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le cagne dell’ufficio al festino con i malavitosi

By 22 Gennaio 2023No Comments

chi mi vuole contattare può scrivere a padronebastardocontatti@gmail.com

Ormai la fama delle mie schiave diventate escort era diventata quasi di dominio pubblico: Chiara, Alessia, Marika, Barbara, Alessandra e Christine non riuscivano per niente a nascondere il cambiato tenore di vita che si potevano permettere essendo state messe a fare le escort e la voce si sparse in tutta Milano.

Sempre più ragazze contattavano Marika per diventare escort del mio giro. Lei spiegava loro che dovevano diventare mie schiave prima e il mio esame era diventato sempre più selettive dato l’elevato numero delle richieste.

La cosa arrivò all’orecchio anche di un altro genere di persone. Mentre stavo pranzando in un ristorante del centro venni avvicinato da un tizio che voleva parlarmi. Provai a dirottarlo in ufficio, ma mi fece capire che la chiacchierata doveva avvenire lì.

Ci appartammo e mi disse con spiccato accento siciliano che alcuni amici volevano parlarmi e che non era il caso di contrariarli, l’appuntamento per era già stata fissato per le 19 del giorno dopo.

La giornata trascorse lentamente, ma arrivarono le 19 e arrivai all’appuntamento.

“Sei armato” mi chiesero due ragazzi che apparivano come vigilantes molto privati.

Si fidarono della mia negazione e mi aprirono una porta sgangherata che dava in una stanza con tre persone elegantemente vestite di cui uno doveva essere sicuramente il capo da come si atteggiava.

Mi disse” ci stai simpatico, sappiamo che tieni le donne e le fai battere per te, ma pure noi teniamo le nostre vacche e te le vogliamo presentare. Una volta ogni tre mesi facciamo una festa per far divertire i ragazzi che lavorano bene, domenica la facciamo a Roma, vieni che ti facciamo divertire, la regola è che ognuno porta le sue puttane. Puoi portare pure qualche signora per bene per farla divertire, ma la devi distinguere all’entrata, una volta li capirai”

“Va bene, ci sarò “dissi.

Una volta a casa chiamai Marika dicendole di convocare tutte quelle che l’avevano contattata e di farle venire da me in ufficio il giorno dopo per spiegare bene l’opportunità che gli daremo per diventare mie schiave e puttane.

Da me in ufficio vennero le già arruolate Chiara, Alessia, Marika, Barbara, Alessandra. Christine ed Erica inoltre invitarono le aspiranti Eleonora, Rachel, Iris, Giulia, Marta, Vittoria, Fabian, Martina, Vanessa, Valeria Eleonora, Giada, Mariangela, Rachel, Iris, Giulia, Marta, Camilla, Vittoria, Fabiana, Martina, Vanessa, Valeria, Vittoria.

Feci a tutte loro un bel discorso dicendo che ero stato invitato a una festa dove avrei portato le mie schiave e puttane. I partecipanti alla festa non sono dei lord, ma alcuni tra i peggiori figuri presenti in Italia e che non intendevo fare una brutta figura. Era un’occasione importante che davo alle mie aspiranti schiave e puttane facendo loro notare che se fossero state all’altezza del compito sarebbero state accettate come mie schiave e puttane.

Accettarono tutte perché la voglia di rompere il triste grigiore delle loro vite e fare la bella vita le attirava troppo, anche se avesse voluto dire andare in una festa in cui sarebbero state schiave di veri animali.

Arrivammo alla festa sabato con quattro macchine e fummo registrati all’ingresso come si trattasse di una riunione aziendale. Mi chiesero se qualcuna delle ragazze fosse una signora per bene che non si poteva toccare e alla mia risposta negativa misero a tutte un collare con scritto cagna al collo. Mi spiegarono che quello era il distintivo per riconoscere le puttane che qualcuno aveva portato.

Per molte di loro abituate a essere ragazze per bene, a frequentare bravi ragazzi quello fu uno shock rappresentava la prova plastica della loro trasformazione da donne a schiave e puttane.

Una volta arrivato nel salone della festa fui piacevolmente sorpreso che di signore col collarino ce n’erano almeno una trentina

“Bastardo!” fu il saluto con cui si fece riconoscere tra la folla il capo: era basso e muscoloso faceva veramente paura.

“Quanta grazia di Dio” esclamò guardando le mie donne come un commerciante all’asta delle vacche.

“Vieni qua” Esclamò con il tono di chi era abituato a comandare afferrando nel mucchio Camilla (che tra l’altro era incinta) sbattendosela addosso con la mano che andava a serrarla con il suo corpo stringendole il culo.

“Io a te ti conosco, tuo padre è l’ingegnere e tua madre è quella fetentissima che chissà chi si crede di essere” continuò per attirare l’attenzione di tutti

“Guarda un po’ chi c’è” disse un uomo che doveva essere importante dato che strappò Camilla dalle mani del capo e le alzò prepotentemente la gonnellina che portava.

“Vieni un po’ qua che noi dobbiamo parlare” e giunto su una poltrona le ordinò” Spogliati e vieni qui, ho sempre avuto voglia di prenderti”, mentre cercava di mettere un pugno dentro la figa di Camilla.

“Spiegami una cosa anche la madre fa la mignotta?”

“Si, rispose se il capo sarà d’accordo te la farò conoscere”

“Quando capiterà avvisami, sono disposto a qualsiasi cifra per scoparmi madre e figlia insieme”

Intanto il capo che si era visto scippare Camilla, prima di prendere Valeria ed Alessia voleva che avessi anch’io la mia razione di carne umana e ordinò a una figura che era in fondo alla sala di raggiungerci e urlò “Figlia del notaio dei miei stivali, vieni qua che c’ho un amico da far divertire”.

Fui abbastanza sconvolto di vedere la figlia del notaio col collarino con scritto cagna. Anche lei chissà per quale motivo ea un agnellino a disposizione dei lupi.

Eravamo entrambi in imbarazzo, ma sicuramente più lei di me, anche se i suoi trascorso come puttana di quei tori infoiati dovevano averla preparata a qualsiasi esperienza.

“Guarda che roba, questa è una bionda naturale” mi disse buttandomela addosso. La conoscevo come elegante, ma le piaceva farsi vedere le gambe e le bellissime tette che esplodevano sotto camicette sempre strette. Adesso ce l’avevo li nuda con al collo il collarino con scritto cagna.

Era un modo volgarissimo di tatuare donne che altrimenti avrebbero potuto essere scambiate per viziose spettatrici. Il collarino invece le denudava ancora di più stampando loro addosso l’ignominia di essere cagne a disposizione di tutti. I ragazzi si prendevano con ognuna di loro le libertà più fantasiose. La cosa era resa ancora più pesante soprattutto dalla presenza di persone sguaiate che davano sfogo ai loro peggiori istinti prima di passare al sesso vero e proprio che era altrettanto volgare e smodato.

La figlia del notaio era nuda sulle mie ginocchia e anch’io fui tentato di infierire su di lei volgarizzandola il più possibile. La feci mettere a gambe spalancate e le ordinai di dire cosa sapesse fare a letto e di essere molto precisa nei dettagli. Cominciai a palparle le tette senza doverle più occhieggiare dalla scollatura e godevo nel farle pesare il mio sorrisetto sarcastico a ogni carezza a ogni gesto.

Mi si sedette a fianco una vecchia lesbica senza collarino che non se la sentiva di mettersi in coda dietro la squadra di ragazzi che aspettavano il loro turno per scopare le ragazze più carine che erano quelle che avevo portato io. Il fatto che fosse senza collarino non la faceva salire molto nella scala delle aberrazioni umane, perché una vecchia a quell’età, in quel posto stava solo ad indicare che faceva parte del branco di iene che a suo modo prima o poi si sarebbe servita di un piatto di carne umana.

“Non sciupatele troppo” disse senza troppa convinzione e rivolta a me quasi a voler spiegare il motivo di tanta preoccupazione aggiunse “a me le ragazze piacciono quando sono rilassate, cioè consumate dai ragazzi! Sono più disponibili, hanno la pelle più reattiva.” E si leccò le labbra come una iena davanti ai cadaveri.

“Andiamo di sopra dissi alla figlia del notaio, devi farmi un servizio con i fiocchi” e andai su per le scale alla ricerca di una camera libera, soffermandomi sulle porte aperte per vedere all’opera le puttane che avevo portato alla festa e che si intravvedevano a stento sommerse anche da due o tre uomini.

Trovai una stanza libera e mi sistemai nudo ed eccitatissimo sopra il letto continuando a palpare la figlia del notaio tra le cosce e sul culo sferzandola con domande affatto amichevoli.

“da quanto tempo fai la mignotta?”

“Da sei mesi” rispose

“E quel cornuto di tuo padre lo sa?”

“Si, lo sa”

“Bene, la prossima volta che vengo da voi lo facciamo stare a guardare, mentre ti inculo.”

“Come vuole”

“anzi non vengo più da voi, vieni tu da me e se ti metto le mani tra le cosce ci devi stare. Tutti devono sapere che la figlia del notaio è una puttana”

“di questo devi parlare col capo”

“Certo che gliene parlo! Mi ha invitato alla festa perché siamo amici e sono disposto a comprarti.”

Non le diedi il tempo di rispondere e indirizzai la sua testa sul mio cazzo spingendola su e giù.

“Dai bella ciucciamelo bene hai finito di fare la preziosa, adesso dall’alto in basso devi guardare solo il mio cazzo!”.

Tolsi il cazzo dalla sua bocca e la penetrai in culo in un solo colpo e si drizzò sui reni per attutire il colpo. “Stai giù cagna non me ne frega un cazzo se ti fa male” le dissi infilandolo con sempre maggiore forza.

Continuai a sbatterla ruotando il bacino per infilarglielo di sbieco in modo di farle ancora più male.

Quando mi divertii abbastanza le ordinai di prendere il cellulare e di telefonare a suo padre.

“Cosa devo dire?” mi chiese

“digli chi c’è sdraiato sopra di te e che to sta scopando”

“c’è il signor Marco che sta sdraiato sopra di me e mi sta scopando, ti vuole ringraziare per avermi messo a disposizione, il culo gli è piaciuto molto e mi ha insegnato a fare meglio i pompini, adesso ti lascio perché mi vuole venire in bocca ”

“Adesso puoi spegnere il cellulare” dissi.

Mi rivestii e scendemmo al piano di sotto e trovammo il capo con un paio di ragazzi.

Il capo mi disse:” Camilla mi è piaciuta voglio tenermela quanto vuoi’”

“Voglio la figlia del notaio”

Fu spiazzato e mi disse di no perché aveva alla catena anche il padre che gli serviva per fare atti non proprio limpidi.

“Ti do anche la madre Valeria e poi il notaio potrà continuare a servirti.

“Affare fatto”

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