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L’ancestrale ricerca del piacere

By 15 Novembre 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

Mezzo milione di anni fa, l’enorme territorio oggi conosciuto come Cina era ben diverso. Pianure, colline e monti si alternavano a perdita d’occhio fino all’orizzonte, coperti di fitta vegetazione e abitati da erbivori e predatori in piena armonia con la natura, senza neanche immaginare lo sfacelo che la futura razza umana avrebbe causato nell’intero globo.
Lei, che un nome non l’aveva, semplicemente perché a quell’epoca i nomi ancora non esistevano, si svegliò nella sua grotta, accanto a quello che fino a poche ore prima era stato un fuoco scoppiettante e che ora era, invece, ridotto a un mucchietto di cenere.
Come sempre, era sola. Nell’evoluta società che centinaia di migliaia di anni più tardi sarebbe stata definita degli homo erectus, Lei era uno scherzo della natura. I suoi oltre centosettanta centimetri di altezza, troppi persino per la media maschile, le avevano causato derisioni da parte di tutti i componenti dei gruppi ai quali aveva provato ad unirsi. Il suo corpo, snello e dalle forme appena accennate, l’aveva resa una femmina ben poco appetibile agli occhi dei maschi, che non mancavano di contendersi quelle dall’aspetto più fertile, più in carne, coi fianchi larghi e le mammelle abbondanti. Ignorando completamente Lei, così esile, così fragile, così poco adatta a sfornare figli. Aveva persino pochi peli rispetto a tutti gli altri. Quasi, sembrava provenire da un altro pianeta.
Stanca dei soprusi, delle prepotenze, delle angherie, decise, pochi anni prima, di separarsi da tutto e tutti e tentare di provvedere da sola a sé stessa. Senza un maschio che le procurasse il cibo. Senza l’assillo di dover dare alla luce ed accudire la numerosa prole.
Tutto sommato, riusciva a cavarsela egregiamente. Aveva fatto in tempo ad apprendere l’arte della caccia. Sapeva costruirsi delle lance portentose, sapeva affilare le pietre, riusciva ad uccidere e sventrare interi mammuth senza troppa fatica. Con qualche difficoltà, aveva imparato a gestire il potere del fuoco. Dopo aver passato intere giornate a tentare, invano, di accendere un falò, e dopo aver incendiato numerosi rifugi costruiti con fatica, ormai era in grado di utilizzare le fiamme per cucinare, per scaldarsi, per tenere lontani gli animali selvatici. La dura vita da cacciatrice l’aveva forgiata. Da femmina debole ed insicura, si era trasformata in una predatrice spietata. Il suo corpo aveva subito la stessa metamorfosi. Era al mondo da circa quindici anni quando abbandonò l’ultimo dei gruppi di suoi simili. Da mingherlina senza un filo di muscoli, in meno di un lustro, si era trasformata in un gigante dalle spalle larghe, le braccia possenti e le gambe toniche. Anche il seno le era un po’ cresciuto. Non molto, però. Diversi millenni più tardi, in un negozio, avrebbe potuto chiedere un reggiseno della seconda misura. Ma a quell’epoca i negozi non esistevano né, tantomeno, le taglie o gli indumenti intimi.
Ancora sdraiata nella sua grotta, con addosso una pelliccia a proteggerla dai primi freddi, strofinò le dita sugli occhi cisposi. Si guardò intorno soddisfatta. La caccia del giorno precedente aveva dato i suoi frutti. I resti della carcassa di un cervo adulto erano accantonati nell’angolo più in fondo. Prima che la decomposizione li avesse resi immangiabili, quella carne l’avrebbe sfamata per diversi giorni.
Tuttavia, nella sua oasi di pace, nella sua vita solitaria, qualcosa le mancava. Da sempre.
La punta delle sue tettine le doleva un po’ quella mattina. Non poté fare a meno di sfiorare i suoi capezzoli, trovandoli duri. Li strinse tra le dita, finché una fitta di dolore l’assalì. Poi, con la mano, avvolse una mammella, stringendola sino a causarsi altro dolore. Nel mentre, sfregava le sue cosce, avvertendo l’umido spandersi tra di esse. Sapeva bene cosa significasse. E come alleviare quella sensazione così terribile di vuoto. Fece scivolare una mano lungo il suo addome, fino al pube. Superò la peluria scura, ad incontrare l’umido ingresso di quella caverna morbida e calda. Solo sfiorando le grandi labbra, un brivido le percorse la schiena. Quando due dita si fecero largo tra di esse, un gemito rauco risuonò nelle pareti della grotta. Le tirò fuori, ricoperte dei suoi abbondanti liquidi viscosi, poi le inserì ancora. Poi ancora una volta, e di nuovo, sempre più rapidamente. Si era ormai liberata della sua coperta di pelliccia, restando completamente nuda sul freddo pavimento di roccia e terra, a cosce spalancate, mentre si penetrava con violenza. Quando gli umori le colarono lungo la mano e raggiunse l’apice del piacere, urlò con tutto il fiato che aveva in gola, e la sua voce stridula riecheggiò nella penombra del rifugio. Restò a giacere fino a riprendere pienamente il controllo del suo corpo, appagata ma non soddisfatta. Di solito, quel rituale la calmava, almeno per un po’. Quel giorno non andò così. Avrebbe dovuto andare di nuovo a caccia, ma non di erbivori stavolta.
Coprendosi a malapena con piccoli brandelli di pelliccia, si allontanò dalla caverna, in cerca di una preda adatta al suo scopo. Non dovette camminare a lungo. Solo un paio di chilometri a ovest, in una radura nella quale i piccoli erbivori della zona erano soliti pasteggiare, notò un maschio della sua specie appostato dietro un robusto tronco d’albero dai rami quasi spogli. Un branco di cervi, a poche decine di metri da lui, pascolava ignaro della sua presenza. Il maschio li fissava con attenzione, pronto ad assalirne uno col rudimentale pugnale che brandiva in una mano. Lei lo fissò per un po’. Di altezza media, corporatura non troppo massiccia, aria per nulla furba. Poco più adulto di lei probabilmente. Valutò che avrebbe potuto facilmente avere la meglio in uno scontro diretto e decise di agire in fretta, per saziare le sue voglie il prima possibile.
Si avvicinò al maschio in maniera rapida ma furtiva. Lui non si accorse di nulla, concentrato com’era sull’attività dei cervi. Sentirsi afferrare dalle spalle e scaraventare a terra, perciò, lo spaventò parecchio. Urlò, tanto da far scappare le sue prede. Dopo un momento di smarrimento, capì cos’era accaduto. Guardò la femmina sopra di lui, ruotando appena la faccia ed accennando un grugnito. Dopodiché, provò a liberarsi. Quando non vi riuscì, entrò nel panico, iniziando a dimenarsi. Lei, più alta di Lui di almeno quindici centimetri, più pesante e nettamente più tonica, ebbe la meglio senza faticare troppo. Dopo pochi minuti di disperata colluttazione, il maschio fu costretto ad accettare la sconfitta. La guardava con un’aria tra il curioso e il terrorizzato, tipica di chi si chiede quali siano le intenzioni del proprio aggressore e, dentro di sé, teme il peggio.
Lei non era in vena di tentennamenti. Senza sollevarsi dal corpo del maschio steso supino, lo denudò dalla vita in giù, scoprendo un membro non eretto ma di dimensioni ragguardevoli. Durante le precedenti aggressioni aveva imparato che, terrorizzando la sua preda, questi non era materialmente in grado di darle piacere. Aveva anche appreso, però, come far si che la piccola proboscide che ora stringeva in una mano potesse acquistare consistenza, con o senza l’espressa approvazione del maschio. Iniziò, perciò, a stimolarla con un lento su e giù. Ci vollero solo pochi istanti prima che la sua preda iniziasse a sospirare e il suo pene ad ingrossarsi. Nel masturbarlo, anche lei si liberò delle pelli che le coprivano la parte inferiore del corpo. Seduta sul maschio, prese a strofinarsi il membro ormai duro sulle cosce e tra di esse, bagnandolo coi suoi umori.
Una volta portato quel cilindro di carne al massimo dell’erezione, montò sul maschio, impalandosi completamente. Lui grugnì. Lei emise un urlo squassante. Dopo aver roteato un paio di volte il bacino, la femmina iniziò a saltargli sopra convulsamente. Si sollevava sulle ginocchia per poi impalarsi nuovamente, facendo quasi sgusciare fuori il pene della sua preda e, successivamente, piantandoselo ancor più in profondità della volta precedente. Continuò quella furiosa cavalcata fin quando non avvertì un calore irradiarsi dal basso ventre fino al suo cervello e, priva di forze, crollò sul maschio, mentre Lui la inondava del suo bianco e denso seme caldo.
Pochi secondi più tardi lo lasciò lì, ancora sdraiato ed ansimante, mentre Lei, finalmente soddisfatta, si rivestì con le sue pelli e tornò alla sua caverna per un lauto banchetto. Anche quel giorno, la caccia era stata fortunata.

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