconfitto e demoralizzato.
Guardai, da sotto in su, mia moglie, vergognandomi di essere così vittima del demone del gioco e di averla sottoposta a quell’umiliante oltraggio, ma… ma lei mi guardava con una strana espressione: carica di disprezzo, certo, ma con una strana alterigia che le illuminava gli occhi.
Le mani dei tre uomini si avvicinarono al suo bel corpo, ma lei disse un secco «No!»
La guardammo stupiti, mentre lei faceva un sorriso crudele: «Io posso rifiutarmi di onorare il debito di quel coglione di mio marito… oppure posso accettare di buon grado: se farete come dico io, vi lascerò fare tutto quello che volete per ventiquatt’ore… ho una richiesta: me la soddisfate?»
Albert, evidentemente irritato da questa complicazione, borbottò a mia moglie di spiegarsi.
Lei sorrise, raggiante: «Beh, visto che il signorino è arrivato a cedere il corpo di sua moglie -dio mio!- per il suo cazzo di vizio del gioco, voglio fargli davvero male!
Ho deciso di umiliarlo, grazie a voi e farò di buon grado tutto ciò che mi chiederete, ma il signorino è giusto che veda quanto la sua amaaaaata -mise molto sarcasmo nel tono!- mogliettina sa essere troia con altri uomini.
Perciò voglio che prima che mi tocchiate, lo leghiate alla seggiola, in modo che possa assistere allo spettacolino senza però andarsene o disturbarci.
Feci per alzarmi, ma l’ampia mano di Stephan sulla spalla mi fece restare seduto.
Poi… poi mi trovai legato, con le caviglie fissate alle zampe di una poltroncina di legno ed i polsi bloccate ai braccioli.
Protestai, mentre mi immobilizzavano, ma Giulia, con tono annoiato, gli suggerì anche di imbavagliarmi; mi si avvicinò ancheggiando, mi strinse le narici per farmi spalancare la bocca e ci ficcò dentro le sue mutandine.
Poi, con un nastro adesivo grigio, venni imbavagliato.
Così bloccato, assistetti.
Vidi Giulia che, con movimenti felini, si accoccolava sui talloni davanti ai tre, gli slacciava i pantaloni, gli estraeva i cazzi e poi cominciava a baciarli e succhiarli, a turno.
Il terzetto sembrava spiazzato, dal comportamento disinvolto di mia moglie -io, poi, ero letteralmente trasecolato!- anche se non troppo dispiaciuto; certo, magari avevano in mente di violentarla (me ne rendevo conto solo adesso!) e tutto potevano aspettarsi, meno che fosse lei a prendere così lussuriosamente l’iniziativa.
Giulia succhiava alternativamente i loro cazzi, ma facendo in modo che potessi avere la migliore visione di come lo faceva e sentivo i suoi mugolii di piacere e gli incitamenti e gli insulti dei tre.
Mi sentivo scoppiare dalla rabbia, dalla vergogna e -sì, lo ammetto!- anche dall’eccitazione.
Dopo un po’, lei si rialzò e con passo felino venne verso di me: «Allora, sono brava a pagare i TUOI debiti, mio bel maritino cornuto?» mi chiese con acre sarcasmo.
Annuii, decisamente scosso.
Lei tornò dal terzetto, che si era nel frattempo denudato, e si piegò ad angolo retto, con i piedi ben distanti, per succhiare il cazzo di Albert, che si era seduto sul divano.
IL suo culo e la sua fica erano una tentazione tropo forte per gli altri due, i quali cominciarono subito a palparla ed esplorarla ed a sondarla con le dita, facendole ondeggiare i fianchi per il piacere e portandola a fare mugolii di piacere.
Albert, le aveva afferrato i capelli e le muoveva la testa per chiavarla in bocca, mentre con l’altra mano le strizzava forte i capezzoli, facendola sussultare e contorcere dal dolore.
Giulia, però, accettava tutto questo come se fosse inevitabile, anzi: quasi con gioia.
Vidi Arturo andare dietro di lei, allargarle le labbrine della fica con una mano e, con l’altra, pilotare la sua grossa cappella dentro.
L’uomo fece un unico, fluido movimento lento e colmò completamente mia moglie.
Poi cominciò a montarla, quasi con dolcezza, mentre i mugolii di lei facevano intuire quanto la cosa le desse piacere.
Pochi minuti e poi Albert, dopo averne tenuto la testa immobile con le labbra che gli sfioravano i grossi coglioni e mentre lui esclamava cose nella sua lingua, la allontanò bruscamente, mentre vedevo qualche goccia di sperma che fuoriusciva dalla bocca di mia moglie.
Allora Arturo si sfilò e si impossessò lui della bocca mentre Stephan, che era restato a guardare menandosi quasi svogliatamente, le andò dietro e, con un colpo secco, la penetrò nel culo.
Giulia si contorse per l’immediata fitta di lancinante dolore, ma l’uomo, che la teneva saldamente per i fianchi, continuò imperterrito a pomparla.
Durò poco, forse un paio di minuti, poi con un grugnito si scaricò nel suo intestino e si ritrasse, col cazzo ancora mezzo eretto, luccicante di umori mischiati.
Albert si stava segando, per ritrovare l’erezione sufficiente a poterla penetrare a sua volta ed infatti, dopo poco, inculò anche lui mia moglie che ebbe solo un sussulto per il suo primo affondo: avere lo sfintere dilatato e reso scivoloso dalla sborra le permetteva di non sentirsi eccessivamente martirizzata.
Poi l’uomo si sfilò, si stese sul tappeto e disse a Giulia di andargli sopra; lei smise di succhiare Arturo e, ubbidiente, cominciò a cavalcarlo.
Allora Stephan le presentò il cazzo, di nuovo eretto, davanti alla bocca e lei subito cominciò a succhiarglielo, mentre Arturo si sistemava alle spalle di lei per incularla a sua volta.
Giulia, che si agitava già lussuriosamente infissa sul cazzo duro di Albert, in breve tempo si contorse, travolta dal piacere.
I tre le dettero un minuto di requie, forse, poi ricominciarono a penetrarla insieme nei tre buchi.

Dopo quasi due ore, i quattro si stavano riposando: i tre uomini erano venuti, ciascuno, più volte e sembravano tramortiti, mentre Giulia, che aveva raggiunto diversi orgasmi, ancora li stuzzicava, toccandoli, baciandoli e provocandoli: «Beh, tutto qui? Il resto delle ventiquattro ore, adesso, dovrò passarle a guardarvi mentre dormite, per recuperare?»
Fece un sorriso molto puttanesco: «Mi aspettavo qualcosa di meglio…» disse, mentre giocherellava con una ciocca di capelli incollata da uno dei tanti schizzi di sperma che le erano arrivati sul viso ed i seni.
Albert la guardò con uno sguardo feroce e fece un sorriso crudele: «La signora non è ancora sazia? Basta chiedere!»
Prese dalla tasca il cellulare e chiamò qualcuno; poi disse alcune frasi nella sua lingua e rise, ascoltando le risposte.
Mentre annuiva, gettò un’occhiata circolare ai suoi amici che silenziosamente assentirono ed infine lo sentii dare l’indirizzo del luogo dov’eravamo, appena prima di chiudere bruscamente l’apparecchio.
Si guardò intorno: «Qui non va bene… meglio nell’officina!Tu, troia!…» Giulia lo guardò subito, con un sorriso complice «E vuoi sempre che tuo marito veda quanto sei brava a farti montare da tanti cazzi?»
Lei assentì con un lieve sorriso determinato.
Albert annuì ed organizzò le cose.
Dopo dieci minuti, eravamo nell’officina; era stato buttato un materasso a due piazze sul pavimento, dietro ad un gippone coi vetri oscurati, che era solidamente installato su cavalletti.
Dentro il vano bagagli del gippone venni chiuso io, sempre legato ed imbavagliato, con l’ordine di non fare il più piccolo rumore.
Giulia era stata fatta rivestire, ma solo con la gonna, le scarpe ed il golfino,
Ancora qualche minuto e poi sentimmo un paio di auto fermarsi sul piazzale esterno.
Stephan uscì incontro ai nuovi arrivati, che lo seguirono poi all’interno: quattro uomini dai lineamenti balcanici e tre africani, che gettarono un’occhiata circolare all’ambiente, fecero un breve cenno di saluto agli amici e si avvicinarono subito a Giulia, guardandola con aria feroce.
Lei sembrava impaurita: forse la sfida che aveva lanciato ai tre giocatori avevano spinto il gioco molto al di là di quanto lei pensasse.
Uno dei nuovi arrivati le si avvicinò, mise un dito nello scollo del golfino e, con un colpo secco, glie lo lacerò completamente.
Poi l’afferrò per la nuca e l’attirò per baciarla: lei offrì le labbra, ma lui le morse il labbro inferiore.
Giulia si ritrasse di colpo, appena poté ma il tipo le lacero anche la gonna, lasciandola nuda.
Un altro le si avvicinò e le mise con brutalità la mano tra le gambe, afferrandole le labbra della fica e torcendogliele dolorosamente.
Poi, con un ceffone, la fece cadere sul materasso e subito Giulia si trovò sotto il mucchio dei nuovi arrivati.
Da lì cominciò l’abuso di mia moglie; altro che i modi relativamente gentili dei tre giocatori!
Morsi, strizzate, ceffoni, accompagnati da pesanti insulti.
Giulia venne sollevata di peso, girata come una bambola e penetrata ovunque.
Uno dei neri, con un uccello di dimensioni spaventose, la inculò senza alcun riguardo, facendola urlare, dimenare e piangere per il dolore.
Dopo essersi sfilato, l’ano di mia moglie venne penetrato dai cazzi di due balcanici, insieme, facendola ancora piangere.
Poi, dopo che altri avevano approfittato ancora della fica e della bocca, le venero legati i polsi insieme ed appesi al gancio di un argano elettrico che la sollevò da terra.
Con delle catene alle caviglie, le bloccarono le gambe oscenamente aperte, al massimo e da lì in poi Giulia dovette subire l’inserimento dei cazzi di tutti i presenti in fica ed in culo, prima; poi, dopo che gli uomini avevano eiaculato, sia dentro di lei che sul suo corpo, le infilarono oggetti in vagina e nell’ano, facendola piangere ed urlare e dilatandoglieli senza pietà.
Io, immobilizzato e imbavagliato assistetti alle violenze mentre, bloccato e dimenticato nel furgone, faticavo a trattenermi dalla voglia di pisciare e… anche altro.
Ma non resistetti e mi trovai, piangendo per la rabbia e l’umiliazione, a pisciarmi addosso, inzuppandomi i calzoni, prima.
Poi, nonostante sforzi che mi fecero sudare, anche lo sfintere si rilassò e mi trovai coi pantaloni pieni di merda
Giulia, intanto, continuava a subire i suoi tormenti: dopo averla legata con le ginocchia contro il petto, sempre appesa all’argano elettrico, avevano approntato un aggeggio, facendo sporgere un pezzo di manico di scopa dal foro in cima ad un cono di plastica a fasce bianche e rosse, di quelli usati come “birilli” per segnalare lavori sulle strade e, agendo sui comandi dell’argano, calavano mia moglie su quell’atroce aggeggio che le entrava, pilotato dall’estremità del manico di scopa, nella vagina, dilatandogliela sempre più ad ogni discesa, mentre lei si lamentava e piangeva e chiedeva di smettere, chiedeva pietà, tra gli sghignazzi e gli insulti dei presenti.
Inutile precisare che, quando uno dei presenti aveva voglia di pisciare, puntava il getto su Giulia, innaffiandola con indifferenza e tra gli sghignazzi degli altri.
Quando decisero che la fica di Giulia era sufficientemente dilatata, riuscendo ad inserirle facilmente un pugno chiuso, si dedicarono ad applicarle lo stesso trattamento al culo.
Ogni volta che scendeva sul cono, però veniva tenuta ferma per poter succhiare il cazzo di uno dei presenti che, magari, le premeva sulle spalle per farle entrare il cono ancora più in profondità.
Quando, dopo molte ore, gli uomini si considerarono soddisfatti, dopo averle infilato un pugno anche nel culo, se ne andarono, ringraziando calorosamente il terzetto.
Rimasti soli, liberarono Giulia e vennero a liberare anche me; scoprirono che mi ero pisciato e cagato addosso e perciò dovetti subire anche la loro umiliante ilarità.
Mi presero per i capelli e mi accostarono il viso alla fica ed al culo di mia moglie, oscenamente dilatati entrambi al punto da restare molto aperti.
Mi imposero di leccarla e, ormai piegato, obbedii, sentendo sulla lingua anche il sapore ferrugginoso del sangue, oltre a quello dello sperma, dell’urina, delle feci e delle altre secrezioni.

Erano le undici del mattino, quando finalmente -lei coperta solo da un plaid ed io coi calzoni e i boxer impregnati di merda e piscio- potemmo andarcene per tornare a casa.
Fu una delle ultime volte che vidi Giulia, che mi lasciò il giorno dopo per poi, iniziare le pratiche di separazione.
Di lei, ora so soltanto che è la compagna di Albert e che spesso vanno ad animare feste di carattere sado-maso, ma non chiedetemi cosa succede, là: non sono riuscito a saperlo…

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