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Erotici Racconti

Nuovi tormenti

By 25 Agosto 2016Gennaio 30th, 2023No Comments

Lorena, la mia amica sennonché pure complice m’aveva chiesto d’andare, perché un uomo che lei ben conosce ci aveva osservato assieme e pertanto voleva incontrarmi. Io ho accettato, però soltanto dopo un fitto scambio di messaggi e di telefonate, a dire il vero non ho mai ricordato d’averlo visto, eppure il calore e la passione di quella voce per poco m’accarezzava e mi coccolava oltre il telefono, dal momento che l’immensità e la profondità di quel tono apriva degli spiragli e dei varchi inaspettati nel mio animo.

Io mi sono preparata con cura quasi fremendo, essendo sulle spine all’idea che quella voce avesse anche un corpo, perché sotto la doccia io m’accarezzavo come speravo forse avrebbe fatto pure lui, per questa ragione ho messo della crema e del profumo pensando all’odore della sua pelle, unito a quello della mia e a quella biancheria intima così curata, con il desiderio di farmela togliere flemmaticamente, fremendo al pensiero del fruscio che la seta avrebbe prodotto. Mi sono accarezzata ancora, pensando che lo facessero le sue mani e lentamente il suo desiderio si faceva sempre più vivo, poiché avevo la sensazione che mi potesse vedere, pensasse insensata e stupida tutta quella tensione, ma io adoravo quell’attesa, in quanto non avrei potuto farne a meno.

Quelle carezze non m’avrebbero offerto la stessa sensazione se non avessi pensato a quella voce appassionata, a quella voce che colpiva e che faceva vibrare le corde del mio corpo, dal momento che credevo ormai essere mute e che invece scoprivo che potevano produrre suoni armoniosi e intonati. Un leggero tremore si è impadronito di me ancora prima di bussare a quella porta, dato che l’umidità di quel tramonto si era già a ragion veduta insinuata fra le mie gambe. La porta era socchiusa, io ho bussato lievemente, sono entrata in silenziosa attesa e attorno a me unicamente il buio. Io lo sapevo che era uno scherzo, poiché avrei dovuto immaginarlo, in quanto mi stavo arrabbiando per esserci cascata e già pensavo come affrontare Lorena contrastandola, mentre due mani salde m’afferrarono e m’attirarono addosso a un corpo caldo. 

Io ho sentito il suo fiato sul collo, m’ha girato e appoggiato al muro, con una mano m’ha avvolto la vita, con l’altra scostava i capelli dal mio collo e reggendoli disegnava percorsi con la lingua. Io non ho reagito, certa e convinta che si sarebbe fermato, invece lui era lì, nel buio, con la sua lingua che mi cercava, dato che potevo percepirne la sua statura, ma non riuscivo a vederne il viso. Le sue mani puntellate sul mio corpo sembravano aggredirmi e ardere, ma tanta era la delicatezza e la dolcezza di quei tocchi, visto che il suo petto s’appoggiava al mio e i nostri capezzoli che soltanto adesso si sfioravano in conclusione s’incontrarono, duri e rigonfi di desiderio, quasi a dolere. Le nostre lingue intrecciate, attorno soltanto il buio, il respiro sempre più veloce, il suo corpo sempre più appoggiato al mio, pesante, con le mie cosce sempre più bagnate.

Io sento come se fosse adesso lucidamente quelle dita sollevarmi la gonna, sfiorarmi i contorni di quella biancheria così liscia, il mio fiore con i suoi petali schiudersi a quel passaggio così leggero e assieme imperioso, quelle dita così forti, così audaci, prima sopra lo slip, poi sotto, poi ancora sopra e ancora sotto, tenuto conto non m’accorsi quasi che non erano più le dita, ma la sua lingua attualmente che si contorceva, che asciugava, che feriva e che tentava di penetrarmi.

Forse io respiravo, forse no, so soltanto che cominciai ad appoggiarmi a quello stipite fino ad avvertire il freddo del pavimento, dove trovai i miei abiti, dove ci feci in ultimo finire pure i suoi. In tal modo lo spogliai, presi il sopravvento, in quanto i miei occhi si stavano abituando al buio, lo torturai con la mia lingua, poiché la diressi lungo il suo torace fino all’ombelico, poi giù, fino a sentire la mia bocca che si riempiva di quella carne così irruente fra le mie labbra, assetate di quella goccia di liquido caldo che ambisco d’avere ben volentieri sulla punta della lingua.

Le mie gambe s’aprivano come la mia bocca senza opporre alcuna resistenza. Com’eravamo? In quale posizione? Dove eravamo? Lui però chi era? Quelle mani, quella lingua, quel sapore, ogni antro del mio corpo fu invaso, perquisito e rovistato, la mia bocca fu ammansita e infine placata dal suo desiderio, dato che il mio corpo non aveva difesa né scampo, malgrado ciò nemmeno il suo. Per dimostrarglielo, infatti, in un attimo io fui sopra di lui, cercavo la sua lingua, cercavo il suo ritmo, la sua pelle così appiccicata alla mia, il mio seno che sfiorava il suo, le sue mani sui miei glutei che premevano fino a farmi toccare l’estremo piacere dell’inferno, perché tra spasmi, respiri affannati, gocce di sudore, lingue intrecciate lui inarcò la schiena e spinse, dal momento che fu come un lampo che squarciò il buio, una lama che penetrò il mio corpo, il suo corpo che entrava nel mio e calcava, esortava, s’inarcava, spingeva e mi premeva ancora più forte su quella lama di carne così pulsante, da non aver più alcuna possibilità di resistergli.

Io ero carica, piena di quello sconosciuto, un fiume scorreva fra di noi, forte, impetuoso e veemente, così imperioso e prepotente da perforare quasi le mie membra, io ardevo oltremisura, c’era un fuoco dentro e attorno a me, passione e voglia, desiderio e vergogna, per il fatto che come in un’altalena trovammo quel ritmo, la cadenza insperata che ci univa, che ci faceva danzare, che preannunciava il godimento. Lui fece pressione su di me, dentro di me, con la sua lingua fu nuovamente dentro la mia bocca, i nostri fluidi uniti sempre più forte, sempre più veloci, volevano essere pieni di lui.

In un imparagonabile momento arrivò sennonché il disastro, il dissesto e l’inferno, seguito appresso dalla beatitudine, dalla contentezza e dal paradiso assieme, giacché sgorgarono erompendo in conclusione impetuosi nuovi torrenti, esordienti fluidi, perché godemmo assieme nel buio su quel pavimento freddo che aveva accolto i nostri corpi, in compagnia di quel tenebroso compagno senz’identità, per di più in quell’amplesso compiuto e vissuto in modo inospitale, selvaggio e quasi silenzioso.

Sì, devo proprio ammetterlo e confessarlo, è stato realmente così, perché quella vicenda sperimentata con uno sconosciuto, di cui la sola cosa che non ho sentito quella sera è stata la sua voce, la modulazione e la tonalità di quella voce.

{Idraulico anno 1999} 

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