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Erotici Racconti

Car Wash I

By 9 Maggio 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

‘Anche se non riesci ad amarmi, raccontami almeno la mia vita, dice Brandy.
Una ragazza non può morire senza che tutta la propria vita scorra davanti agli occhi.

Dammi attenzione.
Flash.
Dammi adorazione.
Flash.
Dammi tregua.
Flash.’
(Chuck Palahniuk)

‘Autolavaggio Vittoria. Tunnel automatico e asciugatura manuale. Pulizia sedili ad estrazione. Ceratura e lucidatura carrozzerie. Abbonamenti.’
(Depliant pubblicitario)

Fede.
Federica.
Federica ha lavato l’auto.
Federica G. svolta.
Federica G. svolta e comincia la rampa.
Federica G. e l’auto blu cura. Lucida di acqua di sapone e di spazzole rotanti.
Ha tolto l’ultimo alone col panno di daino personalmente.
Mania di perfezione che fa della carrozzeria nuova, con riflessi di iride nel sole uno specchio riflettente.
E lui che la prende in giro. Per l’ostinazione sulla più piccola traccia di insetto secco ad ali aperte sul faro o sulla mascherina del radiatore.
Federica G. svolta, l’auto gocciola ancora la sua scia, come i capelli di Federica sulle piastrelle quando esce dalla doccia, sulla rampa a righe in rilievo del profondo parcheggio sotterraneo del centro.
Un piano.
Due piani.
E dopo un poco eccola al quarto.
La scia non c’e’ nemmeno più alle sue spalle.
Solo la luce dei neon gialli e dei riflessi sul tetto delle auto già parcheggiate.
Al quarto piano le auto sono allineate. E’ il piano riservato ai dipendenti delle Torri.
Auto che arrivano al mattino e restano a dormire fino a sera.
Al buio. Fresco e un po’ umido del piano più profondo e silenzioso.
Traffico frenetico alle ore dello sciame. Entrata e uscita.
Poi ombra e fresco nella notte che dura ventiquattro ore.
Federica mette la retro e infila la targa posteriore e a seguire l’auto tra altre.
Larga per non toccare nemmeno per sbaglio di lato, sono già cominciate per alcune le vacanze e puoi parcheggiare dove vuoi, lo spazio è finalmente largo e tanto.
Il parcheggio è deserto a quell’ora, manca tanto ancora all’uscita delle formiche verso casa.
L’auto di Federica lascia nella manovra, avanti e indietro e poi ancora indietro e avanti, lo sterzo a ruotare, scie di acqua di lavaggio sul cemento del pavimento in quella manovra e quattro passi.
Come se avesse spremuto l’auto come spugna e vuotato ogni più piccolo anfratto e rientranza.

Alla luce dei fari, Federica si volta avanti a fine manovra’.
Nel buio ovattato e fatto giallo alone dei tubi accesi, con la luce alle spalle e le ombre sfuocate e lunghe e larghe a precederli nei passi.
Loro.
Piccoli dietro l’enormità dell’ombra.
Illuminati alle spalle.
Federica non distingue i volti.
Uno alto, castano, capelli lunghi quasi alle spalle. Jeans blu sbiaditi, t-shirt bianca a maniche corte, i muscoli sagomati e disegnati che staccano dall’orlo bianco dove il cotone si carne e braccia.
Le braccia larghe ai fianchi come quelle di chi è uso a lavorarci e duramente con le braccia.
Più basso l’altro, corto il capello, quasi grigio.
Massiccio e squadrato nella forma. Spalle larghe sotto la camicia chiara. Il colletto aperto su un collo largo..
Sembra uno sceso dall’ufficio, che abbia solo dimenticato là alla scrivania giacca e cravatta.
Lasciato là quei capi di vestiario, ma indossato al posto loro un altro sguardo.

I due uomini sono di fronte all’auto adesso. L’auto è accostata con la coda al muro, stretta ma neanche tanto da altre ai lati.
Lo spazio per l’apertura sicura e discreta delle portiere.
Nel silo, quarto piano sotterraneo il silenzio rimbomba come il cuoio delle scarpe ritmico e non affrettato sotto i loro passi.
I fari di Federica investono improvvisi le figure e i visi.
E proiettano lunghe le ombre nere al suolo, alle loro spalle.
La fotocellula ha esaurito il tempo, l’unica luce sono i fari della Uno blu notte lucida di lavaggio e shampoo di Federica.
A proiettare l’ombra dei due fantasmi fino a tre metri avanti.
Le facce alla luce dei fari si vestono di maschere.
Accentuati zigomi e luce dritta a far diventare fari scuri gli occhi.
Illuminano i denti di quella specie di sorriso a bocca stretta.

Federica G.
Federica e il fiato tronco.
Inchiodata sul sedile, senza nemmeno l’istinto di serrare le portiere.
Magnetizzata e inchiodata dalle maschere davanti.
Federica che per istinto serra di scatto le gambe.
E si spinge con la schiena a fondo nello schienale del sedile.
Le mani serrate al volante.
Il film davanti a lei si snoda. Col cuore in gola adesso.
Le facce sembrano diverse picchiate dritte dalla luce’gli occhi sembrano avere luce loro, una luce nera, colpiti dalla luce.
Le mani di Federica corrono alla borsetta sul sedile, afferra il cellulare prima di realizzare che sotto.. lì sotto.. non ci può essere campo.
Il silenzio nella rimessa è totale.
Nemmeno più i passi e il cuoio sfregato sulle zigrinature delle rampe.
Quel battito di piedi e cuore ritmato lento al loro avvicinarsi.

Federica cerca di schiacciare la sicura e chiudere le porte. E pensa ..se mi attacco al clacson???
Il tempo di un pensiero.
O forse la lentezza incerta nel gesto dettata dall’ansia. L’uomo alto è alla portiera destra, il grigio dal lato di F.
Le portiere sono spalancate.
Un attimo e la macchina è squarciata, aperta a entrambi i lati.
Cola dell’acqua dalla portiera di sinistra sui piedi del grigio.
L’auto è aperta come una farfalla inchiodata.
Le ali blu.
L’Alto afferra con decisione e serrando con forza quasi inaspettata F. per i polsi.
F. si tira indietro, di istinto, si butta a spalle indietro, quasi a volersi fare avvolgere dal sedile, inglobare, scomparirci dentro, celarsi, nascondersi, …
Le mani del Grigio alle sue spalle finiscono il movimento.
La sdraiano traversa sui sedili. Il cambio piantato nelle reni.
La gonna di F. sollevata alta sulle cosce.
Bianco di cosce nella penombra.
La gonna a rivelare il triangolo bianco che urla il suo candore.
Mutandine bianche come il latte.

Il Grigio afferra adesso i polsi che prima serrava l’Alto.
Nel tempo di un pensiero li lega stretti.
Sfila dalla tasca un laccio di cuoio, sembra una stringa inglese. Morbido di concia e capace di penetrare svelto nella carne.
Approfitta di F. che, alle mani dell’Alto che le sono salite ormai, sotto la gonna, scalcia, e, in quella posizione ,..o difende le gambe e le mutande o le braccia.
Federica scalcia e nel tentativo di respingere le mani sulle mutande cede i polsi alla stretta del laccio.
Il Grigio tiene alte le mani legate di F., le braccia tese indietro escono dalla portiera aperta.
Le scapole forzate, rientrano quasi nelle spalle.
I polsi più bassi, alti sopra la testa del corpo sdraiato di traverso sui sedili.
Il cambio nelle reni.
I polsi forzati in basso, alzano i seni, arcuano la schiena facendoli esplodere sotto la camicetta.
Si solleva il bacino e la fica sembra collina sotto le mutande.
Monte umido e spaccato sotto il cotone bianco latte.

L’Alto si è fatto spazio tra le gambe, le tiene larghe con le sue reni e strappa le mutande.
Facile manovra con le anche di Federica alzate nella tensione in cui è ridotto.
Trazione delle spalle.
Culo che nemmeno più posa traverso sul sedile.
Il triangolo umido di latte si lacera e segna il fianco di bruciore nello schianto.

Il seno di F. in quella posizione arcuata, sdraiata sulla schiena a farsi ponte umano tra i sedili si gonfia per l’affanno e la paura. La camicetta era già tesa per la posizione.
Ora i bottoni sono allo spasmo e tra bottone e bottone la stoffa fa anse, si apre e lascia vedere lembi di pelle’
La camicetta tesa ad anse, asole di pelle tra un bottone e l’altro.
Salta il primo bottone da solo.
Il tutto, è paradossale, l’odore intanto si è fatto forte e pregnante, ma il tutto, ma il tutto avviene quasi in silenzio.
Solo i rumori dei gesti, lo strappo dolente delle mutandine ai fianchi, ora Federica è rossa come di graffio sulla pelle del fianco,lì dove l’elastico teso allo spasmo ha ceduto.
Solo il respiro affannato e violento della lotta.
Respiro che canta e sembra fatto di alito fradicio e di vento caldo e umido.
L’ansimare di Federica che soccombe e la frenesia di aria dei suoi due assalitori.
Nessuna voce.
Nessun rumore circostante.
Colonna sonora violenta anche il silenzio.
Solo i rumori di un’auto che fa cantare le gomme in curva, forse al primo piano.
Svanisce in fretta anche quello stridio, come se si assorbisse su se stesso, allontanandosi alla curva.

Il tutto in pochi istanti. Neanche il tempo per F. di realizzare e tentare una reazione o un urlo.
Poi le uniche parole.
Il Grigio.
– Taci. Se urli o chiedi aiuto, vedi. Sii brava e non ti succede niente –

F. ha una lacrima che le scende a lato del viso. Striscia di rimmel la guancia.
Cola nera spandendosi e seguendo le curve della carne.
I capelli ora sono spettinati e scomposti.
La mano sotto, secca, senza preavviso, entra.
La squarcia facendole fuoco e aprendo l’acqua.
Due dita.
Asciutte a bagnarsi all’istante dentro Federica.
F. solleva le reni a cercare di allontanarsi dalle dita che la stanno aprendo. Nel movimento, nel divincolarsi da gatta imprigionata, salta il secondo bottone alla sua camicia.
Le dita si sono fermate.
Ora.
Ora ripartono e si schiacciano alte, dentro Federica, per poi fermarsi e aspettare immobili, salite nel suo ventre fino all’attaccatura.
Il resto della mano la schiaccia da fuori.
L’Alto allora, immobile, lì in piedi, davanti alla portiera e alle cosce spalancate di Federica, ruota le dita.
Federica trattiene un urlo.
Il Grigio le tiene i polsi con una mano sola.
Le spalle di Federica sono come scomposte.. i polsi quasi a terra, il corpo inarcato come un dorso d’asino rovesciato sui sedili, a terminare l’arcata del ponte nelle dita che la stanno esplorando a fondo, aprendo, dilatando, spremendo di umori, senza dolcezza.

Il Grigio le tiene i polsi con una mano sola.
Con l’altra è dentro la camicia.
Abbassa solo le coppe del reggiseno. I seni così sono ancora più gonfi.
Spinti in alto dalla pressione dei lacci e degli elastici, che li serrano tutti ormai da sotto, e si fanno spinta.
Oscenamente spinti e strozzati dagli elastici di coppe e spalline.
Legati dal tessuto bianco latte, peso a farne coppe gonfie e arrovesciate in alto.
Il Grigio gira le dita della mano libera..
Ruotando sui capezzoli.
Uno poi l’altro.
Poi, senza guardarsi con l’altro, ognuno segue la sua voglia e Federica è solo il ponte tra le loro mani e le loro dita, ne serra uno tra i polpastrelli, stretto e l’uomo alto allo stesso istante sfila le dita e le reinfila, la chiude e la riapre.

F. stavolta urla.
Non di paura solo.
L’urlo è breve, sembra un sospiro a cui sia arrivata troppa aria in gola e abbia fatto scattare le corde vocali inavvertitamente.
F. serra le cosce sulla mano e sulle dita.
F. si morde a sangue un labbro.
Non pensa alla sua resa. Alla paura.
F. alza bandiera bianca serrando le dita dentro, le cosce a imprigionare il polso per impedire l’uscita dispettosa, ripetuta e bastarda delle dita, e, inarcando i seni, alza bandiera bianca alla paura e alla sua voglia.

Il Grigio lascia i polsi. L’Alto la sfila letteralmente dall’auto.
F. si trova con le caviglie tra i polsi dell’alto, tirata indietro per le spalle allo spasmo, e il culo a terra.
Il culo sul cemento freddo. Bagnato dall’acqua gelata ormai colata dalla portiera.
La schiena contro il vuoto della portiera aperta.
La lamiera del predellino piantata nelle reni. A spingere e segnare la schiena.
L’Alto sbottona i pantaloni.
Lento.
In piedi davanti agli occhi di Federica.
Lei segue la caduta della lampo, sente il rumore secco e trascinato del piccolo fermaglio sui denti di metallo.
Poi la mano abbassa l’orlo dei boxer, afferra. Estrae.
F. lo vede uscire già teso.
Il glande scoperto, rosso di tensione, il taglio in punta socchiuso e solcato dall’ombra umida di una goccia.

L’accoglie in bocca senza nemmeno che le venga chiesto.
Spinge, per quel che il suo legame umano col sedile, la portiere e le mani del grigio a trattenerle i polsi glielo permettano, la testa avanti.
La bocca aperta.
Le labbra che da sole si offrono socchiuse.
L’alto prende possesso di quella bocca. Delle labbra che si richiudono e trattengono.
E della lingua che si fa slitta e culla.
Del respiro caldo chiuso in quella grotta umida di alito caldo e impastato.
Si muove solo con le reni.
L’Alto.
Fermo sulle gambe piantate divaricate.
Avanza e si ritira.
Pompa la gola offerta.

Il Grigio è con la bocca sui seni adesso.
Trasforma in chiodi torti i capezzoli prima larghi e scuri.
L’Alto si ferma. Esce.
Lucido di saliva, teso davanti agli occhi di Federica.
Dalla bocca di F. cola un filo di saliva. Accumulata a bocca piena e chiusa.
Un velo di saliva calda e densa, filante.
Cola sul ventre.
Bagna la pelle del ventre piatto e le cola tra le cosce.
F. si contorce quasi al tocco scivoloso caldo e lento, sinuoso e esasperatamente dispettoso della goccia.
Vorrebbe toccarsi. Asciugarla, fermarne la tortura lenta e poi schiantarsela tra le cosce, a bagnare il sesso.
Ma non può farlo.

L’aiutano ad alzarsi adesso.
Secchi nei movimenti
La sdraiano appoggiata al cofano.
In piedi, ora, solo riversa a faccia in giù sulla lamiera.
Sul tavolo blu notte lucido di acqua sapone schiumoso e cera.
Gelido sotto i seni.
A gambe larghe ..è il Grigio a scostarle brusco con un piede.
La lamiera è ancora umida di lavaggio e fredda.
Fredda.
La pelle di F. si fa buccia di arancia nel brivido di quel contatto,.. buccia sul seno al contatto freddo di lamiera blunotte e buccia sulla schiena, sotto le mani e le unghie, e tra le gambe ha uno scatto.

Il tempo di un brivido e tocca al grigio.
In piedi, dietro, tra le cosce larghe schiacciate contro il metallo, la allarga e la penetra.
L’Alto la tiene schiacciata al cofano grigio per i polsi legati.
F. solleva il culo sotto la spinte e offre più proteso e offerto il sesso aperto.
Un’auto scende fino al piano superiore.
Gomme in curva stridono.
Si sentono le voci.
Quasi ci fosse un telo e non un piano di cemento a separare F. e i due dalla coppia al piano di sopra.
F. sporca di rimmel sulle guance, intorno agli occhi, non grida.
Non chiama.
Si morde solo quasi a sangue un labbro.
Appanna di alito umido e caldo la lamiera blu notte.

Il Grigio si sfila e si sposta. Afferra i polsi, li eredita dall’Alto.
Nessuno dice una parola.
Ma Federica, ancora alza il culo, lo protende, offre il taglio.
Bagnato e aperto, come se fosse il calco ancora fresco del cazzo del suo primo amante.
L’Alto le afferra i fianchi con forza.
Federica abbandona il viso sul cuscino di metallo, ora caldo del suo respiro e della sua bocca.
Lo sente salire ad occhi chiusi.
Ha male ai polsi, alla schiena tirata in modo strano, quasi sente le vertebre scostate e allungate sulla schiena tirata, le cedono le gambe forzate, tirano i muscoli dietro le cosce, quasi a capovolgere la piega delle ginocchia.

Non ha paura F.
Solo voglia.
Ancora e ancora.
Come le spinte violente che si susseguono tra le sue gambe e nella schiena.
E’ un flipper, docile e sbattuto senza logica né preavviso, sotto le mani dell’Alto che la serrano strette ai fianchi.
L’Alto spinge e scuote il flipper con forza.
Cerca l’angolo più difficile, il rimbalzo. Il punto.
Le scosse e l’affanno del flipper sotto.
Federica.
Federica si perde.
Affoga, alza la testa.
Respira e poi affoga ancora.
Ancora.
Ancora.
Ritma l’ancora, sussurrato a fil di voce tra le labbra.
Un filo di voce a sfiorare la lamiera che ora le sembra calda. Scotta come lei brucia tra le gambe.
L’Alto si svuota.
Con una spinta che la schiaccia.
Si libera di lei, con violenza.
Le sale dentro caldo e poi scivola fuori sulla coscia.

Il Grigio ricompone gli abiti suoi un poco, e le porge una mano acchè si alzi.
L’Alto le porge un fazzoletto bianco di tela sfilandolo dai jeans perché pulisca il viso e si asciughi tra le gambe.
Federica fa quelle piccole abluzioni recuperando intanto il fiato.
Ora sono quasi tornati alla normalità.
Federica, l’Alto e il Grigio.
L’Alto guarda il Grigio e parla.
Dobbiamo andare adesso, fra poco escono tutti. Ci vediamo in ufficio, domani, allora Marco’
L’Alto parlando con Marco, il Grigio, carezza con dolcezza i fianchi di Federica.
Il Grigio, porgendole la borsetta nera di nappa dal sedile e aiutandola a riassettare la camicetta sgualcita:
– Federica, dai ‘piccola,.. rivestiti, ora torniamo a casa.
Sei sconvolgente sempre, ti adoro, lo sai vero?
La babysitter non può fermarsi oltre oggi’e poi abbiamo promesso ai ragazzi di portare a casa la pizza. Stasera.
Guidi tu o guido io??? –
Federica sorride, mentre si ricompone e si riveste.
Poi col fazzoletto sporco di se e dei suoi amanti asciuga e lucida il cofano dove è sporco della sua saliva, del suo trucco, rimmel colato scuro a rigare ed alonare il blunotte, e dell’impronta sudata delle mani dei suoi a amanti.
Lucida come fece tempo prima a rimuovere anche l’ultima ala secca di insetto sopravvissuta alle spazzole del lavaggio.
– Ahhh’Carlo’se vuoi, se Federica lava ancora la macchina settimana prossima’piccola maniaca delle lamiere lucide e pulite, ‘ martedì’tu hai da fare?
Federica però lasciati dire una cosa. Sei proprio fissata con l’auto sempre pulita!
Dovresti parlarne col tuo psicanalista’ –
Ridono tutti e tre.
Federica alla guida, rivestita, le mutandine lacerate nella borsetta nera di nappa morbida, Marco al suo fianco che accende per entrambi una sigaretta.
Carlo sul sedile posteriore, in attesa di essere lasciato in piazza, sopra il silo sotterraneo a recuperare la sua auto.
Ridono di nulla.
E se ne vanno.
Stride la gomma in curva nella salita delle rampe.
Si accendono progressive le luci gialle al soffitto al passare di fotocellule susseguenti.
Fuori è quasi buio.
Non piove.
E non fa freddo.

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